Un libro, tante storie: caro Marco, sapevi tutto di Michele?

20.02.2022
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Un libro dedicato a Michele attraverso gli scritti di 55 persone del mondo del ciclismo, musicisti, suiveur e scrittori che l’hanno conosciuto. Così Marco Scarponi ha inteso ancora una volta ricordare suo fratello, affidando la redazione a Marco Pastonesi.

Quando ci è arrivato, avendone scritto un capitolo, abbiamo iniziato a leggerlo, rivivendo episodi di cui siamo stati testimoni e scoprendo sfumature inedite. E qui è scattata la curiosità: Marco Scarponi avrà imparato qualcosa di nuovo su suo fratello? Glielo abbiamo chiesto.

Con questo libro curato da Marco Pastonesi, la Fondazione Michele Scarponi ricorda il campione
Con questo libro curato da Marco Pastonesi, la Fondazione Michele Scarponi ricorda il campione

«Immaginavo e ho avuto la conferma – dice – che Michele comunque è sempre stato ed è una grande anima. Quindi dovunque si trovasse, dovunque si trovi porta sempre una bellissima atmosfera. Ma soprattutto ho scoperto che ha fatto delle cose stupende, dei gesti bellissimi. Il piede a terra che ha messo nel Giro del 2016 è stato solo l’apice di tanti gesti che lui ha fatto nella sua vita. Gesti di solidarietà, di amicizia, di bellezza. Quindi tramite questo libro, ne ho scoperti altri, ma tanti altri nel libro neanche ci sono».

Era amico di tutti…

Da queste pagine emerge il grande senso di Michele per l’amicizia. Il piacere di stare insieme agli altri. Già l’amicizia che ha con Luis Matè, oppure il rapporto che ha con tutti i direttori sportivi. E poi emerge tantissimo, secondo me, il suo lato sensibile. Michele in fondo è sempre stato visto come uno che scherza e basta, in realtà è una persona molto intelligente e molto sensibile.

Fai un esempio?

C’è un racconto di Davide Marta. Parla di quando lui riprende al Giro dell’Appennino dopo la squalifica. E lì si vede tutta la grande intensità di Michele, tutta la sua serietà e la grande voglia di ritornare a correre. Michele era molto concentrato, era molto serio su quello che faceva. Poi anche il racconto di Paolo Condò, ad esempio, quando parla della sconfitta contro Contador sull’Etna.

Nel 2011 sull’Etna, lottò contro Contador senza pensare mai di arrendersi
Nel 2011 sull’Etna, lottò contro Contador senza pensare mai di arrendersi
Cosa dice?

C’è un pezzetto in cui Michele, anche senza parlare, con quell’azione lì ci ha detto tante cose e ha fatto vedere quanto fosse grande in quello che faceva, anche nella sconfitta. «Un uomo che faceva i conti con se stesso, stremato oltre ogni limite eppure testardamente riottoso alla resa».

Ti aiuta averlo accanto?

Tantissimo. Sono passati quasi 5 anni e non è facile portare avanti il messaggio di qualcuno che non c’è più. Per me è un po’ più facile, perché Michele ha lasciato tantissimo. E’ ancora un testimonial importante per tutto quello che facciamo. A volte mi chiedono di cercare qualcuno da affiancargli, ma che senso ha? Quando vado nelle scuole, parlo coi bambini. Racconto la storia di Michele, arrivando fino alla morte. Prima gli faccio vedere le immagini e Michele diventa subito un protagonista che dà ancora tantissimo e loro se ne innamorano. In quello che faccio con la Fondazione, lui ci indica la strada.

Che cosa ha dato il ciclismo a Michele?

Noi ci diciamo sempre che il ciclismo l’ha salvato da una vita che poteva essere diversa. Nel senso che quando scelse di fare il ciclismo a 16-17 anni, quando decise di lasciare la scuola per seguire il suo sogno di fare il ciclista, ebbene lui lì ha messo tutto se stesso. Il ciclismo lo ha messo in condizione di esprimersi. Di tirare fuori tutto quello che aveva dentro. Non c’era un altro sport, dal mio punto di vista, che Michele potesse fare per rappresentare quello che sentiva. Noi non siamo una famiglia di ciclisti e lo sapete che spesso i ciclisti vengono da genitori già ciclisti, da nonni ciclisti.

Colle dell’Agnello al Giro del 2016, dopo la discesa Scarponi si fermerà ad aspettare Nibali
Colle dell’Agnello al Giro del 2016, dopo la discesa Scarponi si fermerà ad aspettare Nibali
Mentre voi?

Nella nostra famiglia non ci sono stati ciclisti, eravamo tifosi. Eravamo contadini e muratori di qui intorno, ma eravamo anche dei ciclisti e non lo sapevamo. Quindi l’unico modo per raccontare la nostra famiglia e quello che c’era dentro Michele, era fare il ciclista. 

Che cosa gli ha tolto il ciclismo?

Il ciclismo gli ha dato tanto, mentre gli ha dato molto meno non mandando messaggi come quello della sicurezza stradale. In tutte le squadre in cui è stato non ho mai visto un minimo di attenzione su questo. Ecco, questo è sorprendente, il solo dito che mi sento di puntare. Io sono entrato nel mondo del ciclismo con Michele, ma in maniera più diretta dopo la sua morte. Magari è difficile avvicinarsi a una famiglia come la nostra dopo quello che abbiamo vissuto. Molti lo stanno facendo adesso e io magari dopo un mese che era morto Michele mi chiedevo perché non si facesse sentire nessuno.

Che risposta ti sei dato?

Mi rendo conto che ci vuole tempo e molte persone fanno fatica. Spesso è capitato anche a me di andare da famiglie di vittime della strada e ho capito che non serve a niente andarci subito e che ci vuole il giusto tempo. Dal ciclismo mi aspettavo tanto, ma adesso mi aspetto un po’ meno.

Non passa corsa dal quell’aprile 2017, senza che sulla strada un cartello ricordi Michele
Non passa corsa dal quell’aprile 2017, senza che sulla strada un cartello ricordi Michele
Cosa ti aspettavi?

Mi aspettavo molto di più da qualcuno, certo. Però mi rendo conto che non siamo tutti uguali. Me ne faccio una ragione. Dopo quello che è successo, mi sarebbe piaciuto che si fossero un po’ tutti coalizzati e fermati. Perché è morto uno di noi. Qui invece non ci si ferma per niente. Lo sport deve continuare, come lo show…

Tu però vai avanti…

Io capisco che magari la mia figura a volte possa essere ingombrante o fastidiosa, però mi aspetterei più coinvolgimento. Ma si fa fatica, siamo sempre un po’ egoisti. Adesso stiamo cercando di mettere in piedi una scuola di ciclismo per bambini e tutti ne sono entusiasti. Poi ti volti e intorno non c’è nessuno che ti aiuti, mentre se c’è da fare una gran fondo sono tutti pronti.

