Il valore e le difficoltà della Tirreno: parola al Re dei Due Mari 2010

10.03.2025
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Con la cronometro individuale di oggi è scattata la Tirreno-Adriatico, una delle gare più attese dell’intera stagione. La Tirreno è ormai un appuntamento che in tanti segnano in rosso e al tempo stesso un viatico per chi insegue il Giro d’Italia, più di rado per chi punta al Tour de France.

Tosta, tortuosa nelle strade, con un parterre di rango elevatissimo, abbiamo chiesto a Stefano Garzelli (nella foto di apertura con Scarponi), uno degli ultimi vincitori italiani della Corsa dei Due Mari che cosa sia appunto la Tirreno. Perché è così difficile da vincere. E il “Garzo” tra aneddoti e spunti tecnici ci ha dato sotto!

Lotta ai traguardi volanti nell’ultima tappa della Tirreno 2010. Sfida fra l’Acqua e Sapone di Garzelli e l’Androni di Scarponi
Lotta ai traguardi volanti nell’ultima tappa della Tirreno 2010. Sfida fra l’Acqua e Sapone di Garzelli e l’Androni di Scarponi
Stefano, sei stato uno degli ultimi vincitori italiani della Tirreno. Che significa vincere questa corsa? Quanto è importante?

Prima di tutto è una grandissima soddisfazione. Io mi ricordo che arrivai terzo nel 1999, secondo nel 2009 dietro a Michele Scarponi e primo nel 2010. Per me la vittoria della Tirreno ha tantissimi significati, sia sportivi che affettivi. E’ una corsa che si svolge in un periodo particolare dell’anno, con le prime vere battaglie tra i grandi campioni. Vincere qui vuol dire avere gamba e astuzia. E per un corridore italiano, avere il nome nell’albo d’oro della Tirreno-Adriatico è qualcosa di speciale.

Quali sono nello specifico questi significati sportivi ed emotivi?

Quelli sportivi mi riportano al 2010: avevo 37 anni e non ero più un ragazzino. L’anno prima l’avevo sfiorata, duellando con Michele (Scarponi, ndr). Lui fu nettamente più forte. Nel 2010 però volevo giocarmela fino in fondo, specie con i tanti ragazzini che arrivavano su forte, anche se poi fu ancora una sfida con Michele. Iniziammo quella edizione scherzando su fatto che sarebbe stato ancora un duello fra di noi e la finimmo con Michele arrabbiatissimo, tanto che non mi parlò per qualche tempo.

A Lido di Camaiore, Ganna ha appena vinto la crono di apertura a 56,174 di media con 22″ su Ayuso
A Lido di Camaiore, Ganna ha appena vinto la crono di apertura a 56,174 di media con 22″ su Ayuso
Perché? Raccontaci…

Al termine dalla penultima tappa, quella di Macerata, ero secondo a 2″ da Scarponi. Quel giorno non riuscii a vincere e ormai davo per persa la corsa. Poi quella sera arrivò in camera Luca Paolini e mi disse: «Stefano, domani ci sono i traguardi volanti con gli abbuoni. Ce la possiamo fare». E così abbiamo deciso di provarci: arrivai terzo nel primo traguardo e andai a -1″, terzo nel secondo traguardo volante e andai pari con Michele. Così la Tirreno si decise sul traguardo finale di San Benedetto: chi fosse arrivato davanti, avrebbe vinto. Fu un thriller. Io arrivai prima di lui e conquistai la Tirreno. Fu incredibile, noi di due “squadrette” italiane battemmo squadroni come Sky o Bmc. Tra l’altro quel 2010 fu il primo anno in cui come premio diedero il tridente. Ce l’ho a casa in bella vista.

E a livello affettivo?

Questa gara mi lega a tanti ricordi. E’ una corsa che si disputa in territori meravigliosi, con tifosi calorosi che ti spingono su ogni salita. Ricordo la folla che ci aspettava a Chieti o sui muri marchigiani, le emozioni che ti dà il passaggio da un versante all’altro d’Italia. Vincere qui ti fa sentire dentro un pezzo importante della storia del ciclismo.

Strade ondulate e poche tappe: la Tirreno non è una corsa attendistica secondo Garzelli
Strade ondulate e poche tappe: la Tirreno non è una corsa attendistica secondo Garzelli
Quanto pesa la Tirreno nel percorso di avvicinamento al Giro?

Quando correvo io, poco o nulla. Oggi è tutto cambiato. Ai miei tempi chi vinceva la Tirreno difficilmente vinceva anche il Giro nello stesso anno. Oggi invece abbiamo fenomeni che possono riuscirci. Però in generale, arrivare al top della forma a marzo e poi esserlo ancora a maggio è complicato. La Tirreno può servire per trovare la condizione, ma deve essere gestita bene. Il mio favorito per il Giro è Ayuso: lui potrebbe anche vincere la Tirreno, ma parliamo di un talento straordinario, e non è detto che ci riesca.

Chiaro…

Negli ultimi anni la Tirreno è diventata sempre più dura e selettiva. Ha frazioni adatte agli scalatori, tappe per velocisti e giornate mosse che strizzano l’occhio ai cacciatori di tappe. Una vera mini-corsa a tappe completa, un banco di prova perfetto per capire a che punto si è della preparazione. Ed è per questo che ormai tanti big non la trascurano più.

Nella storia solo Nibali nel 2013 e Roglic (maglia blu in foto) nel 2023 sono riusciti a vincere Tirreno e Giro nello stesso anno
Nella storia solo Nibali nel 2013 e Roglic (in foto) nel 2023 sono riusciti a vincere Tirreno e Giro nello stesso anno
Se dovessi fare un paragone con la Parigi-Nizza?

Sono sincero: ho fatto 15-16 Tirreno-Adriatico, però mai la Parigi-Nizza. Però la Tirreno ha una caratteristica: non è attendista, in cui puoi “metterti comodo”. No, è sempre tirata. Il percorso è insidioso, attraversa il Centro Italia con strade tecniche e imprevedibili. Devi stare sempre attento, trovare l’attimo giusto, non incappare nei trabocchetti. Oggi poi tutti conoscono ogni dettaglio del percorso, quindi è più difficile inventarsi qualcosa, ma resta una corsa dura. La Parigi-Nizza ha un’altra natura: ha un meteo spesso più rigido, il vento che fa selezione e un percorso che varia molto di anno in anno. La Tirreno ha un’identità ben precisa, con le sue tappe intermedie insidiose e le salite secche che fanno selezione. Se vinci qui, vuol dire che sei pronto per grandi cose.

Quindi la corsa come s’interpreta nelle strade del Centro Italia?

Come sempre direi. Chi deve andare forte deve stare davanti. La verità è che dopo un po’ i corridori capiscono la natura delle strade e si adeguano. Chiaro che poi serve la gamba. Penso alla tappe marchigiane e ai muri che sono durissimi.

Per Garzelli Ayuso è il favorito del Giro e, quasi sicuramente, anche della Tirreno
Per Garzelli Ayuso è il favorito del Giro e, quasi sicuramente, anche della Tirreno
Quanto è difficile da vincere la Tirreno?

Molto. Dopo i tre Grandi Giri e il Giro di Svizzera, è la corsa a tappe più importante. Il livello è sempre stato alto e quando il livello è alto, la corsa diventa più difficile. E questa la prima difficoltà. Anche perché arriva in un momento della stagione in cui tanti sono già in forma: chi punta alle classiche è al 100 per cento, chi mira al Giro è almeno all’80 per cento. Questo alza il livello medio e rende tutto più competitivo.

Che poi rispetto ad un Grande Giro, con un tracciato tanto variegato e la crono iniziale, resta aperta ad un ventaglio di corridori più ampio (togliendo il fenomeno della situazione come Vingagaard l’anno scorso o Pogacar)…

La difficoltà sta anche nella varietà delle tappe. Devi essere completo: forte a cronometro, resistente sulle salite, scaltro nelle tappe miste. Non puoi avere punti deboli, perché chi ce l’ha, qui paga dazio. È una corsa che premia i corridori completi e con grande fondo. Ma anche attaccanti non per forza da grandi Giri.

La Tirreno-Adriatico sarà un bel test anche per Tiberi, oggi 4° a 28″ da Ganna
La Tirreno-Adriatico sarà un bel test anche per Tiberi, oggi 4° a 28″ da Ganna
Cosa ti aspetti da questa edizione?

Vorrei vedere bene Antonio Tiberi, che sta preparando il Giro. E’ un bel banco di prova per lui. E poi sono curiosissimo di vedere Juan Ayuso: lui ha un solo obiettivo in testa ed è vincere il Giro d’Italia, ma sono convinto che vorrà vincere. Alla Valenciana ho incontrato il suo massaggiatore, che fu anche il mio, e mi ha detto che non è mai andato così forte. Mi aspetto che anche Van der Poel ci faccia divertire. Vedremo se giocherà a nascondino come quando vinse poi la Sanremo nel 2023 o se attaccherà. Sarà una settimana spettacolare. E poi occhio agli outsider: la Tirreno è una corsa che ha regalato vittorie inaspettate, come Van Avermaet o Kwiatkowski (e prima ancora Pozzato o Cancellara, ndr), gli attaccanti che dicevo prima.

La Vuelta di Garofoli negli occhi e nei pensieri di suo padre

08.09.2024
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Una foto su Instagram. Garofoli è piegato sulla bicicletta, sfatto dalla fatica sull’arrivo di Villablino alla Vuelta. Alle sue spalle c’è il padre, che gli poggia appena la mano sulla schiena, quasi con la paura di fargli male. Il commento accanto recita: «Sempre al mio fianco. Daddy».

