Il ruggito di Martinelli, regista del tricolore

24.06.2023
4 min
Salva

COMANO TERME – Orlando Maini ha detto che grande merito della vittoria di Velasco è di Giuseppe Martinelli, che nella riunione di ieri sera aveva nella voce la giusta vibrazione. Così quando il grande bresciano arriva per salutare il suo corridore, ci avviciniamo, ricordando con lui che le ultime sue vittorie tricolori risalgono alla doppietta di Nibali e alla vittoria del 2017 di Fabio Aru.

Martinelli negli ultimi tempi si è tirato un po’ indietro dall’ammiraglia. Non ha seguito il Giro d’Italia, evento a suo modo stranissimo, eppure adesso che ha vinto con un corridore in cui crede da tempo, nei suoi occhi c’è un orgoglio non sopito e impossibile da sopire.

Velasco ha vinto il tricolore a 27 anni, dopo un ottimo lavoro di squadra
Velasco ha vinto il tricolore a 27 anni, dopo un ottimo lavoro di squadra
E’ vero che nella riunione di ieri ti tremava la voce?

E’ diventato campione italiano. Adesso non si rende conto, ma si correva per diventare il rappresentante di una Nazione e allora ti senti veramente di spaccare il mondo, hai capito? E credo che Velasco, al di là del fatto che lo merita come tutti gli altri italiani, è cresciuto molto e ascolta molto. Potrebbe anche ascoltare di più e fare molto di più, perché è ancora molto acerbo.

A cosa ti riferisci?

Ieri pomeriggio era in giro con la moglie e la figlia. L’ho guardato un po così, per dirgli che oggi avrebbe dovuto correre il campionato italiano. Lui ha detto: «Vabbè, vado». E’ abituato in questo modo, va in giro col cane. Ma appena inizierà a fare il corridore, in futuro andrà ancora meglio.

La crono aveva detto che sta bene.

Lui è venuto al Giro di Svizzera. I primi giorni era veramente affaticato, poi è riuscito a venire fuori. Così alla fine gli ho detto: «Guarda che hai la gamba buona per far bene anche nella crono». Ed è andata bene.

Non è stato facile mettere d’accordo tutti i corridori perché lavorassero per uno solo. Qui Felline
Non è stato facile mettere d’accordo tutti i corridori perché lavorassero per uno solo. Qui Felline
Pensavi potesse vincere?

Giovedì ha fatto un numero (Velasco è arrivato quarto nella crono tricolore, ndr), allora ho cominciato a pensarci. Un campionato italiano così sembra facile vincerlo, ma è facilissimo perderlo. Davanti c’erano dei corridori buoni, Baroncini è stato molto sfortunato, ma c’erano degli ottimi corridori.

Avete vinto anche lavorando da squadra compatta?

La squadra ha lavorato bene. Battistella è stato importante, perché stamattina avevo detto che l’obiettivo era semmai farci prendere e non inseguire. Sarebbe stato molto più facile essere davanti con qualcuno, per fare in modo che dietro potessero lavorare di rimessa. Sono stati veramente tanto bravi.

Che differenza c’è fra le vittorie di Nibali e Aru e questa di Velasco?

Con gli altri due partivi e sapevi di essere all’altezza di vincere. Ieri molti direttori sportivi mi dicevano che la squadra più forte era la nostra, con Velasco, Battistella, Scaroni, anche Moscon. Però mettere tutti d’accordo per una maglia di campione italiano non è facile, perché ognuno vorrebbe fare la sua corsa e avevo dato loro proprio questo input. Voglio che corriamo per la maglia tricolore. Nibali e Aru erano già campioni, Simone può essere un buon corridore e può ancora crescere.

A detta di Velasco, Moscon lo ha aiutato molto ed è il corridore Astana con cui più ha legato
A detta di Velasco, Moscon lo ha aiutato molto ed è il corridore Astana con cui più ha legato
Quest’anno hai fatto un passo indietro, ti si vede sempre meno, quanta soddisfazione c’è oggi per Beppe Martinelli?

Non so ancora di preciso che cosa mi bolle in testa, hai capito? Sono in una squadra da 14 anni, ho ancora una grandissima voglia di spaccare il mondo, però probabilmente sono arrivati i momenti di ragionare. Prima andavo avanti d’inerzia, da una stagione all’altra. Invece gli ultimi due/tre anni sono stati veramente difficili per l’Astana sotto tutti i punti di vista. Io posso dire di aver lavorato come un matto e forse tutto questo comincia a pesarmi un po’.

Altro non dice. Immaginiamo il suo spirito furente, come l’ha definito Velasco. Martinelli sa vincere e far vincere. Non deve essere facile nemmeno accettare un ruolo che non è suo, che non è tecnico. Non deve essere facile iniziare a valutare la necessità di farsi da parte. Ma poi siamo davvero sicuri che sia necessario farlo?

Parigi-Nizza passaggio obbligato per chi punta al Tour?

06.03.2023
5 min
Salva

Con lo sprint vittorioso di Merlier, ieri si è aperta la Parigi-Nizza. “Sorella” della Tirreno-Adriatico, che invece scatta fra qualche ora. Questa gara è spesso, molto spesso, il primo banco di prova dei contendenti al Tour de France. Questo non significa che già la lotta sia tra i super protagonisti, ma chi aspira alla maglia gialla della Grande Boucle è al via. Quasi come fosse un dogma esserci. Anche se Pogacar nelle ultime stagioni ha smentito questa regola.

Oggi vediamo appunto Pogacar (nella foto di apertura) e Vingegaard, ma alla Parigi-Nizza prima di loro ci ha messo il naso anche Vincenzo Nibali, quando lo Squalo appunto mirava al podio del Tour. A scortarlo sulle strade di Francia c’era il suo direttore sportivo Giuseppe Martinelli.

Giuseppe Martinelli con Vincenzo Nibali. Nel 2014, quando lo Squalo vinse il Tour, alla Parigi-Nizza fece tanta fatica e fu 21° nella generale
Martinelli con Nibali. Nel 2014, quando lo Squalo vinse il Tour, alla Parigi-Nizza fece tanta fatica
Giuseppe, perché solitamente chi punta al Tour va alla Parigi-Nizza?

Perché alla Parigi-Nizza c’è sempre qualcosa che poi si troverà a luglio sulle strade del Tour. E’ un po’ come il Delfinato d’estate. Sono le stradine della Francia, un pezzo di percorso, un modo di correre, il vento… Insomma la Parigi-Nizza è già un piccolo Tour.

Una volta si diceva che si andava in Francia anche per trovare alleanze in vista dell’estate. Magari si aiutava una squadra più piccola a portarsi a casa una tappa in cambio di un favore d’estate. Oggi forse tutto ciò è impossibile.

No, non si va per le alleanze. Non succede più. Oggi ognuno ha la “testa nella sua mangiatoia”. Certe alleanze semmai nascono sul momento in base alle situazioni di corsa. E solo se ci sono obiettivi comuni. Ma non ci si va appositamente. Negli ultimi tempi non ho più sentito che questa o quella squadra la mattina in hotel magari si parlano.

Meteo avverso, vento, nervosismo, il vallonato francese… s’iniziano a prendere le misure col Tour. Qui il gruppo ieri verso La Verrière
Meteo avverso, vento, nervosismo, il vallonato francese… s’iniziano a prendere le misure col Tour. Qui il gruppo ieri verso La Verrière
Come dicevamo non è più quel ciclismo.

Ma sì, e poi oggi abbiamo mille strumenti che ci dicono come potrà andare la corsa, mille stratagemmi per capire come fare e se il percorso è più o meno adatto.

Hai detto che lungo il percorso della Parigi-Nizza capitava sempre qualcosa del Tour successivo: era anche un’occasione per fare dei sopralluoghi?