La sicurezza stradale…

Anche se facciamo delle riforme, cadono nel vuoto e questa cosa è impressionante. In Italia vale il detto di Verga, che tutto cambia affinché non cambi nulla. In questi giorni si è parlato tanto delle morti degli studenti nell’alternanza scuola-lavoro, ma della sicurezza stradale non si parla. Nel suo primo settennato, il Presidente della Repubblica Mattarella non ha mai parlato delle morti sulla strada, eppure si parla di migliaia di giovani. Dicono che non ci sono abbastanza Forze dell’Ordine per far rispettare il codice della Strada, eppure per rincorrere la gente che durante il lockdown andava a camminare sulla spiaggia le hanno trovate.

Dietro quel sorriso bislacco, c’erano i pensieri di un uomo profondo e buono
Dietro quel sorriso bislacco, c’erano i pensieri di un uomo profondo e buono
All’estero si danno da fare…

In Inghilterra quel principio che c’è nel nostro slogan, per cui la strada è di tutti a partire dal più fragile, è diventato un principio che sta dentro il codice della strada. E’ vero che sulla strada dobbiamo tutti rispettare le regole, però è innegabile che l’automobilista abbia più potere e caratteristiche tecnologiche tali da renderlo più pericoloso. Non sono opinioni, è fisica. Ma da noi sembrano discorsi insostenibili. Evidentemente ci sono degli interessi troppo superiori…

In cosa Michele e Marco si somigliano?

Io rispetto a lui sono stato sempre indeciso, Michele era più determinato. Mio fratello sapeva quello che voleva e se lo andava a prendere. Michele era uno che sapeva fare le salite e ci ha detto: «Guardate, le salite si fanno così. Si deve fare fatica». E’ stato sempre deciso, io non sono stato mai così, io sono uno che rimanda. Però dopo la sua morte, in certo senso lo prendo un po’ come esempio e cerco di mettermi nella sua scia. E poi…

E poi?

Ho la stessa caratteristica di sdrammatizzare, di fare come lui, di buttarla un po’ in burla. Piace molto anche a me questo modo di fare, quella risata di Michele spesso simile alla mia. Però entrambi probabilmente veniamo però da un momento ben preciso, che è quello di sognare tanto. Siamo grandi sognatori e a tutti e due piace fare qualcosa, non semplicemente partecipare senza motivo. E poi non so quante altre cose ci accomunano e quante ci tengono distanti, è tutta da scoprire ancora ‘sta roba.

Marco Scarponi, sul podio della Tirreno-Adriatico 2019, con Lutsenko
Marco Scarponi, sul podio della Tirreno-Adriatico 2019, con Lutsenko
Ti sei reso conto che per tutto il tempo hai parlato di Michele al presente?

Io sono un familiare, ho perso un fratello. Quindi dovete capire che sono traumatizzato all’infinito e quindi per fare sì che questo per me sia una fonte di energia e un valore, devo essere convinto che Michele sia qui. Anche se so che probabilmente non è così ed è tutta una proiezione che ci facciamo noi vivi. Però il fatto di dire e pensare costantemente che Michele sia qui e viva in quello che sto cercando di fare, per me è la soluzione per andare avanti.

Con Cataldo, fra biomeccanica, Ciccone e le risate di Scarponi

05.01.2022
7 min
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Un altro cambio di maglia, la sesta da quando è professionista. La Liquigas, poi la Quick Step. Il Team Sky e l’Astana. La Movistar e ora la Trek-Segafredo. Dario Cataldo e i suoi occhialini hanno sempre la stessa vivacità nello sguardo, ma nei silenzi si intuiscono i chilometri e il tempo passato. Trovare una trattoria in cui sedersi a Chieti è stato un’impresa, fra locali chiusi e quelli al completo. Ma adesso, in mezzo agli antipasti che vanno e vengono e con una birra piccola per farci compagnia, il discorso fluisce gradevole e profondo come sempre.

L’ultimo contratto ha dovuto sudarselo. Da una parte era certo che dopo una carriera come la sua, sarebbe stato impossibile restare a piedi. Ma quando ottobre è diventato novembre e non c’erano novità, il senso di dover smettere ha fatto per la prima volta capolino dopo tanti anni e non è stato bello.

Cataldo sarà regista in corsa al fianco di Ciccone, ma non avrà identico programma (@rossbellphoto)
Cataldo sarà regista al fianco di Ciccone, ma non avrà identico programma (@rossbellphoto)

«Alla Trek ho trovato un ambiente molto eterogeneo – dice – al primo approccio mi ha fatto pensare a quello della Quick Step, dove c’erano persone molto competenti, con un bello staff belga e uno italiano. Qui in più c’è la stessa sensazione di famiglia della Movistar. Sto bene. Ho cambiato un po’ di cose, ma so qual è il mio lavoro. Dopo tanto tempo, quasi non è servito parlarne».

Dario è in Abruzzo per qualche appuntamento e gli ultimi scampoli delle Feste, poi tornerà in Svizzera e da lì, a metà della prossima settimana, tornerà in Spagna per il secondo ritiro con la squadra. In questi giorni, approfittando del clima insolitamente mite, è riuscito a salire fino al Blockhaus e a riempirsi gli occhi dei suoi panorami.

Hai parlato di cose cambiate…

Ad esempio a livello di biomeccanica. Cambiamenti di cui avevo intuito la necessità, ma sui quali non avevo mai ricevuto feedback dalla squadra. Era da un po’ che riflettevo sulla lunghezza delle pedivelle. Pedalo così basso e raccolto, che con le 172,5 nel punto morto superiore avevo il ginocchio conficcato nel petto. E questo un po’ era scomodo e un po’ mi impediva di avere la cadenza che volevo. Era una mia teoria, invece appena mi hanno visto, mi hanno fatto la stessa proposta senza che io gli dicessi nulla. E adesso le ho da 170…

I biomeccanici della Trek-Segafredo hanno anticipato la sua volontà e sono intervenuti su pedivelle e pedali
I biomeccanici della Trek-Segafredo sono intervenuti su pedivelle e pedali
Le hai cambiate subito?

Dal primo ritiro e ho visto subito dei benefici. Mi viene più facile andare in agilità. E in contemporanea ho cambiato la larghezza dell’asse del pedale. Ho guadagnato 4 millimetri per lato, aumentando il fattore Q di 8 millimetri (si tratta della distanza orizzontale fra i due pedali, ndr). Notavo la necessità di allargare l’appoggio e grazie ai pedali Shimano, siamo riusciti a farlo. Per questo devo dire grazie ad Andrea Morelli del Centro Mapei, che ci segue.

Perché non fare prima certe modifiche?

Perché fino a qualche anno fa c’era chiusura mentale su certi aspetti. Ho sempre chiesto la compact per fare le salite ripide in agilità e mi dicevano di no perché non c’erano mica dei muri. Oggi è cambiato, in questa squadra è diverso. C’è più apertura verso la personalizzazione, dalla biomeccanica all’alimentazione. Non siamo tutti uguali…

Perché Ciccone ha detto che sei l’uomo giusto per creare un progetto?

