Dieci del mattino, sale in cattedra “prof” Cavalli

07.03.2023
6 min
Salva

Stamattina Marta Cavalli è entrata nuovamente dal portone nell’Istituto Comprensivo Marco Gerolamo Vida di San Bassano, invitata a parlare della sua vita, del ciclismo, dello sport e di come lo si possa collegare alla scuola. Ha parlato di cultura alimentare e di sicurezza stradale, poi è tornata a casa ed è uscita per allenarsi.

«E’ stata una bella emozione – racconta – perché mi sono proprio rivista nei ragazzi e nella loro sorpresa nell’avere a che fare con qualcuno di più giovane, perché comunque sono sempre con professori che hanno un’età superiore. Avere davanti una ragazza più giovane li ha resi più partecipi e questo mi ha fatto piacere. E mi sembrato di tornare indietro nelle stesse emozioni. Anche a me è piaciuto molto perché mi sono raccontata in un modo diverso e ho visto lo stupore negli occhi dei ragazzi. Spero che abbiano trovato anche loro la stessa motivazione che ho io.

«E’ stata proprio una bella esperienza. Sono stata dalle 10 alle 12. Ho parlato per un’oretta, poi quando ho chiesto se ci fossero domande, i ragazzi si sono scatenati. La domanda più interessante è stata se mi sarei mai immaginata di arrivare dove sono adesso. Mentre per la più strana mi hanno chiesto la velocità massima mai raggiunta. Ero indecisa se dire la verità o meno. I ragazzi tendono ad emulare le cose pericolose, quindi non sapevo se dire che in discesa si arriva “facilmente” a 100 all’ora. Alla fine ho detto la verità. E a quel punto… boato di sorpresa generale!!!».».

La FDJ Suez non le mette fretta: il suo processo di crescita è ancora nel pieno
La FDJ Suez non le mette fretta: il suo processo di crescita è ancora nel pieno

Inizio faticoso

Il suo inizio di stagione è stato problematico. Dopo un inverno positivo, all’inizio delle corse Marta non ha avvertito le sensazioni che si aspettava. E così, con una decisione inattesa ma fondata, la squadra l’ha vista correre al UAE Tour e poi alla Het Nieuwsblad e poi l’ha fermata.

«Sto facendo un po’ fatica – spiega – più che altro con il ritmo gara, quando proprio la corsa si fa dura, anche in pianura. Ho sentito di essere un po’ in deficit. I tecnici dicono che può risalire tutto alla caduta del Tour. E proprio guardando questo aspetto, ho capito che era necessario prendersi ancora qualche giorno, qualche settimana per definire bene la condizione e riparare queste piccole mancanze».

Dopo le prime due gare, il 2023 di Cavalli si è interrotto per un supplemento di preparazione (foto FDJ Suez)
Dopo le prime due gare, il 2023 di Cavalli si è interrotto per un supplemento di preparazione (foto FDJ Suez)
Sei sempre rimasta a casa per lavorare?

Nessun ritiro, sono a casa. Adesso il clima è più gradevole, quindi si lavora bene. La preparazione è tutta proiettata sul miglioramento, perché le basi le ho fatte e sono anche belle solide. Quindi si lavora più per cercare lucidità, brillantezza e ritmo gara.

Non sarà anche che dovendo fare classiche, Giro, Tour, mondiale e tutte le corse che vengono dopo il mondiale, sia anche utile partire un po’ più piano?

Dipende dagli obiettivi. Come primo avevo fissato la Strade Bianche e comunque avevamo visto che, gestendo bene una fase di recupero a metà stagione, si sarebbe potuto fare tutto il programma. In questo modo, con meno gare nelle gambe, sicuramente rivedremo il calendario. Detto questo, non c’è ancora una data di rientro. Guardiamo ai prossimi giorni, magari si potrebbe correre al Binda o magari no. Il giorno in cui dovessi star bene, sarei la prima a dire di provare e loro mi inserirebbero. Però l’importante è prendersi il tempo giusto, non c’è la fretta di rientrare a tutti i costi.

Longoo Borghini e Cavalli: sul fronte delle corse dure, due colonne del ciclismo italiano
Longoo Borghini e Cavalli: sul fronte delle corse dure, due colonne del ciclismo italiano
La stai vivendo sorprendentemente bene…

Allora, con calma (sorride, ndr). I primi giorni non è stato facile, però adesso la sto prendendo giorno per giorno. Anche come un’opportunità per capire meglio quali effetti abbiano su di me certi allenamenti. Il 2022 è stato un anno importante, dove ho ottenuto dei risultati veramente sorprendenti, ma lo considero parte di un processo di crescita. Quest’anno non devo arrivare ancora a quel livello, ma devo cercare di migliorarmi e per farlo a volte può esserci anche l’inconveniente di non vincere. Il problema è che ormai si è creata l’aspettativa, quindi se non vinco, la gente si interroga. Noi invece lo vediamo più razionalmente, come un processo di crescita.

Aspettativa della gente, oppure anche di Marta?

No, bè, anche mia.

Il UAE Tour ha fatto capire a Cavalli che manca la necessaria brillantezza anche in pianura
Il UAE Tour ha fatto capire a Cavalli che manca la necessaria brillantezza anche in pianura
Che tipo di preparazione stai facendo?

L’attività principale è il dietro motore. Un esercizio di sforzi brevi, ma intensi. Un’intensità non troppo protratta nel tempo, quindi più volate, allunghi, accelerazioni. Anche se non lo abbiamo ancora definito, stavo pensando anche a fare qualche passaggio in pista. 

Hai seguito la Strade Bianche?

Ho visto la replica quando sono rientrata, perché prima ero fuori in bici. E’ uscita una bella corsa. Quando ho visto Vollering e Kopecky, inizialmente pensavo che dall’ammiraglia gli avessero comunicato di giocarsela. E così è stato, ma inizialmente sembrava che non fossero proprio contente l’una dell’altra. Riguardando i video, si vede che comunque appena dopo l’arrivo si sorridono. Quindi credo che sia emersa forse più la stanchezza di una gara dura, rispetto all’emozione di aver fatto prima e seconda. Avremo comunque l’occasione nelle prossime settimane e nelle prossime gare, di vedere se fra loro c’è della ruggine, per poterne magari approfittare.

L’Het Nieuwsblad è stato l’ultima corsa finora di Marta Cavalli e si è conclusa con il ritiro
L’Het Nieuwsblad è stato l’ultima corsa finora di Marta Cavalli e si è conclusa con il ritiro
Cosa ti è parso di Van Vleuten che non è riuscita a rispondere?

Credo che sia frutto di una preparazione. Ora come ora, il livello è cresciuto tantissimo rispetto agli ultimi due anni. Ora il gruppo di atlete che possono giocarsi le gare è molto più ampio. Sono tante quelle che riescono ad arrivare brillanti nei momenti chiave. E se lei ora è in preparazione per le Ardenne, non essendo già al 100 per cento, non è più una bomba come al solito. Una volta il suo 90 per cento le bastava per fare la differenza, ora non è più così. Sa di non avere ulteriori margini di miglioramento. E avendo deciso di ritirarsi a fine anno, avrà concentrato i suoi sforzi sugli obiettivi che vuole davvero centrare.