Assolutamente sì (l’Astana all’epoca ne approfittò per andare a vedere la tappa del pavé, che poi si rivelò decisiva per Nibali, ndr). Pensate come ragionano gli organizzatori del Tour: visto che questa estate si andrà sul Puy de Dome, alle squadre selezionate per la Grande Boucle la scorsa settimana è arrivata un’email in cui dicevano che avrebbero messo a disposizione un treno per andarlo a visionare durante il Delfinato, visto che non ci si può andare da soli in macchina.

Ieri nella prima tappa a La Verrière, Tim Merlier ha battuto Bennett, Pedersen e Kooij
Ieri nella prima tappa a La Verrière, Tim Merlier ha battuto Bennett, Pedersen e Kooij
Hai parlato di percorso, ma se c’è un tracciato che tra Parigi-Nizza e Tirreno ti favorisce nettamente vai comunque alla gara francese in ottica Tour?

Si valuta, ma se avevi battezzato il Tour andavi lì per assaporare le sue strade. Se invece parliamo del Pogacar della sua situazione vi dico che lui, per me, sta tentando di vincere un po’ tutto. La Tirreno l’ha vinta, ora nella sua bacheca vuol mettere anche la Parigi-Nizza. Ha vinto il UAE Tour ed è andato in Andalusia. Tadej ha bisogno di questo pizzico mentale, di questa inventiva stimolante.

Però pensando a Nibali soprattutto, ma non solo lui, a volte non si è in forma in quel periodo. E tutto si complica. C’è il rischio di non uscirne bene?

Alla Parigi-Nizza si è sempre fatto tanta fatica. Anche Vincenzo ne ha fatta e per questo non riuscivamo a trovare il bandolo della matassa e la fatica era amplificata. Le tappe nei primi giorni sono piatte, ma c’è un grande stress. Poi magari s’incontra anche il vento nelle zone del Nord. Le ultime tre, quattro tappe invece hanno delle salite. Salite che però non sono in stile Tirreno, come i muri o l’arrivo in quota. Sono salite veloci, più stressanti. Non era così raro che la sera Vincenzo ti mandasse a quel paese e ti diceva: «Martino, era meglio andare alla Tirreno». Tirreno che tra le altre cose ha anche meno trasferimenti. Il territorio della Parigi-Nizza è molto vasto, quello della Tirreno è più raccolto. 

La UAE Emirates di Pogacar e la Jumbo-Visma di Vingegaard (entrambi riconoscibili) già si sono marcati stretti nella prima tappa di ieri
Pogacar e Vingegaard (entrambi riconoscibili) già si sono marcati stretti nella prima tappa di ieri
Ieri è partita questa bellissima corsa, il Martinelli appassionato  più che il tecnico, come la vede? E’ già uno scontro totale tra Pogacar e Vingegaard o si nasconderanno un po’?

Sono due corridori diversi da tutti gli altri. Si rispettano ma se possono darsi le botte se lo danno! Per me ci arrivano senza volerlo, con una condizione molto buona, forse più di quello che si aspettavano. Pogacar lo abbiamo visto nelle prime gare. Vingegaard l’ho osservato al Gran Camino e va davvero forte. Forte come mai prima. Ha acquisito una fiducia in sé stesso unica. Ha fatto numeri in-cre-di-bi-li (lo dice scandendo le sillabe, ndr). Di contro si ritrova “tra le scatole” un Pogacar che non si aspettava. Io penso che sarà un bel duello.

Quindi non si nasconderanno. Secondo te ci può stare che Pogacar abbia detto all’ultimo della sua partecipazione per deviare un po’ l’attenzione? E magari Vingegaard e la Jumbo-Visma sapendo che lui non c’era si sarebbero preparati diversamente?

Non penso, questi due sono un bene del ciclismo. E lo dico da appassionato. Non credo di sbagliare se dico che Pogacar vuol vincere tutto. A lui piacere correre… E vincere!

L’infezione è guarita, Moscon può rialzare la testa

20.12.2022
5 min
Salva

Dice Martinelli che la Bernocchi è stata la prima corsa del 2022 in cui ti sei sentito Gianni Moscon. Il trentino alza lo sguardo e dentro ci vedi il barlume di un sorriso. Uno così fai fatica a vederlo prostrato, piuttosto si indurisce. Lo abbiamo vissuto abbastanza per ricordarne le reazioni in altri momenti. Eppure il Moscon dell’ultima stagione era arreso, sulla bici e anche fuori, alle prese con un malanno per cui non si trovava la cura. Dall’inizio dell’anno, un crollo dietro l’altro. Fermo dal Fiandre al Giro di Svizzera. Ritirato dal Tour a Losanna e proprio quel giorno venne la decisione di fermarlo due mesi per andare finalmente al fondo del problema.

«La Bernocchi era il 3 ottobre – annuisce – è stata forse la prima gara dove ho avuto sensazioni normali. Ho ripreso a pedalare a inizio settembre e sono arrivato alle prime corse con quindici giorni di allenamento da zero. Perché dopo il Tour avevo iniziato anche a fare qualcosa, ma i medici mi hanno imposto di fermarmi assolutamente».

La Strade Bianche poteva essere un bel passaggio per Moscon, ma si è ritirato: tanta fatica, poca resa
La Strade Bianche poteva essere un bel passaggio per Moscon, ma si è ritirato: tanta fatica, poca resa

Piegato in due

Un mese e mezzo senza bici. E quando ha ripreso, finalmente ha sentito che il fisico rispondeva. Fatica e recupero: quello che per tutti è normale, per lui era diventato un incubo e per la squadra un bel rompicapo.

«Prima non riuscivo neanche andare a tutta – dice Moscon, giocando con le parole – perché ero sempre a tutta. Intendo che ci mettevo anche l’anima, ma il fisico non rendeva. Non arrivavo ad esprimere il massimo, quindi non riuscivo ad allenarmi perché ero sempre più stanco. Ho avuto un’infezione batterica nel sangue da curare inizialmente col riposo. Ero a casa, ma è stato un incubo, perché non se ne veniva a capo. Avevo un mal di schiena tremendo, proprio nella zona lombare. Ero piegato in due perché quando non stai bene, sforzi la schiena e la prima cosa che parte è il nervo sciatico. Avevo appuntamenti e visite quasi tutti i giorni, da Padova fino a Monaco. Finché a forza di girare, ho trovato una direzione». 

Parigi-Roubaix 2021, Gianni Moscon in versione guerriero: solo due cadute gli impedirono di vincere
Parigi-Roubaix 2021, Gianni Moscon in versione guerriero: solo due cadute gli impedirono di vincere

Antibiotici e via

Individuato il problema, s’è trovata la cura ed è stato possibile tracciare un cammino di rientro. Solo che la causa di quella debolezza è saltata fuori dopo quasi tre settimane.

«Trovata l’infezione – prosegue Moscon – è stato definito il protocollo terapeutico. Così finalmente ho avuto una strada da seguire e ho cominciato. Antibiotici e via. Ho trovato la mia routine, ero sempre operativo a casa. Ne ho approfittato per sistemare tutte le cose che poi, riprendendo ad allenarmi, non avrei potuto seguire. Avevo già previsto che avendo perso tutto quel tempo d’estate, il mio fine stagione non sarebbe stato tanto lungo. In questo ciclismo non ti puoi permettere di staccare un attimo, figurarsi un mese e mezzo d’estate. Al Langkawi sono andato perché era utile alla causa, quindi l’ho affrontato col morale giusto ed è servito».

Moscon correrà per la maggior parte della stagione con la Wilier Filante
Moscon correrà per la maggior parte della stagione con la Wilier Filante

Il sangue pulito

Il via libera è arrivato alla fine di settembre con le ultime analisi del sangue, vissute con una certa apprensione.