Che cosa spinge un padre a seguire il figlio in un posto così lontano? Perché Gianluca Garofoli ha sentito il bisogno di raggiungere il Nord della Spagna per stare accanto a suo figlio? Glielo abbiamo chiesto. Perché la carriera di Gianmarco di colpo si è fermata e di colpo lo sguardo guascone di quel ragazzino tutto scatti e nervi ha cambiato sfumature. Lo vedi che si è fatto uomo, ma capisci anche che manca qualcosa. La fiducia. La continuità. E anche un contratto per il prossimo anno. Perché un padre parte dall’Italia e suo figlio gli riconosce a questo modo la presenza?

«Da due mesi a questa parte – racconta – lo vediamo veramente in sofferenza per il discorso della squadra. Si sente in crescendo, sente che non ha avuto fiducia. Si sente in un vicolo stretto e vuole liberarsi, ma ancora non ce la fa. Purtroppo negli ultimi due anni ha avuto parecchia sfortuna e per questo ha perso quasi un anno di allenamenti. Di fatto sta un anno indietro con la preparazione. Si è visto qui alla Vuelta che più corre e più le sue prestazioni migliorano. Avrebbe potuto farlo prima un Grande Giro. Penso che quella foto l’abbia messa per ringraziarmi».

Alla partenza della tappa di ieri, con l’idea di andare in fuga: la Vuelta di Garofoli è stata finalmente positiva
Alla partenza della tappa di ieri, con l’idea di andare in fuga: la Vuelta di Garofoli è stata finalmente positiva

Il cuore e la paura

Ripilogando, Gianmarco Garofoli fa parte dell’infornata di Milesi, Germani, Piganzoli, Moro e tutti i 2002 che nelle categorie giovanili si dividevano le vittorie. Trascorre il primo anno alla DSM Development. Vince al Val d’Aosta, ma non si trova bene e nel secondo anno da under 23 approda alla Astana Development, guidato da Orlando Maini e fortemente voluto da Giuseppe Martinelli cui lo aveva consigliato Michele Scarponi in tempi non sospetti. E’ il 2022 e il marchigiano fa appena in tempo a partire, quando gli viene diagnosticata una miocardite, per la quale deve stare fermo a lungo. E’ l’inizio dei problemi.

«Fu un periodo di grande apprensione – racconta Gianluca – e quando di recente con mia moglie abbiamo sentito la notizia della morte del povero Roganti, ci siamo guardati con le lacrime agli occhi. E’ stato come smuovere una cosa molto dura, perché noi quella situazione l’abbiamo vissuta da vicino. La miocardite fu un grandissimo spavento. Fortunatamente il malore che ebbe fu preso per tempo. Il giorno dopo andammo all’ospedale e trovarono un principio di infarto. Fu preso in tempo e trattato. Da lì è stato tutto un buio, fino alla ripresa. Abbiamo vissuto con lui tutte le sue paure e le ansie. Anche se da papà, devo ammetterlo, per certi versi fu pure bello. In quel periodo era fermo con la bici, quindi non sapeva cosa fare e si dedicò a starmi dietro. Venne al lavoro in azienda, andammo in fiera, venne in giro per clienti. Fu pure bello, perché sennò questo spazio con il suo lavoro non sarebbe stato possibile…».

Primavera 2022. Un malore, la corsa in ospedale, la miocardite. Garofoli si ferma. Conseguenza del Covid? (foto Instagram)
Primavera 2022. Un malore, la corsa in ospedale, la miocardite. Garofoli si ferma. Conseguenza del Covid? (foto Instagram)
Dopo il cuore, tutto ha ripreso il giusto corso?

Neanche per sogno, sono continuate ad accadere una dietro l’altra. Anche quest’anno ha avuto la bronchite prima del Giro Italia e ha fatto due settimane di antibiotici. Alla prima corsa, ha iniziato ad avere i crampi allo stomaco. Fatti gli accertamenti, si è scoperto che c’era l’helicobacter in corso, quindi altre due settimane di antibiotico. E insomma alla fine ha perso un sacco di tempo per cause di questo tipo.

Adesso le cose sembrano andare meglio, perché allora la sua presenza alla Vuelta?

Ho seguito la corsa nei weekend, avevo piacere che mi sentisse vicino. Certo il pensiero della squadra non aiuta. Non c’è niente di ufficiale, ma da quando è entrato lo sponsor cinese, vogliono fare giustamente lo squadrone e gli hanno fatto capire che per lui non c’è più posto.

Giro di Valle d’Aosta 2021, Gianmarco Garofoli con il fratello Gabriele: suo primo tifoso
Giro di Valle d’Aosta 2021, Gianmarco Garofoli con il fratello Gabriele: suo primo tifoso
Suo figlio ha sempre avuto l’atteggiamento da guascone, forse le botte prese lo hanno cambiato, perché sembra molto più riflessivo…

In realtà, vivendolo da vicino e seguendolo alle corse anche con sua madre, lo studiamo. Gianmarco è sempre stato molto autonomo e indipendente, infatti noi molto spesso stiamo in disparte. Mi ricordo che da allievo di primo anno vinse il campionato regionale e ordinò da sé la maglia con la scritta della sua squadra. Tanto è vero che l’azienda da cui l’aveva ordinata mi chiamò per farmi complimenti. Non gli capitava spesso che un ragazzino di 15 anni fosse in grado di cavarsela da sé. Addirittura in quel periodo ebbe un incidente e si ruppe la clavicola e il titolare di quell’azienda, venne all’ospedale per conoscerlo. Non era guasconeria, era gioia esplosiva per i risultati che aveva. Però per contro è stato sempre molto altruista.

Ad esempio?

Noi abbiamo un altro figlio che ha la sindrome di down. E questo ha fatto sì che Gianmarco sia sempre stato con i piedi per terra e aiuti le persone più deboli vicine a lui o all’interno delle varie squadre in cui è cresciuto. La svolta ce l’ha avuta quando è andato alla DSM, lì è cresciuto moltissimo sotto tutti i punti di vista. La lontananza da casa e dagli amici. Fu uno dei primi a partire per una devo team straniera. Rimase su per sei mesi, tornando una sola volta e lassù maturò molto in tutti i sensi.

Due top 10 nel suo primo Grande Giro: Garofoli ha iniziato a mettere fuori la testa. Ha solo 21 anni
Due top 10 nel suo primo Grande Giro: Garofoli ha iniziato a mettere fuori la testa. Ha solo 21 anni
Con la DSM vinse delle belle corse: come la prendeste quando decise di cambiare squadra?

Anche sul piano delle squadre, ha sempre fatto da sé le sue scelte. L’ambiente DSM era particolare, ma non mi chiese consiglio, semplicemente a un certo punto disse che sarebbe andato via. C’ero anche io in Olanda quando ruppe il contratto. Loro dissero di non volere più un corridore che non riusciva a osservare pedissequamente le loro regole e che ogni volta che qualcosa non lo convinceva chiedeva spiegazioni. Lui rispose in inglese di non voler stare un solo giorno di più nella squadra che lo aveva inserito nel gruppo del Giro di Sicilia e poi lo aveva tolto dalla lista senza chiamarlo o dargli una spiegazione.

Non ha chiesto consiglio?

Credo che abbia preso una buona decisione. Mia moglie è stata bravissima sin da piccolino a renderlo indipendente nelle sue decisioni, per cui di solito va che lo assecondiamo, cercando però di stargli vicino nei momenti più difficili.

Si è sempre saputo che il nome suo alla Astana lo fece Michele Scarponi, che per Gianmarco è sempre stato un riferimento…

Michele era venuto alla sua comunione e alla cresima. Veniva a prenderlo a casa per portarlo ad allenarsi. Due giorni prima del suo incidente, si erano allenati insieme. Eppure la conoscenza venne per caso.

Ieri, salendo verso Picon Blanco, con Aleotti nella tappa regina della Vuelta
Ieri, salendo verso Picon Blanco, con Aleotti nella tappa regina della Vuelta
In che modo?

Mi pare che Gianmarco fosse ancora nei giovanissimi quando andammo allo Scarponi Day, che Michele organizzava a fine anno, con un pranzo e prima una pedalata da Filottrano a Sirolo, facendo la salita da Numana. Quella volta Gianmarco prese e scattò davanti al gruppo, avrà avuto 12 anni. Michele lo seguì e fecero insieme tutta la salita da Numana a Sirolo. Si conobbero così. Quando durante il pranzo venne il momento della lotteria per vincere le maglie che aveva messo in palio, Michele prese il microfono e disse che il body da gara non sarebbe stato estratto, perché lo avrebbe regalato al migliore di giornata. Chiamò Gianmarco e lo regalò a lui e fu così che nacque l’amicizia. Dopo un po’ che Michele era morto, Gianmarco ebbe un incidente e si ruppe una clavicola. Martinelli chiamò e ci invitò su, perché ci avrebbe pensato lui.

Lo conoscevate bene?

Non ci avevo mai parlato, ma ci raccontò che Michele gli parlava sempre di lui e diceva che avrebbero dovuto prenderlo. E anzi gli aveva detto che quando avesse smesso, si sarebbe dedicato a coltivare le sue grosse potenzialità. Era il lavoro che Michele si era prefissato per il dopo carriera.

Ci sono consigli che gli date in questo momento difficile oppure, visto che è così autonomo, lo osservate e non dite niente?

Il consiglio che gli diamo è di stare tranquillo, perché se c’è valore, viene fuori da solo. Secondo me la tranquillità paga sempre su tutto. Se uno deve andare, andrà di certo. Altrimenti vorrà dire che farà altro. E lui ogni cosa ha dovuto meritarsela. Mi ricordo dei mondiali del 2019, quando era campione italiano juniores e non volevano portarlo perché era troppo piccolino. Finché mio figlio andò ad affrontare il cittì e gli diede un ultimatum: «Dimmi cosa devo fare perché mi porti al mondiale».