Nuove S-Phyre RC903, con i feedback di Marta Cavalli

16.02.2023
6 min
Salva

L’ultima versione delle calzature Shimano S-Phyre RC903 mantiene il design distintivo di questo “progetto scarpa”. L’accostamento con i modelli precedenti è possibile, ma i cambiamenti non sono pochi.

Per dare ancora maggiore valore alla nostra prova abbiamo chiesto anche un feedback a Marta Cavalli. L’atleta lombarda indossa le Shimano S-Phyre dalla stagione passata ed è migrata dal modello RC902 al 903 che è soggetto della nostra prova.

Marta Cavalli indossa la versione rinnovata delle scarpe Shimano
Marta Cavalli indossa la versione rinnovata delle scarpe Shimano
Cosa è cambiato, in termini di calzata, dalla versione precedente a quest’ultima?

Uso la nuova versione delle scarpe Shimano da circa un mese. Rispetto alle S-Phyre della generazione precedente, questa è più fasciante ed avvolgente al tempo stesso e soddisfa appieno le mie esigenze. Ho una pianta del piede molto stretta e un piede magro, di conseguenza ho necessità di avere una calzatura che deve essere riempita facilmente. Inoltre la 903 mi permette, ancora di più rispetto alla RC902, di avere sempre la stessa posizione del piede e il medesimo punto di spinta.

Quindi la nuova Shimano S-Phyre ti contiene il piede in modo migliore?

Sì esatto, perché la tomaia reagisce in modo maggiore quando si chiudono i Boa e si tirano i cavi. L’azione fasciante è più uniforme e ha un’elasticità notevole. .

Come sempre il rotore è facile da far girare anche quando si pedala
Come sempre il rotore è facile da far girare anche quando si pedala
Utilizzi un plantare personalizzato?

No, uso la soletta della scarpa, quella che si customizza con il riempimento dell’arco plantare. Utilizzo l’inserto rosso, perché mi offre un maggiore sostegno e sensazione di rigidità.

Rispetto al passato hai mantenuto lo stesso numero di calzatura, oppure hai fatto dei cambiamenti?

Nessuna variazione.

Un tuo parere: in bici meglio una scarpa più rigida, oppure una più ampia?

Personalmente preferisco una scarpa rigida e così per qualsiasi cosa che riguarda la bici. Onestamente preferisco una maggiore rigidità e reattività a discapito del comfort.

Cosa è cambiato

Partendo dalla suola della Shimano S-Phyre RC903, cambia la finitura del carbonio nel punto di ancoraggio della tacchetta. E’ sempre in carbonio a vista, ma non ha più l’intreccio 1K. C’è l’ampia asola di scorrimento della tacchetta, che è quasi 2 centimetri, una delle maggiori che il mercato offre. E’ un grande vantaggio che si riflette proprio sul posizionamento sul pedale.

Cambia quasi completamente la tomaia, esternamente e anche internamente. Osservandola dall’esterno è sempre più un blocco unico, con una sola termosaldatura che unisce la sezione frontale a quella mediana e nessuna cucitura. E’ scomparsa anche quella che era presente sulla S-Phyre RC902 nella zona interna/posteriore, vicino alla coppa del tallone.

All’interno si percepisce lo spessore ridottissimo e, sempre facendo un confronto con il modello più anziano, è più omogenea e sembra rifinita in Alcantara. Nella zona del tallone sono stati asportati i due inserti grippanti, ma è stato mantenuto il cuscinetto che avvolge e trattiene il tallone.

Sono aumentati i fori, come numero e anche per la superficie che coprono. Appaiono come uno sciame, che parte dalla sezione mediana esterna, fino ad arrivare a quella interna, passando dalla punta. Hanno diametri differenziati.

La talloniera esterna della nuova versione è stata smagrita ed meno spigolosa. Non cambia però la percezione di un comparto che offre tanto sostegno, anche per chi pedala molto in fuori sella, anche per chi ama rilanciare in continuazione la bici.

Più comfort in punta

Non ci sono più i due ponticelli in materiale plastico. Si è preferito aumentare il comfort in punta, soggetta ad accumuli di sudore e alla tanta soggettività derivata dalla forma delle dita. E’ stata aggiunta una finestra in tessuto mesh (già presente sulla primissima versione), traspirante e che non influisce negativamente sul sostegno della tomaia.

Sulla S-Phyre RC903 ci sono degli occhielli in tessuto, che accompagnano il cavo e non comprimono in modo esagerato la tomaia verso il basso. Per questo motivo si sfrutta un volume in interno diverso, che sembra maggiore. Anche la parte superiore della linguetta è stata oggetto di modifiche. Il punto di contatto con il muscolo retinacolo è sempre in tessuto, ma più compatto rispetto alla soluzione adottata in precedenza.

In piedi sui pedali, nessuna flessione
In piedi sui pedali, nessuna flessione

Il nostro test

La nuova Shimano S-Phyre RC903 è più comoda, una comodità che arriva principalmente dalla sezione superiore e perimetrale della tomaia. E’ più morbida e fresca, ma per nulla lasca, anzi. Pur offrendo un sostegno elevato, il tessuto si adatta molto bene alle forme del piede, anche grazie al rinnovato sistema d’incrocio dei cavi. Rispetto al passato, la nuova soluzione offre una maggiore e migliore personalizzazione e nella parte interna, quella a contatto delle dita, dove sono stati azzerati i rischi di contatto tra il materiale plastico ed il piede. Il comfort ne guadagna.

La suola e tutta la zona del tallone sono un esempio di rigidità e di supporto alle varie azioni della pedalata. Davanti e nella parte mediana la suola è granitica e offre una stabilità difficilmente riscontrabile in altri prodotti di pari categoria. Quando ci si alza in piedi sui pedali la rigidità emerge ancora di più, influendo in modo positivo proprio sulle fasi di spinta e rilancio.

Giri femminili da tre settimane? Le azzurre dicono di no

31.01.2023
7 min
Salva

Tre settimane di gare a tappe nel ciclismo femminile? Se ne può fare a meno sia ora che in futuro. Questo è il verdetto espresso da diverse atlete, prendendo spunto da quello che ci aveva detto Van Vleuten. Per l’olandese campionessa del mondo si arriverà certamente a disputare Tour Femmes, Giro Donne o Vuelta su venti giorni come per i maschi, mentre stando alla voce del gruppo al momento il format da dieci giorni sarebbe la soluzione ideale.

A margine dell’argomento c’è anche il tema legato alla crescente lunghezza delle tappe (al Tour ce ne sarà una da 177 chilometri), di alcune classiche o del mondiale. Un conto è l’eccezione, un altro invece sarebbe la regola perché cambierebbero tanti contesti. Andiamo a vedere quindi le motivazioni che hanno addotto Bertizzolo, Cecchini, Longo Borghini, Alzini, Barbieri e Cavalli. Noterete come le sei azzurre si trovino sulla stessa lunghezza d’onda.

