In occasione dell’edizione 2023 di Eurobike avevamo avuto modo di conoscere Salvatore Botrugno e Paolo Baldissera, due ingegneri piemontesi creatori di Gregario, start-up nata nel 2019, specializzata in consulenza ingegneristica per brand del settore e prodotti personalizzati per ciclisti esigenti. La filosofia alla base di Gregario è la personalizzazione totale, resa possibile da una tecnologia proprietaria unica sul mercato, che consente non solo la creazione su misura di telai e componenti come il manubrio, ma anche l’integrazione perfetta tra tutte le parti del mezzo.
Arriva un premio
Dopo solo sei anni dalla sua nascita, ecco arrivare per Gregario un premio di assoluto prestigio. Si tratta del titolo di “Best New Builder” ricevuto durante la fiera Bespoked 2025, svoltasi in Germania dal 10 al 12 ottobre presso il Dresden International Airport.
L’evento, considerato la più importante rassegna europea dedicata al mondo delle bici artigianali, celebra ogni anno l’innovazione e la maestria nel design e nella costruzione di biciclette uniche. Con decine di costruttori indipendenti provenienti da tutto il mondo, la selezione dei vincitori è stata affidata a una giuria di esperti del settore, che ha assegnato a Gregario il riconoscimento come miglior nuovo costruttore.
Il brand Gregario ha ricevuto il premio Best New Builder” durante la fiera Bespoked 2025Il brand Gregario ha ricevuto il premio Best New Builder” durante la fiera Bespoked 2025
Gregario VERA AR
A Bespoked Gregario ha presentato il modello VERA AR, frutto di tre anni di studi e ricerche che hanno portato alla creazione di un vero telaio monoscocca integrale, realizzabile su misura. Un “su misura” totale: il telaio viene progettato attorno ai punti di contatto tra ciclista e bici, personalizzabile al millimetro in angoli e lunghezze. Anche il cockpit è realizzato su misura, includendo manubrio e attacco, regolabili per angolo, lunghezza e altezza. Un’esperienza unica, che il consumatore può seguire passo per passo, a partire dal sizing, cioè la definizione delle dimensioni del telaio in base ai parametri biomeccanici del ciclista. Questa può avvenire sia in collaborazione con il bike fitter di fiducia del cliente, sia da remoto tramite la web app Digital Sizing by Gregario.
Stampo a geometria variabile
Uno degli elementi che ha attirato l’attenzione della giuria di Bespoked è la tecnologia proprietaria sviluppata da Gregario: uno stampo a geometria variabile, brevettato, che consente di realizzare un vero monoscocca senza giunzioni né compromessi e, soprattutto, senza dover produrre nuovi stampi per ogni misura. Questo approccio rivoluziona il processo produttivo tradizionale di un telaio da bici in carbonio, permettendo: una personalizzazione completa del telaio in base a posizione e stile di guida del ciclista; una riduzione degli scarti industriali e quindi un minore impatto ambientale; una qualità strutturale costante data, anche, dall’assenza di giunzioni.
Questo il modello VERA AR di Gregario, la sua particolarità? Uno stampo a geometria variabileQuesto il modello VERA AR di Gregario, la sua particolarità? Uno stampo a geometria variabile
Parla Gregario
Lasciamo giustamente la chiusura ai fondatori di Gregario.
«Ricevere il premio Best New Builder al Bespoked è per noi un onore immenso», hanno commentato Botrugno e Baldissera. «Abbiamo iniziato con l’obiettivo di unire tecnologia, estetica e su misura in un unico linguaggio costruttivo: un’idea che è diventata un progetto concreto e poi un prodotto riconosciuto. VERA è la dimostrazione che l’innovazione artigianale può arrivare a competere con i migliori costruttori internazionali.”
Evenepoel ha indicato Cattaneo tra i suoi uomini più importanti. Abbiamo commentato le sue parole con Mattia, per farci spiegare il suo salto di qualità
La Vuelta 2025 ha segnato un passaggio importante per Giovanni Aleotti, emiliano classe 1999, in forza alla Red Bull-Bora-hansgrohe, lo squadrone… sempre più squadrone. Reduce dal suo secondo Grande Giro stagionale, Aleotti si è ritrovato al servizio di due capitani: l’australiano Jai Hindley, leader designato per la classifica generale, e il giovane talento italiano Giulio Pellizzari, protagonista con una vittoria di tappa e una top 10 finale, sesto per la precisione.
In Spagna, Aleotti ha affinato il suo ruolo di gregario affidabile, ma non solo. Si è mostrato sì corridore di fatica capace di sacrificarsi per il bene del gruppo, ma quando ha avuto carta bianca si è gettato in fuga senza timori. Certo, lo sguardo al futuro invoca leader ancora più grandi, a cominciare Primoz Roglic e presto Remco Evenepoel.
Nella crono di Valladolid, Aleotti si è impegnato ma non del tutto. Ha risparmiato energie in vista delle frazioni finaliNella crono di Valladolid, Aleotti si è impegnato ma non del tutto. Ha risparmiato energie in vista delle frazioni finali
Le impressioni dalla Vuelta
Giovanni è in pieno recupero post Vuelta. «Ho passato gli ultimi giorni cercando di recuperare il più possibile – racconta Aleotti – La Vuelta è sempre tosta, si arriva alla fine tutti un po’ stanchi. Quest’anno poi era per molti il secondo Grande Giro, ed essendo a fine stagione in gruppo si percepiva tanta fatica generale».
Personalmente ho avuto alti e bassi. Sono arrivato bene, dall’italiano in poi sono stato in altura con la squadra ed ero dove volevo essere. A San Sebastián ho avuto buone sensazioni, alla Vuelta a Burgos ho trovato spazio e un piazzamento nei dieci. Alla Vuelta ho sofferto la prima settimana, più del previsto. Poi nella seconda sono riuscito ad andare un paio di volte in fuga, anche se quest’anno le fughe hanno avuto meno spazio del previsto, visto che degli otto successi della UAE Emirates, sei provengono proprio dalle fughe».
Il bilancio per Aleotti resta dunque positivo. L’obiettivo era sempre supportare la squadra e aiutare i leader.
«Nella terza settimana, con Pellizzari protagonista, ci siamo concentrati su di lui e su Hindley. Che dire: alla fine porto via una buona condizione, che di solito resta nelle gambe dopo un Grande Giro. Adesso il focus è recuperare bene, parlare con il mio allenatore Paolo Artuso e ripartire per la prossima stagione».
Vuelta 2025. Da sinistra: Giulio Pellizzari, Jai Hindley e Giovanni Aleotti. Un bel feeling in squadraVuelta 2025. Da sinistra: Giulio Pellizzari, Jai Hindley e Giovanni Aleotti. Un bel feeling in squadra
Per Hindley e per Pellizzari
Come ha detto anche lui, Giovanni aveva due capitani e certamente non deve essere stato facile dividere compiti e attenzioni. Ma vista la rosa 2026 della Red Bull, sarà qualcosa che accadrà con grande facilità. E infatti ci spiega il suo ruolo.
«Vero, avevamo Jai come capitano numero uno e Giulio con carta bianca. L’obiettivo era fare classifica con Hindley e provare a vincere una tappa. E’ arrivata la vittoria con Pellizzari, il suo primo successo, e vederlo in maglia bianca fino alla terza settimana è stato speciale. Abbiamo lavorato benissimo quel giorno, soprattutto per prendere la salita finale. Io ho svolto un bel lavoro, tanto è vero che me lo hanno detto.
«Una volta terminato il mio compito mi sono messo di passo e ai 3 chilometri dall’arrivo a bordo strada ho visto coach Paolo Artuso e il nutrizionista Giacomo Garabello, gli ho chiesto come stesse andando. Mi sono fermato e mi sono visto dal suo smartphone gli ultimi 500 metri del trionfo di Giulio. Davvero bellissimo, davvero una bella atmosfera c’era quel giorno. E va detto che anche Jay, che lottava per il podio, è stato generoso a concedergli lo spazio».
Aleotti del giorno di El Morredero ne parla con entusiasmo. Ma anche determinazione. La tappa era preparata già dal mattino. Il direttore sportivo Patxi Vila che aveva fatto la ricognizione di quella frazione e aveva impostato una tattica che poi è andata alla perfezione. Denz e Van Dijk ha tenere alta l’andatura fino ai piedi della salita, poi Selig e Aleotti per preparare l’affondo. Quando le cose funzionano bene, le energie si moltiplicano.
