Tadej a mani basse. Ma zitto, zitto Ciccone…

10.03.2022
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La vera notizia che arriva da Bellante, quarta tappa della Tirreno-Adriatico, non è la vittoria di Tadej Pogacar, a quella ci siamo ormai “abituati” è il crudele destino che spetta ai super numero uno. Per loro c’è solo la vittoria. E lo sloveno non ha tradito le attese, ciò che molti danno appunto per scontato, ma che scontato non è.

Prima parte di gara tra l’Appennino reatino. Si è pedalato tra il Terminillo e il Monte Gorzano
Prima parte di gara tra l’Appennino reatino. Si è pedalato tra il Terminillo e il Monte Gorzano

Destini incrociati

Ma quindi qual è la notizia di giornata? La news del giorno è Giulio Ciccone. Finalmente si è rivisto l’abruzzese. Saranno state le strade di casa, sarà che le cose stanno finalmente girando per il verso giusto, ma Cicco si è incollato alla ruota di Pogacar e l’ha tenuta finché ha potuto.

Si vedeva proprio. Lo marcava stretto. Aveva battezzato la sua ruota, come di solito si vede fare tra i velocisti. Per i suoi (tanti) tifosi questa è musica.

Destini incrociati tra i due: uno condannato a vincere, l’altro che ha una voglia di riscatto incredibile. Un quinto posto che vale tanto. per certi aspetti più della vittoria di Tadej. Bisogna pensare anche che Cicco ha fatto molta base e pochissimi lavori esplosivi. I fuorigiri li ha fatti quasi solo in gara (oggi era il 10° giorno di corsa della stagione).

La lucidità di Tadej

I tre chilometri di salita finale verso Bellante sono stati poco meno di 8′ intensi. Quasi come un Poggio a San Remo. Pogacar il re che controllava, tutti gli altri erano coloro che cercavano di spodestarlo. Lui aspettava solo il momento dell’attacco. Ed è incredibile la descrizione che fa e la lucidità con cuoi la fa.

«Ci sono stati chilometri veloci nell ‘approccio all’ultima salita – spiega il capitano del UAE Team Emirates – ma Soler ed io abbiamo sempre risposto bene. Ho sempre controllato tutto. C’erano molti corridori che nel finale mi preoccupavano. L’ultima, era un tipo di salita che non lasciava spazio a distrazioni e se io non avessi seguito chi tirava, quello sarebbe potuto andare via.

«Aspettavo questo attaccato e quando ai 600 metri c’è stata un’accelerazione importante ho attaccato. In quel momento ho visto la possibilità di vincere e ho colto l’occasione». 

Pogacar che vince ovunque. Qualcuno inizia a rimproverargli di essere cannibale.

«Se la squadra ha lavorato durante il giorno – ed è vero – non posso lasciare andare la vittoria e vanificare il loro lavoro».

«E poi non tutti giorni le gambe rispondo allo stesso modo. Bisogna sempre valutare se attaccare o meno, se poter tirare il fiato».

La voglia di Giulio

E poi c’è Ciccone. Il corridore della Trek-Segafredo ha potuto beneficiare dell’attacco di Quinn Simmons. Il suo barbuto compagno è stato fuori tutto il giorno. Ed è stato anche l’ultimo a mollare nella fuga del mattino. Cicco ha corso se vogliamo un po’ come Pogacar: controllando, attendendo, ma facendo il tutto sulle ruote dello stesso sloveno.

Lo ha copiato per filo e per segno. E in questo caso il copiare non è una brutta cosa come a scuola. E’ segno hai forza, hai coraggio, hai voglia… se poi copi da uno come Tadej. Ciccone era concentratissimo.

«Speravo avesse una giornata no – dice Ciccone quasi ridendo sotto i baffi – ma in realtà sapevo già che aveva due marce in più. Siamo saliti entrambi con la moltiplica grande (si andava davvero forte e le pendenze non erano impossibili, ndr). Io forse ero un po’ più agile di lui.

«Il piano era chiaro: volevo fare il finale e la squadra ha corso al meglio con la fuga di Simmons, mentre dietro la squadra mi ha tenuto sempre in posizione perfetta».

«Sapevo però che Tadej stava bene. L’avevo capito subito, poi ha anche una grande squadra. Forse nel finale è calato un po’ anche lui, la volata praticamente è stata di 600 metri: è umano anche lui!

«Stare dietro a Pogacar e come andare in apnea per provare a resistergli. Tiene un ritmo a tratti irresistibile e dalla fatica che fai, non ti rendi quasi conto di essere alla sua ruota. Ti porta al limite e ti tiene lì, fino a quando non sei costretto a cedere».

«Domani e dopodomani saranno ancora più dure di oggi – conclude Ciccone – Spero di star bene come oggi e sicuramente mi inventerò qualcosa. Se conosco il Carpegna? Era la salita del Panta. Volevo andare, ma c’era la neve, era troppo freddo e quindi ho girato prima».

EDITORIALE / Un’ammiraglia più decisa per il soldato Ciccone

14.02.2022
4 min
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Direttori sportivi (bravi) si nasce. Allo stesso modo in cui sono pochi i campioni capaci di centrare determinate corse, il numero dei tecnici che nella storia li hanno guidati dall’ammiraglia si riduce a un elenco ristretto. Il ciclismo moderno ha riscritto gli incarichi, ma è palese che in alcuni team questa figura manchi. E di conseguenza gli atleti rischiano di ritrovarsi con un pugno di mosche perché l’ambiente squadra in cui si muovono non è all’altezza delle loro possibilità.

Il modello Mercatone Uno sarebbe davvero irripetibile? Crediamo di no. E’ quello che accade regolarmente e da sempre nel calcio. E quando in quel giorno di novembre del 1996 ci ritrovammo all’Hotel Monti del Re di Dozza ad ascoltare il vecchio e mai abbastanza rimpianto Luciano Pezzi, le sue parole scolpirono una verità.

Nella Mercatone Uno del 1997, Pezzi volle Pantani capitano, però Martinelli leader della squadra
Nella Mercatone Uno del 1997, Pezzi volle Pantani capitano, però Martinelli leader della squadra

Rivoluzione Pezzi

«Il vero capo è il direttore sportivo – disse aprendo una riflessione enorme – il vero capo di questa squadra è Martinelli, la sua forza è il gruppo. Con Gimondi ero io il leader, Felice era il capitano: i ragazzi devono capirlo. E’ per questo che Martinelli ha avuto carta bianca. Sarà lui a fare la squadra, a parlare con i corridori in caso di malumori o problemi. Il capitano invece dovrà pensare a correre, seppure in sintonia col direttore e le sue scelte.

«Martinelli non lo conoscevo, perciò l’ho convocato. Quando un’azienda deve assumere qualcuno, vuole prima capire di che pasta sia fatto, no? Non si trattò di un colloquio formale, ma ugualmente lo trovai preparatissimo. Signori, pensai, questo è il numero uno. In più ha delle finezze che mi commuovono. Sono segnali davvero importanti per noi che siamo appena agli inizi. Ed è grazie a ciò che la Mercatone Uno e il sottoscritto sono veramente tranquilli».