Perché forse in squadra serviva un occhio tecnico dall’interno della corsa. Nel suo gruppo c’è Mollema, che però non nasce gregario. Oppure Brambilla, fortissimo nelle classiche. Noi due ci completeremo, perché io ho quell’occhio per le corse a tappe. Potrei essere il tassello che mancava nei Giri. So quello che dovrò fare. Sono arrivato al punto che in certi momenti sono io che spiego ai direttori quel che serve.

Ha corso spesso da gregario, ma sa vincere. Da U23 vinse il Giro d’Italia, qui a Como nel Giro 2019
Ha corso spesso da gregario, ma sa vincere. Qui a Como nel Giro 2019
Un regista in corsa?

Più di una volta ho messo da parte le ambizioni personali. Guercilena, che mi conosce dal tempo della Quick Step, mi ha dato questa fiducia a prescindere.

Sarai la spalla fissa di Ciccone?

Ci sarò in alcune occasioni, mentre in altre per il bene della squadra mi… occuperò d’altro. Faremo però un bel calendario insieme. Tecnicamente, Giulio è ibrido, deve capire dove può emergere. Ha ottime qualità per i grandi Giri, ma è istintivo e per questo va tenuto a bada. Deve maturare ancora. Deve trovare la giusta dimensione per utilizzare il suo potenziale. Credo che fra preparatori, direttori e compagni possiamo fare ognuno la sua parte per supportarlo.

Cosa è cambiato nel gruppo dagli inizi?

E’ diventato un lavoro più esigente. Credo che si sia sempre fatta attenzione ai dettagli, per quello che di anno in anno fosse il meglio a disposizione. Oggi ci sono più conoscenze per fare le cose a un livello superiore, qualitativamente e quantitativamente. Puoi sbagliare meno, altrimenti sei automaticamente fuori dai giochi. La cosa veramente difficile è diventato lo stare in gruppo.

Dopo cinque anni all’Astana, Cataldo ha corso le ultime due stagioni alla Movistar
Dopo cinque anni all’Astana, Cataldo ha corso le ultime due stagioni alla Movistar
Che cosa significa?

Il modo più aggressivo di correre fa saltare le tattiche e si traduce in meno rispetto. Prima un corridore esperto poteva richiamare il giovane che sbagliava, adesso ti mandano a quel paese. Primo, perché non c’è rispetto. Secondo, perché lo fanno tutti e quindi ti prendono per scemo, quasi tu voglia fare lo sceriffo.

Chi gode di rispetto?

Il leader forte che vince le grandi corse. Quelli vengono presi a modello, ma si pensa di poter fare come loro. C’è una bella anarchia.

Pensi mai alle persone che ti hanno lasciato qualcosa?

Michele Scarponi, sicuramente. Lui è in cima alla lista. Tante volte facciamo progetti e castelli in aria senza renderci conto che tutto può finire in un secondo. Ma per parlare di lui servirebbe un libro…

Scriviamolo!

Per capirlo, devi averlo conosciuto (dice strizzando l’occhio, ndr). Di lui apprezzavo la capacità di mantenere alto il morale, lo osservavo per come si comportava ed era di ispirazione. Faceva gruppo ridendo, ma non da pagliaccio. Era burlone e super professionale. Continuando a ridere, ti sbatteva in faccia il tuo errore. Ti prendeva in giro, ne ridevi anche tu e intanto imparavi.

Scarponi riusciva a dire col sorriso anche le verità più scomode
Scarponi riusciva a dire col sorriso anche le verità più scomode
A te cosa rimproverava?

Il fatto di essere troppo zelante e di avere troppa dedizione per quello che mi dicevano. A volte i corridori sfilano la radiolina per non eseguire ordini che gli sembrano assurdi, io non lo facevo mai. Una volta all’Algarve il gruppo era tutto largo su uno stradone con il vento contrario. Un direttore disse alla radio che dovevamo attaccare. Noi gli chiedemmo se fosse sicuro. E quello in tutta risposta disse che toccava a me e io andai. Partii e ovviamente mi ripresero e mi staccarono. E Michele rideva, mi guardava e diceva: «Il bello è che tu lo fai!!!». Ne abbiamo riso per settimane. Forse dissero a me perché ero l’unico che lo avrebbe fatto (sorride sconsolato, ndr).

Chi oltre a Michele?

Bennati, perché è uno dei compagni con cui ho avuto la migliore affinità. Eravamo sempre sulla stessa lunghezza d’onda. Ancora adesso, davanti a qualsiasi questione, mi viene da pensare che lui la penserebbe come me. Poi Malori, anche se non abbiamo mai corso insieme. E’ una di quelle persone che puoi non vederla da cinque anni e ti abbraccia come se ci fossimo salutati il giorno prima. Infine Bruno Profeta, il mio primo direttore sportivo, che mi ha insegnato concetti e valori che mi sono serviti prima nella vita e poi anche nello sport.

L’arrivo di Cataldo alla Trek-Segafredo è stato uno degli ultimi colpi del mercato (@rossbellphoto)
L’arrivo di Cataldo alla Trek-Segafredo è stato uno degli ultimi colpi del mercato (@rossbellphoto)

Il resto è tutto un parlare della nuova bici Trek. Del colore delle divise da allenamento. Del debutto in Francia. Anche del proposito di diventare un giorno anche lui un procuratore. Della sua squadra di juniores in Spagna che è diventata quella di Vinokourov. E quando il pranzo finisce e stiamo per salutarci, nel gruppetto di tre ciclisti in strada, riconosciamo la sagoma di Ciccone. Cataldo guarda l’orologio. Dice che Giulio sta tornando verso Pescara perché ha finito l’allenamento e conferma che usciranno insieme anche domani (oggi per chi legge). Ci salutiamo. Il pomeriggio ha altri impegni. Poi la stagione potrà finalmente cominciare.

Aru e Baroncini, amicizia a sorpresa sulle strade dei Sibillini

25.10.2021
6 min
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Hanno pedalato fianco a fianco per tutto il finale, almeno per 15 chilometri (in apertura nella foto di Martino Areniello). Poi si sono seduti allo Spuntino di Montegallo e hanno continuato a tavola fino al pomeriggio inoltrato, mentre fuori il ristoro andava avanti in una giornata d’autunno al profumo di lenticchia, di farro e d’inverno. Aru e Baroncini: un ex corridore e uno che si sta appena affacciando sulla scena. Due che tecnicamente non si somigliano neanche volendo e che invece si sono scoperti lungo i chilometri di #NoiConVoi2021, pedalata di solidarietà sui Monti Sibillini, nata nel 2016 dopo il primo terremoto e aggrappata con le unghie al suo grande obiettivo.