Sofia Bertizzolo l’anno scorso ha disputato 58 giorni di gare (foto Heres)
Sofia Bertizzolo l’anno scorso ha disputato 58 giorni di gare (foto Heres)

Dieci giorni per Bertizzolo

«Penso che 10 tappe come succede al Giro – spiega la 25enne vicentina della UAE Team ADQ sia un bel blocco per sviluppare le varie classifiche. Penso alle maglie che possono passare da un’atleta all’altra con un po’ di battaglia. Correre su due weekend, dal venerdì alla domenica della settimana successiva, con in mezzo il giorno di riposo, per me è la formula migliore.

«Bisogna considerare poi che noi ragazze corriamo in 6 mentre gli uomini in 8, quindi sarebbe più difficile gestire tutto. Nel 2018 avevo corso il Giro con quattro persone dello staff, l’anno scorso ce ne erano dodici. Per dire come fisiologicamente sia cambiato tutto in poco tempo».

«Sono d’accordo col concetto di Marta (Cavalli, ndr) – termina Bertizzolo – che ha detto di non copiare gli uomini. Non credo che il nostro movimento ci arriverà o che ne abbia bisogno. C’è anche l’aspetto televisivo.

«E’ vero che ora nel ciclismo maschile fenomeni assoluti come Pogacar, Van Aert o Van der Poel possono attaccare molto lontano dal traguardo, però lo spettatore medio guarda il ciclismo solo nel finale. E comunque il nostro è un modo di correre diverso dal loro. Teniamoci quindi le nostre gare come sono ora e la qualità che sappiamo esprimere in quei 130/150 chilometri».

Elena Cecchini è alla terza stagione con la SD-Worx con cui finora ha disputato 101 gare (foto Getty Sport)
Elena Cecchini è alla terza stagione con la SD-Worx con cui finora ha disputato 101 gare (foto Getty Sport)

Calendario fitto per Cecchini

«Il nostro calendario – commenta Elena Cecchini, classe ’92 della SD Worx dopo un lungo allenamento nei dintorni di Montecarlo – sta diventando sempre più fitto e sarebbe complicato gestire gare con una durata maggiore di quelle attuali. Penso alle atlete che dovrebbero raddoppiare. Uguale lo staff in ogni figura con, chiaramente, un impegno maggiore a livello economico da parte della squadra.

«Penso alla preparazione che già adesso è estremizzata. Agli organizzatori che andrebbero ulteriormente in difficoltà. Su VeloViewer, la piattaforma di Strava su cui noi guardiamo i dettagli come direzione del vento, curve, fondo stradale e altro, spesso non troviamo caricate in tempo utile le tracce gpx delle gare. Figurarsi con altre tappe in più».

«Magari – finisce Cecchini – avremo una gara a tappe da tre settimane, ma dovrebbero cambiare tante cose. Anch’io penso all’aspetto mediatico. Con noi appena ti colleghi sai che vedrai una bella gara. Ecco, magari mi piacerebbe vedere una Milano-Sanremo per donne. Non lunga come gli uomini, ma di 200 chilometri. Una gara che restasse unica nel calendario. Per il resto penso che corse di massimo quattro ore siano già più che sufficienti».

Elisa Longo Borghini nel 2022 ha corso Giro Donne, Tour, Vuelta e mondiale
Elisa Longo Borghini nel 2022 ha corso Giro Donne, Tour, Vuelta e mondiale

Le nuove classiche di Longo Borghini

«Personalmente penso che a livello fisico – ci dice la trentunenne scalatrice della Trek-Segafredo dal ritiro in altura sul Teide – saremmo in grado di sopportare tre settimane di gara, ma il nostro movimento non è ancora pronto. Adesso il ciclismo femminile è in una fase in cui le ragazze giovani stanno crescendo e gli investimenti stanno dando i loro frutti. Non dobbiamo bruciare le tappe di questo processo.

«La peculiarità del ciclismo femminile è essere scoppiettante. Avere una media di 120 chilometri sarebbe il massimo per vedere dello spettacolo. Aumentare la distanza e i giorni significherebbe sostenere allenamenti adeguati. Far incastrare tutto sarebbe assai complicato».

«Anche se non tocca a me dirlo – conclude Longo Borghini – andrebbe fatta un’analisi strategica di mercato e capire se ne valga la pena avere gare da tre settimane o corse con chilometraggi maggiori. Magari l’interesse potrebbe calare. Piuttosto proverei ad organizzare quelle classiche che mancano al nostro programma. Sapete il mio desiderio di vedere il Giro di Lombardia femminile. Sarebbe la gara dei miei sogni. E anch’io vedrei bene la Sanremo per noi, con tutte le proporzioni del caso».

Martina Alzini nel 2022 ha disputato sia Giro Donne che Tour Femmes ed altre gare a tappe
Martina Alzini nel 2022 ha disputato sia Giro Donne che Tour Femmes ed altre gare a tappe

Alzini e la spettacolarità

«Forse – racconta la 25enne della Cofidispotrebbe essere un discorso generazionale considerando il pensiero di Van Vleuten e il parere di Luperini che propone gare a tappe di due settimane come ai suoi tempi. Io sono d’accordo con Marta quando dice di non scimmiottare gli uomini. Il ciclismo femminile è esaltante così com’è al giorno d’oggi. Anzi, mi sento di dire che la lunghezza di certe corse del WorldTour sia già al limite perché si rischierebbe di cadere nel noioso.

«Ritengo – chiude Alzini – che il pensiero generale sia questo. Se negli ultimi anni è aumentato il numero degli appassionati alle nostre gare è perché le abbiamo rese più spettacolari con azioni e tattiche ben definite. Oppure come i treni ben organizzati nelle volate. Noi ragazze ci stiamo impegnando tanto affinché il ciclismo femminile risulti interessante con il livello che c’è adesso. Che è alto e già particolarmente faticoso per mantenerlo tale».

Prime volte. Rachele Barbieri nel 2022 ha fatto il suo primo Giro Donne, poi ha corso anche il Tour
Prime volte. Rachele Barbieri nel 2022 ha fatto il suo primo Giro Donne, poi ha corso anche il Tour

Nessun cambiamento per Barbieri

«Forse sarò di parte – risponde al telefono dalla Catalogna la velocista della Liv Racing TeqFind – ma non amo fare troppi chilometri in bicicletta (sorride, ndr). Penso che dieci giorni o al massimo due settimane siano già un buon periodo per le gare a tappe. Andare oltre sarebbe esagerato. Così come penso che 130-140 chilometri siano già abbastanza per noi, visto che ci guardiamo poco in faccia».

«La gente – completa il suo pensiero Barbieri – si sta appassionando alle nostre gare e non dobbiamo stravolgere ancora. Credo che il pensiero di Annemiek sia molto singolare. Lei ha dimostrato che può fare la differenza in gare più corte e con pochissime tappe. E’ vero quello che dicono le mie colleghe. Il calendario è pieno, si allungherebbero alcuni momenti delicati come i massaggi. Servirebbero tante atlete in più. A livello economico non lo vedo sostenibile. Il nostro ciclismo ha fatto enormi progressi in poco tempo. Non dobbiamo farlo implodere su se stesso».