Sulla punta delle dita

Al UAE Team Emirates, Pogacar ha Hauptman, di cui si fida da una vita, e un pool di tecnici presi dalle prime ammiraglie di altre squadre e calati nella parte: l’unione fa la forza, Tadej fa il resto.

Roglic, Vingegaard e Dumoulin non possono contare su ammiraglie altrettanto efficaci e infatti, quando lo scontro è elevato, gli è capitato di perdersi.

Il Team Ineos Grenadiers ha vinto il Giro d’Italia con Tao Geoghegan Hart e poi con Bernal perché alla guida c’era Tosatto: se fossero stati diretti da un britannico tutto watt e schematismi, avrebbero lasciato ad altri almeno una maglia rosa.

La Quick Step-Alpha Vinyl ha corridori vincenti, ma il carisma di Peeters e di Bramati fa sì che siano sempre affiatati e motivati. Il Wolfpack non è per caso.

La Movistar ha regalato corse per anni, malgrado campioni come Quintana, Carapaz, Valverde e Landa, in nome di gestioni ancora da capire sull’ammiraglia.

L’Astana di Martinelli, dopo due anni in cui ha fatto il possibile con quello che aveva, vale a dire Vlasov e Fuglsang, è il team dei due Giri e un Tour vinti con Nibali, la Vuelta di Aru e vari altri podi. Martino è ancora una garanzia e non crediamo sia per caso che Vincenzo abbia scelto di tornarvi.

Il tris Vinokourov, Nibali e Martinelli (foto 1993) si è ricomposto: Martino è al centro delle operazioni
Il tris Vinokourov, Nibali e Martinelli (foto 1993) si è ricomposto: Martino è al centro delle operazioni

A casa di Ciccone

E poi c’è la Trek-Segafredo di Ciccone, da cui nasce questa riflessione. L’abruzzese, che ci sta molto a cuore, correrà il Giro e poi il Tour. Da un paio di stagioni viene indicato come incostante e di difficile gestione. Ma chi lo gestisce? Con quale direttore sportivo ha il rapporto stretto di fiducia che gli permetterebbe di sentirsi davvero guidato? Sarebbe interessante vederlo in mano a un tecnico dei precedenti. Capire in che modo gli verrà creata attorno la squadra, con quali uomini e quali possibilità correrà in Italia e poi in Francia.

I direttori sportivi attualmente in organico alla squadra americana sono bravissime persone, scrupolose, devote e puntuali, ma che hanno fatto le loro cose migliori in appoggio ad altri. E quando sei gregario, con la pur grande nobiltà insita nel termine, non riesci ad avere una gestione da capo della squadra.

Forse fra tante manovre di mercato, a costo di spendere una fortuna e contravvenendo alla regola balzana che non vuole un uomo al comando, Luca Guercilena, cui auguriamo di tornare presto in gruppo, dovrebbe investire su un direttore sportivo che gli dia la tranquillità raggiunta a suo tempo da Pezzi con Martinelli. Bramati oppure Tosatto? Perché no. In questo modo la società, Ciccone e dopo di lui Tiberi, Baroncini e l’intera squadra potrebbero andare in corsa sicuri di avere sulla plancia un vero leader. E Ciccone potrebbe preoccuparsi “solamente” di fare il capitano…

Giro e Tour per Ciccone. Coach Larrazabal ci spiega il piano

05.02.2022
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Giro d’Italia e Tour de France: è la doppietta che aspetta Giulio Ciccone questa estate. L’abruzzese della Trek-Segafredo quando ci sono nuove sfide, quando c’è da buttare il cuore oltre l’ostacolo non si tira mai indietro e, come sempre, il suo entusiasmo è già alle stelle. Anzi, quasi quasi, ascoltando Josu Larrazabal, il suo preparatore, bisogna frenarlo!

“Cicco” però non viene da un super periodo. La scorsa stagione si era conclusa con il ritiro alla Vuelta a causa dei problemi ad un ginocchio dopo una caduta, sempre in Spagna. E anche per questo la sua sosta è stata più lunga del solito.

L’abruzzese riparte da qui, dal ritiro alla Vuelta 2021: Giulio sa trarre la grinta da momenti difficili
L’abruzzese riparte da qui, dal ritiro alla Vuelta 2021: Giulio sa trarre la grinta da momenti difficili

Partenza tranquilla

La sua pausa invernale è stata più lunga del solito. Lui stesso ha detto di aver faticato più degli anni passati a riprendere il ritmo. Ma la stagione è lunga e questo non lo preoccupa. Ciccone ha parlato molto con il suo preparatore Josu Larrazabal e anche con il team manager Luca Guercilena.

«Abbiamo lavorato molto sulla resistenza – ha detto Ciccone – e con Josu abbiamo deciso di rimandare il lavoro di qualità. L’obiettivo è una crescita graduale perché quello che mi aspetta è un calendario molto impegnativo».

Un qualcosa di logico se il Giro e il Tour sono i tuoi obiettivi principali. Eventi da affrontare uno alla volta: prima il Giro e poi il Tour.

«Se iniziassi a pensare già ad entrambe le gare, non riuscirei a lavorare con la giusta serenità. Dopo il Giro traccerò una linea e mi concentrerò sul Tour».

Cicco non fa dichiarazioni specifiche di vittorie, di podi, di questa o quella tappa, ma vuol tornare ai suoi livelli. A rendere al massimo e, chiaramente, anche a vincere.

Josu Larrazabal, tecnico basco della Trek-Segafredo segue la preparazione di Ciccone (foto Jamie L. Forrest)
Josu Larrazabal, tecnico basco della Trek-Segafredo segue la preparazione di Ciccone (foto Jamie L. Forrest)

Parola a Larrazabal

Ma tutto ciò lo analizziamo proprio con coach Larrazabal. Ci sono molti aspetti che ci incuriosiscono al riguardo. Come per esempio la scelta di fare Giro e Tour. C’è un progetto di crescita dietro?

«Certo che c’è un progetto di crescita – dice Larrazabal – “Cicco” continua il suo percorso per fare vedere che sta crescendo. Per far vedere che è pronto a nuove sfide. Già nel 2019 quando arrivò in squadra fece Giro e Tour, quindi non è la prima volta, ma quello che cambia è l’approccio. Nel 2019 li fece entrambi in appoggio ad altri corridori, ma con la libertà di andare a caccia di tappe. Ne ha vinta una al Giro e ha fatto secondo in un’altra al Tour dove ha preso la maglia gialla.

«Nel 2020 poi per il Covid, non c’era tempo per fare due grandi Giri. Quella di quest’anno perciò non è una scelta a caso. E lo stesso fu nel 2019 quando arrivò da noi: alla Bardiani Csf Faizanè già aveva tre Giri nelle gambe. Nel 2021, ha fatto due grandi Giri (Giro e Vuelta): in entrambi ha provato a fare classifica ma è dovuto tornare a casa per una caduta».