Garofoli corre dal 2023 nell’Astana WorldTour. Approdò nel team kazako su indicazione di Scarponi
Garofoli corre dal 2023 nell’Astana WorldTour. Approdò nel team kazako su indicazione di Scarponi
Che cosa gli rispose?

Che lo avrebbe portato se avesse vinto il Trofeo Buffoni.

E lui?

Venne a casa e disse che lo avrebbe fatto. Infatti vinse il Buffoni, andò ai mondiali di Harrogate e si piazzò quinto. Stessa cosa al tricolore juniores. Prima di partire mi disse: «Papà, oggi vinco». E’ partito e ha vinto. Due sole volte mi ha parlato così e in entrambe ha vinto. Quindi sono convinto che la sua tranquillità porterà ai risultati. Sembra in crescita, capace di stare accanto a quelli più forti. Se avesse potuto fare prima un Grande Giro, forse oggi staremmo parlando di un altro corridore. Ha 21 anni, mi sembra strano che si ragioni di lui come di un vecchio. I procuratori gli dicono che deve fare punti sennò è difficile trovare squadra, ma io spero che la squadra venga fuori ugualmente. Stasera torniamo a casa insieme, sperando che i manager guardino i corridori non solo per i punti che portano.

Legge Scarponi e proposta e-bike: si parla di sicurezza

06.04.2023
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Una proposta di legge e un progetto intento a regolamentare l’utilizzo delle e-bike. La sicurezza ritorna a fare rumore, questa volta nella direzione della prevenzione. Tragedie come quella di Michele Scarponi o la più recente e straziante che ha colpito Davide Rebellin sono causa di discussione e impulsi per fare qualcosa in merito all’incolumità dei ciclisti in strada. 

La “Legge Scarponi” depositata in Senato dal senatore Alberto Losacco prende il nome appunto dal ciclista marchigiano a testimonianza di una ferita ancora aperta che deve essere ricucita con tutele. Il fulcro della proposta consiste nell’introduzione della distanza minima di sorpasso pari a un metro e mezzo.

Il progetto di legge, proposto dal consigliere regionale del Veneto Marco Dolfin, consiste in un decalogo sulla sicurezza stradale relativo alla circolazione delle e-bike.

Qui il murales dedicato a Scarponi in corrispondenza dell’incrocio dove è avvenuto l’incidente
Qui il murales dedicato a Scarponi in corrispondenza dell’incrocio dove è avvenuto l’incidente

Un metro e mezzo

Il progetto, che porta il nome di Michele Scarponi, dispone le modifiche agli articoli 148 e 149 del Codice della Strada in materia di sicurezza stradale per i ciclisti, introducendo una distanza minima di soprasso pari a un metro e mezzo.

Con questa proposta di legge si introduce uno specifico regime in materia di sorpasso. All’articolo 1, si dice che il conducente di un qualsiasi veicolo che effettui il sorpasso di un velocipede sia tenuto a usare tutte le cautele necessarie al fine di assicurare una maggiore distanza laterale di sicurezza e ad accertarsi dell’esistenza delle condizioni predette per compiere la manovra in completa sicurezza per entrambi i veicoli. Si prevede, altresì, l’obbligo da parte del conducente di mantenere, durante la manovra di sorpasso, una distanza laterale di sicurezza pari ad almeno un metro e mezzo, adeguata a scongiurare qualsiasi tipo di rischio.

«I numeri relativi agli incidenti stradali che coinvolgono i ciclisti sono terrificanti. Ma dobbiamo ricordare – afferma il senatore Alberto Losacco – che non si tratta solo di numeri, ma di persone. In tale senso è necessario procedere ad una modifica normativa al fine di garantire la massima sicurezza ai ciclisti e accogliere le richieste di cicliste e ciclisti professionisti, amatori, associazioni e introducendo la distanza di sorpasso di almeno un metro e mezzo».

Sulle strade si iniziano a vedere cartelli che sensibilizzano gli automobilisti al rispetto del metro e mezzo
Sulle strade si iniziano a vedere cartelli che sensibilizzano gli automobilisti al rispetto del metro e mezzo

217 morti all’anno

Dal 22 aprile 2017, giorno in cui il campione marchigiano è stato travolto e ucciso da un uomo alla guida di un furgone mentre era in sella alla sua bicicletta, nulla è cambiato. Lo scorso novembre Davide Rebellin, un altro campione caro a tutti gli appassionati, ha perso la vita mentre si allenava sulle strade di casa. Due tragedie che purtroppo alimentano una statistica che vede l’Italia tristemente primatista.

Sono 105, secondo i dati dell’Osservatorio ASAPS (Associazione Sostenitori e Amici della Polizia Stradale), i ciclisti che hanno perso la vita sulle strade nei primi otto mesi del 2022, tra cui anche quattro minori. Dal 2018 al 2021 in Italia sono morte in media 217 persone ogni anno in incidenti in bicicletta. Più di una ogni due giorni e se analizziamo gli incidenti stradali per cento milioni di chilometri pedalati, l’Italia svetta al primo posto con oltre cinque ciclisti deceduti.

Gli incidenti mortali sulle strade italiane sono in crescita
Gli incidenti mortali sulle strade italiane sono in crescita

Sicurezza per le e-bike

L’avvento dell’elettrico nella mobilità urbana ha investito tutte le città medio grandi dell’Italia lasciando però vuoti a livello di regolamentazione. «La sicurezza sulle strade prima di tutto – dice il consigliere regionale del Veneto Marco Dolfin – sia per chi va in bicicletta “muscolare” o su monopattino e negli ultimi tempi anche sulle biciclette a pedalata assistita, definite anche e-bike. Non parliamo di mondo agonistico e di gare bensì di normale circolazione stradale. E’ arrivato il momento che ci sia totale rispetto delle regole sia per gli automobilisti che per chi si muove sulle due ruote senza motore. Ci vogliono regole e un buon decalogo di norme di comportamento».

Il consigliere Lega – LV propone delle modifiche alla Legge 160 del 27 dicembre 2019 relativa a “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale 2020 – 2022” in materia di velocipedi a pedalata assistita.

«Nella legge 160 è disciplinato l’utilizzo dei monopattini a propulsione prevalentemente elettrica. Disposizioni che possono valere, in modo analogo, anche per l’uso dei velocipedi a pedalata assistita disciplinato dall’art.50 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada). Ma l’articolo 50 non contempla delle regole per le e-bike».

La mobilità urbana è una delle motivazioni che spingono all’acquisto di una e-bike
La mobilità urbana è una delle motivazioni che spingono all’acquisto di una e-bike

Il decalogo

Un argomento delicato quello della mobilità elettrica che vede continue evoluzioni e una conseguente crescita esponenziale di mezzi e utilizzatori.

«Dall’ultimo rapporto Aci-Istat – ha puntualizzato Dolfin – sugli incidenti stradali in Italia relativi al 2021, i sinistri registrati con le bici elettriche hanno causato in proporzione molte più vittime rispetto ai monopattini. Ed è giusto che vengano dettate delle nuove regole, vista la velocità che possono raggiungere le bici a pedalata assistita».

La proposta è dunque incentrata su una serie di 5 punti chiave. Le e-bike siano dotate di luce bianca o gialla fissa e posteriormente di luce rossa fissa, entrambe accese e ben funzionanti. Il conducente del velocipede a pedalata assistita circoli indossando il giubbotto o le bretelle retroriflettenti ad alta visibilità dopo le 18. L’uso delle e-bike sia consentito solo da utilizzatori che abbiano compiuto il quattordicesimo anno di età. L’uso di idoneo casco protettivo, sia conforme alle norme tecniche armonizzate UNI EN 1078 o UNI EN 1080, per i conducenti di età inferiore a diciotto anni.

Si chiede inoltre che il Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, in collaborazione con il Ministero dell’interno e con il Ministero dello sviluppo economico, avvii una apposita istruttoria finalizzata alla verifica della necessità dell’introduzione dell’obbligo di assicurazione sulla responsabilità civile per i danni a terzi derivanti dalla circolazione dei monopattini elettrici e dei velocipedi a pedalata assistita.

Ancona Rebirth, il viaggio nelle Marche inizia così

24.06.2022
6 min
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E’ appena arrivata l’estate e l’anticiclone ha portato frotte di vacanzieri sulla Riviera del Conero. Partiamo proprio da qui, da una delle sue perle, Numana, per la nostra pedalata nella Marca Anconetana. Affronteremo il primo dei tre anelli di Ancona Rebirth. Fanno parte del progetto Marche Outdoor che li ha inseriti nel proprio sito web. Sono stati magistralmente disegnati da appassionati ciclisti conoscitori del posto.

Sirolo, per cominciare

Ci mettiamo in sella accompagnati da Giampiero e lasciamo il lungomare per inerpicarci a Sirolo, l’altro rinomato borgo del promontorio. La salita, seppur di primo mattino, ci scalda per bene. Arrivati nella piazzetta che affaccia sull’Adriatico ci fermiamo per contemplare l’orizzonte e seguire il profilo della montagna che si tuffa nel mare. Ma solo per un po’. L’ascesa continua fino al Poggio per poi ridiscendere verso il borgo di Camerano, ai margini del Parco Nazionale del Monte Conero.

Il centro storico di Sirolo è il fantastico affaccio sul Conero, sede di tappa della recente Adriatica Ionica Race
Sirolo e il suo centro storico sono il fantastico affaccio sul Conero, sede di tappa della recente Adriatica Ionica Race

Il paese è tanto antico quanto la sua parte ipogea scavata nell’arenaria. E’ formata da cunicoli che, nel tempo, hanno restituito anche abbellimenti architettonici, come le volte a cupola. Là sotto molto probabilmente in passato si teneva al fresco il vino.