Anche quest’anno, per NoiConVoi le borracce Andriolo, realizzate a tempo di record
Anche quest’anno, per NoiConVoi le borracce Andriolo, realizzate a tempo di record

Dieci anni giusti

Il primo è nato il 30 luglio del 1990. Il secondo il 26 agosto di dieci anni dopo. Il primo ha vinto bene da U23, spingendo parecchio in salita e con le diete, poi si è portato a casa la Vuelta, due podi al Giro, la maglia tricolore e un assaggio della gialla. Il secondo ha appena conquistato l’iride degli U23 e debutterà nel 2022 con la Trek-Segafredo. Giusto dieci anni dopo il battesimo del sardo, che passò con l’Astana nel 2012. Numeri che tornano e pensieri che si accavallano.

Baroncini con Gaetano Gazzoli, organizzatore del Gp Capodarco
Baroncini con Gaetano Gazzoli, organizzatore del Gp Capodarco

Aru da Lugano

Il corridore che smette te lo immagini finito. Scavato, demotivato e scarico. Aru è arrivato sorridendo di buon mattino, con un paio di chili in più rispetto alla Vuelta, ma in gran forma. Ha viaggiato da Lugano con Maurizio Anzalone, compagno fra i dilettanti, amico e lo scorso anno sua spalla nell’avventura del cross. Potrebbe correre anche subito, ma forse il sollievo nel suo sguardo deriva proprio dall’aver preso la decisione di smettere. Diventerà testimonial di brand del ciclismo, alcuni che già lo hanno sostenuto, e poi non nasconde che gli piacerebbe fare qualcosa per il ciclismo in Sardegna.

«Baroncini – dice – mi è parso veramente bravo. Non lo lo conoscevo e veramente mi ha fatto un’ottima impressione. Mi ha fatto piacere scambiarci due parole. Un bravo ragazzo si vede subito. E lui sembra una persona intelligente, umile, per niente montato, anche dopo una vittoria così importante come il mondiale. Benvenga, sicuramente questi sono buoni presupposti per un gran futuro». 

Tratti in comune

Anche Fabio ai suoi 21 anni era così. Semplice, piedi per terra. Ambizioso come si può essere dopo aver assaporato la grande vittoria, ma abbastanza intelligente da stare al suo posto.

«Mi ha chiesto un po’ di tutto – racconta – abbiamo parlato un po’ della della mia carriera, un po’ di vacanze visto che il periodo si avvicina. Mi ha chiesto qualche consiglio per quanto riguarda l’avvicinamento ai professionisti. E un po’ davvero mi ci rivedo. Ha un bell’entusiasmo, ma anche la sua semplicità mi ha fatto molto piacere. In un periodo in cui, non è per criticare, le nuove leve hanno meno i piedi per terra e si vedono alcuni ragazzi un po’ esaltati. E questo non mi piaceva molto…».

Baroncini, padre e figlio

Baroncini è arrivato con suo padre Carlo da Massa Lombarda, entrambi altissimi. #NoiConVoi aveva avuto al via la maglia di campione d’Europa di Marta Bastianelli, mai però quella iridata nella quale il romagnolo sembra ancora più statuario. La strada è lunga, i presupposti perché possa percorrerla bene ci sono tutti.

Al via, il campione del mondo ha realizzato la sua storia su Instagram e posato per tante foto. Ha fatto due chiacchiere con Gilberto Simoni, che lo ha visto correre a San Daniele del Friuli e insieme hanno commentato il lungo inseguimento. Poi, dopo aver affrontato con… dignità gli ultimi tre chilometri di salita piuttosto impegnativa, il romagnolo ha posato per qualche foto all’interno delle strutture donate dopo il terremoto da associazioni emiliane e romagnole, accolto per questo come un eroe.

«Con Fabio – dice – abbiamo parlato un po’ di tutto. Mi ha dato un po’ di dritte anche per come arrivare ai primi ritiri. Gli ho chiesto se ci sia tanta fretta, oppure si possa fare con calma. Mi ha detto che comunque è meglio arrivarci un pelo pronti. Poi abbiamo parlato del più e del meno, anche della vita fuori corsa. Di come gestire le interviste, perché comunque lui ha tanta esperienza su quelle. Non lo conoscevo, mi ha fatto piacere».

Aru, ricordo di Scarponi

Prima di andare, Aru e Baro si sono guardati intorno per l’ultima volta e poi sono partiti verso casa.

«Fa un certo effetto – dice Baroncini – vedere ancora sulle case i segni del terremoto».

«Sinceramente – dice Aru – un giorno è troppo poco per vedere tutto, ma sicuramente il motivo di questa manifestazione è molto importante. Per troppi anni ho rimandato l’appuntamento. Della prima edizione ricordo che mi parlò Scarponi, l’ho detto a qualcuno poco fa in gruppo. Nel 2017 eravamo ancora in squadra insieme e mi raccontò di quando venne nel 2016 per la prima edizione…»

Michele avrebbe partecipato anche nel 2017, la storia è nota. Ma la sua vita si fermò ben prima. Troppo presto. Per questo la manifestazione porterà per sempre il suo nome.

Nibali nelle Marche per la granfondo e la stele di Michele

16.10.2021
5 min
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Giornata autunnale sui Monti Sibillini, nel cuore delle Marche. Il bosco si veste di mille colori e le cime più alte sono già imbiancate. Sul Passo di Santa Maddalena, in pratica Sassotetto, il vento si fa sentire, ma almeno porta via le nuvole. Un drappello di gente si raduna attorno a un grande blocco di pietra. Tra queste persone c’è Vincenzo Nibali. Lo Squalo è arrivato sin quassù proprio per quel blocco. Una pietra che è un’opera d’arte. Un’opera d’arte che è un ricordo: quello di Michele Scarponi.

Siamo nel cuore delle Marche, come detto, regione di cui Nibali è testimonial, ma anche sede della sua granfondo, la Nibali 5Mila Marche, che andrà in scena domani a Porto Recanati. Il weekend si apre così tra commozione e ricordi. I ricordi legati a Michele e alle tante sfide vissute da queste parti.

La stele a Sassotetto

«E’ sempre un piacere essere qui, tanto più per Michele – dice lo Squalo – proprio su questa salita ricordo che in una Tirreno-Adriatico scattò lui e andò a vincere davanti a Garzelli e Basso (la tappa finiva a Camerino, ndr). Quell’anno “Scarpa” ci teneva proprio. Era lui contro la Liquigas. Era una tappa di 230 e passa chilometri. Io andai in fuga da lontano. E negli ultimi dieci chilometri qua sotto – e annuisce col mento indicando la direzione della strada – andai in crisi. Non venivo più su. Fu la Tirreno che Michele vinse con gli abbuoni, se non ricordo male».

Lo Squalo ha staccato già da una settimana. Ha finito la sua diciassettesima stagione da pro’ con la bella vittoria del Giro di Sicilia, nel più classico dei “tappa e maglia”. E questo gli dà una bella dose di fiducia in vista della prossima stagione, che lo vedrà di nuovo coi colori turchesi.