Giovanni esalta quindi Pellizzari. Anche lui è rimasto colpito da come il marchigiano si sia dimostrato già fortissimo. Al primo anno in un team WorldTour, due Grandi Giri finiti davanti, una vittoria di tappa e la top 10 generale.
«Giulio è molto giovane ma semplice e concreto, si è integrato benissimo. Io penso che abbia avuto la consapevolezza di essere un co-leader, nonostante la sua età. Mi piace poi perché è serio, ma al tempo stesso si diverte», ha aggiunto Giovanni.
La Red Bull crede molto in Giovanni. Anche lo scorso dopo il Giro fu portato in Spagna dove scortò Roglic alla vittoriaLa Red Bull crede molto in Giovanni. Anche lo scorso dopo il Giro fu portato in Spagna dove scortò Roglic alla vittoria
Quanti capitani nel un futuro
E ora questo lavoro con i leader, come dicevamo, assumerà sempre più corpo. La Red Bull-Bora si sta trasformando sempre di più in uno squadrone. Oltre a Hindley, Vlasov, Roglic, Lipowitz ecco anche Evenepoel… senza appunto dimenticare Pellizzari. Il futuro per Aleotti tende per natura verso un ruolo determinato. Ed è anche curioso come si porrà con tanti leader così diversi per caratteristiche tecniche e di età.
«Ho avuto la fortuna – spiega Aleotti – di correre con tanti leader: Roglic, Hindley, adesso con Pellizzari e presto arriverà anche Evenepoel. Sono tutti diversi. Jai è il capitano che tutti sognano: semplice, mai esigente, apprezza tantissimo il lavoro e ha sempre una parola per tutti. Roglic invece è una macchina, un lavoratore instancabile dal mattino alla sera. Quando eravamo in ritiro si vedeva che sapeva dove dove andare a parare, perché era lì e quel che voleva.
«Entrambi preferiscono correre davanti, ma ormai è spontaneo per noi metterli nelle prime posizioni, sappiamo già dai meeting e dai software quali punti sono pericolosi. Ormai sono quasi più i gregari che ti portano davanti nei momenti programmati, piuttosto che loro a chiedere».
«Sul mio futuro, penso di continuare a essere un uomo squadra. Ho ancora un anno di contratto. In un team così grande, con corridori come Roglic, Hindley, Vlasov e adesso anche Evenepoel, è difficile pensare di essere capitano. Ma quando ci sarà spazio, come a Burgos, cercherò di farmi trovare pronto. Per il resto il mio ruolo è supportare i leader.
«Road captain? Non mi sento ancora pienamente in quel ruolo, ho solo 26 anni, serve più esperienza, ma seguo l’esempio di “Cece” Benedettiche è stato un riferimento per me».
Giovanni all’attacco. L’emiliano ha colto due fughe, entrambe nella seconda settimanaGiovanni all’attacco. L’emiliano ha colto due fughe, entrambe nella seconda settimana
Un’esperienza di squadra
In questa chiacchierata con Aleotti è la Vuelta a tenere banco. Una maglia bianca e un podio sfiorato, una tappa vinta e soprattutto una corsa, tre settimane, affrontare sempre da protagonisti.
Ci sono state anche tappe durissime da controllare, specialmente nella seconda settimana. Le fughe partivano dopo 50-70 chilometri, quindi si correva a tutta dall’inizio alla fine. Come abbiamo visto è stata una Vuelta nervosa…
«Una Vuelta – conclude Aleotti – in cui la Visma-Lease a Bike spesso lasciava spazio, e questo portava tutto il gruppo a voler andare in fuga. Alla fine resta la soddisfazione di aver dato il massimo per la squadra. Questa Vuelta mi ha fatto crescere, mi ha dato consapevolezza e motivazione per il futuro. So che in squadra i capitani aumenteranno e saranno di altissimo livello, ma il mio obiettivo resta lo stesso: farmi trovare pronto, ogni volta che serve».
Guardando la Vuelta ci è saltato all’occhio un particolare, due corridori della Euskaltel Euskadi, stanno utilizzando una nuova Orbea con una livrea differente, uno di questi è Xabier Mikel Azparren, […]
Alessandro De Marchi ha preparato la Vuelta facendo anche gravel in altura. Una novità ben ponderata anche con i preparatori. Divertimento e lavoro non sono mancati
E con la Alberobello-Lecce il Giro d’Italia riparte dalla sua terra. La frazione di oggi è la prima vera tappa per velocisti e tra questi c’è il favorito, la maglia rosa, Mads Pedersen. E per un Pedersen che vince (e riparte in maglia rosa), c’è uno Jacopo Mosca che tira. Di solito almeno è così.
L’immenso gregario della Lidl-Trek in queste prime tappe ha dato l’ennesima prova delle sue qualità: è un corridore solido e concreto, che svolge perfettamente il suo lavoro. E proprio con lui abbiamo parlato da un punto di vista tecnico di cosa significhi tirare per così tanto tempo. Quello di Mosca non è un lavoro “flash” come quello dell’apripista, Mathias Vacek nel caso della Lidl-Trek. No, il suo è un tirare lungo, da lontano.
Jacopo Mosca: si nota la testa già rasata per la scommessa persa con Pedersen dopo la crono di TiranaJacopo Mosca: si nota la testa già rasata per la scommessa persa con Pedersen dopo la crono di Tirana
Jacopo, hai tirato tanto, dovrai tirare tanto. Partiamo da questo presupposto: quando parte una tappa sai già quanto dovrai tirare?
Noi partiamo sempre con il nostro piano, con la nostra tattica e se tutto va bene, so esattamente quello che devo fare. A volte può essere un po’ di più, un po’ di meno, ma dipende anche dalla situazione di gara o dalla giornata sì o no. Se riavvolgo le prime due tappe, nella prima dovevo arrivare dopo il chilometro Red Bull, diciamo all’ingresso in Tirana, ed è quello che ho fatto. Quando hai una squadra così forte, sai che tu fai il tuo e poi c’è chi prende il tuo posto. Nella tappa di Valona invece eravamo partiti con l’idea che sarei dovuto arrivare fino allo strappo duro al chilometro 82, ma sono riuscito a passarlo e ho tirato ancora per altri 15-20 chilometri.
E questo cosa comporta?
Che sono riuscito a fare qualcosa in più, magari salvando energie a un mio compagno per il finale. Però generalmente si parte con un’idea. Verso Valona, volevamo arrivare con me sotto la salita lunga e alla fine ce l’abbiamo fatta anche lì. E’ chiaro però che non sempre tutto va come si vorrebbe.
Perché?
Ogni tanto cambiano le situazioni, specie nelle prime tappe dove c’è tanto stress per le posizioni. Magari dopo 50-60 chilometri arrivano altre squadre a lottare, quindi sei costretto a spingere un po’ di più, se vuoi stare ancora lì, quando invece potresti conservare qualche energia ulteriore.
Dopo che hai finito di lavorare cosa fai? Ti stacchi e vai regolare? Cerchi un gruppetto? Tieni duro?
Dipende dai momenti. Tipo l’altro ieri, quando ho finito di lavorare mi sono subito spostato, sapendo che c’era già un gruppetto dietro. Poi quando mi sono staccato io, si sono staccati anche altri 15 corridori circa e abbiamo fatto un gruppetto nostro. Nella tappa di Tirana invece ho provato a tenere duro perché a ruota si stava molto meglio di quel che sembrava. Sono quasi riuscito a passare la prima salita, ma mi sono staccato a un chilometro e mezzo dalla cima. L’idea era di provare a superarla una volta e tornare davanti.
La tappa di oggi, la quarta di questo Giro, da Alberobello a Lecce: 187 km nei quali Mosca sicuramente sarà chiamato in causaLa tappa di oggi, la quarta di questo Giro, da Alberobello a Lecce: 187 km nei quali Mosca sicuramente sarà chiamato in causa
Avreste avuto un uomo in più per il finale e magari Vacek avrebbe lanciato più forte la volata…
In realtà non è tanto quello. Magari puoi salvare un uomo in più che può poi lavorare meglio o, per esempio, non usare per forza Ciccone. Anche se lui ha fatto una selezione che solo lui poteva fare, quindi l’avremmo usato comunque. Però soprattutto in pianura, anche solo 200 metri in più o in meno possono aiutare un compagno ad avvicinarsi al chilometro finale. Tenere di più non è mai fondamentale, ma può fare la differenza.