Saliscendi fra le colline

Superata la frazione di Aspio Terme e lambito il paese di Offagna, ci addentriamo sempre più nell’entroterra delle Marche. Il mare è ormai alle spalle e davanti a noi, nei pressi di Polverigi, la strada riprende a salire. Sono appena tre chilometri al 5 per cento, sufficienti per abbassare quasi completamente le lampo delle nostre maglie.

«Ora c’è un tratto di saliscendi tra le colline – ci guida Giampiero – prima di scendere nella vallata dell’Esino».

Dopo Santa Maria Nuova, i 4 chilometri di discesa ci rinfrescano le braccia imperlate di sudore, quand’ecco che dopo il Fiume Esino arriviamo a Jesi.

Il Duomo di Jesi, gioiello delle Marche dedicato a San Settimio, la cui costruzione inizia ai primi del 1200
Il Duomo di Jesi, dedicato a San Settimio, la cui costruzione inizia ai primi del 1200

Un certo Federico II

Saliamo fino al centro storico dove ci aspettano, con le loro bici, Giampaolo, fratello di Giampiero, e Moreno, di ritorno dal loro giro mattutino. Giampaolo ha la passione della storia e senza chiedere nulla comincia a snocciolare aneddoti curiosi. 

«Proprio in quel punto – indica il centro della piazza antistante il Duomo di San Settimio, mentre schiviamo qualche turista – nacque nel 1194 nientemeno che Federico II di Svevia, l’imperatore “stupor mundi”, nipote di Federico Barbarossa».

La curiosità, oltretutto, sta nel fatto che sua madre Costanza d’Altavilla, all’epoca quarantenne ed in viaggio verso la Sicilia con la sua corte imperiale, lo partorì qui nelle Marche, in un baldacchino allestito sulla pubblica piazza, per mettere a tacere le voci del popolo che la ritenevano troppo in avanti con gli anni per avere figli. Qualche malalingua aveva osato addirittura insinuare che Costanza avesse rapito un bambino pur di dare un erede a suo marito Enrico VI.

A Jesi, il monumento a Federico II (che qui nacque), nella piazza a lui dedicata
A Jesi, il monumento a Federico II (che qui nacque), nella piazza a lui dedicata

I consigli di Stortoni

Jesi è un po’ il giro di boa di questo itinerario che alla fine misurerà ben 105 chilometri e oltre 1.500 metri di dislivello. Scendiamo nuovamente verso l’Esino e facciamo un breve pit-stop al negozio Le Velò di Simone Stortoni. E’ stato professionista dal 2009 al 2015 e grande amico del compianto Michele Scarponi. Simone ci dà qualche dritta per la strada verso Filottrano, paese natale di Michele: «Ci sono da fare infatti 5 chilometri di salita, ma sono pedalabili, con una pendenza del 4 per cento», dice.

Filottrano uguale Scarponi

A Filottrano passiamo sotto l’arco d’ingresso al centro storico, che proprio poche settimane fa abbiamo visto addobbato per il passaggio del Giro d’Italia, tanto che sono ancora appesi da una casa all’altra i festoni rosa.

Il legame tra questo paese delle Marche e Scarponi si respira ovunque. Nelle foto che sbucano dalle finestre che danno sul corso, fino al murales realizzato recentemente proprio per il passaggio del Giro. Lo troviamo nel punto maledetto dove 5 anni fa avvenne la tragedia. Al centro dell’opera, realizzata da uno street artist di Osimo, campeggia Frankie, la stupenda ara giallo-blu che accompagnava Michele nei suoi allenamenti. E che ha reso dolci e oramai struggenti i loro video che girano sul web. Anche noi, alzandoci sui pedali, scrutiamo il cielo oltre la visiera del cappellino. Nella speranza che un’ara giallo-blu voglia farci compagnia per un tratto di strada…

Osimo è un paesone nel cuore delle Marche che sorge su due colline affiancate. Una sosta per l’acqua e via
Osimo è un paesone nel cuore delle Marche che sorge su due colline affiancate. Una sosta per l’acqua e via

Fra Argentin e Pantani

Osimo la vediamo stagliarsi dopo aver superato un tratto sul dorso di una collina, lungo la provinciale per Montoro. E’ proprio uno di quei tratti in cresta che ci piacciono tanto, perché ci regalano un doppio panorama di qua e di là. E ci fanno sentire ricchi con una bici tra le mani. 

Scendiamo veloci, ma il muraglione che sorregge Osimo rimane lassù e per raggiungerlo la catena è costretta a scendere sul 34. Mentre saliamo in paese, dondolando sui pedali, la mente va a pescare in un cassetto un ricordo dell’adolescenza, legato sempre al Giro d’Italia. Nel 1994 qui vinse tappa e maglia Moreno Argentin. Certo, la Corsa Rosa ci ha posto lo striscione d’arrivo anche pochi anni fa, ma i ricordi di gioventù hanno un altro passo. E poi stiamo parlando del mitico Giro del 1994, quello della “rivelazione” di Marco Pantani

Prima di chiudere il nostro giro, un ultimo sguardo al Conero, dove il verde si tuffa nel blu
Primo giro ormai finito, un ultimo sguardo al Conero, dove il verde si tuffa nel blu

Il verde e il mare blu

Ormai le difficoltà sarebbero concluse. Non ci sono più asperità da qui al mare e Numana ci aspetta, ma il fascino del Conero ci spinge a salire di nuovo a Sirolo. Stavolta il sole è a picco. I turisti sono con le gambe sotto i tavoli e le folate di vento spargono il profumo delle fritture di pesce che esce dai locali per tutta la piazzetta.

Noi, dopo esserci tolti i caschi ed aver appoggiato le bici alla ringhiera, vogliamo dare un ultimo sguardo dalla terrazza che si affaccia sull’Adriatico e contemplare una seconda volta la vista che racchiude tutto l’itinerario di oggi in una cartolina: quella del verde promontorio che si tuffa nel mare blu. E vi rimandiamo a questo link per scoprire gli altri due anelli di Ancona Rebirth. Il viaggio all’interno di Marche Outdoor è appena cominciato

Maini al Giro U23. L’ultima volta 30 anni fa con Pantani…

10.06.2022
6 min
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Raduno di partenza a Castelraimondo, penultima tappa della Adriatica Ionica Race. Si fanno due chiacchiere e Orlando Maini sorride e dice: «Domani finisco questa, poi cambio il chip e vado al Giro d’Italia U23».

E’ il riflesso di un secondo. Il diesse bolognese negli ultimi anni ha lavorato per squadre continental, ma non era mai tornato al Giro U23 da primo direttore. Vuoi vedere che la sua ultima volta in quel ruolo risale a trent’anni fa, quando vinse la maglia (allora gialla) con Marco Pantani? Lui abbassa lo sguardo e quando lo rialza ha gli occhi lucidi. E’ proprio così.

Nel 1992 Maini guidò Pantani alla conquista del Giro dilettanti
Nel 1992 Maini guidò Pantani alla conquista del Giro dilettanti

«Quando l’ho fatto trent’anni fa con Marco – dice con orgoglio – venivamo da un terzo e un secondo posto, appoggiati da un’Emilia Romagna compatta attorno a lui, perché allora il Giro si faceva per regioni e non per team. E se ci penso, mi può solo venire la pelle d’oca».

Sta per aprirsi un mondo. E la chiacchierata per passare il tempo diventa una lezione di vita, fatta di regole ed emozioni. Benvenuti in sei minuti nel mondo del Maio.

Con quale obiettivo si va al Giro U23 con la continental dell’Astana?

Avere un team giovanile è un investimento che l’Astana ha fatto, per far sì che quando passano nella squadra WorldTour abbiano un trauma minore e siano più vicini alle qualità che servono per fare il professionista. Questa squadra è giovane e sta crescendo.

Con chi andrete al Giro?

Abbiamo Harold Lopez, un ragazzino ecuadoregno. Carlos Lopez, il colombiano. Danil Pronskiy e Nico Vinokourov, due ragazzi kazaki fra cui il figlio di Vinokourov. E anche il campione italiano di ciclocross che ci sta dando delle buone soddisfazioni, cioè Davide Toneatti.

Sarebbe stato il Giro di Garofoli?

Sarebbe stato adattissimo, ma non dobbiamo assolutamente mettergli fretta. Il fatto che possa tornare in bici ci dà molto morale. Gianmarco per primo deve essere bravo e avere pazienza, perché questo è quello che gli ho chiesto e non gli permetterò di sbagliare. In questi casi l’errore può essere fatale e lui non deve commetterlo.

Come fu andare al Giro dilettanti col Panta?

Mi ricordo questo omino, come lo chiamavamo noi, che diceva: «Ma perché tiriamo sempre, se non ho la gamba?». Io gli dicevo non era un problema, perché in realtà la gamba l’aveva. Era una forma di rispetto che aveva verso i compagni, che poi ha dimostrato anche negli anni di professionismo. Per i compagni e lo staff, lui è sempre stato riconoscente al 300 per cento. Era un uomo vero, una persona che viveva anche di emozioni. Aveva dei valori che ha sempre rispettato, ma soprattutto aveva questo senso di grande rispetto verso i compagni, perché capiva che loro erano votati a lui. E la cosa lo gratificava tanto.

Gli sarebbe piaciuto il percorso del prossimo Giro U23?

Mamma mia, è durissimo. E’ quello che cercava lui, la salita lunga e questi tapponi interminabili. Sono le caratteristiche e i percorsi ideali per lui e per Scarpa. I due capitani che ho avuto, uno da dilettante e da professionista, l’altro solo da professionista. 

Secondo Maini, Lucca non deve pensare al ritiro, ma deve insistere puntando al suo meglio
Secondo Maini, Lucca non deve pensare al ritiro, ma deve insistere puntando al suo meglio
Vedi differenze fra un ventiduenne di oggi e uno di allora?