«Fare due Giri uno dopo l’altro puntando alla classifica è troppo. E si è visto anche con campioni affermati. Con Giro e Vuelta lo puoi fare, con Giro e Tour no. In questo caso puoi fare classifica in uno e puntare alle tappe nell’altro. Il tutto senza limitare il suo fiuto nell’andare alla ricerca delle tappe, visto il suo buon finale e la sua capacità vincente».

Larrazabal ha cercato di tenere tranquillo Cicco negli allenamenti invernali (foto @rossbellphoto)
Larrazabal ha cercato di tenere tranquillo Cicco negli allenamenti invernali (foto @rossbellphoto)

Una base solida

Ciccone quindi, come era pronosticabile, cercherà di fare classifica in Italia e sarà un battitore libero in Francia. Ma per questa sfida così corposa, come detto, serve un’ottima base di partenza. Larrazabal ci spiega bene come ha impostato la preparazione invernale.

«Non siamo partiti più piano per resettare il suo motore, ma per lavorare sulle sue parti meno forti. Durante l’inverno si hanno tempi più lunghi per modificare la preparazione. Ciccone, anche per carattere, ha la tendenza di fare ritmi alti, di scattare, di “giocare in bici”…

«Questa è la sua forza durante le gare, ma non è ideale per la preparazione invernale dove si ha invece l’opportunità di fare il contrario, di lavorare sulla base, di aumentare il carico di lavoro a ritmi più bassi. E questo ti permette di migliorare la tua endurance e la tua efficienza per costruirci poi il lavoro specifico successivo. E qui lui si trova a suo agio».

Ciccone si gode ogni uscita in bici… (foto Instagram)
Ciccone si gode ogni uscita in bici… (foto Instagram)

Giulio l’indomabile?

Ma questo è un lavoro di lungo corso a quanto pare.

«Abbiamo cercato di farlo sin dal 2019, da quando Giulio è arrivato in Trek-Segafredo. E’ stato motivo di discussione costante durante l’inverno. Giulio faceva fatica ad allenarsi con calma. Ma crescendo ha trovato delle conferme in queste strategie di lavoro vedendone i benefici e finalmente quest’anno ha svolto bene questo lavoro appunto. E siamo sicuri che ci darà dei frutti durante la stagione».

Larrazabal parla con passione. Di sicuro il coach spagnolo ha scoperto quanto sono tosti gli abruzzesi! Ma come lui stesso ha detto, questa cocciutaggine è anche la sua forza. In fin dei conti il motore c’è. Eccome…

«Il motore di Cicco è da scalatore top – afferma Larrazabal – ha un alto consumo di ossigeno e una soglia elevata. La sua soglia si trova in una percentuale alta del Vo2 Max (il massimo consumo di ossigeno, ndr) ed è quello che fa la differenza negli sport di endurance».

La sfida con Ballerini al Tour de Provence lo scorso anno. Larrazabal vuole esaltare lo spunto dell’abruzzese
La sfida con Ballerini al Tour de Provence lo scorso anno. Larrazabal vuole esaltare lo spunto dell’abruzzese

Ma lo spunto veloce…

«La sua caratteristica – riprende il coach spagnolo – è che oltre ad essere uno scalatore potente, ha un bello scatto, un bel finale. Riesce a sviluppare alte velocità che gli permettono di fare un testa a testa con Ballerini come al Tour de Provence, o come battere Hirt in volata a Ponte di Legno, o di duellare con Bernal a Campo Felice. Nel ciclismo di oggi in cui c’è grande parità di livello, avere lo spunto veloce ti consente di fare la differenza e di diventare un corridore speciale».

Infine una bella chiosa da parte di Larrazabal, una chiosa che ci fa incrociare le dita per il Giro d’Italia. Quest’anno con poca crono e tanta salita, l’occasione è d’oro.

«Da un annetto – conclude il tecnico spagnolo – stiamo lavorando molto anche sulla bici da crono per le classifiche generali. E questo sarà un passaggio importante per la sua crescita. Ma la cosa più importante è riuscire a farlo correre secondo lo stile del suo carattere: vivace, reattivo, appassionato».

EDITORIALE / Se vivo a San Marino, posso allenarmi in Italia?

17.01.2022
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La voce ha iniziato a spargersi la scorsa primavera, allorché un corridore di gran nome che fino a quel momento aveva vissuto a Monaco, scelse di spostare la residenza a San Marino. Scherzando si disse che con l’affitto di un mese a Monaco si sarebbe pagato un anno nel piccolo Stato al confine con la Romagna. E di certo con una metratura superiore.

Da allora i numeri sono esplosi, tanto che qualche giorno fa qualcuno ha scritto su Facebook: «Montecarlo day two… Qui è un viavai continuo di ciclisti professionisti, stamattina maglie Astana, poi la nuova della Cofidis e via via la squadra Valcar, tutte donne, finalmente…».

Il tema è noto, al pari della necessità di tanti corridori di cercare casa in luoghi dal fisco più leggero che in Italia. Monaco. Lugano. Andorra. Cipro. E adesso San Marino, la piccola Repubblica che rispetto ad alcune fra le località precedenti ha una convenzione con l’Italia, diventata legge il 19 luglio del 2013, per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le frodi fiscali.

Ciccone è stato uno dei primi a cogliere l’occasione (foto Trek-Segafredo)
Ciccone è stato uno dei primi a cogliere l’occasione (foto Trek-Segafredo)

Tasse e servizi

Perché andare all’estero? La carriera di un atleta professionista è breve: 15 anni quando va bene. Con quello che si guadagna, si deve inventare una vita per quando si sarà smesso. Gli ingaggi netti di cui si favoleggia, ma anche quelli medi sarebbero impossibili se la squadra dovesse prevedere il lordo derivante dall’imposizione fiscale italiana, per cui l’atleta deve rassegnarsi a guadagnare di meno oppure su intuizione di qualche procuratore va all’estero, in modo che la squadra possa pagare meno imposte sullo stipendio che versa. Chi si è trasferito in Svizzera ha scoperto a sue spese che paga parecchie tasse, poche meno che in Italia, ma in cambio di servizi eccellenti. A Monaco il risparmio è ingente, in cambio però di costi vivi altissimi.

Tutto questo è etico? No, se la residenza è fittizia, altrimenti non sussistono problemi, dato che andando all’estero si diventa contribuenti del Paese prescelto e non si gode di alcun servizio in Italia: dalla sanità pubblica all’istruzione. Dire che la loro assenza costringe noi a pagare più tasse sarebbe giusto se loro vivessero in Italia godendo e non pagando i servizi dello Stato. Altrimenti sono chiacchiere.

Tra i nuovi residenti di San Marino c’è anche il bolognese Fortunato
Tra i residenti di San Marino c’è anche Fortunato

Solo per single

La nuova legge varata il 23 dicembre 2020 a San Marino in tema di residenze atipiche a regime fiscale agevolato propone un interessante risparmio fiscale ai nuovi residenti, ma pone ai corridori più esperti una serie di dubbi. 