Parliamo del ritmo: come lo imposti? Guardi i watt? Te lo indica il capitano?
Siamo sempre diretti bene dalle ammiraglie, ma ci basiamo anche sul feeling nostro e su cosa fa la fuga. Se la fuga va a 40 all’ora, devi andare a 40 all’ora per mantenere il distacco o a 42-45 per chiudere. Se la fuga va forte, devi andare forte anche tu. Ma se va forte, si esaurisce anche prima.
Quindi comanda la fuga e il tempo che avete deciso di lasciargli?
Sì, esatto: comanda la fuga. Verso Valona per esempio avevamo detto che anche con quattro minuti potevamo stare tranquilli. Ma quando in fuga ci sono Tarling, Tonelli, De Bondt, Germani… è un problema. Era una fuga forte e la tappa era corta, il terzo giorno non puoi permetterti di lasciare troppo. E poi bisogna vedere se ci sono altre squadre a darti una mano: domenica eravamo noi e la Red Bull-Bora, quindi fattibile. Se fossi stato da solo, diventava dura tenere quei sei corridori a tre minuti.
Soprattutto per te!
Esatto, e con Gianni Moscon non è stato un tirare semplice ieri, ma ce l’abbiamo fatta. Posso dire che i dati a fine tappa erano alti.
La disposizione degli uomini non è casuale. Prima entra in scena Mosca, poi a seconda del percorso gli scalatori e infine l’apripista per PedersenLa disposizione degli uomini non è casuale. Prima entra in scena Mosca, poi a seconda del percorso gli scalatori e infine l’apripista per Pedersen
Ce ne puoi dire qualcuno?
Tirando là davanti, ho fatto due ore e mezza a più di 340 watt normalizzati e 305 di media. Circa 5,2 watt per chilo. Niente di impensabile, ma sono bei numeri. Soprattutto perché mantenuti a lungo. E il percorso non era semplice.
Un aspetto affascinante del vostro lavoro è stato il ritmo chirurgico in salita: forte per fare selezione, ma giusto per tenere dentro Pedersen. Come si imposta quel ritmo? E’ Pedersen che comanda?
Sì, è lui che detta il ritmo e ti dice se aumentare o calare in base a come si sente. In quei casi corridori come Verona o Konrad, che ha fatto top 10 nei grandi Giri, ti fanno capire quanto sia alto il livello del team. O Ciccone che fa un’azione simile… E’ chiaro che è Mads che decide. Poi in questo momento sta così bene che probabilmente rimarrebbe con i primi 30 anche in salita.
Cos’altro conta in quei momenti?
La gestione dalla macchina. Loro osservano da dietro e ci dicono: «Okay, ragazzi, si stanno staccando tot corridori», oppure: «A ruota si sta benissimo, non state staccando nessuno». Sono informazioni importanti. E sapere di tirare per uno come Mads, che sta bene e finalizza, dà fiducia.
Quando parte la fuga e mancano 130 chilometri e sai che dovrai tirare per due ore, a cosa pensi?
Dipende. In una tappa come quella di Valona non avevo tempo di pensare, non era facile. Alla Sanremo, che è più lunga e più controllabile, cerco sempre di focalizzarmi sulla gara. Poi magari qualche pensiero ti viene, ma appena arriva il mal di gambe smetti di pensare. Però c’è sempre una canzone che ti gira in testa, cambia ogni volta. Magari è un ritornello sentito il giorno prima.
La messa a fuoco non è ideale, ma questa foto spiega bene quel che dice Mosca: «E’ Pedersen che in salita detta il ritmo» (foto Instagram)La messa a fuoco non è ideale, ma questa foto spiega bene quel che dice Mosca: «E’ Pedersen che in salita detta il ritmo» (foto Instagram)
Quando tiri devi prendere aria e sappiamo quanto sia importante l’aerodinamica: hai una posizione preferita alla tua velocità di crociera?
Sì, l’aerodinamica oggi conta tantissimo: si vede da abbigliamento, caschi, bici… A volte si vedono cose un po’ troppo estreme. Io non sono estremo. Non mi metto a guardare il calzino, perché i nostri capi di abbigliamento sono già il top. So che il nostro body è veloce, i nostri calzini aero sono veloci. Non ho mai esagerato con le leve girate, per dire…
Chiaro…
Nella mia velocità di crociera tengo le mani alte, ma molto raccolto, con i gomiti ben piegati e la schiena bassa. E ovviamente in discesa mani sotto, con la bici pronta a metterla dove voglio.
Come hai saputo che aveva vinto Pedersen?
Ero con un gruppetto a 7-8 chilometri dall’arrivo e ho sentito l’urlo per radio. In realtà ero già andato dietro alla seconda ammiraglia a chiedere. Poi, quando ho sentito l’urlo per radio e la macchina suonare il clacson per festeggiare, ho capito che avevamo vinto. E’ bello quando hai un capitano deciso e determinato, perché alla fine sai che fai un lavoro che porta a qualcosa.
Ecco un estratto del libro “Gregario – Una vita a servizio dei campioni” che ripercorre la carriera di Alessandro Vanotti, scudiero di tanti campioni recenti tra cui Vincenzo Nibali, Ivan Basso e Danilo Di Luca. In queste righe, il racconto del Giro d’Italia 2013. Nibali è saldamente in maglia rosa, Vanotti lo segue come un’ombra. Ma all’improvviso…
Il 18 maggio la quattordicesima tappa arrivava a Bardonecchia. Pioggia, vento, freddo e anche la neve in quota convinsero l’organizzazione a modificare il percorso cancellando il Sestriere. Era un Giro disegnato benissimo, ma ancora una volta il maltempo ci stava mettendo lo zampino. A metà tappa purtroppo io forai e fui costretto a fermarmi per cambiare la ruota. Allo stesso tempo anche Vincenzo si fermò per un bisogno fisiologico e me lo ritrovai tra le ammiraglie mentre stava risalendo.
Alessandro Vanotti ha scritto la sua storia con Federico Biffignandi, giornalista bergamasco e collaboratore di bici.PROIl corridore e l’autore alla presentazione della Granfondo BGY Airport a BergamoAlessandro Vanotti ha scritto la sua storia con Federico Biffignandi, giornalista bergamasco e collaboratore di bici.PROIl corridore e l’autore alla presentazione della Granfondo BGY Airport a Bergamo
Cade Battaglin
L’asfalto era molto scivoloso, il caos della coda del gruppo non ci aiutava e la visibilità era ridotta. Riuscii a prendere due borracce e lo guidai verso la testa, anche se facevo fatica a tenerlo a ruota proprio per via della bagarre. Eravamo tutti sul lato destro della strada quando, pochi metri davanti a me, Enrico Battaglin impattò contro uno spartitraffico. La bicicletta volò da una parte, lui sbattè violentemente a terra proprio davanti a me.
Io stavo arrivando a tutta velocità, non ci fu nemmeno il tempo di capire cosa stesse succedendo. Con la ruota anteriore lo andai a colpire sulle costole, la mia bicicletta inchiodò e io venni catapultato in avanti.
E’ il 18 maggio, sta per partire la 14ª tappa: Nibali aiuta Vanotti con la radio. Nessuno immagina l’imminente cadutaVanotti è caduto, Nibali conquisterà il secondo posto a Bardonecchia, battuto da SantambrogioE’ il 18 maggio, sta per partire la 14ª tappa: Nibali aiuta Vanotti con la radio. Nessuno immagina l’imminente cadutaVanotti è caduto, Nibali conquisterà il secondo posto a Bardonecchia, battuto da Santambrogio
Spalla lussata, addio Giro
Rovinai a terra sbattendo la spalla destra e la schiena. Provai subito a rialzarmi per rientrare, ma un dolore lancinante mi bloccava. Spalla lussata, il ritiro fu inevitabile.
Stavo conducendo il Giro in controllo, con Nibali in maglia rosa e ora mi ritrovavo fuori dai giochi in un attimo. Mi portarono al pronto soccorso locale mentre Nibali, nella bufera di neve, staccava tutti i diretti avversari e arrivava al traguardo secondo, rinforzando la leadership in classifica.