Grande differenza. E noi dobbiamo essere bravi ad adeguarci, ma soprattutto dobbiamo essere bravi ad ascoltarli. Una cosa che spesso invece non si fa, perché magari si dà per scontata l’onnipotenza dell’età e la convinzione che sappiano tutto. In realtà, se vuoi raggiungere l’obiettivo e avere delle soddisfazioni, bisogna che tu li ascolti e cerchi di porti con loro nel modo giusto perché possano assorbire gli input che gli dai.

Riccardo Lucca ha vinto una tappa alla Adriatico Ionica eppure non riesce a passare, perché dicono che sia vecchio.

Il problema, che come giornalisti avete riportato più volte, è che adesso a 28 anni rischi di smettere di correre. Una volta pensavi che l’avresti fatto a 34-35. Le generazioni adesso cominciano a 20 anni e a 28-30 rischiano di smettere. Lucca è a metà del percorso e magari a qualcuno è scappato di dirgli questa cosa. Se calcoliamo che la categoria juniores è sempre stata lo spartiacque del ciclismo e adesso lo è in toto, dato che a quell’età passano già nelle continental, si capisce che si è velocizzato tutto.

Quindi cosa deve fare Lucca?

Secondo me, non deve pensare di smettere. Il suo obiettivo deve essere fare tutto per raggiungere il massimo. Se poi non può raggiungerlo, non è che debba farsi delle colpe. Deve dirsi: io ci ho provato e non ce l’ho fatta a trasmettere quello che volevo. Però nel giorno che ha vinto, ha fatto veramente una grande corsa. Io ero sulla fuga ed è andato veramente forte, niente da dire.

Orlando Maini, Michele Scarponi, 2016
Con Scarponi nel 2016: dal 2014 Michele ha lasciato la Lampre ed è passato all’Astana
Orlando Maini, Michele Scarponi, 2016
Con Scarponi nel 2016: dal 2014 Michele ha lasciato la Lampre ed è passato all’Astana
Di cosa ha bisogno un ragazzo di vent’anni che passa pro’?

Devi lasciargli un percorso. Però anche il ragazzino ci deve mettere del suo, perché nel percorso di crescita è vero che ci devono essere risultati e attenzione, ma le due cose devono essere mixate bene. E lui quindi deve avere anche un comportamento ideale, perché adesso hanno veramente tutto per fare bene. Al contempo, noi dobbiamo essere bravi, come dico nel mio gergo molto semplice, a fargli trovare una spalla pronta. Con tutti questi dati, a volte si dà per scontato che non ne abbiano bisogno, invece secondo me hanno ancora necessità di appoggiarsi a qualcuno. E quando lo trovano, sono soddisfatti e danno il meglio. Effettivamente hanno questa maturazione più rapida per certe cose, ma per altri aspetti hanno ancora bisogno di essere seguiti. Alla fine sono ragazzi.

Ti capita spesso di pensare a Marco e a Scarpa?

Martedì nella tappa di Sirolo, mi son fatto il mio bel piantino in macchina. Prima ho salutato la mamma di Michele e poi non ce l’ho fatta. Sono passato nella zona di casa sua ed è successo qualcosa di particolare. Io sono uno che vive di emozioni, perché il mio lavoro riesco a farlo bene solo quando veramente sento dentro l’emozione. E a un certo punto sulla macchina si è appoggiato un maggiolino. E non si è più mosso, fino a che non sono uscito da Filottrano. Mi sono detto che non fosse possibile e magari una persona mi sente dire queste cose, pensa che Maini sia già vecchio e chissà cos’altro… In realtà per me è importante, perché so cosa mi hanno dato. E so cosa mi ha dato anche Vincenzo (Nibali, ndr). Lui l’ho frequentato solo prima del Giro, ma devo dire che la sua disponibilità verso i giovani, nonostante tanta carriera, mi ha colpito davvero.

Ecco la coccinella che si è posata sull’ammiraglia di Maini nell’attraversamento di Filottrano
Ecco la coccinella che si è posata sull’ammiraglia di Maini nell’attraversamento di Filottrano
Cosa ti hanno dato Marco e Scarpa?

Mi hanno dato veramente tutto quello che un direttore sportivo può ricevere da un corridore, perciò cosa posso chiedere di più? Adesso io tutte queste cose cerco di trasmetterle ai ragazzi, perché me lo sento proprio dentro. Glielo devo perché possano realizzare il loro sogno. Devo fare tutto perché ci riescano. Solo così mi posso sentire davvero tranquillo.

Un filo rosso che unisce Cataldo, Ciccone, Nibali e Scarponi

18.05.2022
7 min
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Per il 13° Giro d’Italia della carriera (ha corso anche 2 Tour e 9 Vuelta), Dario Cataldo si è ritrovato in camera con Ciccone, il ragazzino che in un modo o nell’altro ha sempre frequentato la sua casa, di cui proprio a partire dal 2022 è diventato gregario. Inutile dire che sognassero tutti un altro Giro e che il passaggio a vuoto di Giulio sul Blockhaus non fosse stato inserito in alcuna previsione possibile, se non nel cassetto degli incubi, che per scaramanzia ed esigenze di spazio, si tiene sempre ben nascosto.

Dopo il giorno di riposo di Pescara e la… tappaccia di ieri verso Jesi vinta da Girmay, la Trek-Segafredo ha iniziato a riorganizzarsi, spostando le attenzioni verso obiettivi meno alti della classifica generale, ma non per questo meno impegnativi. E Cataldo, che in vita sua le ha viste ormai tutte, è pronto per fare la sua parte. Anche perché la maglia rosa di Lopez è ancora il tesoro di famiglia e difenderla dà un senso diverso alle giornate.

Dopo la crisi del Blockhaus, per Ciccone visita parenti e un bel reset: si va per le tappe
Dopo la crisi del Blockhaus, per Ciccone visita parenti e un bel reset: si va per le tappe
Come ti trovi?

E’ un bell’ambiente. Si riesce a lavorare molto bene, i ragazzi sono tutti affiatati, non si può chiedere di meglio. La maglia rosa l’ho sempre inseguita, sognata per una vita. E adesso la vedo lì che mi passa sempre davanti o ce l’ho accanto. Oppure la vedo poggiata su una sedia. E’ una bella sensazione… 

Intanto però gli obiettivi sono cambiati, andrà in fuga anche Cataldo?

Non ci sto pensando. Sto pensando a fare bene per la squadra, poi se capita, si farà… Comunque se c’è una fuga e visto che abbiamo uomini che devono andarci, se ci sono io, come minimo ci saranno anche loro. Per cui, se non aiuto dietro, aiuterò davanti (ride, ndr).

Fra gli uomini Trek-Segafredo preposti ad entrare in fuga c’è Mollema, che ha già provato verso Potenza
Fra gli uomini Trek-Segafredo preposti ad entrare in fuga c’è Mollema, che ha già provato verso Potenza
Di chi parli?

Mollema c’è già andato vicino. Skjelmose, che in teoria era partito per fare classifica. E’ molto giovane e alla prima esperienza nel Giro, quindi gli era stata data un po’ di libertà, anche se non è andata come si sperava. Comunque adesso è lì e sta dando anche lui una mano a Lopez, ma se troverà qualche occasione, potrà cercare una tappa. Insomma, serve anche gente che dia una mano, per cui non possiamo avere tutti la stessa libertà. Non è una cosa che mi pesa in modo particolare, perché alla fine ero partito per aiutare, quindi mi va bene.

Cosa dici di Lopez?

Era venuto per fare delle tappe, poi una volta presa la maglia ovviamente continua a tenere duro. Sapevamo che lui sarebbe andato forte in salita, su questo non avevamo dubbi (i due sono insieme anche nella foto di apertura durante il giorno di riposo, ndr)

Verso Scalea, Cataldo con Lopez, nel primo giorno in maglia rosa di “Juanpe”
Verso Scalea, Cataldo con Lopez, nel primo giorno in maglia rosa di “Juanpe”
Che cosa è successo a Ciccone l’altro giorno?

Ha avuto la giornata peggiore nella tappa peggiore. Gli fosse successo in una salita di 5 chilometri, magari si staccava da 30 corridori e perdeva un paio di minuti. Insomma, poteva raddrizzarla. Invece in una giornata come quella del Blockhaus purtroppo non ti salvi, perché comunque manca ancora tanto alla fine e se non riesci a difenderti, non riesci a farci nulla.

Ti sei spiegato il perché?

Ricordate il Tour 2015 di Nibali, l’anno dopo averlo vinto? Ebbe una giornata difficile, si staccò da 30 corridori, perse parecchio terreno e giù tutti a parlare della debacle del re del Tour (accadde nella tappa pirenaica di Cauterets, quando Vincenzo arrivò a 1’10” dal gruppo dei migliori, ndr).

Come Ciccone, anche Nibali ebbe una crisi di calore al Tour 2015, pagando a Cauterets. Poi vince a Le Toussuire
Come Ciccone, anche Nibali ebbe una crisi di calore al Tour 2015 a Cauterets
Invece?

Invece aveva avuto una giornata difficile, tanto che qualche giorno dopo vinse a La Toussuire. Di solito capita quando prendi la prima giornata di caldo vero. Il corpo fatica ad adattarsi, ma poi ritorni al tuo stato normale e secondo me per Giulio è stato così. Ha avuto una giornata difficile, ma la condizione c’era, tanto che martedì a Jesi era lì a battagliare. Non penso sia stato un problema psicologico, come si sente in certe analisi. Sinceramente io capisco la sensazione che ha avuto.

Ce la descrivi?