«E’ particolare essere quassù – riprende Nibali – sarà che poi quest’anno torno in Astana, che è una famiglia. Con gli “Astana boys” come li chiamo io ci vedremo già la prossima settimana per prendere alcune misure di bici e vestiario e iniziare a parlare di programmi». 

I ricordi con Michele…

In effetti la posa di questa stele per Scarponi e il contestuale ritorno all’Astana rendono tutto più suggestivo e i ricordi si susseguono.

«Michele mi diceva sempre vieni allenarti da me. Ma tu dove sei, gli domandavo io. E lui ancora: a Filottrano, il centro del mondo! Non sono andato spesso a trovarlo, ma quando ci andavo le prime volte scalavamo La Castelletta, anche con i suoi amici, che è la sua salita, quella dei test, quella di tutti i giorni. Anche lì c’è una piccola stele dedicata a lui».

Il papà di Scarponi, Giacomo, ringrazia i presenti: «Quando vedo certe cose e ascolto certe parole sento che Michele è ancora vivo». E poi si avvicina a Nibali e ripete il ringraziamento, ma stavolta in privato. Vincenzo ribatte con un: «Ma scherzi!». 

«I ricordi delle sfide nelle Marche sono tanti. Ma quello che ricordo di più con Michele è da avversari. E proprio la tappa di Sassotetto. Perché? Perché volevo batterlo, ma non ci sono riuscito!».

Quante sfide nelle Marche

Ma che il feeling con le Marche fosse buono lo si capì presto. Tirreno 2013. La Liquigas corre compatta per Nibali e lo fa anche nella frazione di Sant’Elpidio, il cui finale prevede un muro micidiale ma succede che…

«Succede che Sagan doveva controllare la situazione, controllarla per me. Invece ne aveva talmente tanta che ci lasciò tutti lì e io feci secondo».

Dal muro di Sant’Elpidio ai muri di Castelfidardo, nell’ormai mitica tappa di Van der Poel, sempre alla Tirreno di quest’anno.

«Anche quella è stata micidiale. Faceva un freddo incredibile, ma il ricordo di quella frazione è che nonostante appunto il freddo e la pioggia c’era un sacco di pubblico».

Ma nel mezzo ci sono altri passaggi marchigiani assolutamente non secondari. Uno soprattutto è da collegare al Giro del 2013.

Saltara, la crono e la rosa

In quella tappa va in scena una vero capolavoro. C’è la cronometro, terreno ideale per l’inglese Wiggins. Nibali deve difendersi. L’inglese che delle prove contro il tempo fa la sua forza è già dato in maglia rosa a fine frazione.

«Quella crono l’avevo provata tre volte almeno: una d’inverno, una a ridosso del Giro e una il giorno prima. Andai benissimo, presi la maglia rosa e la tenni fino a… Brescia, stavo per dire Milano!».

Ed è vero, quella crono in Astana l’avevano studiata al millimetro. Noi eravamo nei monitor per la stampa dietro all’arrivo e al nostro fianco c’era Giampaolo Mondini, di Specialized, marchio con cui Nibali correva all’epoca. Ebbene Mondini con le dita incrociate a memoria (e in piena trans agonistica) ripeteva il “copione”: stai in posizione, curva a destra, curva a sinistra, in piedi sui pedali… E automaticamente Nibali eseguiva il tutto.

Quel giorno probabilmente Nibali passò dall’essere grande a grandissimo.

Il tappone dei Sibillini, il terremoto, il sorriso di Scarponi

13.05.2021
8 min
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Scarponi disse subito di sì. In realtà lo fecero tanti e si ritrovarono il 23 ottobre del 2016 a Posta, un paesino della provincia di Rieti per portare il messaggio del ciclismo fra le terre straziate dal terremoto di agosto. La manifestazione la chiamammo #NoiConVoi2016 e grazie a Cristian Salvato incassò subito l’appoggio dell’Accpi. Per questo e per antiche amicizie, i corridori aderirono in gran numero.

C’erano Bartoli, Marta Bastianelli, Bettiol, Cacciotti, Cataldo, Colagè, Valerio Conti, Coppolillo, Roberto De Patre, Azzurra D’Intino, Ferrigato, Angelo Furlan, Nardello, Luca Panichi, Paolini, Petacchi, Piepoli, Pozzovivo, Proni, Marina Romoli, Salvato, Sbaragli, Scarponi, Stacchiotti, Simone Sterbini, Tonti, Visconti, Zanini e la maglia nera Bruno Zanoni. Vennero persino Paolo Belli e suo fratello.

Stacchio e Scarpa

La tappa di oggi, dalle Grotte di Frasassi a San Giacomo, percorrerà in parte le stesse strade e sarà dura rendersi conto che là in mezzo nulla o poco è cambiato.

«Il raduno di partenza era presto – ricorda Stacchiotti – per cui Scarpa passò a prendermi di buon mattino. Avevamo finito con le corse per quell’anno. Ci fermammo in autogrill per cappuccino, cornetto e le cavolate che sparava a raffica. Poi ci trovammo ad Ascoli con Stefano Giuliani e Formichetti. Avevano loro l’ammiraglia e ricordo che Formichetti, grande appassionato di ciclismo, se ne moriva di stare nella stessa macchina con Michele. Per quei 50 chilometri fino alla partenza lo sommerse di domande. E Michele gli dava corda, perché era sempre gentile con tutti».

Stacchiotti-Scarponi amici da una vita
Stacchiotti-Scarponi amici da una vita

Giro addio

Riccardo ha ripreso ad allenarsi da due settimane. Lui il Giro non avrebbe potuto farlo comunque per una mononucleosi scoperta un mesetto fa. Ripartirà nei prossimi giorni dal Tofeo Bro Leon in Francia, mentre il resto della squadra sarà al Giro di Ungheria. Non ce l’avrebbe fatta a reggere il ritmo. Poi, dopo le tre tappe francesi, correrà a Gippingen.

Un mondo ferito

La tappa passerà attraverso un lungo elenco di paesi fantasma. A distanza di ormai cinque anni, la gente vive nelle casette, ordinate come nelle fiabe, come camici d’un ospedale da cui non si riesce a venir fuori. Magari i corridori non riusciranno a vedere nulla. Un po’ perché saranno super concentrati. O forse perché, a parte i relitti di case franate, non c’è molto da vedere a parte la natura imponente dei Monti Sibillini. E quella la sentiranno sotto le ruote. Forca di Gualdo. Forca di Presta dopo il passaggio attraverso quel che resta di Castelluccio. Le rovine di Pretare, Piedilama, Arquata e Trisungo e poi la corsa vorticosa lungo la Salaria verso la salita finale.