Stava per… cedere anche Damiano Caruso, che aveva sempre professato e ha infine mantenuto la sua intenzione di rimanere ancorato alle origini siciliane, soprattutto per la moglie e i figli che, trapiantati altrove, non avrebbero vissuto bene come a Ragusa.

L’elenco è vasto ed è stato pubblicato un po’ ovunque. Da Ciccone ad Albanese, Leonardo Basso, Baroncini e Conci, Konychev e Malucelli, Velasco e Carboni, Canaveral e Rivera, Fortunato, Fabbro e Boaro.

San Marino non nuota in acque tranquillissime, il bilancio è sofferente, tanto che nella stessa legge che ha disposto l’apertura alle residenze atipiche sono stati varati interventi per il rafforzamento del sistema finanziario.

L’imposta generale prevista sui redditi delle persone fisiche che aderiranno a questa modalità di residenza è pari al 7 per cento sul “netto frontiera” con un importo minimo di 10.000 euro e un massimo di 100.000 per ogni esercizio fiscale del periodo di validità della residenza.

Anche Baroncini, romagnolo di Massa Lombarda, si è spostato nella piccola Repubblica
Anche Baroncini è arrivato a San Marino

Il risvolto turistico

L’arrivo degli sportivi potrebbe rappresentare una risorsa. Per la Repubblica, che vedrebbe aumentare le entrate fiscali, e per gli operatori turistici della vicina costa romagnola, stuzzicati dall’ipotesi che, al pari di quelle spagnole, le strade di San Marino offrano l’occasione di allenarsi con i professionisti.

Ovviamente si dovrà trattare di residenze vere. Per questo motivo ad ora hanno aderito soltanto atleti single, che non hanno da spostare la famiglia. Controlli ci saranno, ma rientreranno nell’ambito di quanto previsto dalla convenzione del 2013. La condizione minima è che il richiedente abbia una residenza effettiva a San Marino e che, qualora abbia casa anche altrove, siano superiori i giorni che trascorre nella Repubblica. Il vantaggio della convenzione è che esistono anche i necessari stumenti di legge per dirimere eventuali controversie e l’onere della prova non spetta al contribuente. E qui qualcuno dei corridori più… esperti ha storto il naso.

Entrare e uscire da San Marino sarà un problema per i corridori?
Entrare e uscire da San Marino sarà un problema per i corridori?

Lavoro in Italia

Passino le trasferte all’estero per motivi di lavoro, più di qualcuno ha chiesto al proprio commercialista di informarsi se i giorni di corsa in Italia possano costituire una complicazione. Il Giro d’Italia potrebbe essere un problema?

Allo stesso modo in cui, essendo la superficie sanmarinese piuttosto esigua, i giorni di allenamento sulle contigue strade romagnole potrebbero rappresentare un problema: residenza a San Marino, lavoro in Italia?

Alcuni citano il periodo in cui la Finanza, prima che si intervenisse per la privacy, si appostò a Chiasso con un furgone dotato di telecamere per verificare l’andirivieni delle targhe italiane avanti e indietro dalla Svizzera.

Il segretario di Stato allo Sport di San Marino, Teodoro Lonfernini non vuole sentir parlare di paradisi fiscali (foto RTV)
Il segretario di Stato allo Sport, Teodoro Lonfernini (foto RTV)

Monta la polemica

E mentre i corridori in questione hanno evidentemente ottenuto le risposte che cercavano e da parte degli estensori della legge arriva il richiamo a gestire correttamente tali residenze, proprio oggi nella piccola Repubblica esplode una polemica.

«Da noi – ha detto il segretario di Stato allo Sport di San Marino, Teodoro Lonfernini – arrivano tanti ciclisti perché scelgono aree territoriali che possano essere adatte agli allenamenti in un territorio sicuro e tranquillo. Quando non sono in giro per il mondo questi sportivi vivono la nostra comunità. Se poi c’è anche un vantaggio fiscale, perché no. Ma non sono arrivati a San Marino alla ricerca di un paradiso fiscale. Nessuno che a San Marino rivesta un ruolo istituzionale, amministrativo o professionale ha invitato alcun atleta a fare una scelta di vita. Quella legge esiste. Punto. E si promuove da sola. Non ci sono dunque né procacciatori, né tantomeno intermediari o promoter».

Il continuo sentir parlare di risparmio fiscale ha fatto drizzare le orecchie giusto stamattina all’opposizione di Repubblica Futura, che sul Corriere di Romagna è partita all’attacco dell’attuale gestione. Chissà se la storia andrà avanti. Per ora è certo. Allenandosi sulle strade di Romagna in direzione di San Marino si possono davvero incontrare tantissimi professionisti. E i procacciatori ci sono, ma spesso si tratta degli stessi procuratori degli atleti.

Con Cataldo, fra biomeccanica, Ciccone e le risate di Scarponi

05.01.2022
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Un altro cambio di maglia, la sesta da quando è professionista. La Liquigas, poi la Quick Step. Il Team Sky e l’Astana. La Movistar e ora la Trek-Segafredo. Dario Cataldo e i suoi occhialini hanno sempre la stessa vivacità nello sguardo, ma nei silenzi si intuiscono i chilometri e il tempo passato. Trovare una trattoria in cui sedersi a Chieti è stato un’impresa, fra locali chiusi e quelli al completo. Ma adesso, in mezzo agli antipasti che vanno e vengono e con una birra piccola per farci compagnia, il discorso fluisce gradevole e profondo come sempre.

L’ultimo contratto ha dovuto sudarselo. Da una parte era certo che dopo una carriera come la sua, sarebbe stato impossibile restare a piedi. Ma quando ottobre è diventato novembre e non c’erano novità, il senso di dover smettere ha fatto per la prima volta capolino dopo tanti anni e non è stato bello.

Cataldo sarà regista in corsa al fianco di Ciccone, ma non avrà identico programma (@rossbellphoto)
Cataldo sarà regista al fianco di Ciccone, ma non avrà identico programma (@rossbellphoto)

«Alla Trek ho trovato un ambiente molto eterogeneo – dice – al primo approccio mi ha fatto pensare a quello della Quick Step, dove c’erano persone molto competenti, con un bello staff belga e uno italiano. Qui in più c’è la stessa sensazione di famiglia della Movistar. Sto bene. Ho cambiato un po’ di cose, ma so qual è il mio lavoro. Dopo tanto tempo, quasi non è servito parlarne».

Dario è in Abruzzo per qualche appuntamento e gli ultimi scampoli delle Feste, poi tornerà in Svizzera e da lì, a metà della prossima settimana, tornerà in Spagna per il secondo ritiro con la squadra. In questi giorni, approfittando del clima insolitamente mite, è riuscito a salire fino al Blockhaus e a riempirsi gli occhi dei suoi panorami.