In ospedale venne a prendermi Alexander Shefer, il primo direttore sportivo del team. Mi assistette come fosse un infermiere, mi vestì, mi allacciò le scarpe, mi caricò in auto e mi riportò in hotel. Prima di partire, mi guardò fisso negli occhi e mi lanciò un’idea folle, ma strategicamente straordinaria.
«Vanotti, tu sei troppo importante per Vincenzo. Se te la senti, resti con noi fino alla fine del Giro, stai in camera con lui, stai in gruppo, sei fondamentale». Come avrei potuto dirgli di no?
Dopo la lussazione della spalla, VAnotti rimase in gruppo, seguendo Nibali sino in fondoLa vittoria nella neve alle Tre Cime di Lavaredo scolpisce il trionfo in rosa di NibaliDopo la lussazione della spalla, VAnotti rimase in gruppo, seguendo Nibali sino in fondoLa vittoria nella neve alle Tre Cime di Lavaredo scolpisce il trionfo in rosa di Nibali
L’altro Giro di Vanotti
Iniziò così un mio secondo Giro, non senza difficoltà: i dolori erano davvero forti e affrontarli anche nella quotidianità, senza sforzi, fu complicato. Avevo però un vantaggio: essere con la squadra mi consentì di sottopormi subito a terapie mirate insieme allo staff medico per velocizzare il mio recupero.
Si rivelò un’esperienza meravigliosa. Salutavo la squadra alla partenza e la ritrovavo all’arrivo. Aspettavo ogni giorno Vincenzo in camera avendo avuto tutto il tempo per sbrigare ogni incombenza necessaria per lui ancor meglio del solito, con più tempo, più calma, più meticolosità.
E’ il 26 maggio 2013: Vincenzo Nibali conquista il suo primo Giro d’ItaliaE’ il 26 maggio 2013: Vincenzo Nibali conquista il suo primo Giro d’Italia
Nibali che vola
Non seguivo le tappe in ammiraglia, ad eccezione della cronoscalata da Mori a Polsa, diciottesima tappa del Giro. Fu un’esperienza da fiato in gola, perché Vincenzo letteralmente volò. E mi resi conto, vedendolo da questo punto di vista inusuale, quanto stesse andando forte, quanta potenza avesse, quanto impulso riuscisse a dare alla sua pedalata.
Sul podio di Brescia, Vanotti guarda verso il suo capitano che ha conquistato il GiroSul podio di Brescia, Vanotti guarda verso il suo capitano che ha conquistato il Giro
Il podio con la squadra
Sul podio finale di Brescia salii pure io insieme a tutta la squadra: i compagni vestiti da corridori, io con la divisa di rappresentanza. Mi sentivo totalmente parte di quel gruppo, di quella vittoria. Alzai il trofeo, guardai Vincenzo, guardai i miei compagni, mi commossi. Ringraziai con il cuore il team Astana per quell’idea.
In serata a Villa Fenaroli, a Rezzato, scoppiò la festa di squadra insieme a tutte le famiglie: un evento meraviglioso, grandioso, eravamo dentro a un sogno. Rientrato a Bergamo, altra festa con il mio fan club per il terzo Giro vinto da gregario e, dopo pochi giorni, partimmo per il Kazakistan per un’altra festa nel Paese della squadra.
A Villa Fenaroli, nella serata di Brescia, la grande festa in onore della maglia rosaA Villa Fenaroli, nella serata di Brescia, la grande festa in onore della maglia rosa
In Kazakhstan da eroi
Furono giorni incredibili anche lì. Ci accolsero come eroi, la gente scese per strada ad acclamarci, le istituzioni ci omaggiarono, c’erano gigantografie di Nibali in ogni angolo del Paese. Le tv di Stato ci seguirono passo dopo passo: eravamo delle star.
Tornammo da quella sbornia di festeggiamenti e ripartimmo subito per un blocco di lavoro al Passo San Pellegrino perché c’era da preparare la Vuelta a cui Nibali puntava forte.
LA SCHEDA
Titolo: Gregario – Una vita a servizio dei campioni
«Oggi il vero gregario cioè il Panizza per De Vlaeminck, il Bernaudeau per Hinault o il Vanotti per Nibali, non c’è più. O se c’è, si vede solo in certi frangenti in corsa». Anche se quello che stiamo per proporvi è un articolo che riguarda la figura del gregario non potevamo esimerci da questa premessa fatta da Giuseppe Martinelli, uno direttori sportivi interpellati per questo “Oscar del gregario” appunto.
La premessa di “Martino” è importante perché ci dice molto anche sul perché dei giudizi su questo o quel gregario. Il fattore del tirare, di prendere aria in faccia, resta oggi centrale. Mentre si affievolisce, almeno vista da fuori, la parte oltre la gara. Vale a dire il gregario confidente, il gregario compagno di camera. Il discorso oggi è molto più tecnico.
Con i tre grandi Giri alle spalle e altre corse importanti nel sacco, cerchiamo di capire chi è, o chi sono, i gregari che si sono distinti maggiormente durante la stagione. E perché si sono distinti.
Oltre a tirare forte, Domen Novak è anche un buon confidente tanto più che è sloveno come PogacarOltre a tirare forte, Domen Novak è anche un buon confidente tanto più che è sloveno come Pogacar
Parola a Gasparotto
«E’ un argomento ampio e di non facile scelta – dice Enrico Gasparotto, direttore sportivo in forza alla Red Bull-Bora – è difficile giudicare e stabilire chi sia stato il miglior gregario dell’anno. Si fa anche fatica a ricordare alcuni eventi di marzo, per esempio. Oppure non si conoscono le dinamiche interne dei vari team, i ruoli e i compiti assegnati ai corridori. E poi parliamo di gregari: ma ci sono team che hanno preso Adam Yates per fare il gregario. Noi stessi in Red Bull, abbiamo Vlasov e Hindley che sarebbero capitani altrove. Ormai si va nella direzione dei super team, in cui corridori molto importanti vengono messi a disposizione di quei 4-5 atleti più forti del mondo.
«E questo vale non solo per la salita. Penso anche ad alcuni passisti che sono forti nelle classiche del Nord e delle pietre: Van Aert, Van Hooydonck fino all’anno scorso, o Politt: gente molto forte che dà tanto anche nei grandi Giri».
E con Politt Gasparotto apre ad un primo lotto di nomi. Il tedescone della UAE Emirates è piuttosto gettonato.
«Nils – va avanti Gasparotto – l’ho avuto fino allo scorso anno e conosco il suo potenziale è uno di quegli atleti molto importanti al servizio di profili altissimi. Oltre a lui, credo che in stagione si sia ben distinto Domen Novak. Conosco bene questo ragazzo, in quanto corremmo insieme alla Bahrain. Già all’epoca aveva un potenziale enorme e ha fatto uno step ulteriore. Alla Liegi ha svolto un lavoro eccezionale per Pogacar e ha fatto benissimo anche al Giro d’Italia. Un altro che ha fatto bene è Cattaneo».
Aleotti tira i suoi. Giovanni per prestazioni e costanza di rendimento sta diventando un vero uomo squadraAleotti tira i suoi. Giovanni per prestazioni e costanza di rendimento sta diventando un vero uomo squadra
Stando in Red Bull-Bora e vista la sua ottima stagione, avremmo pensato che Gasparotto facesse il nome di Giovanni Aleotti, ormai stabile nelle formazioni che contano.
«Certamente c’è anche lui – conclude Gasparotto – non l’ho citato prima perché prendo come punto di partenza il Tour per lo stress della corsa e l’importanza fondamentale che gioca il gregario in quella gara e Giovanni al Tour non c’era. Ma senza dubbio Giovanni è da chiamare in causa. Alla Vuelta ha lavorato quando alla tv ancora non si vedeva. Al Giro lavorava e poi era stabilmente nei primi 15, 20 al massimo: questo significa che ormai ha raggiunto una base solida. Lo vedo molto bene anche in ottica futura come gregario di un capitano importante. E’ un lavoro che svolge con naturalezza e poi c’è un aspetto molto importante: si è guadagnato la fiducia dei leader. Perché tu puoi andare forte quanto vuoi, ma se il capitano non si fida di te serve a poco.
«Se un corridore così, visto il mondiale duro che si profila e i nomi che se lo giocheranno Roglic, Pogacar, Remco… non fosse convocato, sarei alquanto stupito».