Marta Cavalli predilige le gare a tappe. Nel 2022 è arrivata seconda al Giro Donne (foto Aymeric Lassak)
Marta Cavalli predilige le gare a tappe. Nel 2022 è arrivata seconda al Giro Donne (foto Aymeric Lassak)

Più tappe per Cavalli

«Secondo me – spiega la 24enne cremonese in ritiro a Calpe con la sua Fdj-Suezsi arriverà ad aumentare il numero delle tappe perché il livello del ciclismo femminile si alzerà sempre di più. Pertanto sarà sempre più necessario avere più gare ed una preparazione sempre più importante per permettere alle atlete di emergere. Tuttavia non penso che avremo gare a tappe da tre settimane, che sarebbero troppe».

«Anche le tappe che hanno allungato il proprio chilometraggio – conclude il concetto Cavalli – sono cadute nell’immobilismo iniziale. Succede come negli uomini dove si fa una fase di studio molto più prolungata e poi la corsa esplode sempre più vicino al traguardo. Da una parte è un bene perché permette alle atlete più resistenti di emergere, ma contemporaneamente chi non ha queste doti è portata a risparmiare più energie possibili. Quindi la gara si ovatta senza nulla di eclatante. Quando più atlete saranno allo stesso livello su percorsi brevi, si andrà per forza su tracciati più lunghi».

Cavalli, la forza in palestra alla scuola di “Gazzo”

16.11.2022
9 min
Salva

“Gazzo” la osserva da lontano e qualche volta annuisce. Marta Cavalli lavora allo squat con movimenti rapidi. La gamba sottile risponde con dei guizzi. Siamo al centro Kinesis, di cui abbiamo accennato anche ieri, raccontando l’incontro con Marta. Questa volta però entriamo più nello specifico dell’allenamento, parlando con il suo coach. La forza in palestra per uno scalatore. Il discorso è ampio, la mattinata grigia aiuta. “Gazzo”, al secolo Mattia Gazzoni, è la guida ideale.

«Con Marta – dice Gazzo – lavoro da circa tre anni. Siamo partiti con una programmazione non mirata, perché power lifting, quindi il bilanciere, e il ciclismo sono completamente diversi. Quindi bisogna capire qual è l’obiettivo e capire l’atleta. Marta comunque è sempre sul pezzo, quindi non è stato difficile farle capire che il bilanciere poteva aiutarla nel migliorare le prestazioni in bicicletta. Abbiamo messo insieme una programmazione in cui nella off season cerchiamo di spingere il più possibile per incrementare la forza massima. Per andare poi a trasformarla nel periodo in cui ripartirà in bicicletta».

La palestra le piace e Gazzo conferma: Marta Cavalli è fra i pochi atleti del gruppo che è contenta di lavorare al chiuso
La palestra le piace e Gazzo conferma: Marta è fra i pochi atleti del gruppo che è contenta di lavorare al chiuso
Cosa cambia quando arriva la bici?

Si abbassa il volume di lavoro e si cerca di renderla il più performante possibile anche in sella. Non la vedo negli allenamenti, non ho un feedback da parte del preparatore. Il tramite è lei. Si cerca di fare il meglio possibile.

Su cosa lavora quando è qui?

Sicuramente la conoscete, quindi probabilmente saprete anche di tutte le problematiche che può avere un’atleta professionista nella sua carriera. Lei ha avuto problematiche di peso, problematiche fisiche, incidenti, quindi diciamo che è partita con esercizi che fanno incrementare la forza nelle gambe e migliorare la postura sulla parte superiore. Adesso invece piano piano stiamo anche cominciando a lavorare sulla parte alta. Ovviamente quello non è il suo focus.

Quali esercizi fa per la parte superiore?

Per la maggior parte esercizi posturali. Ha un po’ di cifosi, quindi niente lavoro invasivo all’addome. Si va a fare una preparazione funzionale allo svolgimento delle gare.

Questo significa che hai dovuto studiare il gesto della pedalata?

Esatto. Abbiamo cercato di correggere un problema di lateralità che hanno tutti gli atleti e si vede molto soprattutto nella pedalata. Quindi lavoro su adduttori e abduttori. Vado a vedere quali sono i muscoli agonisti e antagonisti che lavorano di più. Ovviamente il ciclismo è uno sport che crea un sacco di divario tra agonisti e antagonisti, soprattutto nella parte bassa. Quindi diciamo che è solo una questione di obiettivo. Ci sarebbero un sacco di cose da fare. Per ora abbiamo estratto dal cilindro quelle giuste, in futuro vedremo…

Cosa potrebbe cambiare?

Secondo me capiremo alla fine della prossima stagione. In quella appena passata, nonostante gli infortuni, Marta ha comunque avuto un incremento. Nel 2023 l’obiettivo, secondo il mio punto di vista, è ripetersi. E’ difficilissimo, ma lei c’è. Anche con il bilanciere, negli ultimi tre anni l’incremento si è visto. La tengo monitorata, abbiamo delle tabelle e dei grafici che mantengono ben visibili i carichi: i momenti dove ha caricato di più, quelli dove abbiamo scaricato e quali carichi utilizzava… . E abbiamo visto che comunque siamo andati verso la super compensazione, che era quello che ci interessava.

Partiamo dall’inizio: Marta arriva e fa il suo riscaldamento.

Sempre, esatto. Ha la prima parte in cui fa attivazione di mobilità. Gli esercizi sono una routine che ti fa entrare nella tua comfort zone, prima di andare al bilanciere e spingere. Poi passa alla sessione di pesistica e poi sempre lo stretching di routine, con tutti gli esercizi di respirazione, eccetera. Quindi è proprio un allenamento fatto e finito e non replicabile su un’altra persona. Adesso è diventata autosufficiente anche in quello. Le prime volte era da seguire, invece adesso è molto autonoma durante gli allenamenti.

Marta racconta che fa meno lavori di forza in bici, perché li fa in palestra.

Non ci sono degli studi che dimostrino l’efficacia della trasformazione in bici del lavoro svolto in palestra. Però se fai il mio lavoro, sai benissimo che puoi caricare nel modo corretto e gestire la parte di alzata che ti interessa, magari nello squat sfruttando solo la fase più alta. In bicicletta i movimenti dell’anca e del ginocchio non sono così estremi. Quindi se non ti interessa che l’atleta faccia lo squat da gara, ma vuole semplicemente migliorare nel suo range di movimento, riesci anche a capire se la trasformazione funziona in bicicletta. Stesso discorso per la parte superiore. Marta non fa la panca piana, perché l’obiettivo non è fare sollevamento. Però fa tutto per quanto riguarda lo stacco, cioè il lavoro di agonisti e antagonisti, flessori, quadricipiti…

Questo significa che anche Gazzo ha dovuto documentarsi sul ciclismo?

So benissimo che il numero di giorni che sta sulla bici durante l’anno sono talmente tanti che non puoi permetterti di sbagliare e caricare troppo col bilanciere. Devi lavorare con un carico che ti permetta di stimolare l’incremento della forza, senza stressare il corpo.

La palestra rimane anche durante la stagione, in che modo?