Hai parlato di cose cambiate…

Ad esempio a livello di biomeccanica. Cambiamenti di cui avevo intuito la necessità, ma sui quali non avevo mai ricevuto feedback dalla squadra. Era da un po’ che riflettevo sulla lunghezza delle pedivelle. Pedalo così basso e raccolto, che con le 172,5 nel punto morto superiore avevo il ginocchio conficcato nel petto. E questo un po’ era scomodo e un po’ mi impediva di avere la cadenza che volevo. Era una mia teoria, invece appena mi hanno visto, mi hanno fatto la stessa proposta senza che io gli dicessi nulla. E adesso le ho da 170…

I biomeccanici della Trek-Segafredo hanno anticipato la sua volontà e sono intervenuti su pedivelle e pedali
I biomeccanici della Trek-Segafredo sono intervenuti su pedivelle e pedali
Le hai cambiate subito?

Dal primo ritiro e ho visto subito dei benefici. Mi viene più facile andare in agilità. E in contemporanea ho cambiato la larghezza dell’asse del pedale. Ho guadagnato 4 millimetri per lato, aumentando il fattore Q di 8 millimetri (si tratta della distanza orizzontale fra i due pedali, ndr). Notavo la necessità di allargare l’appoggio e grazie ai pedali Shimano, siamo riusciti a farlo. Per questo devo dire grazie ad Andrea Morelli del Centro Mapei, che ci segue.

Perché non fare prima certe modifiche?

Perché fino a qualche anno fa c’era chiusura mentale su certi aspetti. Ho sempre chiesto la compact per fare le salite ripide in agilità e mi dicevano di no perché non c’erano mica dei muri. Oggi è cambiato, in questa squadra è diverso. C’è più apertura verso la personalizzazione, dalla biomeccanica all’alimentazione. Non siamo tutti uguali…

Perché Ciccone ha detto che sei l’uomo giusto per creare un progetto?

Perché forse in squadra serviva un occhio tecnico dall’interno della corsa. Nel suo gruppo c’è Mollema, che però non nasce gregario. Oppure Brambilla, fortissimo nelle classiche. Noi due ci completeremo, perché io ho quell’occhio per le corse a tappe. Potrei essere il tassello che mancava nei Giri. So quello che dovrò fare. Sono arrivato al punto che in certi momenti sono io che spiego ai direttori quel che serve.

Ha corso spesso da gregario, ma sa vincere. Da U23 vinse il Giro d’Italia, qui a Como nel Giro 2019
Ha corso spesso da gregario, ma sa vincere. Qui a Como nel Giro 2019
Un regista in corsa?

Più di una volta ho messo da parte le ambizioni personali. Guercilena, che mi conosce dal tempo della Quick Step, mi ha dato questa fiducia a prescindere.

Sarai la spalla fissa di Ciccone?

Ci sarò in alcune occasioni, mentre in altre per il bene della squadra mi… occuperò d’altro. Faremo però un bel calendario insieme. Tecnicamente, Giulio è ibrido, deve capire dove può emergere. Ha ottime qualità per i grandi Giri, ma è istintivo e per questo va tenuto a bada. Deve maturare ancora. Deve trovare la giusta dimensione per utilizzare il suo potenziale. Credo che fra preparatori, direttori e compagni possiamo fare ognuno la sua parte per supportarlo.

Cosa è cambiato nel gruppo dagli inizi?

E’ diventato un lavoro più esigente. Credo che si sia sempre fatta attenzione ai dettagli, per quello che di anno in anno fosse il meglio a disposizione. Oggi ci sono più conoscenze per fare le cose a un livello superiore, qualitativamente e quantitativamente. Puoi sbagliare meno, altrimenti sei automaticamente fuori dai giochi. La cosa veramente difficile è diventato lo stare in gruppo.

Dopo cinque anni all’Astana, Cataldo ha corso le ultime due stagioni alla Movistar
Dopo cinque anni all’Astana, Cataldo ha corso le ultime due stagioni alla Movistar
Che cosa significa?

Il modo più aggressivo di correre fa saltare le tattiche e si traduce in meno rispetto. Prima un corridore esperto poteva richiamare il giovane che sbagliava, adesso ti mandano a quel paese. Primo, perché non c’è rispetto. Secondo, perché lo fanno tutti e quindi ti prendono per scemo, quasi tu voglia fare lo sceriffo.

Chi gode di rispetto?

Il leader forte che vince le grandi corse. Quelli vengono presi a modello, ma si pensa di poter fare come loro. C’è una bella anarchia.

Pensi mai alle persone che ti hanno lasciato qualcosa?

Michele Scarponi, sicuramente. Lui è in cima alla lista. Tante volte facciamo progetti e castelli in aria senza renderci conto che tutto può finire in un secondo. Ma per parlare di lui servirebbe un libro…

Scriviamolo!

Per capirlo, devi averlo conosciuto (dice strizzando l’occhio, ndr). Di lui apprezzavo la capacità di mantenere alto il morale, lo osservavo per come si comportava ed era di ispirazione. Faceva gruppo ridendo, ma non da pagliaccio. Era burlone e super professionale. Continuando a ridere, ti sbatteva in faccia il tuo errore. Ti prendeva in giro, ne ridevi anche tu e intanto imparavi.

Scarponi riusciva a dire col sorriso anche le verità più scomode
Scarponi riusciva a dire col sorriso anche le verità più scomode
A te cosa rimproverava?

Il fatto di essere troppo zelante e di avere troppa dedizione per quello che mi dicevano. A volte i corridori sfilano la radiolina per non eseguire ordini che gli sembrano assurdi, io non lo facevo mai. Una volta all’Algarve il gruppo era tutto largo su uno stradone con il vento contrario. Un direttore disse alla radio che dovevamo attaccare. Noi gli chiedemmo se fosse sicuro. E quello in tutta risposta disse che toccava a me e io andai. Partii e ovviamente mi ripresero e mi staccarono. E Michele rideva, mi guardava e diceva: «Il bello è che tu lo fai!!!». Ne abbiamo riso per settimane. Forse dissero a me perché ero l’unico che lo avrebbe fatto (sorride sconsolato, ndr).

Chi oltre a Michele?

Bennati, perché è uno dei compagni con cui ho avuto la migliore affinità. Eravamo sempre sulla stessa lunghezza d’onda. Ancora adesso, davanti a qualsiasi questione, mi viene da pensare che lui la penserebbe come me. Poi Malori, anche se non abbiamo mai corso insieme. E’ una di quelle persone che puoi non vederla da cinque anni e ti abbraccia come se ci fossimo salutati il giorno prima. Infine Bruno Profeta, il mio primo direttore sportivo, che mi ha insegnato concetti e valori che mi sono serviti prima nella vita e poi anche nello sport.