Alla Vuelta visto un Cattaneo splendido. Solo dei problemi di salute gli hanno impedito di essere al Tour con EvenepoelAlla Vuelta visto un Cattaneo splendido. Solo dei problemi di salute gli hanno impedito di essere al Tour con Evenepoel
Tocca a Bramati
Dopo Gasparotto ascoltiamo il parere di Davide Bramati, diesse della Soudal-Quick Step. Anche il tecnico lombardo sottolinea il fatto che l’argomento è ampio, che la scelta da fare non è facile e, aggiunge: «La stagione non è ancora finita!».
«Chi è il miglior gregario dell’anno? Se guardo in casa mia, ma non solo, dico Mattia Cattaneo. Specie dopo la medaglia alla crono degli europei mi viene in mente lui. Alla Vuelta ha fatto grandi cose. Abbiamo visto quando si è fermato ad attendere Landa. Quella è stata una decisione non facile, anche per l’ammiraglia. Da parte sua, significa devozione per la squadra e per il lavoro che sta facendo, pur avendo una grande condizione».
Bramati, tra gli altri, ha elogiato Ghebreigzabhier, attivo su molti frontiBramati, tra gli altri, ha elogiato Ghebreigzabhier, attivo su molti fronti
Cattaneo era stato già nominato da Gasparotto e non poteva essere diversamente. Oggettivamente Mattia è stato un grande interprete di questo ruolo. E non solo in questa stagione.
«Anche Novak della UAE Emirates mi è sembrato molto bravo in questo ruolo, almeno nelle corse che ho seguito io e anche ascoltando il parere dei ragazzi. I miei atleti mi dicono che fa numeri incredibili, che tira fortissimo e per molti chilometri. Novak svolge un grande lavoro anche quando si è lontani dal traguardo.
«Poi sempre per quel che ho visto io in corsa, devo dire che mi ha colpito Amanuel Ghebreigzabhier della Lid-Trek. Al Giro l’ho visto tirare in salita, in pianura per Milan, andare in fuga. Davvero un bell’atleta».
Giro 2016: immagine simbolo di Scarponi in veste da gregario. Michele fu fermato da Martinelli e Slongo per attendere Nibali (immagine tv)Giro 2016: immagine simbolo di Scarponi in veste da gregario. Michele fu fermato da Martinelli e Slongo per attendere Nibali (immagine tv)
Infine Martinelli
Chiudiamo con il più esperto dei direttori chiamati in causa, Giuseppe Martinelli, tecnico dell’Astana-Qazaqstan. Anche lui ribadisce la difficoltà di individuare un singolo nome. Scavando nel passato recente dei suoi atleti, Martino, nomina Kangert e Scarponi. Ma poi si chiede anche se un atleta come Van Aert, spesso al servizio del team, possa essere considerato un gregario o meno.
«Un gregario formidabile è Marc Soler, ma quando riesce a farlo veramente? Ha una testa quello lì… Cattaneo è molto bravo. Ma se devo scegliere il gregario di quest’anno dico Rafal Majka. Penso anche al Tour dell’anno scorso e ovviamente all’ultimo Giro. E’ stato fondamentale. Era uno dei pochi se non l’unico che doveva e poteva restare vicino a Pogacar e lo ha fatto al meglio. Anche Adam Yates o Almeida si sono messi a disposizione di Pogacar, ma Majka è votato per quel ruolo lì. E’ il gregario vero: tira in salita e si stacca. Probabilmente quei gregari così non ci sono più».
Per Martinelli è Majka il gregario dell’anno. Votato alla causa del leader e bastaPer Martinelli è Majka il gregario dell’anno. Votato alla causa del leader e basta
E su questa figura, Martinelli apre una parentesi: «Quando mio figlio Davide era in Quick Step mi diceva di De Clerq, ora alla Lidl-Trek. Un corridore che faceva paura, in grado di tirare dal terzo chilometro di gara fino ai meno 40, meno 30… anche nelle corse del Nord. E nel frattempo magari andava anche dietro a prendere l’acqua. Una forza della natura. Ma per i più, De Clerq è poco noto e magari porta anche pochi punti. E questo pochi team se lo possono permettere. Però è fondamentale per la squadra. Oggi con tutti gli extra feed che abbiamo i ragazzi neanche sono così capaci a prendere l’acqua all’ammiraglia».
Il video di Pogacar ad Arenberg ha fatto sognare i tifosi di tutto il mondo. Ma perché è così difficile coniugare corse a tappe e Parigi-Roubaix? Ne abbiamo parlato con Giuseppe Martinelli
Quando parli con Cesare Benedetti non puoi non fare a meno di notare il suo sguardo dolce e la sua espressione gentile, quasi timida. Trentino di nascita, polacco d’adozione, l’altro ieri a Cracovia “Cece” ha chiuso la sua onorata carriera.
Un gregario di quelli veri, un professionista esemplare. Silenzioso, ma generoso. Quindici stagioni da professionista. Una la squadra e una la vittoria. Eppure Cesare è sempre stato inserito in gare e formazioni di alto livello. E questo succede quando si è corridori, quando si ha sostanza.
Qualche giorno di riposo e presto Benedetti sarà un direttore sportivo… manco a dirlo della sua Red Bull-Bora.
Massima professionalità fino alla fine. Ultima tappa del Polonia, ultimi chilometri in carriera e Benedetti è in seconda ruota a tirare (foto Sprint Cycling)Massima professionalità fino alla fine. Ultima tappa del Polonia, ultimi chilometri in carriera e Benedetti è in seconda ruota a tirare (foto Sprint Cycling)
Insomma, Cece: è andata…
È finita! Prima o poi doveva succedere e sono contento che sia finita così: con un piano esatto di quel che stavo facendo e soprattutto del futuro. Prima del Tour de Pologne ho avuto una lunga e bella telefonata con Gaspa (Enrico Gasparotto, ndr) che mi ha evidenziato due fortune: scegliere l’ultima corsa della carriera ed avere già un piano per il prosieguo. Posso davvero ritenermi fortunato da questo punto di vista, perché dopo tanti anni di una certa vita smettere e non avere un progetto non deve essere facile.
Raccontaci le emozioni dell’ultima corsa. Dal bus, al traguardo…
C’e stato un momento in cui cercavo d’immaginarmi come potesse essere questo finale. L’ultima tappa alla fine è stata abbastanza veloce e si è anche lavorato un po’. Poi quando ho visto il cartello dei 10 chilometri all’arrivo ho pensato che sarebbero stati gli ultimi. E ancora di più quando ho visto quello dei meno cinque. Ma è stato così un po’ per tutto il finale del Polonia: l’ultima cena con i compagni, l’ultimo massaggio, l’ultima riunione… L’unica cosa bella è che per fortuna non dovrò più mangiare gel e barrette, che ormai mi vengono fuori occhi! Scherzi a parte, è stata un’emozione forte. Ho avuto vicino la mia famiglia, mio fratello, i miei genitori, il tifo. Insomma, non mi sono commosso ma… sono stato felice.
I ringraziamenti in italiano (sul cartellone) e in polacco (sulla strada): il giusto omaggio per CeceI ringraziamenti in italiano (sul cartellone) e in polacco (sulla strada): il giusto omaggio per Cece
In gruppo come è andata?
Un po’ tutta la settimana, e nell’ultima tappa in particolare, chi mi incontrava mi dava una pacca sulla spalla, mi faceva i complimenti. Questa cosa mi ha ricordato quando ho vinto la tappa al Giro. Il giorno dopo in tanti erano contenti della mia vittoria e vennero a complimentarsi.
Come nasce questa decisione?
Qualche pensiero me lo ero messo in testa già l’anno scorso. Mi ero dato il limite dei 38 anni. Magari avrei fatto un’altra stagione ma vista l’offerta del team ho scelto di dire basta un po’ prima. Anche perché bisogna rendersi conto, e l’ho fatto, che il livello del WorldTour ormai è altissimo e anche per le ambizioni della squadra e per il mio livello fisico, e a 37 anni il recupero si fa sempre più lento, era giusto così. Non ho nessun rimpianto. Certo, un po’ di tristezza c’è.
Immaginiamo sia normale…
Di fatto termina una storia di 25 anni, da quando ho iniziato a gareggiare. Per ora tutto mi sembra normale. A fine corsa abbiamo preso una birra con la squadra e tutto lo staff, come spesso facciamo dopo le gare. Magari tra qualche giorno inizierò a sentire qualcosa, a cogliere qualche differenza.
