Il ruolo del regista in corsa è uno dei più delicati, ma anche uno dei più affascinanti. Di solito lo ricopre un corridore esperto e di personalità. Per questo Dario Cataldo ha il patentino per fare il regista e per farlo bene. Unzue non per niente ci ha messo molto poco a prenderlo e a “dargli le chiavi” della sua Movistar.
L’abruzzese è a Tenerife per allenarsi in vista del Giro, dove correrà in appoggio a Marc Soler. Ci arriverà facendo Tirreno, Catalunya e Romandia.
Regista col tempo
Fare il regista, dicevamo, richiede esperienza. Ma questa non basta e il cammino può essere lungo e variegato.
«Non c’è stato – racconta Cataldo – un momento specifico in cui ho capito che ero diventato un regista. E’ stato un insieme di diverse cose. Io ero passato con altre ambizioni. Volevo far classifica nelle grandi corse a tappe. Ero in un team, la Quick Step, che mi ha lasciato spazio, ma che era votato per le classiche e di fatto ero solo, non avevo nessuna guida. Poi sono passato alla Sky, che al contrario era organizzatissima per queste corse, e mi sono accorto che la mia esperienza personale che mi vedeva fare da solo, non bastava. Anche io poi devo aver fatto degli errori.
«Le cose sono cominciate a cambiare quando sono arrivato all’Astana e mi hanno messo nel gruppo Aru, che puntava a Giro e Vuelta. Lì ho messo a frutto l’esperienza fatta. Vedevo le cose con anticipo. Nelle decisioni delle tattiche avevo la mia influenza. Vedendo che i miei ragionamenti erano validi, piano piano anche gli altri mi cercavano e mi ascoltavano».
Fiducia Movistar
«Mi sono accorto in diverse occasioni che potevo essere un buon regista, ma non se ne sono accorti gli altri. Certe cose le sapevi tu. Tu avevi delle intuizioni, le facevi presente ma non eri ascoltato. Ce n’è voluto di tempo. E’ stata questa la parte più difficile: farlo capire agli altri».
Però in Movistar la musica è totalmente diversa e Cataldo stesso lo ammette. Appena è arrivato gli hanno dato tanta fiducia. Evidentemente anche le chiacchiere del gruppo non sono rimaste sorde ad Unzue. «Soprattutto al Giro – dice Cataldo – ho avvertito questa fiducia, con tutti quei giovani. Le mie intuizioni erano giuste e loro erano contenti. Ed io ne ero lusingato».
Esperienza, diplomazia, dedizione
Sono queste tre le qualità principali che dovrebbe aver un regista secondo Cataldo.
«L’esperienza è la prima cosa. Serve un grosso bagaglio di corse per capire come va la gara. Bisogna mettere insieme un sacco di variabili: il meteo, i chilometri, la classifica, il vento, la composizione delle altre squadre, i loro interessi…
«Serve poi diplomazia. Bisogna essere diplomatici con i compagni, devi capire i diversi caratteri di ognuno a partire da quello del leader. E anche quelli degli avversari. Serve il giusto rispetto.
«Terzo pilastro: la dedizione in quel che si fa. Avere stimoli per ottenere risultati per se stessi è facile, ma avere stimoli, appunto dedizione, per far vincere un’altra persona è tutt’altra cosa. Quell’obiettivo deve essere comune e lo devi fare tuo».
Un messaggio a Villella
Infine chiediamo a Cataldo un parere su Villella. Il lombardo è con lui alla Movistar e già prima erano insieme all’Astana. Davide ci ha detto che avrebbe corso in appoggio ad altri, che il regista in corsa era appunto Cataldo e che lui non era certo di poter fare altrettanto. «Non chiedetelo a me», ci disse Villella. Bene, noi lo abbiamo chiesto al regista “titolare”!
«Più che regista, per me Davide ha la qualità per fare risultato, solo che ancora deve esprimersi – spiega Cataldo – Se l’esperienza la può acquisire, nella parte della diplomazia è un po’ carente. Lui ha un carattere chiuso e riservato e questo lo fa perdere nella gestione della squadra.
«Davide ha un grosso motore. Io stesso al Giro in qualche tappa lo spronavo. In qualche fuga gli dicevo: io anticipo così tu stai coperto e provi nel finale. Deve imparare a gestire la corsa e potrà ottenere grandi risultati. Alla fine anche Fuglsang è esploso a 33 anni. Bisognerebbe trovare il modo di fargli esprimere questo suo potenziale. Magari metterlo sotto pressione, tirargli fuori un po’ di rabbia. Insomma, stargli dietro un po’. Ma uno che vince la maglia di miglior scalatore alla Vuelta (2017, ndr) è forte».