L’arrivo di Cataldo alla Trek-Segafredo è stato uno degli ultimi colpi del mercato (@rossbellphoto)
L’arrivo di Cataldo alla Trek-Segafredo è stato uno degli ultimi colpi del mercato (@rossbellphoto)

Il resto è tutto un parlare della nuova bici Trek. Del colore delle divise da allenamento. Del debutto in Francia. Anche del proposito di diventare un giorno anche lui un procuratore. Della sua squadra di juniores in Spagna che è diventata quella di Vinokourov. E quando il pranzo finisce e stiamo per salutarci, nel gruppetto di tre ciclisti in strada, riconosciamo la sagoma di Ciccone. Cataldo guarda l’orologio. Dice che Giulio sta tornando verso Pescara perché ha finito l’allenamento e conferma che usciranno insieme anche domani (oggi per chi legge). Ci salutiamo. Il pomeriggio ha altri impegni. Poi la stagione potrà finalmente cominciare.

Manubrio: integrato o classico? Le scelte dei corridori

05.01.2022
6 min
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Manubrio tradizionale o integrato? Questo è il dilemma. Ruote aero, bici aero, caschi aero… Tutto viaggia verso l’aerodinamica e forse anche per questo in gruppo si vedono sempre più manubri integrati. Ma c’è di più.

Con quei profili sono oggettivamente bellissimi e danno anche un grande senso di “pulizia” generale della bici. E infatti, come vedremo, la motivazione che porta alla diffusione maggiore di questi manubri riguarda, un po’, anche l’estetica.

Ciccone e il suo set (attacco + piega) tradizionale
Ciccone e il suo set (attacco + piega) tradizionale

Il peso conta 

Ad aiutarci in questo viaggio nella scelta fra manubrio integrato o tradizionale ci aiuta Mauro Adobati (nella foto di apertura), meccanico della Trek-Segafredo. Loro, con la linea Bontrager, sono stati tra i primi a lavorare con questa specifica.

«La scelta che fa protendere i corridori verso il manubrio integrato – spiega Adobati – è che questo è più leggero di circa 70-80 grammi. La maggior parte degli atleti ci prova, ma non tutti ci riescono. Su 20 corridori, 15 utilizzano ormai l’integrato. Tu puoi anche lavorare con gli spessori tra tubo di sterzo e attacco manubrio, con la posizione delle leve, ma non sempre riesci a produrre le stesse identiche misure. A quel punto è il corridore che deve adattarsi».

Lo schema per chiarire reach e drop
Lo schema per chiarire reach e drop

Reach e drop

E qui si apre un capitolo “delicato”, quello che riguarda il reach e il drop del manubrio, vale a dire la profondità e l’altezza della curva.

«I manubri integrati hanno generalmente dei reach e dei drop un po’ diversi, o quantomeno hanno una misura standard (si dovrebbero fare troppi stampi, ndr), mentre nel classico “due pezzi” queste misure un po’ variano in base alla misura. Ed è qui che gli atleti trovano le maggiori difficoltà di adattamento». 

«In squadra abbiamo l’esempio di Giulio Ciccone. “Cicco” ogni anno prova a passare all’integrato, ma poi torna al tradizionale. Uno dei suoi limiti maggiori riguarda il reach, cioè quanto va avanti. Il manubrio integrato di Ciccone è cortissimo. Ciò che comanda è la posizione che i corridori usano di più, vale a dire quella sulle leve. Per riportare questa misura abbiamo montato un manubrio il cui attacco è molto più corto.

«Cicco è passato da 120 millimetri a 100. Questo lo porta ad avere più o meno le stesse misure nella presa sulle leve, appunto, e nella curva, ma resta invece troppo corto nella presa alta, la più utilizzata in salita. E per questo alla fine torna sui suoi passi, al classico set attacco più piega».

Per Evenepoel manubrio stretto e leve parecchio rivolte verso l’interno
Per Evenepoel manubrio stretto e leve parecchio rivolte verso l’interno

Ciclone Evenepoel

Adobati parla poi della messa in posizione degli atleti con questo nuovo manubrio. Il lavoro è parecchio nel primo ritiro, soprattutto con i nuovi corridori, i quali si trovano ad utilizzare e a testare i nuovi materiali.

«In effetti nel primo ritiro c’è un bel lavoro da fare in tal senso. I corridori provano molto. Oggi oltre alla sella, il manubrio è uno degli elementi ai quali si presta più attenzione, poiché incide molto sulla guida e sulla posizione stessa. Lavorare sul setting delle leve non è così semplice, se inizi a inclinarle cambia un po’ tutto il resto della posizione del corridore».

«Io poi – continua Adobati – sto notando che i manubri si stanno stringendo, al contrario di quello che sta accadendo in mountain bike, dove le pieghe si allargano. Vuoi per una questione aerodinamica, vuoi per l’avvento di Evenepoel (che ce l’ha stretto e con le leve piegate all’interno), vuoi perché non si può più utilizzare la posizione aerodinamica… si va in questa direzione.

«Conta poi anche la questione estetica. Il primo impatto è sempre molto positivo e anche questo spinge i corridori a provare i nuovi manubri integrati. Noi però in Trek abbiamo anche un semi-integrato, che di fatto è un set classico. Ma tra attacco e manubrio si nota davvero poco la differenza. Sembra un pezzo unico.

«Senza contare che per noi meccanici questi set sono molto più comodi, visto che hanno un incavo nella parte inferiore in cui far passare fili e guaine, i quali a loro volta sembrano anch’essi integrati».

Brambilla “integralista”!

Ma se Ciccone ci prova ed è un po’ scettico, chi è un vero portabandiera del manubrio integrato è Gianluca Brambilla. Il vicentino, ormai qualche stagione fa, ci si è messo di impegno e ha intrapreso la via dell’integrato appunto.

«Oggi le bici sono concepite per i manubri integrati – spiega Brambilla – Riprendono meglio la linea della bici, sono più aerodinamici e si riduce qualcosa in termini di peso. Io ci ho messo un po’ ad adattarmi, ma riguardo ai tre appoggi del corpo sulla bici (piedi, sedere, mani) quello delle mani è il più facile da adattare.

«Alla fine ci ho messo una ventina di giorni. Cambiai manubrio durante il ritiro in altura al passo San Pellegrino nell’estate del 2020. Avevo visto che peso e aerodinamica erano vantaggiosi quindi mi sono dato del tempo per abituarmi ed è andata bene».

«Ho mantenuto la stessa larghezza, vale a dire i 40 centimetri centro-centro, anche se le curve classiche in realtà nella parte bassa sono più larghe rispetto a quella alta. Sono quasi 43,5 centimetri sotto e 40 in alto. In più con il manubrio integrato il mio attacco si è ridotto di un centimetro: da 110 a 100 millimetri». 

La posizione delle leve del vicentino è pensata per mantenere il più possibile il braccio dritto (polso, gomito e spalla sulla stessa linea)
La posizione delle leve del vicentino è pensata per mantenere il più possibile il braccio dritto (polso, gomito e spalla sulla stessa linea)

Leve all’interno

Brambilla poi parla di molti altri accorgimenti per trovare la giusta posizione nel passaggio da manubrio tradizionale a manubrio integrato.