Visto che non si allena sempre con la squadra, riesce anche a gestirsi con la palestra. Quindi viene qua, oppure ne ha una piccola in casa e io la seguo anche in quello. Lavorando con carichi non massimali, riesce a gestirsi bene da sola. Gli allenamenti durante l’anno non sono sempre fissi. Si fanno in base alle gare, agli allenamenti, ai ritiri con la squadra, se poi ci sarà la nazionale di nuovo… Insomma, bisogna definire bene gli obiettivi, perché non ne ha solo uno e vedere quali sono le gare cui punta davvero.

Quindi la palestra segue il calendario gare?

Per forza, non puoi dare un programma fine a se stesso. Devi valutare il lavoro. Quanto stress le ha portato? In base a questo, devi essere in grado di dosare i volumi, perché l’obiettivo è sempre quello di salire in bicicletta e spingere. E poi si valutano i punti di forza, anche in base al peso corporeo, e cercare di migliorare. Magari serve mettere un po’ di massa magra o magari un po’ di forza in più per la volata o altro in cui magari è carente.

Ti capita mai di seguirla in allenamento?

No, però ogni tanto quando esce da sola le chiedo il wattaggio, che tipologia di sforzi sta facendo, che ripetute fa, quanti chilometri fa, con che dislivello, a che livello di fatica. Mi serve solo per capire quanto rendere stressante, stimolante o rigenerante il prossimo allenamento di pesistica.

Parliamo di te, adesso. Chi sei?

Sono Mattia Gazzoni, detto Gazzo, e ho 32 anni. Ho aperto questa palestra quattro anni fa con il mio socio Andrea Loda e abbiamo cercato di darle l’impronta che volevamo. Abbiamo studiato entrambi Scienze Motorie e abbiamo cercato di improntarla sulle preparazioni atletiche di qualsiasi genere. Sono di Castellone e ho giocato a basket fino ai vent’anni, poi dopo quattro interventi alle ginocchia, ho capito di dover smettere. Ho continuato come preparatore e invece ora seguiamo la pallavolo nel nostro paese. Io una squadra femminile, il mio socio la maschile con ottimi risultati. Marta però è il nostro fiore all’occhiello, un’atleta con la maiuscola.

Un giro d’autunno nel mondo di Marta

15.11.2022
7 min
Salva

Castelleone si trova a 8 chilometri da San Bassano, dove vive Marta Cavalli. La giornata è brumosa, ma promette di aprirsi. Le stradine che ci hanno condotto fino alla palestra Kinesis in cui Marta si è allenata stamattina sono simili fra loro e formano un reticolato, da cui non saremmo mai usciti senza navigatore. I nomi riportano indietro alla cronaca recente.

«Codogno è giusto qua dietro – dice mentre guida fino al suo bar preferito – sembrava che fossero gli unici ad avere il Covid, quando in realtà ce l’avevano tutti…».

Sedersi a un tavolo con un caffè davanti è il modo migliore per entrare nel mondo di Marta Cavalli a capo di una stagione per metà portentosa e per metà compromessa dall’assurda caduta del Tour. Le vacanze sono finite. Marta è stata fuori per due weekend col suo compagno: a Londra e a Zurigo. Adesso invece è qui che sorride e racconta. Rilassata, com’è sempre con gli atleti lontani dalle corse. Consapevole di sé. Le vittorie fanno bene perché rendono sicuri. Il quaderno si apre, le domande non mancano.

Marta si allena nella palestra Kinesis del suo coach Mattia Gazzoni e del socio Andrea Loda (a sinistra)
Marta si allena nella palestra Kinesis del suo coach Mattia Gazzoni e del socio Andrea Loda (a sinistra)
Tante vittorie, ti è cambiata la vita?

E’ cambiato soprattutto il modo in cui le persone mi vedono. Quando entro in un bar o al supermercato, si avvicinano e mi chiedono se sia io quella che ha vinto le corse. Non potete immaginare dopo le classiche, mi fermavano per fare le foto.

Questo ti piace o ti disturba?

Non pesa, ci sto facendo l’abitudine. Dopo la caduta del Tour, è stato pesante, perché chiedevano tutti come stessi ed era un continuo girare il coltello nella piaga. E adesso che comincia la stagione delle feste, ho dovuto dire di no a tantissima gente. Non avrei avuto più tempo per me.

Ti sei mai stupita della nuova Marta?

Ho fatto quello che volevo fare: pormi pochi obiettivi, ma buoni. Il traguardo era fare il salto definitivo di provare a vincere e ci sono riuscita. Lo stupore c’è ogni volta che riguardo il finale sul Muro d’Huy. La vittoria dell’Amstel era più nelle mie corde. Certe cose le facevo sempre con mio padre, quando la domenica facevamo il gioco di squadra e io partivo in contropiede. Ma la forza e la lucidità nel finale della Freccia continuo a guardarle a bocca aperta.

Hai parlato di forza e ti abbiamo seguito in palestra: è tutto collegato, no?

In quella palestra mi hanno visto crescere. Mattia Gazzoni, il mio coach, mi spinge e mi sprona. Sono più loro a rendersi conto della mia forza, rispetto a quanto lo capisca io. In palestra sono quella con le braccia secche, mi sento proprio piccola (ride, ndr). Ma faccio quel che serve e mi fido dei loro programmi. Stessa cosa con Flavien Soenen, il mio allenatore nella FDJ-Suez-Futuroscope. Lui ha capito il mio potenziale. Non so se siano stupiti di me, forse dei risultati arrivati così presto. Ma penso che sapessero delle mie potenzialità e aggiustando poche cose, siamo arrivati al sodo.

Anche se 24 anni sono pochi per parlare di limiti raggiunti…

Infatti non saprei dove fissarli. E neppure sappiamo se sarà possibile arrivarci in breve tempo, forse no.

Marta Cavalli lavora in palestra per tutto l’anno: in questa fase in modo più intenso
Marta Cavalli lavora in palestra per tutto l’anno: in questa fase in modo più intenso
Un limite per ora è stata la Van Vleuten, che effetto fa essere stata battuta da lei al Giro d’Italia?

Un orgoglio. L’ho sempre vista come punto di arrivo e quel piazzamento dimostra che sto lavorando nel verso giusto. Il giorno in cui lei ha vinto il mondiale, ero in casa con il casco in testa e la mano sulla maniglia, prima di uscire in allenamento. Ho visto quello che ha fatto e mi sono detta: «Non è possibile!». Quella è stata la gara che più meritava di vincere. Dopo Giro, Tour e Vuelta, avrebbe potuto mollare. Era caduta, aveva il gomito messo male. Eppure ha vinto, dimostrando che ha ancora tanta fame di vittorie.

Poche vacanze e il gusto di stare a casa…

Mi piace stare qui. E’ casa mia. Ci sono le tradizioni, la mia terra. Stare nella natura e nei campi mi riporta ai miei nonni. Mi ricordo la mia infanzia con i cugini, eravamo sempre in campagna. Poi ho visto la mia vita cambiare. Sono stata persino in Nuova Zelanda, dall’altra parte del mondo. Ma essere qui adesso mi fa sentire di essere tornata a casa. Il posto in cui posso davvero rilassarmi.