Dopo aver fatto lo stagista alla Liquigas, nel 2010 Benedetti approda alla neonata NetApp, gruppo che si è evoluto fino a diventare Red Bull-BoraDopo aver fatto lo stagista alla Liquigas, nel 2010 Benedetti approda alla neonata NetApp, gruppo che si è evoluto fino a diventare Red Bull-Bora
E il prossimo anno sarai un direttore sportivo…
Esatto. La Red Bull-Bora farà il team under 23 e io sarò il diesse. Da qui, è nata la proposta del team di finire ad agosto così da poter affiancare i vari direttori nelle ultime corse dell’anno per fare tirocinio. Ora resto un po’ in Polonia, poi verrò in Italia per il Toscana, il Pantani, il Matteotti… Insomma comincio in casa, per di più in Toscana. Quelle strade le conosco bene in quanto feci lo juniores nel GS Aquila, a Ponte a Ema, Firenze. La squadra di Gino Bartali.
Sei sempre stato in questo gruppo, da quando si chiamava NettApp sino al oggi. Tu e il manager Ralph Denk…
Io e lui siamo i reduci di quel gruppo del 2010 e infatti è stato proprio Ralph a farmi la proposta di smettere e fare il diesse. Me lo ha detto prima della Strade Bianche. Con l’entrata di Red Bull ci sono grossi cambiamenti nel team. Non solo economici ma anche tecnici. Penso ai test, agli studi sull’aerodinamica, alla squadra under 23…
Cosa lascia il ciclismo a Cesare Benedetti?
Tante avventure di vita e di sport. I grandi Giri e le corse in Europa: quello è stato il ciclismo, le esperienze sportive. Le trasferte in Cina, Argentina e nel resto del mondo, sono state esperienze di vita. In certe occasioni vedi anche la povertà e quando torni poi non ti lamenti più di tante piccole cose. Del Qinghai Lake (nel centro della Cina, ai confini col Tibet, ndr) potrei scrivere un libro. Un mondo talmente diverso… Ricordo che avevamo una massaggiatrice tedesca abbastanza robusta e un meccanico con la barba lunga alto due metri. La gente del posto veniva a vedere i biondi di altri mondi e non tanto la corsa. Vedevi in loro questa curiosità, questo stupore dello straniero. Oppure mi vengono in mente i bambini correre attorno al nostro bus in Argentina, erano i più felici del mondo. Senza contare che in bici vedi dei posti che un normale turista non vedrebbe mai.
Giro d’Italia 2019, a Pinerolo Cesare Benedetti ottiene la sua unica vittoria da pro’Verona, Giro 2022: Benedetti al fianco di Denk e Hindley, la maglia rosa è loro. Gioia immensa per il gregarioIl transito a Ronzo-Chienis, per Cesare forse il momento più emozionante della carrierra (foto Instagram)Giro d’Italia 2019, a Pinerolo Cesare Benedetti ottiene la sua unica vittoria da pro’Verona, Giro 2022: Benedetti al fianco di Denk e Hindley, la maglia rosa è loro. Gioia immensa per il gregarioIl transito a Ronzo-Chienis, per Cesare forse il momento più emozionante della carrierra (foto Instagram)
Sicuramente Peter Sagan per il talento che aveva, un talento naturale. Certo, dietro c’era anche del lavoro, ma quando stava bene certi suoi numeri pazzeschi sembravano facili. Mi viene in mente il 2017: quell’anno tra la caduta al Fiandre e l’esclusione al Tour non raccolse molto, ma era fortissimo fisicamente. E poi ho i tanti ricordi dell’inizio di carriera quando arrivato in gruppo mi ritrovavo vicino ai corridori che vedevo in tv da bambino. Sono riuscito anche a fare cinque giorni di corsa con Lance Armstrong! Mi vengono in mente Petacchi, McEwen… Gilbert e Valverde sono stati gli ultimi due che mi facevano ancora emozionare in gruppo. I campioni di oggi sono fortissimi, ma non avendoli vissuti da bambino, dal basso verso alto, non mi danno quelle emozioni.
Il tuo momento? La tappa al Giro immaginiamo…
In realtà a livello emozionale l’anno scorso essere riuscito a passare in testa, in fuga, al mio paese, Ronzo-Chienis è stato qualcosa d’incredibile. Avevo la pelle d’oca. Avrei potuto chiuderla lì! Eravamo alla terza settimana, del Giro. Nella seconda ero stato male, ma avevo tenuto duro per arrivare lì. Per di più avevo anche lottato per entrare in fuga e Ronzo-Chienis è in salita. Insomma ero così emozionato anche perché avevo voluto, e centrato, l’obiettivo. Ma un’emozione forte è stata anche la vittoria del Giro d’Italia di Jai Hindley: per un gregario un successo così è la ciliegina sulla torta.
Sei incredibile, Cece! Cos’è un gregario? E soprattutto ci sono ancora quelli come te?
Qualcuno c’è ancora. Mi viene in mente Patrick Gamper. Lui per esempio mi ha dato una delle soddisfazioni più grosse. Dopo che Jai vinse il Giro e gli feci i complimenti per il suo lavoro, lui mi disse: “Cece ho imparato tanto da te”. Cos’è un gregario: chiaramente da giovane anche io puntavo al risultato. Ma già all’epoca quando tra gli under 23 ero compagno di Daniel Oss e correvo in suo supporto, mi sentivo più forte, rispetto a quando dovevo correre per me. Forse era anche un fattore psicologico, avevo meno pressione. Ma poi ho sempre ammirato questo ruolo. Mi ricordo i treni di Cipollini: quei vagoni, quegli atleti sono sempre stati una fonte d’ispirazione per me.
Tour de Pologne finito: per Cece scatta la festa e l’abbraccio dei compagniTour de Pologne finito: per Cece scatta la festa e l’abbraccio dei compagni
Una vita nel ciclismo, 15 stagioni da pro’: quanto è cambiato questo sport?
Tanto. Oggi ci sono mezzi a disposizione per allenarsi, dal misuratore di potenza agli aspetti dell’alimentazione, che mettono a disposizione tantissime informazioni. Informazioni aperte a tutti. Questo fa sì che si brucino i tempi, che poi è quel che succede nel mondo reale, nella società. Oggi gli allievi hanno il procuratore, il preparatore. Una volta il direttore sportivo faceva tutto. Se guardo indietro un errore che non rifarei, per esempio, è stare i primi anni da pro’ senza preparatore.
Cioè?
Dal 2010 al 2012, nella mia testa dicevo: “Ora sono un professionista, quindi so allenarmi da solo”. Magari neanche sbagliavo tutto, ma andavo avanti con il cardio e non con il potenziometro… che avevo. Oggi è impossibile. Il ciclismo è uno sport più specifico, aperto a più nazioni e il livello si alza. C’è una selezione pazzesca. Per ora ho avuto solo qualche contatto col mondo manageriale, ma ho già visto che c’è un’analisi dei dati impressionante. Ai miei tempi si guardavano i risultati e la costanza del ragazzo. Oggi si fanno test su test, analisi, numeri… Probabilmente io oggi neanche sarei passato pro’ se mi avessero fatto un test. Non ho i numeri… rispetto a quel che riesco a mettere in corsa. Alla fine ho fatto qualche podio da pro’. Ma ad un certo punto devi essere realista e capire cosa fare. Vuoi fare “esimo” o trovare la tua dimensione e fare il corridore per più anni?
Simone Velasco ha salutato Cesare “Cece” Benedetti sui social dicendogli che è stato un esempio di professionalità per molti giovani. Possiamo solo aggiungere che i ragazzi del nascituro devo team Red Bull-Bora con ogni probabilità avranno un grande maestro.
«Landa sa vincere grandi Giri con la sua squadra. Adesso ha 33 anni, penso che non sia troppo vecchio. E’ un buon acquisto che porta molta esperienza in una squadra giovane. Penso che sia stato la mossa migliore che Lefevere potesse fare quest’anno, ma mentirei se dicessi che non mi aspettavo un corridore in più, appena sotto il livello di Landa. Un corridore tra il livello di Van Wilder, Vervaecke e Cattaneo, ma è difficile trovare uomini in quella categoria, perché costano».