«Riguardo alla posizione delle leve il mio reach è lo stesso, anche se le ho ruotate un po’ verso l’interno. Questo perché non potendo più utilizzare la posizione aerodinamica “tipo crono”, ci distendiamo con il braccio lungo la leva. E per far sì che mano e avambraccio siano in linea con il resto del braccio si ruota appunto la leva verso l’interno. In pratica il polso resta dritto e il gomito che non va troppo verso l’esterno».

«C’è poi – conclude il veneto – chi mette il doppio nastro nella parte bassa per recuperare quel piccolo gap nel drop, come per esempio fa Elissonde, che è molto piccolo. O si riduce ancora l’attacco quando un corridore passa da un gruppo all’altro. Per esempio la leva di Sram è mezzo centimetro più lunga rispetto a quella Shimano. Ci sono molte sfaccettature insomma da tenere sott’occhio quando si fa il cambio». 

Dal nutrizionista al menu: come si fa? Sentiamo chef Sut

30.12.2021
6 min
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Il cibo è il carburante che mettiamo nel nostro serbatoio per affrontare ogni sfida. I ciclisti sono arrivati a conoscere al meglio il proprio fisico riuscendo a ottimizzare tutti gli alimenti che assumono. Dietro a questo ci sono anni di esperienza e indicazioni preziose da parte dei biologi nutrizionisti dei team o privati. Tutti questi studi e accortezze vanno però tradotte e declinate nei menu. Il come viene fatto, ce lo spiega Mirko Sut, chef della nazionale e della Trek-Segafredo. Il cuoco di Portogruaro vanta un’esperienza decennale nell’ambito delle due ruote, ha servito piatti agli atleti azzurri, alla Cannondale, BMC, CCC e ora al team statunitense. 

Mirko Sut è stato lo chef della nazionale alle Olimpiadi di Tokyo 2020. In apertura con il quartetto azzurro
Mirko Sut è stato chef della nazionale a Tokyo 2020 In apertura con il quartetto
Quali sono le figure all’interno della squadra che si occupano dell’alimentazione?

In Trek abbiamo una nutrizionista, Stephanie Scheirlynck. Io ho fatto un master in nutrizione dello sport.

Come funziona il menu della tua squadra?

Per quanto riguarda i menu abbiamo stilato un programma per semplificare le cose e anche per dare una sorta di insegnamento per i corridori, in modo da non renderli dei robot che pesano le cose e basta. Diamo anche noi un’educazione alimentare e abbiamo fatto un programma a colori.

Che cosa significa?

I colori sono tre: verde, giallo e rosso. Tradotto vuol dire. Verde sono i giorni che precedono un grande Giro, quindi quando escono fanno pochi chilometri, una sgambata di un’ora e mezza. In questo caso si cerca di stare più bassi con i carboidrati. Poi abbiamo i giorni gialli, che sono quelli intermedi. Possono essere prima di una tappa di trasferimento piana di 150 chilometri.  Non particolarmente impegnativa sulla carta. Poi ci sono le giornate rosse che chiamiamo High Carb. Dove si cerca di caricare in funzione delle tappe più impegnative, l’assunzione di carboidrati

Ogni tappa ha un suo colore?

Si, anche se sono tutte cose che vengono poi condizionate dal meteo e dalla tattica della squadra. Se per esempio viene pianificato di mandare un corridore in fuga o se un corridore punta alla tale tappa, allora la strategia cambia. 

Nella foto con Liam Bertazzo (a sinistra) e Simone Consonni al mondiale di Roubaix
Nella foto con Liam Bertazzo (a sinistra) e Simone Consonni al mondiale di Roubaix
Quindi la strategia passa anche dal piatto?

Esatto. Se c’è una tappa piana dove c’è lo scalatore di turno, il suo obiettivo è stare in gruppo coperto e arrivare all’arrivo. Però ci può essere l’attaccante o il velocista. Allora la dieta si differenzia. Sulla carta è la stessa giornata, ma l’interpretazione è completamente diversa come lo è il menù per loro

Come vengono declinate le indicazioni della nutrizionista in un menu?

La nutrizionista ci dà delle indicazioni, dice per esempio che una giornata è rossa e quindi gli atleti devono mangiare “tanto”. Lei dà a me solo un’indicazione, per stilare il menu e cosa mettere abbiamo carta bianca. Ovvio, sappiamo che ci sono determinati alimenti da utilizzare. L’hamburger del fast food non lo vedrai mai nel menu.

Facci un esempio di una giornata rossa…

Tanta pasta, tanto riso e/o patate. Con pasta e riso gli atleti italiani vanno a nozze. Agli australiani piacciono di più le patate, dalle classiche alle dolci, in ogni forma. Una cosa bella e stimolante è che ci sono tante nazionalità diverse e tante abitudini diverse. Ci si può sbizzarrire.  Dall’italiano che non può rinunciare alla pasta, all’americano che preferisce il riso. Si cerca di assecondare tutti i gusti e farli sentire a proprio agio

Qui Sut in una pedalata al Giro d’Italia con Giulio Ciccone (a sinistra), Gianluca Brambilla e Jacopo Mosca
In una pedalata al Giro con (da sinistra) Ciccone, Brambilla e Mosca
Dal menu si riesce a distinguere la disciplina?

Si assolutamente. Più che dal menu, dalle quantità. Ovviamente uno scalatore che tendenzialmente non supera i 50/60 chili, ha un apporto calorico diverso rispetto a un Filippo Ganna che è quasi 80 chili. In base alla gara cambia anche l’apporto di fibre. Prima di una corsa di alta montagna cerchiamo di evitare le fibre e per quanto riguarda anche le crono cerchiamo di dare cibi alcalinizzanti

Che funzioni hanno fibre e cibi alcalinizzanti?

Le fibre rallentano la digestione e tendono a trattenere un po’ di acqua, quindi per certe situazioni non sono funzionali allo sforzo. I cibi alcalini servono prima di una tappa dura o una cronometro,  perché hanno proprietà antinfiammatorie, disintossicanti, antiossidanti ed energizzanti. Cerchiamo quindi di evitare la carne rossa e preferire la bianca. Per scempio il tacchino è più alcalinizzante rispetto al pollo. Oppure pesce bianco e branzino.

Cuoco anche di Filippo Ganna, campione del mondo su pista e a cronometro
Cuoco anche di Filippo Ganna, campione del mondo su pista e a cronometro
Ti capita di ricevere richieste particolari?

I più “fanatici” del cibo, sono gli italiani. Noi siamo abituati mangiare bene. Ma allo stesso tempo è più facile farli stare bene. In Trek per esempio, riesco a procurare della pasta artigianale italiana di ottima qualità. Uno spaghetto cotto giusto al dente con una bella salsa ben mantecata e l’atleta lo vedi felice. Per esempio a Stuyven piace mangiare bene e ne capisce, lui una pasta al dente l’apprezza. Mi è capitato di fargli un risotto allo zafferano al profumo di fava tonca ed è impazzito. Mi ha chiesto la ricetta. E’ innamorato per la cucina italiana. 