Van Vleuten ha battuto Marta Cavalli al Giro: è il suo riferimento da sempre
Van Vleuten ha battuto Marta Cavalli al Giro: è il suo riferimento da sempre
Che cosa ti fa sentire davvero a casa?

Mi piace molto la domenica in famiglia. Invitare i parenti. E’ un buon modo per staccare. Non penserei di trasferirmi altrove. E poi c’è una strada che mi piace fare in allenamento, che passa vicino al Santuario del Marzale, che incarna l’argine e questa parte di Pianura Padana.

Pianura, parola magica: dove vai a trovarla la salita?

Quella proprio non c’è. Da ragazzina volevo essere velocista e sarebbe stato il posto perfetto. Adesso carico la bici in macchina e vado verso Piacenza o verso Bergamo.

Piatto preferito?

Ecco, sul fronte della cucina, non sono una da piatti tipici. Hanno sapori troppo particolari. Io sono più per la fetta di torta.

Il Santuario della Beata Vergine del Marzale si trova lungo l’argine del Serio a 15 chilometri da casa Cavalli (foto Cremona Turismo)
Il Santuario del Marzale si trova lungo l’argine del Serio a 15 chilometri da casa Cavalli (foto Cremona Turismo)
Con quale obiettivo si riparte?

Se non fossi caduta al Tour, sarebbe difficile trovare una motivazione nuova. Non credevo che lo avrei mai detto, ma con le vittorie la fame cala. Ti senti arrivato. Invece adesso ho voglia di tornare a correre, per dimostrare di reggere il livello raggiunto nel 2022.

Hai già parlato del calendario 2023?

Abbiamo cominciato a farlo. Loro mi danno spazio perché io scelga, ma sono io a fidarmi più di loro che di me stessa. Sono sicura che i miei tecnici sapranno indicarmi quali sono le corse più adatte per me. Loro mi hanno dato la possibilità di disegnare il mio calendario ideale, io mi fiderò di eventuali modifiche.

Cosa prevede il tuo calendario ideale?

Le classiche, forse la Vuelta che il prossimo anno si corre a maggio, il Giro, il Tour e magari il mondiale ad agosto. A quel punto la stagione sarà praticamente finita. Ci saranno altre corse, ma il vero picco a quel punto ci sarà già stato. Abbiamo un gran bel calendario, ma gli organici delle squadre sono ancora limitati.

La sensazione, guardando il tuo 2022, è che la stagione sia articolata su una serie di blocchi ben definiti. E’ corretto?

E’ così. Si individuano gli obiettivi e si inseriscono in blocchi di corse, in cui sai di dover essere sempre concentrato. Così capita di vincere anche senza avere la condizione migliore, ma sfruttando le situazioni. Poi è molto importante staccare fra un blocco e l’altro, per ritrovare la freschezza. Negli anni scorsi non avevo mai lavorato così. Ora fra un blocco e il successivo, mi trovo a fare anche 5-6 giorni senza bici e invece di perdere, mi ritrovo meglio.

Marta Cavalli e i trofei iconici. A giugno si è portata a casa la pietra miliare del Mont Ventoux (foto Thomas Maheux)
Marta Cavalli e i trofei iconici. A giugno si è portata a casa la pietra miliare del Mont Ventoux (foto Thomas Maheux)
Classiche o Giri?

Mi piacciono di più le classiche. La corsa di un giorno è one-shot, un colpo solo. Deve andare bene tutto e i percorsi delle prove monumento sono bellissimi. In una corsa a tappe puoi rimediare alle situazioni storte. Mi piace la gestione mentale dei Giri. E il Giro d’Italia rimane la mia corsa del cuore, come pure la Strade Bianche.

Si fa un gran parlare delle distanze di gara: saresti per aumentarle?

Secondo me, vanno bene così. I 177 chilometri della quarta tappa del Tour sono troppi. Percepisci la paura di non averne più e la corsa si blocca. Se ci sarà da aumentare, spero lo facciano in modo graduale. Nei nostri 130 chilometri c’è sempre tanto spettacolo. Conosco gente che si è appassionata proprio per questo al ciclismo femminile. E il fatto che in Belgio le classiche siano nello stesso giorno di quelle dei pro’ non è un fatto trascurabile.

Fra poco si riparte, difficile staccarsi da questi posti?

Mentalmente sono predisposta. Cerco di prendere il lato positivo e così fanno tutte le persone accanto a me. E’ lavoro, si va al caldo. Abbiamo imparato a goderci i nostri momenti. E poi dopo il primo ritiro si torna a casa e con le Feste l’aria di famiglia sarà tutta un’altra cosa

Il colpo di frusta e il caso Cavalli: qualcosa da sapere

16.09.2022
4 min
Salva

Una delle grandi assenti dei prossimi mondiali di Wollongong sarà Marta Cavalli (in apertura la foto usata nel post di Instagram per annunciare il forfait ai mondiali). L’atleta della Fdj-Suez-Futuroscope ha subìto un brutto infortunio al Tour de Femmes, diagnosi: colpo di frusta.

Un problema che si è tirata dietro fino ad ora e che l’ha costretta a restare ferma per molto tempo. Ma di cosa parliamo esattamente? Analizziamo questa tipologia di infortunio con Maurizio Radi, fisioterapista e fondatore del Fisioradi Medical Center

La terribile caduta della Cavalli al Tour de Femmes che ha fatto pensare subito per il peggio (immagini TV)
La terribile caduta della Cavalli al Tour de Femmes che ha fatto pensare subito per il peggio (immagini TV)

Il colpo di frusta

Di questa tipologia di infortunio sappiamo molto poco ed è giusto farci accompagnare alla scoperta di tutte le sue sfumature e complicazioni da qualcuno preparato ed autorevole. La caduta della Cavalli, che ha preoccupato tutti gli addetti ai lavori e non solo, sembrava essersi risolta, ma le cose si sono poi rivelate più complicate del previsto. 

«Il colpo di frusta – spiega Radi – è un trauma al rachide cervicale. Si tratta di una patologia comune quando si ha un impatto o colpo tale da far sobbalzare la resta rapidamente indietro e in avanti. Quando lo si subisce si possono riscontrare numerosi danni: alla colonna cervicale, ai dischi, muscoli, nervi. Addirittura può provocare un’ernia discale o mal di testa perenni e cefalee. La forza che deriva dall’impatto con il terreno crea un trauma molto violento su tutta la struttura.

«La parte maggiormente interessata è tutto il tratto cervicale: dalla prima vertebra alla settima. Dipende tutto dall’entità del colpo, che può essere lieve o molto forte. Addirittura, a causa di questo trauma, il dolore può irradiarsi alle spalle o anche alle braccia».

Il rachide cervicale è una parte della colonna vertebrale, composta da 7 vertebre. Si trova all’altezza del collo (foto Formative Zone)
Il rachide cervicale è una parte della colonna vertebrale, composta da 7 vertebre. Si trova all’altezza del collo (foto Formative Zone)

Nel ciclismo

Dalle prime parole di Maurizio Radi si comprendono le difficoltà che possono nascere da questo infortunio. Ora bisogna trasportare il tutto nel mondo del ciclismo. 