«Finalmente il sangue era pulito – sorride Moscon – non c’erano più parassiti. C’era ancora qualcosina, ma potevo nuovamente allenarmi in maniera blanda e seguendo le sensazioni. Ho capito che era inutile seguire una tabella, se non sai neanche come stai. E allenandomi così, sono arrivato alle corse anche discretamente. Il Covid aveva causato un’immunodepressione e si sono sviluppati dei batteri. I medici mi hanno detto che il virus e il vaccino possono avere effetti diversi. Magari non ti fanno niente oppure puoi avere un’immunodepressione. Magari nella vita di tutti i giorni, se devi andare in ufficio, accusi un po’ di stanchezza e ci passi sopra. Pensate invece a farci un Tour de France! Un altro effetto del Covid invece sono le malattie autoimmuni, ma con una di quelle sarebbero stati dolori…».

In allenamento con Basso, compagno di lavoro dal 2018 quando arrivò al Team Sky. Dietro, Garofoli (foto Sprint Cycling/Astana)
In allenamento con Basso, compagno di lavoro dal 2018 quando arrivò al Team Sky (foto Sprint Cycling/Astana)

Il tempo perduto

Così ora si va alla ricerca del Gianni perduto, di quel corridore vincente al Tour fo the Alps, poi lanciato verso la vittoria della Roubaix 2021 (ma fermato da due cadute: arrivò quarto), infine sparito dai radar.

«Il miglior Gianni che ho visto negli ultimi tempi – dice – è stato quello della prima parte del 2021, fino al Giro. Determinato e vincente. Mi sentivo bene, ero solido e con una gran condizione. Anche l’anno scorso ero sulla buona strada, a dicembre qui in ritiro stavo bene. Poi ho preso il Covid a gennaio ed è cominciato tutto. Faticavo a rispondere perché non sapevo cosa dire e perché c’era delusione per me stesso e anche per l’Astana che mi aveva dato fiducia. Non è stato facile, però so che posso solo migliorare. Ho questo in testa. Se il fisico mi asseconda, prima o poi la condizione si trova. E quando hai la condizione, si creano le opportunità».

L’Astana dopo Lopez e il ciclismo di Martinelli

16.12.2022
8 min
Salva

Il licenziamento di Lopez è una tegola che ha scosso parecchio l’ambiente Astana. Il colombiano è stato mandato via dopo la scoperta di nuovi elementi che mostrerebbero il suo probabile legame con Marcos Maynar, medico sul quale gravano sospetti di doping. Nel bellissimo hotel con parco e piscina da cui si vede il mare, se ne continua a parlare sia pure ormai con la stessa battuta sommessa: proprio non ci voleva. Di colpo, la squadra che ha vinto grandi Giri con Contador, Nibali e Aru, che ha lottato con Landa, Lutsenko e Fuglsang, si ritrova senza un leader per le corse a tappe. Pensare a Giuseppe Martinelli senza un uomo di classifica dopo tanti anni di carriera, sembra quasi innaturale.

«Effettivamente penso che sia abbastanza strano – dice Martinelli, in apertura fra Zanini e Maini – però mi dovrò abituare. Dovrò cambiare un po’ mentalità, andrò meno alle corse. Anche perché con il tempo che passa, arrivano persone e mentalità nuove, per cui è giusto lasciare spazio».

Lopez è stato licenziato per la probabile frequentazione con il dottor Marcos Maynar: Martinelli parla di tradimento
Lopez è stato licenziato, Martinelli parla di tradimento
Quando succede una cosa come questa di Lopez quali sono i motivi per cui si rimane male?

Sembrerà strano, ma come prima cosa rimani male per il modo in cui ti arrivano le informazioni, che sono troppe e vengono prima che tu, che sei direttamente coinvolto, sappia qualcosa. E’ una cosa che non esiste, purtroppo però il mondo è questo. Del discorso di Lopez, non ho problemi a dirlo, l’unica persona che sa che cosa sia veramente successo è Lopez e nessun altro. Tutto il resto lo abbiamo scoperto passaggio per passaggio, momento per momento. Non puoi aggiungere nulla, perché altri hanno già aggiunto tutto. Il giorno in cui è successo tutto, dei miei amici mi hanno mandato giornali spagnoli, francesi, inglesi, tedeschi e Lopez era partito solo da un’ora.

Come si resta?

Ti va il morale sotto i piedi. Nonostante io ne abbia passate di cotte di crude, perché in questo mondo ci sono da troppi anni, fa sempre male perché vuol dire che la gente non ha ancora capito. E ce ne sono ancora purtroppo. E quando tu pensi che sia l’ultimo, invece, ce ne è sempre un altro.

Lui sarebbe stato una pedina importante per questa squadra.

Veniva dalla stagione 2021 con la Movistar che non era andata come doveva. E’ ritornato qua e l’abbiamo accolto a braccia aperte, convinti di riuscire ancora a tirar fuori qualcosa. Siamo stati traditi, la realtà è questa.

I primi giorni del ritiro sono serviti per la consegna dei materiali. Qui gli occhiali SciCon
I primi giorni del ritiro sono serviti per la consegna dei materiali. Qui gli occhiali SciCon
Hai parlato di nuovo che avanza, cosa salviamo di quel che c’era prima?

Il mondo va avanti, ma non è che i miei pensieri siano distorti da quelli dei giovani. Però si cerca di far collimare sempre queste due anime. Ho la fortuna di essere qua da tanti anni, di conoscere bene il mio ambiente e perciò mi rispettano per quello che sono. Insomma, finché si può, si sta qua.

Si può pensare di iniziare un nuovo ciclo dai giovani? Da Garofoli, per fare un nome…

Secondo il mio punto di vista – precisa Martinelli – non tutti sono Pogacar o Remco. Garofoli arriva da due stagioni un po’ strane. Prima il Covid, poi il problema del cuore. Speriamo che tutto sia in ordine e poi giorno per giorno si cercherà di creare veramente qualcosa. E’ presto per dire se sia un corridore da classiche o da Giri, anche perché corse a tappe vere non le ha mai fatte. Diciamo che secondo me ha una bella testa, ma il ciclismo è veramente cambiato. C’è battaglia dal chilometro zero all’arrivo. C’è gente che va in fuga con la maglia gialla. In certi momenti mi meraviglio che mi meraviglio ancora. Però sono cose che ti fanno pensare. I corridori sono molto più forti, c’è più specializzazione c’è più ricerca…

Non è sempre stato così?

La ricerca del risultato migliore c’è sempre stata, così come le rivalità. Però ognuno aveva il suo orticello da curare. Chi preparava la grande corsa a tappe, del resto si interessava poco. Se adesso vai a fare una corsa, vedi che Vingegaard prepara il Tour, ma intanto vince i Paesi Baschi. O Van Aert che va a fare le classiche, poi ti vince le tappe al Tour come se niente fosse.

Meccanici al lavoro: Tosello e Possoni alle prese con una catena da cambiare
Meccanici al lavoro: Tosello e Possoni alle prese con una catena da cambiare
Fare le squadre è più difficile?

Ne parlavo poco fa con un nostro sponsor e mi chiedeva quali sono le squadre più forti nel panorama mondiale. Alcune hanno prima di tutto il budget per prendere il miglior corridore, il miglior preparatore, il miglior tecnico, il migliore in ogni settore. Ci sono squadre invece che partono magari dai giovani e cercano di tirar fuori qualcosa di importante, che è quello che mi è sempre piaciuto fare. E magari prendono anche un preparatore giovane, lo costruiscono e lo fanno diventare più bravo. Però naturalmente, quando ti scontri con quelle realtà e sei più piccolo, devi cercare di tirar fuori il massimo da quello che hai. E’ un po’ questa la scommessa che forse ci apprestiamo a fare noi dell’Astana. Abbiamo una squadra sicuramente non fra le prime e non voglio dire che saremo in difesa, ma cercheremo veramente di vedere se siamo capaci di tirar fuori il massimo da ognuno.

Una sorta di tutti per uno e uno per tutti?