Sosta davanti al monumento ai caduti realizzato dai Vigili del Fuoco
Sosta davanti al monumento ai caduti realizzato dai Vigili del Fuoco

Miglior amico di tutti

«Arrivammo alla partenza – ricorda Stacchiotti – e Michele sparì in mezzo agli altri corridori. Sembrava davvero una gara di quelle importanti, c’erano davvero tutti. Ci teneva, ricordo che ne parlammo. Mi propose lui di venire insieme, perché il terremoto lo avevamo sentito anche noi. Noi ciclisti siamo gente alla mano e soprattutto si trattava di raccogliere fondi per delle persone in difficoltà. Passare là in mezzo a tutti quei muri sfasciati per noi marchigiani fu davvero un’emozione. Michele ovviamente era uno dei più conosciuti. Lui poteva anche non averti mai visto, ma dopo cinque minuti eravate i migliori amici. Per questo parlò con ognuno delle centinaia di partecipanti e per questo è rimasto nel cuore di tutti. L’anno scorso sono tornato in quelle zone, per fare una distanza dalle parti di Frontignano e Castelluccio. Ed è tutto come prima».

Discesa pericolosa

A Castelluccio ci arrivi facendo Forca di Gualdo: 10,4 chilometri al 7,4% di pendenza media e tratti al 12. Forca di Presta sul sito del Giro non la danno neanche, perché il versante duro di quella salita si farà in discesa. Però occhio all’ultimo chilometro, dritto e contro vento, perché potrebbe fargli andare di traverso una discesa che sarà velocissima, su asfalto a pallettoni e con curvette veloci e stretta nel centro di Pretare, uno di quei paesi che non c’è più.

Scarponi e Pozzovivo, tutto il percorso fianco a fianco
Scarponi e Pozzovivo, tutto il percorso fianco a fianco

“Pozzo” ricorda

Pozzovivo partì da casa per unirsi alla manifestazione. Dormì ad Ascoli da un amico e poi raggiunse la partenza in bicicletta.

«La prima #NoiConVoi – ricorda – è come se fosse stata ieri. Anche io ci tenevo tanto ad esserci, perché ho frequentato tanto la zona dei Sibillini per allenamento e a volte mi sono spinto anche nella vallata del Tronto e ho scalato anche San Giacomo, l’arrivo di oggi. Vedere quei posti distrutti è stato veramente un grosso colpo anche per me. Quando iniziaste a organizzare l’iniziativa, per me fu quasi un obbligo venirci. La giornata con Michele fu una di quelle in cui lui dava il meglio di sé, capace di stare in mezzo alla gente, a scherzare. Abbiamo fatto praticamente tutto il tragitto a ridere. Ancora ricordo poi quella sorta di volata che abbiamo fatto alla fine con gli amatori arrivando nel centro di Ascoli. Comunque fu una giornata che mi è rimasta nella mente».

Un piccolo Ventoux

Dall’arrivo si può vedere il mare, da questa montagna che vista da lontano fa pensare a un piccolo Mont Ventoux, tutto spelacchiato in cima, con distese di cardi e alberi bassi più in alto dove si riconoscono le piste da sci. Di quel 23 ottobre del 2016 i 700 partecipanti portarono via ricordi indelebili, che li spinsero a tornare per tre anni a seguire, ma già nel 2017 Michele non c’era più.

La giusta compassione

Da quella seconda volta, la manifestazione fu intitolata a lui. Tanti di quei ragazzi sono al Giro d’Italia. Visconti, Conti, Cataldo e Pozzovivo in corsa, come pure Puccio presente nel 2019. Zanini, che pedalò per tutto il giorno con un guanciale in tasca, sull’ammiraglia dell’Astana e con lui Martinelli, presente nel 2018. Tonti è il tour operator ufficiale del Giro, mentre Salvato segue la corsa rosa come delegato del Cpa. Giada Borgato, in postazione Rai, partecipò all’edizione del 2019 e come lei tanti altri.

Ma oggi, in questo giorno in cui il gruppo solcherà le splendide strade dei Sibillini, socchiudendo gli occhi su una di quelle cime, siamo certi che ci sembrerà di sentire ancora la risata di Michele. Mentre davanti a quelle case ancora distrutte e agli sguardi buoni e rassegnati delle persone proveremo la rabbia che ogni anno si rinnova. E avremo un sorriso tirato, come quando Michele voleva farti capire che non era contento. Sarà certo una grande giornata di ciclismo, a patto che troveremo il modo di viverla con la giusta compassione.

Flavia e il suo Michele: i ricordi di una mamma

Giada Gambino
22.04.2021
5 min
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Una madre conosce il proprio figlio come nessun altro, ne conosce i pregi e i difetti, ricorda aneddoti passati e apprezza quelli del presente. Proprio per questi motivi è Flavia a parlarci del figlio Michele, il grande Michele Scarponi… 

Come mai ha iniziato a fare ciclismo? 

A casa nostra non si praticava, ma si seguiva tantissimo. E’ nato tutto un po’ per caso. Per fare ciclismo si sarebbe dovuto spostare, perché qua a Filottrano non c’erano squadre e visto che sia io che mio marito lavoravamo era difficile per noi accompagnarlo. Un nostro amico, però, che spesso lo vedeva vicino casa andare in bici, ci diceva che era portato per questo sport. Così ci convinse e anche con l’aiuto di mio suocero che lo accompagnava agli allenamenti, ha iniziato

L’ultima festa, il 13 aprile 2017, per i 40 anni di matrimonio dei genitori (foto Facebook)
L’ultima festa, il 13 aprile 2017, per i 40 anni di matrimonio dei genitori (foto Facebook)
La sua simpatia…

Fin da bambino aveva un carattere allegro, scherzoso e giocoso. Da ragazzino raccontava sempre barzellette che facevano molto ridere. E’ nato con questa dote che non lo ha mai abbandonato. 

Da chi ha ereditato questo carattere? 

Forse dai nonni sia materni che paterni, sono persone molto allegre e aperte. 

Alle gare… 

Quando era ragazzino l’ho sempre seguito, finché mi è stato possibile, ma alle gare avevo sempre paura che cadesse, che si facesse male, soprattutto quando andava in discesa. Una paura che non è mai passata, ciò non toglie il fatto che mi piacesse il suo lavoro… Ma da madre si vive con ansia. Ogni volta che finiva una gara e lo vedevo oltrepassare la linea del traguardo, facevo un sospiro di sollievo. 

Riccardo Stacchiotti, Michele Scarponi, Valerio Conti, #NoiConVoi2016
Riccardo Stacchiotti, Michele Scarponi, Valerio Conti: era benvoluto da tutti
Riccardo Stacchiotti, Michele Scarponi, Valerio Conti, #NoiConVoi2016
Stacchiotti, Scarponi, Conti: Michele era benvoluto da tutti
La vittoria più bella? 

Ha iniziato a correre a otto anni, era piccolissimo. Fece la prima gara il giorno del suo compleanno e vinse. Quella vittoria se chiudo gli occhi ancora la rivedo, è stato davvero bello. Era ancora un gioco, ma forse lì c’è stato l’inizio di tutto

Com’era come papà?