Senti che stai bene, finché inizi a prendere caldo e a sentire che il corpo un po’ soffre. Poi comincia la salita e magari hai il vento da dietro, che quindi ti fa percepire il caldo ancora di più. E’ un po’ come se stessi sui rulli. E’ uno dei primi caldi cattivi dell’anno, non tira un filo d’aria perché quella poca velocità dell’aria è la stessa che stai facendo tu. Insomma, prendi una botta di caldo esagerata. Se in quel momento accelerano, tu esplodi. Non riesci ad andare avanti e non puoi nemmeno gestirla. E’ successo anche a me, è la tipica sensazione di quelle giornate lì. In tanti anni di corse qualche volta l’ho vista. Tanti stanno lì analizzare mille cose, io ce l’ho abbastanza chiara.

Ne avete parlato subito?

La sera in camera. Gli ho detto: «Vedrai che domani stai meglio. Recuperi e martedì sei davanti». Come poi è successo a Jesi e come accadde anche a Vincenzo, che in quel Tour fece quarto, mica decimo. Quindi significa che la condizione ce l’aveva, solo ha avuto una giornata difficile. La fregatura è che in un grande Giro non ti puoi permettere di avere una giornata storta. Almeno non tutti i giorni.

Ha scelto quello giusto…

Se ti capita una giornata come Potenza, che pure era dura, magari ti stacchi negli ultimi chilometri. Gli ho detto che se dopo Passo Lanciano avessimo fatto la Colonnetta di Chieti, che sono 5 chilometri, la prendeva ugualmente sui denti, però la gara finiva prima e perdeva meno tempo. Ma quando hai da fare ancora Roccamorice, ciao!

Hai parlato di Nibali, come lo vedi?

E’ uno che va in crescendo. Non ti fa vedere i fuochi d’artificio da subito, all’inizio sembra sempre che si difenda, poi quando arriva l’ultima settimana tira fuori qualche numero nel momento che meno te l’aspetti.

Pensavi che a Jesi sareste andati così forte?

Si sapeva, dovendo staccare i velocisti. L’hanno fatta subito dura da quando sono iniziati gli strappi e gli ultimi due li abbiamo tirati a manetta. Il penultimo in progressione, l’ultimo a fare lo sbrindellìo. E quindi hanno tenuto duro quelli di classifica, quelli da classiche e i pochi velocisti che hanno cercato di fare la volata.

Cosa hai pensato passando per Filottrano?

Ho visto le sue foto. Quando siamo passati sulla salita davanti al cartello dei – 45 all’arrivo, il gruppo andava bello spedito pensando alla corsa. Però chi c’era quel giorno sa che a sinistra c’è il cimitero. Quindi alla fine chi ha conosciuto Michele, una giornata come quella di Jesi l’ha vissuta in modo diverso

Terre dei Varano, un territorio da scoprire tra bellezza e ripartenza

11.04.2022
5 min
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Un territorio e una Gran Fondo. Il ciclismo dei grandi è passato e tutt’ora lo fa tra le strade marchigiane colpite dal terremoto del 2016. Una ripresa lenta che tutt’ora va avanti e riparte da Camerino per il secondo anno attraverso la manifestazione ciclistica Terre del Varano

Un momento per godere dei paesaggi ma anche per tornare in posti come la zona rossa di Camerino ed essere catapultati in quei tragici momenti di panico che oggi vengono testimoniati delle assi di legno alle finestre. Quello del maceratese è un luogo che rappresenta le bellezze del centro italia e che è amico della bici. 

Tra le sfide di questo evento in programma il 10 luglio ci sono: promozione del territorio, lotta al doping, ripartenza e accessibilità per atleti con disabilità. Un’unione di intenti che fa di questa Gran Fondo una motrice e un esempio da replicare. Per capire i retroscena e l’impegno per l’organizzazione abbiamo chiesto a Francesco Jajani, Presidente della società organizzatrice Avis Frecce Azzurre di Camerino.

Sulle finestre è ancora possibile vedere le assi di legno posizionate in seguito al terremoto del 2016
Sulle finestre è ancora possibile vedere le assi di legno posizionate in seguito al terremoto del 2016

Immersi nel territorio

Qualunque sia il numero dei partecipanti quando si parla del territorio maceratese, ogni ciclista che calca questo strade si accorge del contesto bello e naturale

«Il territorio rimane il motore trainante – dice Jajani – per la promozione di questo territorio. La nostra priorità è la sicurezza. Siamo i primi ad essere innamorati del territorio. Il nostro è un percorso davvero duro. Sono itinerari costruiti ciclisticamente ad hoc per essere affascinanti». 

«Si arriva a Camerino – prosegue – in centro nella sua magnifica piazza. Tutt’ora zona rossa e con le assi di legno sulle finestre. Siamo stati la prima manifestazione l’anno scorso ad arrivare in centro è stato qualcosa che da un atmosfera surreale. Bello ma allo stesso tempo toccante. Ottocento metri tutti in pavé tutti in salita dove vinse Michele Scarponi nel 2009 (Tirreno-Adriatico). Stradine medievali in salita per poi arrivare nella piazza che si allarga.

Il lago di Fiastra è un bacino artificiale caratteristico e protagonista del passaggio del percorso (foto Facebook/Terre dei Varano)
Il lago di Fiastra è un bacino artificiale caratteristico e protagonista del passaggio del percorso (foto Facebook/Terre dei Varano)

La Gran Fondo

Per esaltare e far conoscere un contesto fatto di sofferenza e bellezza la Gran Fondo Terre dei Varano è l’evento che ogni anno porta un migliaio di persone sulle strade. Il percorso infatti è affascinante e caratteristico.

«La salita di Sassotetto – spiega il Presidente Jajani – è una delle più caratteristiche delle Marche dove la Tirreno-Adriatico passa in maniera ricorrente. Poi ancora, il Lago di Fiastra, un bacino artificiale che si trova in altitudine appena sotto la montagna. La salita del Monastero che si fa con il percorso Classic oggetto di passaggio anche dei pro’. Una terrazza naturale che si affaccia sul lago che ha una bellezza incantevole, un paesaggio che lascia senza parole».  

«Quella dell’altopiano – continua – è una salita non impegnativa ma costante e lunga che richiede attitudine allo sforzo e resistenza, accompagnata da una flora rigogliosa. Per poi arrivare all’altopiano dove c’è l’abbazia che si trova sotto i Monti Sibillini, con alle spalle la cintura delle montagne appenniniche. Chiaro che i ciclisti che ci passano lo apprezzano fino a un certo punto perché sono pancia a terra. Ma si crea un input per un potenziale ritorno per allenarsi e godere del territorio». 

I panorami e i paesaggi dell’Appennino sono un biglietto da visita per la promozione del territorio marchigiano (foto Facebook/Terre dei Varano)
I panorami e i paesaggi dell’Appennino sono un biglietto da visita per la promozione del territorio marchigiano (foto Facebook/Terre dei Varano)

La bici per il turismo

Le due ruote sono più che riconosciute come veicolo di turismo. Sempre più regioni ne stanno capendo l’importanza e stanno adeguando le proprie strutture alla ricezione. 

«Il territorio si presta – dice Jajani – la popolazione è accogliente. Noi in prima persona ci stiamo adoperando con iniziative e strutture per renderlo ancora più amico della bici e accogliente. Il territorio è ricettivo, e dopo il terremoto si è enfatizzato ancora di più la necessità di ottimizzare quello che ci circonda». 

«Il cicloturismo – racconta – è sicuramente un volano per questo aspetto. Stiamo posizionando le prime pietre per il futuro. La manifestazione sta veicolando e dando una certa consapevolezza che si può creare qualcosa di concreto. I ciclisti vengono da 18 regioni su 20 e questo ci da una motivazione in più per fare sempre meglio». 

Tra i partner tecnici della manifestazione ci sono Rosti ed Ethic Sport
Tra i partner tecnici della manifestazione ci sono Rosti ed Ethic Sport

Testimonial

Oltre alle due ruote classiche, Terre dei Varano è vicina anche allo sport per atleti con disabilità. «La partecipazione – spiega il presidente – per questi atleti è infatti gratuita ed è un aspetto su cui vogliamo impegnarci. Stiamo lavorando per renderla più accessibile e fruibile. Luca Panechi è un nostro testimonial, ex ciclista che dopo un brutto incidente è costretto su una sedia a rotelle. E’ un esempio perché scala le salite a bordo della sua nuova due ruote abbattendo ogni limite».

Una filosofia che abbatte ogni barriera e sorride alla vita, come faceva Michele Scarponi che proprio di questa competizione è stato testimonial. Su queste strade vinse e si allenava in maniera ricorrente. 

Ancora oggi infatti il legame con la città è forte e a rapprsesentarlo c’è il fratello Marco che porta vanti tutto ciò che Michele aveva imparato a farci conoscere, come la sua interpretazione delle due ruote e della vita. 

Nella foto l’ex ciclista Luca Panichi e Marco Scarponi sull’ultima salita della Gran Fondo
Nella foto l’ex ciclista Luca Panichi e Marco Scarponi sull’ultima salita della Gran Fondo

No al doping

Un’altra lotta imperterrita e ricorrente è quella contro il doping. Infatti questa competizione non si è mai tirata indietro in quanto a metterci la faccia e a portare avanti una filosofia ben definita.

«Nel nostro regolamento fin dalla nascita di questa manifestazione abbiamo sempre avuto l’invito come vincolo per l’iscrizione.  Questo per tutelarci da chi avesse avuto nel passato o nel presente condanne per doping. Per noi la bici è corretta e genuina e deve premiare chi la rispetta. Con il passaggio alla non obbligatorietà della normativa etica, abbiamo deciso di mantenerla ed applicarla. Purtroppo ci sono state complicanze e malumore da parte di qualche nostro ex collaboratore esterno che voleva che fosse revocata anche nel nostro regolamento. Tuttavia per nostra filosofia e integrità abbiamo deciso di conservare questa clausola di cui siamo convinti e fieri».

TerredeiVarano

Un libro, tante storie: caro Marco, sapevi tutto di Michele?