Commentando in un’intervista con Lanterne Rouge l’arrivo del corridore basco alla Soudal-Quick Step, Evenepoel ha messo Mattia Cattaneo sul piatto dei suoi corridori più fedeli e affidabili. Un’investitura importante per il bergamasco, che ha la stessa età di Landa, ma che ha passato gli ultimi quattro anni a costruirsi in una direzione ben precisa. Fortissimo a crono, finalmente sicuro di sé, con l’esperienza di undici anni di professionismo, il Cattaneo di oggi non ha niente a che vedere con il ragazzino intimidito dei primi tempi alla Lampre. Però le parole di Remco ci hanno incuriosito e abbiamo voluto commentarle con lo stesso Mattia, mentre chiudeva le valige per la Vuelta, che scatterà sabato da Barcellona con una cronometro a squadre.
In questi 4 anni con Lefevere, Cattaneo si è ricostruito e consolidato e ora è fra i migliori cronoman al mondoIn questi 4 anni con Lefevere, Cattaneo si è ricostruito e consolidato e ora è fra i migliori cronoman al mondo
Ti aspettavi certe parole da Evenepoel?
Credo c’entri il fatto di aver corso parecchio con lui nell’ultimo anno. So che si è trovato bene, nel senso che ha visto che mi muovo senza prendere troppi rischi. Mi ha aiutato l’esperienza. In più, aver fatto tante corse importanti con lui, restando sempre ad alto livello per il tipo di lavoro che serviva, mi ha portato a consolidarmi. Era quello che cercavo da tempo, il lavoro giusto per un corridore come me.
La prima svolta c’è stata quando passasti alla Androni, ma certo con la Quick Step c’è stato il vero salto di qualità, dalla crono alla salita. Si può parlare della vera maturazione?
Credo sia dovuto a come sono seguito, sia dal punto di vista della preparazione sia dal punto di vista dello studio di materiali. Parlo di cronometro e tutta una serie di cose che una squadra di livello top come questa può darti più dell’Androni. Attenzione, per me l’Androni è stata tutto, sarò per sempre grato. Però ci sono delle lacune tecniche e di budget impossibili da colmare rispetto a una squadra che ha 10 volte il budget. Preparazione, a seguire l’alimentazione, l’idratazione. Adesso il ciclismo è molto specifico e hai bisogno di una squadra che ti dia supporto da tutti i punti di vista.
Per Cattaneo e Masnada, come per Scarponi prima di loro, l’Androni è stata il team del rilancioPer Cattaneo e Masnada, come per Scarponi prima di loro, l’Androni è stata il team del rilancio
Sei il Mattia che cercavi quando passasti professionista oppure hai cambiato strada? Passasti da vincente, cosa pensi guardando a quel ragazzo?
Onestamente, nonostante quando passai tutti pensassero che fossi il nuovo Nibali, io non ho mai pensato di poter arrivare a quel livello. Ho sempre pensato di essere un corridore come quello che sono per un capitano, in questo caso per Remco. Un compagno super importante fino a un determinato punto della corsa, perché madre natura mi ha fatto forte, non posso dire che sono scarso, però non sono al livello dei top 10 al mondo.
Quindi?
Se quando sono passato, mi aveste detto che sarei arrivato qui a fare questo tipo di lavoro, con questa costanza e comunque sempre ad alti livelli, avrei firmato subito. Lo sapete meglio di me quanto ci ho messo per riuscire a raggiungere questo equilibrio…
Per Cattaneo, la sicurezza di Remco alla sua ruota è data dalla capacità di muoversi senza troppi rischiPer Cattaneo, la sicurezza di Remco alla sua ruota è data dalla capacità di muoversi senza troppi rischi
E’ difficile mantenerlo oppure adesso sai come si fa?
Secondo me, più che facile o difficile, adesso c’è il fatto di essere consapevole che una determinata cosa la posso fare. Quindi vado alla Vuelta, al Giro o in qualsiasi corsa, sapendo che quel tipo di lavoro lo posso fare tranquillamente. Logicamente devo stare bene, una volta potrà venire meglio e una volta meno bene a seconda della condizione, ma so quello che posso fare e il modo per farlo.
In che modo avere un capitano che a sua volta è capace di grandi risultati riesce a compattare la squadra attorno? Questa faccenda del Wolfpack fino a che punto è una cosa che esiste?
Io non sono uno che guarda tanto i social, però nei vari gruppi gli amici mi mandano quello che viene scritto su noi e la nostra squadra. Si dice che siamo una squadra scarsa, con corridori scarsi. “Dove volete andare con quella squadra? Remco si troverà da solo quando ci saranno trenta corridori…”. Eppure secondo me è in questi frangenti che si vede il famoso Wolfpack, che poi siamo noi. E’ vero, bisogna essere oggettivi, sulla carta siamo più deboli di altre squadre. Però credo che questa cosa del gruppo possa colmare il gap e noi ci puntiamo tanto, anche se dall’esterno può sembrare che non conti tanto.
Ai mondiali di Glasgow, Cattaneo ha corso il Team Mixed Relay e ha poi centrato l’8° posto nella cronoAi mondiali di Glasgow, Cattaneo ha corso il Team Mixed Relay e ha poi centrato l’8° posto nella crono
In cosa può incidere?
Sul non doversi neanche voltare, perché sai chi c’è con te e che lavoro può fare. Magari ha un po’ meno gambe, però sei tranquillo e non diventi matto per cercarlo e alla fine ti ritrovi con più energie per quando serviranno davvero. Tante situazioni, frazioni di secondo che sono decisive non tanto sulle salite lunghe, ma per andarle a prendere in testa o nei finali della Vuelta che spesso sono nervosi e possono costare 15-20 secondi ogni volta senza che neanche te ne accorgi. Non c’è tanto da inventare. Stare davanti e avere le gambe per farlo. E noi questo sappiamo farlo bene.
Masnada doveva essere l'angelo custode di Remco al Giro. Ma si è ammalato, ha lasciato il Romandia e la Soudal l'ha fermato. Dolore e voglia di rivincita
Leonardo Basso, 29 anni, al suo secondo anno all’Astana Qazaqstan Team. Perché ci occupiamo di lui? Perché è la perfetta dimostrazione di come anche in questo ciclismo che va a velocità ipersoniche, dove tutto cambia dall’oggi al domani, si possa lavorare per trovare una propria dimensione e chissà, costruirsi anche un futuro remoto, quando la bici verrà appesa al classico chiodo.
Se chiedete risultati a Leonardo, per quest’anno non ce ne sono, o meglio i siti statistici vi diranno che di top 10 neanche l’ombra, ma i numeri non dicono sempre tutto. Perché dietro le vittorie e le soddisfazioni di altri, c’è il lavoro oscuro di gente come il veneto e c’è un esempio, neanche troppo lontano nel tempo, che lo dimostra.
Basso con Velasco. Il lavoro di Leonardo è stato basilare per la conquista della maglia tricoloreBasso con Velasco. Il lavoro di Leonardo è stato basilare per la conquista della maglia tricolore
«Avevo preparato con molta attenzione i campionati italiani – racconta Basso – andando al Tour de Suisse per rodare sempre più la gamba. Avevo compiti precisi, soprattutto dovevo lavorare nella prima parte della corsa per mettere le punte in condizione di dare tutto quando la gara si sarebbe decisa e la vittoria di Velasco è stata la vittoria di tutti noi, il premio per il buon lavoro svolto. Ho tirato per 100 chilometri, fino all’ultima risorsa di energia che avevo, ma alla fine ne è valsa la pena».
E dopo?
Ho tirato dritto verso le gare spagnole, continuando a fare il mio lavoro e vedendo che questo fruttava, ad esempio con la vittoria di Lutsenko al Circuito de Getxo. In totale fino a fine luglio ho fatto 48 giorni di corsa e se vado a vedere, avrò staccato dalla bici non più di 5 giorni.
Dopo i tricolori Basso ha corso le gare spagnole di luglio, dando sempre un importante contributoDopo i tricolori Basso ha corso le gare spagnole di luglio, dando sempre un importante contributo
La sensazione è che quello che ci troviamo di fronte sia un Basso diverso da quello che era alla Ineos…
E’ vero, sento dentro di me che qualcosa è cambiato. All’Astana mi trovo davvero bene, ho trovato la mia dimensione nel supporto ai compagni, nel lavorare per gli altri. Spesso chi entra in questo mondo ha un preconcetto nei confronti dei gregari, pensando che siano corridori che valgono meno e quindi sono relegati a ruoli di secondo piano. Quando ti ci trovi capisci quanto il discorso sia molto più complesso e quanto sia importante il lavoro svolto da altri per far vincere le punte del team. Il ciclismo è davvero un lavoro di squadra.