Ci sono corridori che secondo me erano abituati a fare un determinato lavoro per gli altri e poi a tirare i remi in barca. La sera si brindava perché aveva vinto Vincenzo oppure un altro e andava bene. Adesso vediamo se sono capaci veramente di tirar fuori loro qualcosa di buono. Anche poter dire semplicemente di essere andati in fuga, aver cercato di fare il massimo, centrare un piazzamento… Questo è la scommessa che abbiamo davanti.

Si parla più di un lavoro psicologico che atletico, in questo senso…

E’ un mix, ma sicuramente conta più la testa che le gambe, perché devi veramente creare qualcosa per te stesso. Magari qualcuno ha perso questa attitudine e qualcuno non l’ha mai neanche avuta. Magari un altro è nato gregario. Adesso invece hanno la possibilità di tirar fuori qualcosa per se stessi. Dico la verità, non credo che sarà facile. Non abbiamo la bacchetta magica, però magari scopriamo che qualcosa si può fare.

Racconta Martinelli che la Bernocchi, chiusa al 12° posto, è stato il segnale del ritorno di Moscon
Racconta Martinelli che la Bernocchi, chiusa al 12° posto, è stato il segnale del ritorno di Moscon
Secondo te, al netto dei problemi di salute che ha avuto, Moscon rientra in questa casistica?

Lo abbiamo preso per quello. La prima cosa che gli abbiamo detto quando è arrivato è che in qualunque corsa lui possa andare, avrà carta bianca. Anzi, qualche volta correremo anche per lui. E’ quello che gli è sempre mancato. Peccato che siamo andati incontro a una stagione sfortunatissima. 

Adesso come sta?

Motivato, com’era pure lo scorso dicembre. A gennaio invece era uno straccio e si è tirato dietro così fino a ottobre. La prima vera giornata in cui è sceso di bicicletta e mi ha detto di aver avuto buone sensazioni è stata alla Bernocchi, che era il 3 ottobre. E così lo abbiamo convinto ad andare in Malesia, dicendo che saremmo ripartiti da lì per arrivare qui a ricominciare per bene. Ci sono stati momenti in cui non ti rispondeva neanche ai messaggi, perché non sapeva cosa dire. Ed era anche difficile digli qualcosa per tirarlo su…

Hai parlato dei tanti ruoli nelle squadre: il direttore sportivo può ancora fare la differenza?

Sicuramente meno. Ovviamente non voglio dire che mi trovo con le mani legate, però adesso prima di fare una cosa, ti devi confrontare con tantissime persone. E tutte le volte che tu ti confronti con una persona, ti fa cambiare idea oppure sposi un po’ la sua. Una volta andavo a dormire, mi alzavo la mattina con la strategia che avevo studiato prima di andare a letto. Andavo dai corridori e gli spiegavo come avremo corso. Invece adesso ti confronti con troppe persone e alla fine molte volte ti tolgono un po’ di quello che avevi pensato. E’ capitato anche che me l’abbiano girata completamente al contrario. Perché ti dicono che quel corridore non sta tanto bene, che non conviene fare una certa cosa… E a un certo punto ti chiedi: e adesso cosa faccio?

Tour de France 2017, Martinelli e Shefer, due diesse del team, assieme al preparatore Mazzoleni (a sinistra)
Tour de France 2017, Martinelli e Shefer, due diesse del team, assieme al preparatore Mazzoleni (a sinistra)
Cosa succede se fai come prima e imponi la tua idea?

Io dico che in mezzo a tanti, forse sono ancora l’unico che viene giù ed ha ancora quell’idea. Il problema però è che molte volte ti trovi davanti il corridore che ha parlato con gli altri e quando nella riunione li guardi in faccia, sono perplessi o poco convinti. Prima li portavi dove volevi, perché la sera andavo in camera, parlavo col corridore e al massimo passava il dottore per chiedergli se avesse bisogno di qualcosa per dormire.

Adesso no?

Adesso appena arrivi in hotel, c’è già l’analisi della corsa. Quanto hai speso, quanto non hai speso. Cosa devi mangiare, cosa non devi mangiare. Passa il dottore e ti porta quello che devi bere perché hai consumato un tot. Serve tutto per migliorare, anche se troppe cose nella testa ti confondono. Secondo il mio punto di vista, quello che il corridore soffre adesso è proprio questa pressione. Il fatto di avere sempre qualcuno che ti dice qualcosa e di tuo ti rimane poco.

Luciano Pezzi, nel presentare la Mercatone Uno del 1997, disse che Pantani ne sarebbe stato il leader, ma il capitano sarebbe stato Martinelli. Non è più possibile?

Questo dipende molto dalla squadra e da quello che sei riuscito a creare. Oppure da quello che gli altri hanno creato intorno a te. Adesso la squadra è fatta di tante componenti, mentre prima c’erano solo l’atleta e il direttore sportivo. L’esempio è quello che succederà domattina…

Due risate tra Felline e il massaggiatore Saturni al rientro dall’allenamento
Due risate tra Felline e il massaggiatore Saturni al rientro dall’allenamento
Che cosa?

Se venite qui domattina, vedrete che sul programma c’è scritto per filo e per segno tutto quello che il ragazzo dovrà fare. Invece quando io consegnavo i fogliettini c’era scritto: sveglia, colazione, allenamento. Il direttore sportivo era proprio il faro, adesso è un componente del team.

Seguirai davvero meno del solito?

Andrò sicuramente meno. Il mio lavoro in questa squadra è diventato un po’ di contorno. Cerco di fare un po’ più la logistica. Certo, quando salgo sull’ammiraglia, sono nel mio regno. Ritrovo il mio modo di fare, il mio modo di agire. Sono ancora un po’ autoritario. Però ci sono tante altre persone che lavorano per me. Non sono io il più bravo, ce ne sono altri molto più bravi. E’ giusto che abbiano il loro spazio. 

I giorni dello Squalo / Giro d’Italia 2013, la prima rosa

28.08.2022
7 min
Salva

Mancano 20 chilometri all’arrivo delle Tre Cime di Lavaredo, quando radio corsa gracchia che sulla salita finale ha iniziato a nevicare. I corridori del Giro vengono scossi da un brivido, ai giornalisti in sala stampa viene detto che dovranno stringere i tempi, perché vista la quantità della precipitazione, non si garantirà a lungo l’apertura della strada per la discesa.

«Quel giorno – racconta Valerio Agnoli – resta l’emblema della cattiveria di Vincenzo in bici. Avevamo gestito ogni cosa in modo perfetto con Tiralongo e un giovane come Aru, che già allora mostrava una determinazione non comune, tanto da arrivare quinto. Mi emozionai anch’io, quando arrivai in cima, quasi 7 minuti dopo Nibali. Il capitano che vince ti ripaga della fatica. Quando l’ho visto, si capiva che fosse felice, anche se da fuori non sempre lo lascia vedere. Ma “Vince” è fatto così. Non si accontenta mai, ha la vittoria cucita addosso».

Si va verso le Tre Cime, Agnoli e Aru in testa al gruppo: sulla salita nevica già
Si va verso le Tre Cime, Agnoli e Aru in testa al gruppo: sulla salita nevica già

Spauracchio Wiggins

E’ il Giro d’Italia del 2013, partito da Napoli sembra un secolo prima. Nibali ha già vinto la Vuelta del 2010, nel 2011 è arrivato terzo al Giro, anche se per la squalifica di Contador le statistiche annotano il suo secondo posto e la vittoria di Scarponi. Nel 2012 è andato al Tour, conquistando il podio alle spalle di Wiggins e Froome. E nel 2013, passato nel frattempo all’Astana, punta deciso sul Giro. In ammiraglia c’è Giuseppe Martinelli, che maglie rosa ne ha vinte in abbondanza, con Pantani, Garzelli, Simoni e Cunego e sa come si fa.