20.02.2022
7 min
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Un libro dedicato a Michele attraverso gli scritti di 55 persone del mondo del ciclismo, musicisti, suiveur e scrittori che l’hanno conosciuto. Così Marco Scarponi ha inteso ancora una volta ricordare suo fratello, affidando la redazione a Marco Pastonesi.

Quando ci è arrivato, avendone scritto un capitolo, abbiamo iniziato a leggerlo, rivivendo episodi di cui siamo stati testimoni e scoprendo sfumature inedite. E qui è scattata la curiosità: Marco Scarponi avrà imparato qualcosa di nuovo su suo fratello? Glielo abbiamo chiesto.

Con questo libro curato da Marco Pastonesi, la Fondazione Michele Scarponi ricorda il campione
Con questo libro curato da Marco Pastonesi, la Fondazione Michele Scarponi ricorda il campione

«Immaginavo e ho avuto la conferma – dice – che Michele comunque è sempre stato ed è una grande anima. Quindi dovunque si trovasse, dovunque si trovi porta sempre una bellissima atmosfera. Ma soprattutto ho scoperto che ha fatto delle cose stupende, dei gesti bellissimi. Il piede a terra che ha messo nel Giro del 2016 è stato solo l’apice di tanti gesti che lui ha fatto nella sua vita. Gesti di solidarietà, di amicizia, di bellezza. Quindi tramite questo libro, ne ho scoperti altri, ma tanti altri nel libro neanche ci sono».

Era amico di tutti…

Da queste pagine emerge il grande senso di Michele per l’amicizia. Il piacere di stare insieme agli altri. Già l’amicizia che ha con Luis Matè, oppure il rapporto che ha con tutti i direttori sportivi. E poi emerge tantissimo, secondo me, il suo lato sensibile. Michele in fondo è sempre stato visto come uno che scherza e basta, in realtà è una persona molto intelligente e molto sensibile.

Fai un esempio?

C’è un racconto di Davide Marta. Parla di quando lui riprende al Giro dell’Appennino dopo la squalifica. E lì si vede tutta la grande intensità di Michele, tutta la sua serietà e la grande voglia di ritornare a correre. Michele era molto concentrato, era molto serio su quello che faceva. Poi anche il racconto di Paolo Condò, ad esempio, quando parla della sconfitta contro Contador sull’Etna.

Nel 2011 sull’Etna, lottò contro Contador senza pensare mai di arrendersi
Nel 2011 sull’Etna, lottò contro Contador senza pensare mai di arrendersi
Cosa dice?

C’è un pezzetto in cui Michele, anche senza parlare, con quell’azione lì ci ha detto tante cose e ha fatto vedere quanto fosse grande in quello che faceva, anche nella sconfitta. «Un uomo che faceva i conti con se stesso, stremato oltre ogni limite eppure testardamente riottoso alla resa».

Ti aiuta averlo accanto?

Tantissimo. Sono passati quasi 5 anni e non è facile portare avanti il messaggio di qualcuno che non c’è più. Per me è un po’ più facile, perché Michele ha lasciato tantissimo. E’ ancora un testimonial importante per tutto quello che facciamo. A volte mi chiedono di cercare qualcuno da affiancargli, ma che senso ha? Quando vado nelle scuole, parlo coi bambini. Racconto la storia di Michele, arrivando fino alla morte. Prima gli faccio vedere le immagini e Michele diventa subito un protagonista che dà ancora tantissimo e loro se ne innamorano. In quello che faccio con la Fondazione, lui ci indica la strada.

Che cosa ha dato il ciclismo a Michele?

Noi ci diciamo sempre che il ciclismo l’ha salvato da una vita che poteva essere diversa. Nel senso che quando scelse di fare il ciclismo a 16-17 anni, quando decise di lasciare la scuola per seguire il suo sogno di fare il ciclista, ebbene lui lì ha messo tutto se stesso. Il ciclismo lo ha messo in condizione di esprimersi. Di tirare fuori tutto quello che aveva dentro. Non c’era un altro sport, dal mio punto di vista, che Michele potesse fare per rappresentare quello che sentiva. Noi non siamo una famiglia di ciclisti e lo sapete che spesso i ciclisti vengono da genitori già ciclisti, da nonni ciclisti.

Colle dell’Agnello al Giro del 2016, dopo la discesa Scarponi si fermerà ad aspettare Nibali
Colle dell’Agnello al Giro del 2016, dopo la discesa Scarponi si fermerà ad aspettare Nibali
Mentre voi?

Nella nostra famiglia non ci sono stati ciclisti, eravamo tifosi. Eravamo contadini e muratori di qui intorno, ma eravamo anche dei ciclisti e non lo sapevamo. Quindi l’unico modo per raccontare la nostra famiglia e quello che c’era dentro Michele, era fare il ciclista. 

Che cosa gli ha tolto il ciclismo?

Il ciclismo gli ha dato tanto, mentre gli ha dato molto meno non mandando messaggi come quello della sicurezza stradale. In tutte le squadre in cui è stato non ho mai visto un minimo di attenzione su questo. Ecco, questo è sorprendente, il solo dito che mi sento di puntare. Io sono entrato nel mondo del ciclismo con Michele, ma in maniera più diretta dopo la sua morte. Magari è difficile avvicinarsi a una famiglia come la nostra dopo quello che abbiamo vissuto. Molti lo stanno facendo adesso e io magari dopo un mese che era morto Michele mi chiedevo perché non si facesse sentire nessuno.

Che risposta ti sei dato?

Mi rendo conto che ci vuole tempo e molte persone fanno fatica. Spesso è capitato anche a me di andare da famiglie di vittime della strada e ho capito che non serve a niente andarci subito e che ci vuole il giusto tempo. Dal ciclismo mi aspettavo tanto, ma adesso mi aspetto un po’ meno.

Non passa corsa dal quell’aprile 2017, senza che sulla strada un cartello ricordi Michele
Non passa corsa dal quell’aprile 2017, senza che sulla strada un cartello ricordi Michele
Cosa ti aspettavi?

Mi aspettavo molto di più da qualcuno, certo. Però mi rendo conto che non siamo tutti uguali. Me ne faccio una ragione. Dopo quello che è successo, mi sarebbe piaciuto che si fossero un po’ tutti coalizzati e fermati. Perché è morto uno di noi. Qui invece non ci si ferma per niente. Lo sport deve continuare, come lo show…

Tu però vai avanti…

Io capisco che magari la mia figura a volte possa essere ingombrante o fastidiosa, però mi aspetterei più coinvolgimento. Ma si fa fatica, siamo sempre un po’ egoisti. Adesso stiamo cercando di mettere in piedi una scuola di ciclismo per bambini e tutti ne sono entusiasti. Poi ti volti e intorno non c’è nessuno che ti aiuti, mentre se c’è da fare una gran fondo sono tutti pronti.

La sicurezza stradale…

Anche se facciamo delle riforme, cadono nel vuoto e questa cosa è impressionante. In Italia vale il detto di Verga, che tutto cambia affinché non cambi nulla. In questi giorni si è parlato tanto delle morti degli studenti nell’alternanza scuola-lavoro, ma della sicurezza stradale non si parla. Nel suo primo settennato, il Presidente della Repubblica Mattarella non ha mai parlato delle morti sulla strada, eppure si parla di migliaia di giovani. Dicono che non ci sono abbastanza Forze dell’Ordine per far rispettare il codice della Strada, eppure per rincorrere la gente che durante il lockdown andava a camminare sulla spiaggia le hanno trovate.

Dietro quel sorriso bislacco, c’erano i pensieri di un uomo profondo e buono
Dietro quel sorriso bislacco, c’erano i pensieri di un uomo profondo e buono
All’estero si danno da fare…

In Inghilterra quel principio che c’è nel nostro slogan, per cui la strada è di tutti a partire dal più fragile, è diventato un principio che sta dentro il codice della strada. E’ vero che sulla strada dobbiamo tutti rispettare le regole, però è innegabile che l’automobilista abbia più potere e caratteristiche tecnologiche tali da renderlo più pericoloso. Non sono opinioni, è fisica. Ma da noi sembrano discorsi insostenibili. Evidentemente ci sono degli interessi troppo superiori…

In cosa Michele e Marco si somigliano?

Io rispetto a lui sono stato sempre indeciso, Michele era più determinato. Mio fratello sapeva quello che voleva e se lo andava a prendere. Michele era uno che sapeva fare le salite e ci ha detto: «Guardate, le salite si fanno così. Si deve fare fatica». E’ stato sempre deciso, io non sono stato mai così, io sono uno che rimanda. Però dopo la sua morte, in certo senso lo prendo un po’ come esempio e cerco di mettermi nella sua scia. E poi…

E poi?

Ho la stessa caratteristica di sdrammatizzare, di fare come lui, di buttarla un po’ in burla. Piace molto anche a me questo modo di fare, quella risata di Michele spesso simile alla mia. Però entrambi probabilmente veniamo però da un momento ben preciso, che è quello di sognare tanto. Siamo grandi sognatori e a tutti e due piace fare qualcosa, non semplicemente partecipare senza motivo. E poi non so quante altre cose ci accomunano e quante ci tengono distanti, è tutta da scoprire ancora ‘sta roba.

Marco Scarponi, sul podio della Tirreno-Adriatico 2019, con Lutsenko
Marco Scarponi, sul podio della Tirreno-Adriatico 2019, con Lutsenko
Ti sei reso conto che per tutto il tempo hai parlato di Michele al presente?

Io sono un familiare, ho perso un fratello. Quindi dovete capire che sono traumatizzato all’infinito e quindi per fare sì che questo per me sia una fonte di energia e un valore, devo essere convinto che Michele sia qui. Anche se so che probabilmente non è così ed è tutta una proiezione che ci facciamo noi vivi. Però il fatto di dire e pensare costantemente che Michele sia qui e viva in quello che sto cercando di fare, per me è la soluzione per andare avanti.