E’ vero, però ormai è opinione comune, quando un team del WT prende un giovane italiano, che questi vada a fare tappezzeria, a imparare sì il mestiere senza però poi avere occasioni per emergere…
Il ciclismo non è così. Entrare in una squadra è sempre uno stimolo e devi metterti in gioco con tutto te stesso, sta a te poi capire piano piano le tue possibilità, quel che puoi realmente dare. Se l’atleta c’è, viene fuori: è interesse del team che ciò avvenga. Ma è anche interesse personale quello di capire che cosa si può realisticamente fare e seguire quella strada. Io come detto ho trovato la mia dimensione e ci sto lavorando sopra.
Il corridore di Castelfranco Veneto ha ormai trovato la sua dimensione nel teamIl corridore di Castelfranco Veneto ha ormai trovato la sua dimensione nel team
Per completare il discorso, tu corri in una squadra kazaka che ha comunque una forte anima italiana, ma davvero nel WorldTour di oggi si guarda alla nazionalità di un corridore, privilegiando quello “di casa”?
Io non credo proprio, tutte le squadre sono delle multinazionali, che vogliono semplicemente emergere e vincere, se il campione è nazionale bene, se viene da fuori bene lo stesso. Che manchi un team italiano nella massima serie è fuori di dubbio, sarebbe comunque un canale privilegiato per far emergere i talenti italiani, ma se hanno qualità si metteranno in luce anche in team straniero. Però c’è dell’altro…
Cosa?
Non guardiamo sempre al discorso prettamente ciclistico. Approdare in un team di questo livello, soprattutto da giovani (io sono andato alla Trek a 21 anni) è un percorso di crescita anche personale. Impari nuove lingue, stabilisci obiettivi e priorità, insomma diventi uomo e in questa maturazione ci sta anche il trovare il proprio ruolo e svolgerlo sempre meglio.
Il veneto è al suo secondo anno all’Astana, ma spera di continuare nello stesso ambienteIl veneto è al suo secondo anno all’Astana, ma spera di continuare nello stesso ambiente
E tu che obiettivi ti poni? Dalle tue parole, ma anche dal tuo modo di correre si prospetta un futuro in ammiraglia…
Ammetto che mi piacerebbe molto e mi ci sento portato, non so se al massimo livello o occupandomi dei giovani, ma si può fare molto avendo un approccio ampio al mestiere. Io però sono concentrato sull’oggi, mi piace rimanere in questa squadra, voglio continuare a lavorare e a contribuire ai suoi successi.
Ora che cosa ti attende?
Mi sto preparando per la lunga trasferta oltreoceano, con il Tour of Maryland e le due classiche canadesi del WorldTour. Quest’anno non ci saranno grandi Giri per me, ma come si vede le corse da fare non mancano…
Per Basso si profila un futuro da direttore sportivo, un’idea che sembra piacergliPer Basso si profila un futuro da direttore sportivo, un’idea che sembra piacergli
Hai già molti più giorni in carniere rispetto allo scorso anno…
Il 2022 è stato davvero difficile ed essendo il primo anno all’Astana non nascondo che la cosa mi è pesata. Ho preso per due volte il Covid e la ripresa è stata ogni volta più complicata. Ho pagato fisicamente. Quest’anno è tutta un’altra storia, mi sento più solido, sotto ogni punto di vista e spero che questa progressione non si fermi.
Dopo 4 anni, Leonardo Basso lascia la Ineos e approda all'Astana assieme a Moscon. Le attese. Il curriculum. La bici. E il sogno di fare un grande Giro
La Jumbo-Visma ha vinto il ranking UCI 2022. E’ stata la miglior squadra, quella che ha raccolto più punti. Merito di un grande team, di atleti come Vingegaard, Van Aert, Roglic… ma anche di tanti corridori che hanno permesso loro di poter primeggiare. Insomma, merito dei gregari. E proprio perché sanno bene che il ciclismo, checché se ne dica, è uno sport di squadra, ecco che ne hanno preso un altro di gregario, Jan Tratnik(in apertura foto Instagram Jumbo-Visma).
Lo sloveno viene dalla Bahrain-Victorious.E’ uno di quei corridori tosti. Forse in bici non è un “cigno”, ma di certo ci puoi contare. Tratnik sa vincere e sa far vincere. Porta punti e li fa fare. Un uomo così lo vorrebbero tutti.
Jan Tratnik (classe 1990) è stato per quattro stagioni alla Bahrain. Eccolo alla prova delle scarpe Nimbl…E qui di seguito al calco del suo piede, sempre nelle sede olandese della Jumbo-VismaJan Tratnik (classe 1990) è stato per quattro stagioni alla Bahrain. Eccolo alla prova delle scarpe NimblE qui di seguito al calco del suo piede, sempre nelle sede olandese della Jumbo-Visma
Occasione giallonera
Mentre era intento a farsi fare il calco del piede per le nuove scarpe Nimbl, Tratnik ci ha raccontato del suo passaggio.
«Sono stato in contatto con diverse squadre – ci ha detto qualche tempo fa Tratnik – e vengo da una squadra importante come la Bahrain. Ma alla fine ho deciso per questo team perché penso sia il massimo in questo momento.
«Qui penso di poter ottenere il top dal punto di vista dei materiali, della preparazione… E così la scorsa estate, quando si fanno i contratti, c’è stata questa opportunità ho deciso di accettare».
A dispetto della sua statura, ma ormai conta poco vedendo Evenepoel, lo sloveno è un ottimo cronoman. E anche questo, ci aveva detto Mathieu Heijboer, responsabile della performance, aveva inciso sul suo passaggio. Poter disporre di un corridore così duttile è un’arma in più. Può essere utile in più occasioni.
Lo sloveno è un ottimo cronoman. Ha vinto quattro titoli nazionali contro il tempoLo sloveno è un ottimo cronoman. Ha vinto quattro titoli nazionali contro il tempo
Missione rosa
E infatti Tratnik è stato inserito nella missione Giro d’Italia, dove il leader sarà Roglic. Con così tanta crono, oltre al fatto che potrebbe cogliere un buon successo, magari Jan potrà essere utile al suo capitano e connazionale Primoz Roglic.
Potrà essere una pedina molto interessante per capire gli ultimi dettagli prima della prova del leader. Spesso infatti si fa fare al gregario la crono “a tutta” proprio per capire i punti critici e le condizioni del tracciato e riportare così info preziose per il leader. E se questo “gregario” è anche un cronoman tanto meglio. E ovviamente anche per tutto il resto: salita, pianura, il fatto che sono entrambi sloveni…
«Sono nel miglior team per quanto riguarda le crono – prosegue Tratnik – e penso di poter fare delle prove abbastanza buone. In questa squadra avrò bici, scarpe, materiale, tutto il meglio e per questo sono curioso di vedere come andrà. Il mio obiettivo è raggiungere il mio massimo».
L’impresa di San Daniele del Friuli al Giro 2020. Tratnik vinse al termine di una lunga fugaL’impresa di San Daniele del Friuli al Giro 2020. Tratnik vinse al termine di una lunga fuga
Motivazione super
Ma come abbiamo detto all’inizio, un atleta come Tratnik non è solo un gregario. E’ vero che in certe squadre il “pedigree” si alza, ma se vinci quattro titoli nazionali a crono in uno stato in cui ci sono Pogacar, Roglic e Mohoric, se alzi le braccia in una tappa del Giro, non sei uno qualunque.
«Dovrò aiutare e lo so bene – spiega Tratnik – ma penso anche che se ci sarà la possibilità potrò essere libero per cogliere dei risultati personali.
«Sembro molto motivato? E’ vero, lo sono. So che non sono più giovane e forse proprio per questo sento di avere con questa nuova sfida la maggior motivazione della mia carriera.
«Mi piace molto la cura di tutti gli aspetti, come ho detto, dalla preparazione all’alimentazione. So che tanti altri ragazzi sarebbero voluti venire qui, proprio per l’organizzazione che c’è e per la possibilità che si ha di esprimersi al massimo. E per questo non vedo l’ora di scoprire come andranno le cose. Loro sanno bene cosa vogliono».
La squadra olandese rinforza così la sua rosa con un altro corridore di sostanza. E se Tratnik dovesse rivelarsi un nuovo Laporte ne vedremo delle belle.