Tra i favoriti, spicca lo spauracchio Wiggins. Il britannico, che l’anno prima oltre alla maglia gialla ha vinto le Olimpiadi della crono nella sua Londra, non fa mistero di volere la maglia rosa. Ma il Giro e le salite italiane sono un’altra cosa. Se ne è accorto al Giro del Trentino, dove innervosito proprio da un attacco di Nibali, ha scagliato la bici contro una parete rocciosa, per un problema tecnico che gli ha impedito di inseguirlo.

E’ un Giro ferito. Nel giorno che precede l’impresa delle Tre Cime, proprio la neve ha fermato la corsa, guadagnando ai corridori un riposo inatteso, durante il quale la positività di Danilo Di Luca ha rischiato di affossare il bello di una corsa fino a quel punto super avvincente. Per questo Nibali ha sulle spalle il peso del pronostico, quello della neve che cade copiosa e quello del ciclismo italiano ancora una volta messo sotto accusa.

Il diluvio di Pescara

Agnoli ricorda. Per lui, che nel 2013 ha 28 anni ed è già professionista da 9 stagioni, la maglia rosa è un’esperienza già vissuta con Basso al Giro del 2010, quello della vittoria di Nibali nella tappa di Asolo e della lunga rincorsa dopo la fuga dell’Aquila.

Caduto nella pioggia di Pescara, Wiggins capì subito che sarebbe stato un Giro… inospitale
Caduto nella pioggia di Pescara, Wiggins capì subito che sarebbe stato un Giro… inospitale

«Wiggins – dice – lo avevamo già incontrato al Trentino e quel nervosismo era stato un segnale che avevamo captato chiaramente. Con un direttore come Martinelli, la gestione della squadra ne tenne sicuramente conto. Sapevamo ad esempio che Bradley soffriva le giornate di pioggia. Per questo quando il mattino della tappa di Pescara aprimmo la finestra (era la 7ª tappa, San Salvo-Pescara di 177 chilometri, ndr), immagino che lui si sia disperato, invece Vincenzo rideva. In quelle situazioni lui si gasava e chi invece gli correva contro, aveva il terrore addosso. Pescara fu un tassello importante, perché il Giro si vince tappa dopo tappa.

«Quel giorno “Vince” bucò. Mi guardo e mi chiese: “E adesso che facciamo?”. Mi fermai e gli diedi la ruota. Il mio compito in quei Giri non era cercare soddisfazioni personali, ma stargli accanto, corrergli addosso perché stesse lontano dai pericoli. Era stato lo stesso tre anni prima con Basso. Gli diedi la ruota e lo vidi andare via…».

Nella crono di Saltara, Nibali conquista la maglia rosa
Nella crono di Saltara, Nibali conquista la maglia rosa

La crono e la rosa

Pescara fu decisiva soprattutto a livello nervoso. L’indomani, si pensava infatti che la crono di Saltara avrebbe permesso a Wiggins di ammazzare gli scalatori. Percorso impegnativo di 54,8 chilometri, non una passeggiata: ideale per il campione che sulla crono aveva costruito la vittoria al Tour dell’anno prima. Solo che invece di arrivarci con lo stesso tempo di Nibali, quel 1’24” lasciato a Pescara continuava a ticchettargli nella testa.

«La sera prima della crono – sorride Agnoli – cercavo di scherzare per sdrammatizzare un po’. Certo, se vai ad analizzare i numeri e le statistiche, eravamo spacciati. Ma “Vince” stava bene e quel giorno è partito molto più cattivo del solito. La crono la vinse Dowsett, “Wiggo” arrivò secondo. Ma Nibali gli arrivò ad appena 11” e si prese la maglia rosa. Giorno indimenticabile. Capimmo che Wiggins non sarebbe rimasto a lungo un problema, anche se il Giro era ancora lungo».

La cronoscalata di Polsa è un momento decisivo: rivali respinti decisamente
La cronoscalata di Polsa è un momento decisivo: rivali respinti decisamente

Un uomo semplice

E’ il Giro di Uran che mette fuori il naso. Di Wiggins che sull’orlo di una crisi di nervi non riparte al mattino della 13ª tappa. Di Visconti che risorge dai suoi problemi e conquista prima il Galibier davanti al monumento di Pantani in un altro giorno frenato dalla neve, poi il traguardo di Vicenza. E proprio in quel giorno sulle Alpi francesi, si ha la sensazione che la maglia rosa voglia rispettare l’amico palermitano evitando di strozzare la sua vittoria.

«La cosa bella del ciclismo – conferma Agnoli – è che siamo avversari e possiamo sembrare acerrimi nemici, ma di base siamo tutti profondamente amici. E’ normale o almeno lo era allora fare qualche favore lungo la strada, perché sono cose che ti ritrovi. Gesti che si fanno per il rispetto che riconosciamo ai colleghi, per amicizia. E Nibali queste cose le ha. Magari da fuori possono averlo visto come un uomo chiuso, mentre la sua vera forza sta nella semplicità. Per questo in tutti i Giri che ho corso con lui, ci siamo soprattutto divertiti. Ogni giorno ce n’era una. Perché sa tutto lui e sa fare tutto lui e noi ci giocavamo sopra. Abbiamo sempre riso e scherzato un mondo».

Emozioni sulla pelle

Il Giro d’Italia del 2013 si conclude a Brescia proprio all’indomani delle Tre Cime, rese ancora più eroiche dal massiccio lavoro degli alpini sul percorso e sulla cima.

«Dopo il traguardo dell’ultima tappa vinta da Cavendish – ricorda Agnoli – per arrivare alla piazza del podio c’erano 3-400 metri, che feci accanto a lui. Avevo la pelle d’oca. Lo vidi che si fermava alla transenna per abbracciare i genitori. Vedevo la maglia rosa acclamata dalla gente, che era veramente tanta. E parte di quel simbolo lo sentivo mio, anche solo un pezzetto. Non rivivrò più momenti come quello, salire sul podio con tutta la squadra fu magnifico. Era Nibali e finalmente aveva vinto il Giro d’Italia».

«Per questo quando a Messina ha annunciato il ritiro – riflette l’amico – sono rimasto di sale. Ne aveva parlato altre volte, ma di colpo è parso deciso. Se ne sta andando un campione immenso, dove cavolo lo ritrovi uno così? E non parlo del ciclismo italiano, parlo del ciclismo mondiale. Smetterà un gigante. E adesso la mia sola preoccupazione è che mi toccherà allenarmi di nuovo per andare in mountain bike con lui. Sta finendo casa davanti alla mia, sono sicuro che tornerà presto a tirarmi il collo…».

Battistella alla Vuelta, replay di una volata già vista

27.08.2022
4 min
Salva

«Cercasi qualcuno che mi insegna a fare le volate ristrette! Un secondo posto che brucia, ma ci saranno altre occasioni». Scrive così Samuele Battistella su Instagram dopo la volata di ieri alla Vuelta. E quando stamattina parliamo dopo colazione, il… rodimento s’è solo parzialmente attenuato.

Sul traguardo di Cistierna è sembrato di rivedere il film dei mondiali U23 di Harrogate 2019. Il vicentino divenne sì campione del mondo, ma perse allo stesso modo la volata contro Nils Eekhoff, poi squalificato per rientro irregolare.

«Una volata identica – conferma con una punta di amarezza. Anche quella volta ero in fondo, poi presi la ruota dell’olandese e invece di passarlo a destra, mi spostai a sinistra. Identica. E feci pure secondo».

Il video del mondiale U23 di Harrogate 2019: la volata dal minuto 2’10”

Volata dalla coda

Era riuscito tutto alla perfezione, compreso prendere la fuga che in questa Vuelta sempre a cento all’ora non è affatto scontato. Dall’ammiraglia Martinelli gli aveva detto di stare attento a Herrada e Wright, i due più veloci. Per questo Samuele si era messo in ultima posizione, pronto a partire in rimonta. Prima di parlare con lui abbiamo anche riletto il pezzo in cui Ulissi spiegava come si faccia a non fallire certi arrivi, anche se la ricetta non è uguale per tutti. Anche se a parole siamo tutti campioni.