Con Cataldo, fra biomeccanica, Ciccone e le risate di Scarponi

05.01.2022
7 min
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Un altro cambio di maglia, la sesta da quando è professionista. La Liquigas, poi la Quick Step. Il Team Sky e l’Astana. La Movistar e ora la Trek-Segafredo. Dario Cataldo e i suoi occhialini hanno sempre la stessa vivacità nello sguardo, ma nei silenzi si intuiscono i chilometri e il tempo passato. Trovare una trattoria in cui sedersi a Chieti è stato un’impresa, fra locali chiusi e quelli al completo. Ma adesso, in mezzo agli antipasti che vanno e vengono e con una birra piccola per farci compagnia, il discorso fluisce gradevole e profondo come sempre.

L’ultimo contratto ha dovuto sudarselo. Da una parte era certo che dopo una carriera come la sua, sarebbe stato impossibile restare a piedi. Ma quando ottobre è diventato novembre e non c’erano novità, il senso di dover smettere ha fatto per la prima volta capolino dopo tanti anni e non è stato bello.

Cataldo sarà regista in corsa al fianco di Ciccone, ma non avrà identico programma (@rossbellphoto)
Cataldo sarà regista al fianco di Ciccone, ma non avrà identico programma (@rossbellphoto)

«Alla Trek ho trovato un ambiente molto eterogeneo – dice – al primo approccio mi ha fatto pensare a quello della Quick Step, dove c’erano persone molto competenti, con un bello staff belga e uno italiano. Qui in più c’è la stessa sensazione di famiglia della Movistar. Sto bene. Ho cambiato un po’ di cose, ma so qual è il mio lavoro. Dopo tanto tempo, quasi non è servito parlarne».

Dario è in Abruzzo per qualche appuntamento e gli ultimi scampoli delle Feste, poi tornerà in Svizzera e da lì, a metà della prossima settimana, tornerà in Spagna per il secondo ritiro con la squadra. In questi giorni, approfittando del clima insolitamente mite, è riuscito a salire fino al Blockhaus e a riempirsi gli occhi dei suoi panorami.

Hai parlato di cose cambiate…

Ad esempio a livello di biomeccanica. Cambiamenti di cui avevo intuito la necessità, ma sui quali non avevo mai ricevuto feedback dalla squadra. Era da un po’ che riflettevo sulla lunghezza delle pedivelle. Pedalo così basso e raccolto, che con le 172,5 nel punto morto superiore avevo il ginocchio conficcato nel petto. E questo un po’ era scomodo e un po’ mi impediva di avere la cadenza che volevo. Era una mia teoria, invece appena mi hanno visto, mi hanno fatto la stessa proposta senza che io gli dicessi nulla. E adesso le ho da 170…

I biomeccanici della Trek-Segafredo hanno anticipato la sua volontà e sono intervenuti su pedivelle e pedali
I biomeccanici della Trek-Segafredo sono intervenuti su pedivelle e pedali
Le hai cambiate subito?

Dal primo ritiro e ho visto subito dei benefici. Mi viene più facile andare in agilità. E in contemporanea ho cambiato la larghezza dell’asse del pedale. Ho guadagnato 4 millimetri per lato, aumentando il fattore Q di 8 millimetri (si tratta della distanza orizzontale fra i due pedali, ndr). Notavo la necessità di allargare l’appoggio e grazie ai pedali Shimano, siamo riusciti a farlo. Per questo devo dire grazie ad Andrea Morelli del Centro Mapei, che ci segue.

Perché non fare prima certe modifiche?

Perché fino a qualche anno fa c’era chiusura mentale su certi aspetti. Ho sempre chiesto la compact per fare le salite ripide in agilità e mi dicevano di no perché non c’erano mica dei muri. Oggi è cambiato, in questa squadra è diverso. C’è più apertura verso la personalizzazione, dalla biomeccanica all’alimentazione. Non siamo tutti uguali…

Perché Ciccone ha detto che sei l’uomo giusto per creare un progetto?

Perché forse in squadra serviva un occhio tecnico dall’interno della corsa. Nel suo gruppo c’è Mollema, che però non nasce gregario. Oppure Brambilla, fortissimo nelle classiche. Noi due ci completeremo, perché io ho quell’occhio per le corse a tappe. Potrei essere il tassello che mancava nei Giri. So quello che dovrò fare. Sono arrivato al punto che in certi momenti sono io che spiego ai direttori quel che serve.

Ha corso spesso da gregario, ma sa vincere. Da U23 vinse il Giro d’Italia, qui a Como nel Giro 2019
Ha corso spesso da gregario, ma sa vincere. Qui a Como nel Giro 2019
Un regista in corsa?

Più di una volta ho messo da parte le ambizioni personali. Guercilena, che mi conosce dal tempo della Quick Step, mi ha dato questa fiducia a prescindere.

Sarai la spalla fissa di Ciccone?

Ci sarò in alcune occasioni, mentre in altre per il bene della squadra mi… occuperò d’altro. Faremo però un bel calendario insieme. Tecnicamente, Giulio è ibrido, deve capire dove può emergere. Ha ottime qualità per i grandi Giri, ma è istintivo e per questo va tenuto a bada. Deve maturare ancora. Deve trovare la giusta dimensione per utilizzare il suo potenziale. Credo che fra preparatori, direttori e compagni possiamo fare ognuno la sua parte per supportarlo.

Cosa è cambiato nel gruppo dagli inizi?

E’ diventato un lavoro più esigente. Credo che si sia sempre fatta attenzione ai dettagli, per quello che di anno in anno fosse il meglio a disposizione. Oggi ci sono più conoscenze per fare le cose a un livello superiore, qualitativamente e quantitativamente. Puoi sbagliare meno, altrimenti sei automaticamente fuori dai giochi. La cosa veramente difficile è diventato lo stare in gruppo.

Dopo cinque anni all’Astana, Cataldo ha corso le ultime due stagioni alla Movistar
Dopo cinque anni all’Astana, Cataldo ha corso le ultime due stagioni alla Movistar
Che cosa significa?

Il modo più aggressivo di correre fa saltare le tattiche e si traduce in meno rispetto. Prima un corridore esperto poteva richiamare il giovane che sbagliava, adesso ti mandano a quel paese. Primo, perché non c’è rispetto. Secondo, perché lo fanno tutti e quindi ti prendono per scemo, quasi tu voglia fare lo sceriffo.

Chi gode di rispetto?

Il leader forte che vince le grandi corse. Quelli vengono presi a modello, ma si pensa di poter fare come loro. C’è una bella anarchia.

Pensi mai alle persone che ti hanno lasciato qualcosa?

Michele Scarponi, sicuramente. Lui è in cima alla lista. Tante volte facciamo progetti e castelli in aria senza renderci conto che tutto può finire in un secondo. Ma per parlare di lui servirebbe un libro…

Scriviamolo!

Per capirlo, devi averlo conosciuto (dice strizzando l’occhio, ndr). Di lui apprezzavo la capacità di mantenere alto il morale, lo osservavo per come si comportava ed era di ispirazione. Faceva gruppo ridendo, ma non da pagliaccio. Era burlone e super professionale. Continuando a ridere, ti sbatteva in faccia il tuo errore. Ti prendeva in giro, ne ridevi anche tu e intanto imparavi.

Scarponi riusciva a dire col sorriso anche le verità più scomode
Scarponi riusciva a dire col sorriso anche le verità più scomode
A te cosa rimproverava?

Il fatto di essere troppo zelante e di avere troppa dedizione per quello che mi dicevano. A volte i corridori sfilano la radiolina per non eseguire ordini che gli sembrano assurdi, io non lo facevo mai. Una volta all’Algarve il gruppo era tutto largo su uno stradone con il vento contrario. Un direttore disse alla radio che dovevamo attaccare. Noi gli chiedemmo se fosse sicuro. E quello in tutta risposta disse che toccava a me e io andai. Partii e ovviamente mi ripresero e mi staccarono. E Michele rideva, mi guardava e diceva: «Il bello è che tu lo fai!!!». Ne abbiamo riso per settimane. Forse dissero a me perché ero l’unico che lo avrebbe fatto (sorride sconsolato, ndr).

Chi oltre a Michele?

Bennati, perché è uno dei compagni con cui ho avuto la migliore affinità. Eravamo sempre sulla stessa lunghezza d’onda. Ancora adesso, davanti a qualsiasi questione, mi viene da pensare che lui la penserebbe come me. Poi Malori, anche se non abbiamo mai corso insieme. E’ una di quelle persone che puoi non vederla da cinque anni e ti abbraccia come se ci fossimo salutati il giorno prima. Infine Bruno Profeta, il mio primo direttore sportivo, che mi ha insegnato concetti e valori che mi sono serviti prima nella vita e poi anche nello sport.

L’arrivo di Cataldo alla Trek-Segafredo è stato uno degli ultimi colpi del mercato (@rossbellphoto)
L’arrivo di Cataldo alla Trek-Segafredo è stato uno degli ultimi colpi del mercato (@rossbellphoto)

Il resto è tutto un parlare della nuova bici Trek. Del colore delle divise da allenamento. Del debutto in Francia. Anche del proposito di diventare un giorno anche lui un procuratore. Della sua squadra di juniores in Spagna che è diventata quella di Vinokourov. E quando il pranzo finisce e stiamo per salutarci, nel gruppetto di tre ciclisti in strada, riconosciamo la sagoma di Ciccone. Cataldo guarda l’orologio. Dice che Giulio sta tornando verso Pescara perché ha finito l’allenamento e conferma che usciranno insieme anche domani (oggi per chi legge). Ci salutiamo. Il pomeriggio ha altri impegni. Poi la stagione potrà finalmente cominciare.