Giocherellone, speciale. I bambini non se li godeva molto a causa del lavoro, ma per quel poco che c’è stato li faceva divertire e si divertiva insieme a loro. 

Quanto è stato importante questo sport per Michele? 

Il ciclismo è una donazione di vita. E’ stato importantissimo per lui, l’ha fatto crescere tanto forse anche grazie alla varie difficoltà che ha dovuto affrontare. Ci vuole carattere per fare questo sport. Da bambino è un gioco, ma durante l’adolescenza se non hai tanta volontà e forza mentale, se non sei circondato da persone che ti incoraggiano… molli! Se ti piace, se hai qualcuno che ti segue sempre, se hai carattere vai avanti, nonostante tutti i sacrifici e i divertimenti di cui devi privarti per allenarti o fare una gara. Non aveva amici che facevano il suo stesso sport, mollare sarebbe stato semplice. Ma lui ha avuto questa grande forza, che non è per nulla scontata (accenna un sorriso, ndr). 

Il ciclismo è sofferenza e fatica, spiega mamma Flavia, serve carattere
Il ciclismo è sofferenza e fatica, spiega Flavia, serve carattere
Come sono i due gemellini? 

Meravigliosi! Assomigliano tanto al papà, uno dei due poi… ha il suo stesso modo di scherzare, parlare, camminare. Anna, la loro madre, è una persona meravigliosa. Non gli fa mancare nulla, sono sempre felici e allegri. 

Nella 19ª tappa del Giro 2016, Michele fece qualcosa che pochi sarebbero disposti a fare…

Quel giorno ero lì con mio marito. Ero arrabbiatissima (ride, ndr), era in fuga e stava andando a conquistare la vittoria. Gridavo a più non posso: «Michele, devi vincere, non ti fermare, non ti fermare!». Ma lui è stato molto più bravo di me e si fermò. Volevo con tutta me stessa che vincesse, se lo meritava, ma è stata comunque bellissima quella tappa. Lui era così: forte e umile

Quel giorno, dopo il Colle dell’Agnello, Michele si fermò per aspettare il capitano Vincenzo Nibali che, grazie al suo grande lavoro, riuscì a vincere la tappa e ribaltare il Giro d’Italia. Un capolavoro a quattro gambe.

Michele è amato da molti.

L’anno scorso dalla Svizzera una signora con suo figlio passarono dalle Marche. Il ragazzo, autistico, era agitatissimo, ma hanno comunque continuato il viaggio per andare giù dai nonni. Lui amava tanto Michele, conosceva tutto di lui ed era agitato perché aveva capito di essere vicino a Filottrano e sarebbe voluto passare. Tempo dopo, effettivamente, sono venuti a trovarci ed è stato un bellissimo momento. In queste occasioni capisco quante cose belle ha lasciato mio figlio negli altri. 

Borselli
Sul pullman dell’Astana, il suo ricordo non manca mai
borselli
Sul pullman dell’Astana, il suo ricordo non manca mai
Continuate a seguire il ciclismo? 

Se possiamo seguire qualche gara dal vivo andiamo, ma quando mio marito segue le corse in televisione, guardo qualche secondo e poi vado via. E’ uno sport che mi è sempre piaciuto, ma adesso… Mi interessa sempre, sì, ma nei limiti…


La Fondazione Michele Scarponi… 

Mi auguro che mio figlio sia d’esempio, grazie alla Fondazione, spero che le persone capiscano, inizino a ragionare e a stare molto più attenti in strada. Michele amava il suo lavoro, tantissimo, se non aveva la bicicletta era come se gli mancasse qualcosa. E quando qualcosa si ama, si tende a non vederne gli aspetti negativi, ma bisogna sempre stare attenti

Basso sicuro: Nibali vale un altro Giro. Ecco come…

11.04.2021
4 min
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Ivan Basso ricorda perfettamente che quando arrivò in Liquigas, il giovane Nibali era un cavallo di razza difficile da domare. Ricorda le fughe in apparenza dissennate e anche lo stile di vita da affinare per raggiungere i risultati migliori.

«Perciò quando lo sento raccontare di certe abitudini prese osservando me – sorride Basso che ora guida la Eolo-Kometami sento un po’ orgoglioso di aver avuto un ruolo nella sua crescita».

Progressi e cadute

E la crescita c’è stata, facendo di Nibali uno degli italiani più forti di sempre. Con i due Giri, il Tour, i Lombardia e la Sanremo, le maglie tricolori e tutti gli attacchi che ci hanno fatto sognare, anche quelli vanificati dalle cadute. Hanno tanto da dire i suoi detrattori di una carriera costruita sulle cadute degli altri, senza tenere conto che proprio a causa di cadute Nibali ha perso occasioni che avrebbero dato al suo palmares i tratti della leggenda. Il mondiale di Firenze, le Olimpiadi di Rio, una grande chance al Tour del 2018 e di conseguenza la possibilità di giocarsi il mondiale di Innsbruck.

Gli ultimi anni però hanno mostrato il calo dovuto all’età. Il siciliano non appare più al livello dei contendenti nei grandi Giri, ma continua a seguire la preparazione di sempre, facendo delle sue stagioni lunghe attese di appuntamenti sempre più difficili da cogliere. Perché non sperimentarsi in classiche come il Fiandre o corse a tappe più brevi puntando alla vittoria? Proprio di questo vogliamo parlare con Basso, che quel calo fisico lo visse a sua volta e lo gestì mettendosi al fianco di Alberto Contador.

A causa della caduta di Montalcino nel 2010, Nibali perse la rosa e la chance di lottare per il Giro, poi vinto da Basso
A causa della caduta di Montalcino nel 2010, Nibali perse la rosa
Secondo Basso, Nibali sta gestendo bene questa fase della sua carriera?

Diciamo che Vincenzo ha raggiunto la maturità e si conosce molto bene. Io ho visto la sua evoluzione da giovane portentoso a grande campione e, anche se avevo meno talento rispetto a lui, posso fare questo ragionamento partendo dalla mia esperienza.

Partiamo pure…

Arrivi a un momento in cui non puoi più fare confronti con il te stesso di qualche anno prima. Ci sono i numeri, ma ci sono anche decine di variabili e perderesti troppo tempo ad analizzarle. Arrivi al punto in cui i numeri in effetti non danno più indicazioni che ti fanno effettivamente capire come stai. Prima facevi tre giorni di carico e il corpo rispondeva in un certo modo, a 37 anni però risponde diversamente. Prima facevi delle triplette e andavi meglio il terzo giorno, ora dopo il primo ti senti stanco. Subentrano problemi fisici legati all’età, ma anche alla capacità di soffrire e alla testa intesa come determinazione. Ma questo non vuol dire che Vincenzo non possa più fare risultato.