Quindi?

Sapevo che Herrada era veloce, ma stando in fondo ho perso due metri quando è partito. Ho visto che avrebbe fatto la volata a sinistra. Ero nella sua scia e avrei potuto passare dalla stessa parte, ma ho pensato che se si fosse allargato, mi avrebbe portato fuori. In quel momento si è aperto il varco a destra e mi sono infilato. Andavo a doppia, ma non è bastato. Ho rivisto il video e ho capito di aver fatto una cavolata. Per questo il giramento c’è ancora.

Il pianto di Herrada dopo la vittoria: non alzava le braccia da febbraio 2021
Il pianto di Herrada dopo la vittoria: non alzava le braccia da febbraio 2021
L’hai rivisto da solo?

No, insieme a Martinelli, Zanini e Mazzoleni

Capirai, Zanini certe volate sapeva farle alla grande, ti avrà mangiato…

A dire il vero Zazà è stato anche pacato, invece Martinelli proprio no. Mi ha detto che sono in debito con lui di due vittorie. Quella di ieri e il campionato italiano…

Sono attimi, le volate ristrette non sono facili da interpretare…

Non sai mai chi sia più veloce, chi abbia fatto il furbo. Servono occhio ed esperienza e io sto imparando. Appena trovo la formula giusta, applico sempre quella e sono a posto (sorride, ndr). Copia e incolla.

Per esempio hai pensato di partire tu per primo?

Ero dietro per evitare che qualcuno mi fregasse. Janssens e Wright erano quelli che in pianura erano sembrati più forti ed erano davanti pronti a prendere la ruota del primo che fosse partito. Non ho voluto rischiare, ho preferito giocarmela così.

Con quale rapporto hai sprintato?

Il più lungo, il 54×11, anche perché la strada un po’ scendeva. Il lato positivo, perché va sempre cercato il lato positivo, è che adesso manca solo la ciliegina. La torta l’ho costruita e forse una vittoria dal nulla avrebbe un altro sapore. Sono certo che ci saranno altre occasioni, fra la prossima e la terza settimana.

Battistella si è giocato la sua carta nella tappa di ieri a Cistierna, 7ª della Vuelta
Battistella si è giocato la sua carta nella tappa di ieri a Cistierna, 7ª della Vuelta
Hai già visto dove riproverai?

Onesto, non ancora. In questi giorni ho lavorato parecchio per Lopez e Nibali e posso assicurarvi che è una Vuelta pazza, si va a tutta tutti i giorni.

Bennati si è fatto sentire?

Mi ha chiamato due giorni fa. Mi ha chiesto di farmi vedere e ieri sono andato in fuga. Non so se mi porterà ai mondiali, ma di sicuro l’ho preso alla lettera. Certo però (fa una breve pausa, ndr), se vincevo era meglio…

EDITORIALE / A questi fenomeni si perdona ogni errore

11.07.2022
5 min
Salva

Quando ha vinto alla Planche des Belles Filles, il giorno dopo la vittoria di Longwy, abbiamo iniziato a guardarci intorno, cercando nelle altre squadre quegli sguardi. Non poteva lasciar vincere Kamna? Eppure non una voce in questo senso si è alzata dal gruppo o sui media. Al contrario, si è detto: è giusto che il più forte corra sempre per vincere. E’ il ciclismo dei giovani fenomeni e del pubblico che va di fretta. Sarebbe servito che Pogacar vincesse ieri a Chatel per averne la controprova. 

Perché del Pantani che vinse anche a Campiglio non si disse che fosse il più forte ed era giusto che vincesse, e si disse al contrario che stava esagerando, mentre lo sloveno può fare quel che vuole e nessuno trova da ridire? Una catena di ipermercati romagnoli era meno gradita al cospetto dei grandi, rispetto alla squadra degli Emirati? Niente di tutto questo, almeno non oggi. La sensazione è che sia tutto cambiato.

Kamna in fuga alla Planche des Belles Filles non ha avuto scampo contro Pogacar
Kamna in fuga alla Planche des Belles Filles non ha avuto scampo contro Pogacar

Tutto cambiato

Il ciclismo è cambiato. Sono cambiate le persone che ci lavorano, è cambiato il modo di starci dentro. Per certi versi è tutto così inquadrato, che è venuto meno un certo tipo di stress (sostituito da altre tipologie).

Prima c’era il direttore sportivo che faceva tutto da sé. Non aveva Velo Viewer e nemmeno le radioline. Per cui doveva costruirsi la tattica un pezzettino per volta, parlando con i corridori e sommando la sua e la loro esperienza. La sera in hotel, aspettava l’arrivo dei comunicati e li spulciava riga dopo riga, per capire che cosa avessero fatto i suoi corridori e gli avversari. Sapeva tutto di tutti. E i suoi ragionamenti tenevano conto dei suoi uomini e delle prestazioni dei rivali.

Oggi il direttore sportivo entra nella riunione del mattino dopo che i suoi colleghi hanno fatto la loro parte, svelando tutte le insidie del percorso e come spingere e mangiare per superarle. Lui aggiunge qualcosa della sua esperienza, poi sale in ammiraglia e spera che le cose vadano come ha previsto. Ammette Martinelli che ai tempi di Pantani, un corridore che potrebbe stare nella galleria dei fenomeni di tutti i tempi, non si usavano le radioline e forse alcune corse le avrebbero gestite diversamente.

Van Aert in fuga verso Longwy: un evidente errore tecnico, raccontato come gesto spettacolare
Van Aert in fuga verso Longwy: un evidente errore tecnico, raccontato come gesto spettacolare

L’errore di Van Aert

Vi siete divertiti a vedere Van Aert in maglia gialla, in fuga dal mattino? Chi scrive non si è divertito per niente. Okay, la Jumbo Visma non ha lavorato per tutto il giorno, ma puoi dirlo col senno di poi. Quella tappa con Van Aert dovevano vincerla correndo in altro modo: quella fuga non sarebbe mai arrivata. In tre, poi, figurarsi. Con Fuglsang che ancora non si è ripreso. Ma se chi racconta le tappe ne parla come di un’impresa, è ovvio che la gente sia contenta. Poi spegne la televisione e non ci pensa più.

Noi ci divertivamo anche a vedere Pantani contro Ullrich o contro Tonkov, ma in quegli anni c’era più gente che poi rimuginava e la vittoria non era mai foriera di sola serenità. Sono sparite le seghe mentali, dicono in gruppo, che non è poco.

«Pantani non voleva vincere a Madonna di Campiglio – ricorda Martinelli – e ci eravamo adoperati perché arrivasse la fuga. Dietro si era deciso così, invece Jalabert mise la squadra a tirare forse perché voleva vincere lui. E a fronte di quel comportamento, Pantani perse la pazienza e vinse lui».

Era il più forte, era giusto che vincesse. Come la prese il gruppo? Con voci e commenti sull’ingordigia di Marco e chissà cos’altro. E quando il giorno dopo il sole cadde dal cielo, ci fu anche chi si diede di gomito. Fra le squadre, soprattutto. E nel palazzo.

A Madonna di Campiglio l’ultima vittoria di Pantani al Giro d’Italia. Era il 4 giugno del 1999
A Madonna di Campiglio l’ultima vittoria di Pantani al Giro d’Italia. Era il 4 giugno del 1999

Sparita l’invidia

Oggi fra le squadre non ci sono più gelosie, ai fenomeni si perdona tutto. Proprio Martinelli racconta di aver scritto di recente al suo preparatore Mazzoleni che una volta piaceva a tutti curiosare in casa degli avversari, mentre oggi dopo l’arrivo si fa un reset e si guarda al giorno dopo. E proprio il non avere più il comunicato da studiare fa sì che il tecnico abbia una conoscenza diversa del gruppo. Se gli serve un’informazione, va su internet e tira fuori vita, morte, miracoli e piazzamenti di chiunque. Paradossalmente è un modo di fare che porta a una conoscenza meno approfondita del corridore, che prima avrebbero dovuto osservare, incontrare, parlarci e capire se ci fosse margine per costruirci qualcosa.