«Nel caso di una caduta in bici, come quella della Cavalli – riprende Radi – le cose si complicano. Oltre alla flessione del rachide cervicale ci può essere anche la rotazione dello stesso. Questo crea un’ulteriore sollecitazione, una volta arrivati in ospedale quello che bisogna escludere, con le dovute analisi, sono le fratture cervicali.

«Nel caso di un impatto violento si potrebbe subire un doppio trauma: oltre al dolore si potrebbe aggiungere una compressione dei nervi nella zona delle spalle e delle braccia. In tal caso diventa difficile tenere in mano la bici e guidarla ad alte velocità. Altre conseguenze di un forte trauma sono le vertigini, alle quali si potrebbe aggiungere una ridotta mobilità del collo e muscolare. Insomma, una serie di complicazioni che possono rallentare notevolmente l’attività agonistica».

Il movimento di iperflessione e iperestensione del colpo di frusta può provocare traumi estesi (foto The Wom Healthy)
L’iperflessione e iperestensione del colpo di frusta può provocare traumi estesi (foto The Wom Healthy)

Il recupero

Con le dovute cautele inizia la fase di recupero. Un primo passo per riprendere totalmente l’attività agonistica è la fisioterapia. 

«Il recupero, non mi stancherò mai di dirlo, inizia dopo gli accertamenti – riprende Radi – questi sono: radiografia, risonanza magnetica e tac, per escludere traumi o fratture importanti. Nei primi giorni il paziente viene immobilizzato con un collare, una volta accertati dell’assenza di fratture può essere tranquillamente tolto. Solitamente la cura parte con un trattamento fisioterapico, associato ad uno farmacologico, dove generalmente al paziente vengono dati degli anti infiammatori.

«Si lavora insieme ad un fisioterapista o un osteopata per cercare di togliere le rigidità muscolari e ridare mobilità al tratto cervicale per recuperare il movimento. Si procede con della massoterapia, terapia neurofasciale, laser o tecar».

«Una delle parti da non sottovalutare è la colonna, spesso ci sono scompensi anche a livello dorsale o lombare. Infine, si conclude con esercizi di ginnastica posturale e rieducativa per ricreare elasticità e tonicità a tutto il gruppo muscolare di sostegno. E’ buona cosa, ma non obbligatorio, far riprendere l’attività su dei rulli, per evitare le sollecitazioni della strada.

«Se l’atleta recupera bene dal trauma, senza aver subìto fratture importanti, può ritornare benissimo all’attività agonistica di alto livello. Tutto questo bisogna farlo con i giusti tempi».

Cavalli, le ragioni della scelta: meglio sorridere e ripartire

07.09.2022
5 min
Salva

Un post di poche righe, metà in italiano e metà in inglese, per dire che al mondiale non ci sarà. Così Marta Cavalli – vincitrice quest’anno dell’Amstel, della Freccia Vallone e del Mont Ventoux – ha chiuso la porta sulla sfida di Wollongong, con parole che devono esserle costate veramente tanto. Anche perché la caduta che l’ha messa fuori combattimento e la traiettoria dell’australiana Nicole Frain che l’ha provocata continuano a non trovare una spiegazione accettabile.

Colpo di frusta

Ci eravamo sentiti quando tutto sembrava essersi incanalato nella giusta direzione, invece le cose si sono inceppate nuovamente. E davanti all’evidenza e al rischio di compromettere la ripresa, Marta ha alzato bandiera bianca.

«Clinicamente sono a posto – dice – ma in bici ho delle difficoltà quando inizio a ricercare l’alta intensità. Nella caduta ho riportato un colpo di frusta che ancora adesso mi impedisce di stare bene dopo tante ore di sella. Ho aspettato sino all’ultimo, ma già da qualche giorno mi rendevo conto che il tempo era sempre meno e le cose da fare sempre quelle. So cosa e quanto mi serve per andare in forma. E non avrebbe avuto senso azzardare tanto, andare laggiù e stare via per due settimane, senza riuscire ad essere pronta».

Seconda al Giro, in salita è stata la sola in grado di impensierire Van Vleuten
Seconda al Giro, in salita è stata la sola in grado di impensierire Van Vleuten
Quanto è stato duro scrivere quel messaggio?

Potevo andare al mondiale con ambizioni vere, quindi è costato parecchio. Non avrei mai pensato che i problemi della caduta si sarebbero protratti tanto a lungo. Da un primo controllo sembrava tutto a posto, poi quando siamo ripartiti, sono venuti fuori dei disturbi che ho tutt’ora. Sto lavorando in palestra per la mobilità, vedo fisioterapisti e osteopati. Sto migliorando, ma non abbastanza.

Sei stata a casa in questa fase o con la squadra?

Dopo la caduta, sono rimasta per 16 giorni senza toccare la bici e ne ho approfittato per andare quattro giorni al mare. Per la prima volta da quando corro in bici, sono riuscita a fare il mare d’estate come il resto del mondo. Poi sono andata in altura, ma non potendomi allenare sul serio, è stato il pretesto per prendere un po’ di aria fresca.

Le vittorie di primavera hanno reso Marta Cavalli una delle atlete più popolari. Il bimbo è uno dei nipoti di Elisa Longo Borghini
Le vittorie di primavera hanno reso Marta Cavalli una delle atlete più popolari. Il bimbo è uno dei nipoti di Elisa Longo Borghini
Più che altro, la preoccupazione riguarda la salute, giusto?

Infatti se da un lato mi dispiace per il mondiale, dall’altro sono contenta di avere il tempo giusto per guarire. Il consiglio dei medici è stato quello di ascoltare il mio corpo e di andare gradualmente. Tante volte per la fretta si rischia di compromettere salute e carriera. Così adesso riparto e punto a fare due corse di qui a fine stagione. Per fortuna ho già ottenuto i miei obiettivi. Se fossero stati tutti nella seconda parte di stagione, sarei stata fritta.

In pratica si tratta di ripartire da zero?

Più o meno, sì. Anche quando stacco d’inverno, non sto mai così tanto tempo senza muovermi, qualcosa faccio sempre. Perciò ora si tratta di fare allenamenti tranquilli e ricostruire la base, puntando sull’endurance in attesa di migliorare del tutto. Farò dei test per valutare la sopportazione della fatica. Con il mio preparatore facciamo aggiornamenti quotidiani. Sarà importante correre a ottobre, per non arrivare alla nuova stagione dopo cinque mesi senza gare.

Una bici e i cerchi olimpici dopo Tokyo: il ciclismo è la passione più grande
Una bici e i cerchi olimpici dopo Tokyo: il ciclismo è la passione più grande
Hai già un’idea di programma per il 2023?

Non ancora, ma ne parleremo a breve. Non credo di partire dall’Australia, ma con il mondiale anticipato ad agosto, si dovrà capire bene come fare con Giro e Tour (i mondiali 2023 si terranno a Glasgow dal 3 al 13 agosto e saranno una sorta di Olimpiade del ciclismo, ndr). Dovremo fare delle scelte.

Guarderai il mondiale in tivù?