Nella vittoria al Tour del 2014, le sue prove di forza furono sorrette da un grande Scarponi
Vince il Tour 2014 con la forza, lanciato da un grande Scaproni
Serve un cambio di atteggiamento?

Serve tornare alle cose semplici, ai sacrifici basilari che sa che funzionano. Deve tornare a fidarsi della sua capacità di leggere la corsa. Ha vinto il Giro e il Tour con delle prove di forza, ma anche con tattiche azzeccate. Ha vinto la Sanremo con un colpo di genio. Deve partire da quel Nibali e smettere di fare i confronti, perché a questo punto è impossibile che i numeri tornino.

Fa bene a pensare ai grandi Giri?

Non deve immaginare la classifica generale come in passato. Può ancora vincere il Giro con un colpo alla Nibali e non come faceva cinque anni fa. Lo dico ricercando nella memoria le mie sensazioni. Nel testa a testa, quando gli altri decidono di dare gas, non ne hai. In una tappa di quattro salite, non puoi pensare di mettere la squadra a tirare sulle prime tre, poi di attaccare forte con l’aiuto di Scarponi, stancando i rivali e andando via da solo a metà dell’ultima. Questo tipo di scenario ora non hai la certezza che funzioni.

Al Giro del 2016, Scarponi fu invece colui che permise di attuare una tattica vincente
Al Giro del 2016, Scarponi permise di attuare la tattica vincente
E allora che cosa dovrebbe fare?

Ha senso studiare un piano simile a quando c’era il Vincenzo che sbagliava gli attacchi, solo che adesso saprebbe come farli senza sbagliare. Tutti sanno l’affetto che mi lega a lui, siamo stati per 8 anni nella stessa squadra. E se vincesse il Giro renderebbe felice l’Italia intera, perché è il campione che più ci ha fatto sognare negli ultimi anni.

Quindi secondo Basso dovrebbe tornare al Nibali dei primi tempi?

Togliersi dalla testa che il solo modo di vincere sia il testa a testa, perché in quel caso vedrei complicate le sue chance. Deve correre spensierato, perché ha i mezzi e il diritto di farlo. Questo almeno gli direi. Ma per correre a questo modo devi avere in squadra almeno altri 3-4 atleti in grado di entrare fra i primi 10 del Giro. Non dimentichiamo che il nostro compianto Michele era un vincitore di Giro che decise di mettersi al suo servizio.

Catalunya, Valverde in cerca del record. E gli italiani?

22.03.2021
4 min
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Per poter inquadrare bene la Volta a Catalunya, che prende il via proprio oggi, bisogna partire dalla sua posizione nel calendario. La quarta più antica fra le corse a tappe (la sua nascita risale al 1911), solo nel 2010 ha trovato una sua collocazione definitiva a marzo. Ed è così diventata una sorta di antipasto per la Campagna del Nord. Una scelta che ha contribuito fortemente a separare ancora di più la prima e la seconda parte delle Classiche del Nord. Chi punta a corse così particolari tecnicamente come Fiandre e Roubaix è quasi diventato una specie a parte. Chi invece ha ambizioni nella Settimana Vallone, va in Spagna a rodare la gamba. L’esempio più lampante è stato Alejandro Valverde, che insieme a Miguel Indurain è il primatista di successi con tre centri in terra catalana. Nel 2017 Alejandro trovò la condizione per dominare prima la Freccia Vallone e poi la Liegi-Bastogne-Liegi. Quest’anno però, con la sua chiusura al 28 marzo, la Volta lascia una settimana a chi vorrà tentare la carta del Fiandre. E le carte si rimescolano.

Nel 2011, 10 anni fa, Scarponi arriva 2° al Catalunya dietro Contador e riceverà alla fine la vittoria
Nel 2011, 10 anni fa, Scarponi arriva 2° dietro Contador e riceverà alla fine la vittoria

Il 2011 di Scarponi

La collocazione temporale è diventata nel tempo fondamentale per gli organizzatori. Così lo scorso anno hanno deciso di non aggiungersi alla schiera di manifestazioni ricollocatesi da agosto in poi. Il posizionamento assume una grande importanza per i cacciatori di classiche e per chi ambisce a un ruolo di primo piano Al Giro d’Italia. Essendo corsa di una settimana, è un test già probante. Curioso il precedente del 2011, quando Michele Scarponi si piazzò secondo al Catalogna e poi al Giro. In entrambi i casi risultò poi vincitore per la squalifica di Alberto Contador.

Aspettando Valverde

Il cast di quest’anno è importante. Anzi a ben guardare si nota come ci sia una sorta di squilibrio fra chi ha ambizioni di classifica e chi può puntare alle tappe. Non ci sono molti grandi velocisti. Questo potrebbe dare chance a Peter Sagan, lo slovacco della Bora-Hansgrohe che ha scelto di correre poi al Giro. In Spagna tifano naturalmente per Valverde e un suo ultimo colpo di coda. Le gare a tappe di una settimana sono sempre state la sua dimensione ideale. Una vittoria lo porrebbe in cima alla lista dei plurivincitori. E forse sarebbe un bel biglietto d’addio in quella che dovrebbe essere la sua ultima stagione. 

Gemelli contro

Prima sfida fra i fratelli Yates dopo la loro separazione: Simon (Team Bike Exchange) e Adam (Ineos Grenadiers). Entrambi reduci da sofferte sconfitte contro Pogacar (il primo all’Uae Tour, il secondo alla Tirreno-Adriatico) hanno l’opportunità di riscattarsi e chiarire anche la supremazia familiare. Ma gli avversari non mancano e qui torniamo al legame della Volta con il Giro. Le presenze di Almeida (Deceuninck-Quick Step), Hindley (Team DSM), Ciccone (Trek-Segafredo) è un anticipo della corsa rosa? Staremo a vedere, ma la gara iberica porrà anche altre curiosità. La prima vera uscita in maglia UAE Team Emirates per Marc Hirschi, lo svizzero che è stato a conti fatti l’ultimo big a cambiare maglia, praticamente quasi a ciclomercato chiuso. Oppure la presenza di Chris Froome (Israel Start-Up Nation) dal quale è lecito attendersi qualche segnale di rinascita.

Miguel Angel Lopez, ora alla Movistar, è il vincitore uscente del Catalunya
Miguel Angel Lopez, ora alla Movistar, è il vincitore uscente del Catalunya

Vuoto azzurro

La Volta a Catalunya non ha sorriso molto spesso ai colori italiani: prima di Scarponi 2011 c’era stato Moser nel 1978. E prima ancora il nostro ciclismo ha fatto registrare altre 9 vittorie nel corso della lunga storia della corsa. La prima nel 1933 con Alfredo Boret. Poi negli anni Settanta era quasi diventato un nostro feudo con i successi di Bitossi (1970), Gimondi (1972), Bertoglio (1975) oltre al già citato Moser poi Chiappucci nel 1994. Ultimo a salire sul podio, Domenico Pozzovivo terzo nel 2015. Qualcuno riuscirà a imitarlo?