Oggi si va più di fretta. La gente vuole divertirsi e non farsi pensieri dopo. Per questo avere fenomeni come Pogacar, Van Aert, Van der Poel è bello e coinvolgente. Ma siamo sicuri che tutto quello che fanno sia oro? Ogni loro gesto viene dipinto come prodigioso, ma spesso certe fughe illogiche andrebbero bollate come errori.

Pogacar ha corso da padrone con Bennett e Majka: gregari formidabili, ma si hanno occhi solo per lo sloveno
Pogacar ha corso da padrone con Bennett e Majka: gregari formidabili, ma si hanno occhi solo per lo sloveno

L’appassionato di ciclismo

Chi è oggi l’appassionato di ciclismo? Quelli di ieri conoscevano anche corridori di cui negli ordini di arrivo non c’era traccia e sapevano inquadrare il risultato di oggi ricordando i piazzamenti di ieri. Oggi basta andare su Procyclingstats per avere le informazioni, ma non la conoscenza. Quanti sanno dire chi ci sia dietro a quei fenomeni?

«Una volta – dice Martinelli – incontravi per strada quello che ti chiedeva di Fontanelli. Secondo me oggi se chiedete a un telespettatore chi sia O’Connor, non tutti lo sanno. Ma sanno di Pogacar, Van Aert, Van der Poel e gli altri fenomeni. Si tocca con mano e per certi versi è bello che sia così».

Oggi quanti sanno chi siano i gregari di Pogacar o Van der Poel e perché siano speciali? All’opinione pubblica piace così perché probabilmente vi è stata portata dal racconto televisivo. Se Pogacar avesse vinto ieri a Chatel si sarebbe detto che per farlo avesse spremuto troppo la squadra (come tanti di noi hanno pensato, a prescindere dal risultato), oppure se ne sarebbe esaltata ancora una volta la forza?

«Nibali fenomeno. Lopez deve diventare leader». E se lo dice Martino…

31.05.2022
5 min
Salva

Il Giro d’Italia è alle spalle. Ma non è del tutto chiuso per quel che riguarda analisi, ricordi, polemiche (leggasi Cipollini), bilanci. Con Giuseppe Martinelli, diesse dell’Astana Qazaqstan riavvolgiamo il nastro su Nibali e su Lopez.

Come è andata con l’uno e come è andata con l’altro. Se con Vincenzo alla fine c’è da gioire, non è proprio la stessa cosa con Miguel Angel.

Giuseppe Martinelli (classe 1955) da oltre 10 anni fa parte dello staff dell’Astana
Giuseppe Martinelli (classe 1955) da oltre 10 anni fa parte dello staff dell’Astana
“Martino”, partiamo proprio da Nibali. Cassani ci ha detto: il bravo diesse è colui che riesce a mettere in condizione il suo atleta di fare il meglio possibile. Per me il quarto posto di Nibali di quest’anno vale più di altri podi o di una vittoria di tappa ottenuta stando fuori classifica”. Cosa ne pensi?

Siamo venuti con un’altra idea con Vincenzo. Non posso negare che il quarto posto è bellissimo, però lo abbiamo raccolto perché lui è veramente un fenomeno. Non ha mai mollato ed è riuscito a tirare fuori delle prestazioni incredibili che gli hanno consentito di stare con i migliori. Tuttavia la mia idea era quella di fare un Giro alla Ciccone. Andare fuori classifica, cercare di movimentare le tappe, di raccogliere più risultati possibili. E invece ho dovuto fare ancora quello che che mi viene più facile: stare lì a lottare tutti giorni, a tenere la squadra cucita e compagnia bella… Stavolta ho fatto veramente fatica perché, ripeto, non era nel mio intento. Volevo divertirmi. E lo avevo detto a tutti che avrei voluto correre diversamente. Ma un quarto posto, è chiaro, non si butta assolutamente.

E questo modo di correre è derivato anche dal fatto che non avevate più l’uomo di classifica?

Sicuramente. E’ nato tutto da lì. Quando tu al terzo giorno perdi il tuo leader, cerchi di voltare pagina ma non è così facile. Restano tante pagine bianche che devi completare con qualcosa. 

Cioè?

Non siamo una squadra, non come la Quick Step – Alpha Vinyl che ha tanti uomini di prima fascia e con diverse caratteristiche e può vincere tutti giorni o quantomeno lottare, tutti i giorni. Alla fine, se noi lasciavamo perdere il piazzamento di Vincenzo potevamo, forse, raccogliere qualcosa. Ma anche nulla. 

E se invece ci fosse stato Lopez?

Avremmo tenuto un uomo in classifica, Lopez appunto, con la squadra intorno. E Nibali battitore libero. E diventava tutto più semplice.

Martino, hai toccato il tasto Lopez. Quest’inverno anche in modo deciso ci avevi detto: Lopez dovrà dimostrare se è carne o pesce. Come siamo messi?

Lopez è un buon corridore, nessuno pensa il contrario, però deve diventare grande. Ad un certo punto, a 28-29 anni, devi capire che devi fare i sacrifici. Che tutto è più difficile. Che per conquistare i grandi traguardi e lottare con i migliori serve la massima concentrazione. Devi capire ogni anno che la concorrenza aumenta: arrivano dei giovani, di cui una volta facevi parte anche tu, e invece adesso sono gli altri, ma tu ci devi essere. Non puoi pensare di svegliarti una volta ogni tanto e vincere una tappa al Tour of the Alps. 

Ti aspetti di più…

Mi è dispiaciuto da una parte che si sia ritirato al Giro, ma spero che questa batosta sia la volta buona perché cambi modo di fare e di essere. Noi lo abbiamo abbastanza corteggiato per portarlo qua. Ma in questo momento siamo anche abbastanza arrabbiati.

Perché?

Perché visto come è andato il Giro il risultato si poteva veramente ottenere. Ci sono stati corridori buoni, sicuramente, però tra chi ha vinto e chi ha fatto terzo poteva esserci anche lui. Tanto più che il Giro si è deciso in salita e non a cronometro come sembrava durante la corsa con quei tre che erano sullo stesso piano fino alla Marmolada.

Quindi la porta aperta perché diventi grande con voi, gliela lasciate?

La possibilità c’è ancora e ci crediamo. Adesso sta recuperando. In questi giorni ha ripreso ad allenarsi. Ha passato le settimana del Giro a riposo assoluto per recuperare al meglio. Lo aspetta la possibilità del Tour. E se non sarà al Tour sarà alla Vuelta di sicuro.

Ti saresti aspettato maggior tenacia da parte sua prima di ritirarsi? O effettivamente era impossibile andare avanti nelle sue condizioni?

Io sono sempre arrabbiato quando un mio corridore si ferma, però effettivamente Lopez non poteva andare avanti. Aveva una contrattura che peggiorava tutti i giorni. Abbiamo provato a far di tutto… Addirittura nel giorno di riposo si è accentuata. Probabilmente perché sin che era lì a spingere e il muscolo era sempre “caldo” era meglio. Il giorno di riposo lo ha pagato a caro prezzo.

Nibali e Lopez avevano già corso insieme nell’Astana nel 2016
Nibali e Lopez avevano già corso insieme nell’Astana nel 2016
Hai detto che deve crescere: in cosa?

Nella qualità del suo lavoro – ci pensa un po’ stavolta prima di rispondere Martinelli – deve mettersi in testa che qui l’abbiamo fatto crescere, ma adesso le cose sono cambiate. Adesso è tornato da leader, non più il bravo ragazzo promettente. Quando era qui la prima volta aveva Vincenzo che era già un campione affermato. C’erano Luis Leon Sanchez, Jakob Fuglsang… tanti altri corridori presso cui “ripararsi”. Adesso è un leader.