Certo che sì, anzi mi stavo già organizzando per capire come fare con il fuso orario. Il mondiale è una delle corse che non puoi perdere.

Paolo Sangalli è stato vicino a Marta Cavalli nel prendere la difficile decisione
Paolo Sangalli è stato vicino a Marta Cavalli nel prendere la difficile decisione
Quando l’hai detto al cittì Sangalli?

Con Paolo c’è stato un contatto quasi quotidiano, la decisione l’abbiamo presa insieme. Anzi, il suo consiglio è stato decisivo. Mi ha detto che secondo lui la strada migliore fosse proprio questa, che gli dispiaceva, ma era giusto per me. L’abbiamo maturata con tutto il mio entourage, ma Paolo mi ha tolto la pressione che avrei avuto a prendere la decisione da sola. Mi ha rincuorato. Devo dire che si è creato attorno l’ambiente giusto, di persone sensibili, che mi hanno dato la serenità per fare la scelta giusta.

Van Vleuten, selfie in giallo. E’ doppietta Giro-Tour

31.07.2022
6 min
Salva

Il suo album si arricchisce di un’altra immagine da incorniciare. La sua bacheca si allarga per fare spazio ad un nuovo trofeo. E diventa infinita la lista degli aggettivi per descriverla. Annemiek Van Vleuten domina anche a La Super Planche des Belles Filles trionfando in maglia gialla nella ottava ed ultima tappa del Tour Femmes.

Sulle tremende rampe al ventiquattro per cento della montagna dei Vosgi, la trentanovenne olandese precede di 30” la sua connazionale Vollering (seconda nella generale) e di 1’43” una sempre più sorprendente Persico (quinta in classifica) che a sua volta anticipa di qualche metro Niewiadoma, terza sul podio finale. Sesta al traguardo (e nella generale) Longo Borghini.

Con la conquista del Tour Femmes la leader della Movistar entra definitivamente nella leggenda del ciclismo femminile. E’ la quarta atleta a completare l’accoppiata col Giro d’Italia Donne (vinto lo scorso 10 luglio) nella stessa stagione. Ma attenzione, potrebbe non essere finita qua. Dal 7 all’11 settembre è in programma in Spagna la Challenge by La Vuelta e la tripla corona è nel suo mirino.

La supremazia oranje è stata piuttosto marcata. Oltre ai sei successi di tappa, due a testa per Wiebes, Vos e Van Vleuten, anche tutte le altre classifiche di specialità sono andate alle olandesi. A Vollering la maglia a pois, a Vos quella verde e a Van Anrooij la bianca.

Marta Cavalli, uscita troppo presto dalla contesa per una brutta caduta, avrebbe potuto contrastare questo predominio, quanto meno per la generale? Sappiamo benissimo che con i se e con i ma non si fa la storia, però abbiamo voluto sentire le impressioni di chi all’ultimo Giro ha provato a far saltare il banco.

Partiamo dalle tue condizioni, Marta. Come stai?

Non ci sono particolari novità rispetto a quello che si sa già. Tutto procede normalmente, mi sento meglio fisicamente anche se non sono super. Moralmente sto meglio. Inizialmente ero arrabbiata per aver abbandonato. Poi considerando la caduta, a distanza di giorni vedo il bicchiere mezzo pieno. E’ andata bene che non mi sia rotta nulla. Al momento non sono ancora risalita in bici e non so quando lo farò. Nei prossimi giorni però farò altre visite di controllo e capirò meglio i tempi di recupero. Sono motivata, punto a rientrare per il finale di stagione.

Purtroppo ti sei trovata a guardare il Tour da casa. La corsa è andata come te la saresti aspettata?

Naturalmente l’ho seguito ma non vi so dire dove e come mi sarei vista. Troppo difficile da prevedere. Rispetto alla tappa di ieri e a quella di oggi posso dire che sono andate come dovevano andare. Forse sarei stata lì ma la mia caduta ha condizionato un po’ di cose.

Spiegati meglio…

Ora io sono dovuta tornare a casa e ancora mi spiace davvero tanto non esserci stata. Però se io avessi continuato dopo quella botta, come avrei corso, come avrebbe corso la mia squadra? Saremmo stati condizionati. E forse la mia squadra di fatto lo è stata davvero. Forse la mia caduta ha condizionato anche tattiche di squadre e personali. Credo che rimarrà un punto interrogativo di questo Tour.

Silvia Persico e Elisa Longo Borghini, rispettivamente quinta e sesta della generale al Tour Femmes
Elisa Longo Borghini e Silvia, rispettivamente sesta e quinta della generale
Il tuo team ha saputo riprendersi molto bene dopo il tuo ritiro.

Devo dire che hanno corso bene. Vi posso dire che le mie compagne alla sera sul pullman sono rimaste scioccate rivedendo la mia caduta. Una botta che mette i brividi e loro non erano molto convinte di ributtarsi nella mischia il giorno dopo. Quando perdi una atleta in quel modo, tanto più se è una delle due capitane, non è facile pensare alla corsa. So che non è stato semplice per le ragazze e per i nostri tecnici trovare motivazioni. Poi però Cecilie (Ludwig, ndr) ha vinto proprio il giorno dopo ed ha svoltato il suo Tour e quello di tutta la squadra. E sono molto contenta. Anche se dovessimo finire qui la stagione saremmo felici e abbiamo tratto grandi indicazioni per l’anno prossimo.

Anche la Guazzini ha fatto un grande Tour.

Per Vittoria sono davvero felice. Sono sempre stata convinta che lei potesse correre all’estero e nel WorldTour. Glielo dicevo sempre. Prima che venisse alla Fdj, le avevo chiarito dei dubbi e l’avevo stimolata ad accettare la proposta. E’ una ragazza tuttofare che va fortissimo, un pozzo senza fondo di forza e generosità. I nostri tecnici le hanno fatto fare una prima parte di stagione conservativa per conoscerla meglio ed ora hanno visto chi è. Mi sento di dire che è una scommessa vinta da me e dal nostro team.

Tu hai combattuto con Van Vleuten al Giro ma lei vince sempre. Come si batte?

A me fa piacere che Annemiek abbia vinto anche in Francia perché è un riferimento per noi che vogliamo batterla. Inoltre la sua vittoria mi fa capire il livello delle altre atlete. Non so se rispetto al Giro fosse più avanti o indietro di condizione, però so che lei anche quando è al top è attaccabile e battibile (la Cavalli ha vinto Amstel e Freccia Vallone staccando la Van Vleuten, ndr). E poi stanno crescendo nuove leve. E ci sono belle scoperte come Persico, che ha dimostrato di andare forte non solo nel ciclocross ma anche su salite lunghe e dure.

Nel 2023 sarà ancora Van Vleuten quella da battere nelle gare a tappe?

Credo proprio di sì. Non penso che farà la sua ultima stagione sottotono. Oggi ha raggiunto 95 vittorie in carriera, se non raggiunge la tripla cifra prima, lo vorrà fare l’anno prossimo. E sarà da tenere d’occhio al mondiale, che è duro. Secondo me non le dispiacerebbe correre il 2023 con la maglia iridata. Anche se noi italiane le daremo filo da torcere.