E qual è il ruolo del leader?

Un leader deve essere consapevole che dietro ha una squadra che investe su di lui. E investe non solo delle risorse umane, ma anche dei soldi.

Quindi ti aspetti un Lopez più presente nel quotidiano? Vita da atleta, concentrazione negli allenamenti…

Le sue responsabilità devono essere al pari di quelle della squadra. Quando  tu lo prendi e lo paghi come un campione. Lui forse non ci è arrivato a questo punto. Io spero, come ripeto, che questa ricaduta gli dia qualcosa ancora. 

Magari non tiene la pressione del leader…

Ma no, quella mi sembra la tenga bene. Io non credo sia una questione di pressione, quanto piuttosto di capire che deve diventare grande.

Quattro diesse italiani in vetta al Giro: i voti di Cassani

30.05.2022
5 min
Salva

Ci sono quattro direttori sportivi italiani alla guida dei primi quattro della classifica generale del Giro: non è davvero per caso. Gasparotto nella Bora-Hansgrohe di Hindley. Tosatto nella Ineos Grenadiers di Carapaz. Volpi al Team Bahrain Victorious di Landa (in apertura sul podio come miglior team). E Martinelli nell’Astana con Nibali.

«Ho sempre detto – dice Davide Cassani – che abbiamo i tecnici più bravi al mondo. Il ciclismo italiano ha alcune eccellenze e i direttori sportivi ne sono una parte integrante. Sono bravi e soprattutto hanno la stima delle squadre e dei corridori».

Mondiali di Ponferrada 2014, nel primo mondiale di Cassani come cittì, Bennati era il regista
Mondiali di Ponferrada 2014, nel primo mondiale di Cassani come cittì, Bennati era il regista

L’occhio dell’esperto

Il cittì degli ultimi nove anni azzurri (Cassani è stato in Federazione dal 2014 al 2022) ha seguito il Giro con attenzione. Non dalla moto RAI come lo scorso anno, ma con lo sguardo attento di un professionista che nel ciclismo ha vestito i panni del corridore, dell’addetto stampa, dell’opinionista televisivo e del tecnico della nazionale. A lui abbiamo chiesto una valutazione di quei tecnici che con le loro tattiche hanno animato le tappe del Giro. A dire il vero alla fine abbiamo anche provato a chiedergli qualche rivelazione sulla possibilità che crei davvero una squadra, ma a quel punto Davide ha chiuso il discorso, pregandoci di avere pazienza.

Gasparotto, qui con Benedetti, ha dato nuova linfa alla Bora
Gasparotto, qui con Benedetti, ha dato nuova linfa alla Bora

Imprevedibile Bora

Gasparotto è arrivato alla Bora-Hansgrohe da quest’anno. Al Giro dello scorso anno era sulla moto come regolatore dei mezzi in corsa. Ha sicuramente imparato a leggere meglio certi movimenti della carovana, ma la sua capacità tattica è stata per certi versi inattesa.

«Sono stati – dice Cassani – l’unica squadra che abbia provato a inventarsi qualcosa. Non hanno avuto una condotta banale, che in certi momenti si è prestata a qualche critica, ma alla fine hanno avuto ragione loro. Gasparotto ha dimostrato di avere polso e carattere, con sui ha gestito la squadra più forte.

«Sono passati da tirare tutti insieme come a Torino al mettere un uomo nella fuga. Sono stati imprevedibili e mai schematici. Di sicuro Gasparotto conosceva bene pregi e difetti di Hindley. Essere corridori è una cosa, fare il diesse è un’altra. Ma Enrico è sempre stato intraprendente, sempre un uomo squadra. Per tutta la carriera ha sempre dimostrato una bella visione».

Hindley ha interrotto il filotto della Ineos Grenadiers di Matteo Tosatto: Giro sfuggito il penultimo giorno
Hindley ha interrotto il filotto della Ineos Grenadiers di Matteo Tosatto: Giro sfuggito il penultimo giorno

Ineos in difesa

A Tosatto e al Team Ineos Grenadiers non si può imputare certo qualcosa rispetto al crollo di Carapaz sul Fedaia. Anzi, forse essendosi reso conto che il suo leader non fosse al 100 per cento, il tecnico veneto ha cerato di mascherarne i limiti.

«Anche secondo me lo sapeva – dice Cassani – infatti hanno cercato di addormentare la corsa, sempre tenendo Carapaz davanti. Che Richard non avesse il colpo del kappaò si è visto sul Blockhaus. Così hanno cercato di difenderlo. Paradossalmente però, l’unico giorno in cui la squadra si è dissolta, è coinciso con l’unico in cui Carapaz ha cercato di anticipare i rivali.

«La sconfitta del Fedaia non è stata della squadra. Sabato lo hanno portato davanti fino agli ultimi 5 chilometri. La loro speranza secondo me era che Carapaz crescesse con il passare delle tappe, ma purtroppo non è successo».

Alberto Volpi è stato il diesse del Team Bahrain Victorious assieme a Pellizotti
Alberto Volpi è stato il diesse del Team Bahrain Victorious assieme a Pellizotti

Perplessità Bahrain

La condotta di gara del Team Bahrain Victorious ha suscitato qualche perplessità. Secondo alcuni la squadra ha lavorato per portare Landa al terzo posto e Pello Bilbao al quarto, rinunciando a correre rischi.

«Si sono mossi inseguendo da una parte la vittoria di tappa – dice – dall’altra la classifica. A Landa è mancato qualcosa e non so se sacrificando Pello si sarebbe potuto cambiare qualcosa. Pensavamo un po’ tutti che anche lui nella terza settimana potesse dare in colpo e aveva per sé una super squadra, ma se poi ti stacchi sugli arrivi in cui devi esserci in prima persona, la squadra può farci poco.

«Si è detto che avrebbero potuto inventarsi qualcosa. Ma cosa? Potevano sganciare Bilbao, ma bisogna vedere se ne aveva le caratteristiche e la condizione. Se ci pensate, il vantaggio della Bora è stato che Kelderman sia uscito subito di classifica. Magari avrebbe lavorato ugualmente per Hindley, ma diciamo che si sono tolti il dubbio. Il fatto è che Landa sia mancato e che sul Fedaia abbiano provato a vincere la tappa dimostra che sapevano che Landa non avrebbe potuto fare altro».

Martinelli ha restituito serenità e motivazioni a Nibali, che ha chiuso il Giro al quarto posto. Con lui anche Zanini
Martinelli ha restituito motivazioni a Nibali, che ha chiuso al 4° posto (con lui anche Zanini)

Un Nibali inaspettato

Il quarto è Martino, quello che è sceso di sella prima di tutti e che dall’ammiraglia ha vinto Giri, Tour e Vuelta in numero industriale. Uno che non avrebbe bisogno di presentazioni e che quest’anno ha riaccolto Nibali e l’ha condotto fino al quarto poto finale. Ed è servita la sua maestria, perché la squadra doveva essere a disposizione di Lopez, che dopo poche tappe se ne è andato.

«Un direttore sportivo è bravo – dice Cassani – quando riesce a fa andare i propri atleti al loro meglio. E Nibali ha fatto quello che non mi sarei aspettato. E’ andato forte, restando sui tempi dei migliori, in un Giro in cui le salite sono state fatte forte. Il quarto posto non basta?

«Quando sei come Nibali, che hai vinto due Giri, un Tour e la Vuelta, andare fuori classifica significa fallire. Puoi farlo nell’anno in cui punti alle Olimpiadi, altrimenti non lo fai. Soprattutto nell’ultimo Giro della carriera. Devo dire che ho apprezzato più quel suo tenere duro fino al quarto posto, piuttosto dell’eventuale tentativo di vincere una tappa. Martino conosce Vincenzo. E’ allo stesso tempo tecnico e padre. Martino è Martino…».