Giulio Ciccone cosa preferisce?

Grande spaghettata al pomodoro, ha una passione per l’aglio, olio e peperoncino, ma quella va dosata in base alla tappe del giorno dopo, soprattuto per la digestione e per fargli passare una notte tranquilla. 

Gli atleti non italiani invece?

Skujins è ghiotto di patate. A colazione pranzo o cena, lui le mangerebbe sempre. L’americano Quinn Simmons adora la pasta. Quella al pesto in particolare, oppure gli piace molto quando gli preparo la pasta al pesto di rucola e limone. 

Al fianco di Elisa Longo Borghini che tiene in mano il bronzo olimpico di Tokyo
Con Elisa Longo Borghini dopo il bronzo di Tokyo
Alcuni corridori hanno nutrizionisti personali, come ti rapporti con loro?

Soprattutto in nazionale è molto comune. Mi capita di sentirmi con il nutrizionista e seguire le indicazioni che mi dà in riferimento all’atleta. Per esempio se prima di una gara è abituato a mangiare in un certo modo. Si cerca sempre di non sconvolgere l’abitudine di un corridore. Se è solito gestirsi in un certo modo, quando si è a ridosso di un evento la peggior cosa che si può fare è cambiare un’abitudine. Sa come reagisce a quegli alimenti e quale sia la digestione. Diventa quasi un rito propiziatorio per molti

Lo chef deve quindi tradurre le indicazioni di nutrizionisti e atleti?

Il dialogo con loro è sempre aperto. Per gli atleti il mio obiettivo è dargli quello che vogliono e cercare di regalargli la gioia della tavola. Soprattutto in un grande Giro, dove hanno giornate lunghe e faticose. In quei casi la cena è un momento di relax. Si cerca di soddisfare il palato e farli stare bene. Conoscendo i corridori, dopo anni che ci passi insieme, sai cosa gli piace di più o di meno e cerchi di mutare il menu in base alle loro preferenze. 

Mollema sicuro: per Ciccone colpo grosso in arrivo

19.12.2021
5 min
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Si sono ritrovati da qualche anno nella stessa squadra: la Trek-Segafredo. La prima volta che sentimmo parlare di Bauke Mollema fu nella tarda estate del 2017, quando il dottor Daniele, medico nella squadra americana, ce ne parlò di ritorno dal Tour de l’Avenir. L’olandese aveva battuto Tony Martin e il medico romano, al tempo nella nazionale U23, ci raccontò con stupore dei suoi tanti scatti. Prefigurando per lui una carriera luminosa.

Quasi un secolo dopo, Mollema sorride e racconta con il solito tono di voce gentile. Alla vigilia della quindicesima stagione da professionista, l’olandese ha attraversato pezzi di storia del ciclismo. E anche se la sua carriera non è stata quella che Daniele immaginava, le sue tappe al Tour, il Lombardia, le vittorie e il gran lavoro svolto per i vari capitani ne hanno fatto uno dei riferimenti del gruppo.

A 23 anni Mollema era la grande speranza olandese per vincere il Tour
A 23 anni Mollema era la grande speranza olandese per vincere il Tour

«Non sapevo molto del ciclismo in quel tempo – dice – correvo da soli tre anni, dovevo imparare tanto. Avevo il talento, mancavano le altre condizioni. I primi anni da professionista sarebbero potuti essere migliori. Facevo tanti errori. Potevo vincere di più, ma non ho rimpianti perché a distanza di tanto tempo sono motivato come la prima volta. Non so se si possa migliorare ancora, sicuramente nell’esperienza…».

Giorni spagnoli

Le cinque del pomeriggio a margine del primo training camp della Trek-Segafredo, dopo che con un vocale Luca Guercilena da casa ci ha confermato che le cose sono avviate lungo un corso promettente. Mollema dice di sé, ma il suo colpo d’occhio si estende al mondo che lo circonda.

Migliorare a 35 anni si può davvero?

Ho meno dubbi e meno stress di una volta e questo riduce il margine di errore. Sono più solido. Provo cose nuove e quando posso, provo a vincere da solo. Mi piace. Ho sempre vinto così. E’ un modo diverso di farlo, cominci a capire da prima che stai per farcela. La vittoria allo sprint è adrenalina, anche quella una bella sensazione, ma non cambierei le mie vittorie con qualche volata in più. Nelle fughe è un crescendo. Senti che stai per farcela e spingi più forte.

Un modo diverso di farlo…

Non devi avere paura di attaccare. Devi avere capacità da cronoman. Io non lo sono, ma sono capace di andare da solo e forte sia in pianura sia in salita.

La tappa di Quillan nel 2021 è stata la seconda vittoria al Tour dopo quella del 2017
La tappa di Quillan nel 2021 è stata la seconda vittoria al Tour dopo quella del 2017
Sei in una squadra internazionale, con una bella impronta italiana. Ciccone, ad esempio…

Ho corso tanto con lui nel 2020, soprattutto al Giro. E’ uno scalatore, difficile da controllare. L’inverso di Nibali, che è più calmo e ha tanta classe. Giulio è meno esperto, ma sta imparando alla svelta, non mi stupirei se potesse arrivare al grande risultato.

Hai cominciato il 2021 vincendo in Francia e poi a Laigueglia: quand’è così le stagioni cambiano?

Sei più rilassato, acquisti fiducia. Mi piace. Vuol dire che hai lavorato bene e hai la forma giusta nell’avvicinamento a obiettivi più importanti.

Nel frattempo il mondo fuori è cambiato di tanto?

C’è attenzione a tutto, rispetto ai miei inizi soprattutto per l’alimentazione. E’ più importante di quanto fosse solo 5 anni fa. In realtà per me non è mai stata un problema, non mi sono mai sentito di non poter mangiare. Se ho fame, apro il frigo e mangio. E’ cambiata l’attenzione nei miei confronti…

Ad Altea con Paolo Barbieri, addetto stampa del team, investito mentre era in bici
Ad Altea con Paolo Barbieri, addetto stampa del team, investito mentre era in bici
In che senso?

Finché ero nel gruppo Rabobank (Mollema è passato professionista nel 2008 con la squadra olandese ed è rimasto nello stesso gruppo fino al 2014, ndr), avevo attorno molti più media. E poi, sempre tornando alle differenze, le squadre sono più strutturate, c’è una migliore conoscenza dei percorsi. Googlemaps e tutte le applicazioni che ne sono derivate hanno permesso nel tempo di arrivare ai finali senza più sorprese.

A fine stagione non si vede l’ora di staccare: quanto tempo serve perché non si veda l’ora di ripartire?

Un mese esatto, per me è così. E il giorno che riprendo faccio tre ore di bici e mi sembra di essere tornato in un posto che mi mancava. Sento il corpo e la testa che hanno di nuovo voglia di fatica e allora si può ripartire.

Il ritiro è un bel modo per ritrovare lo spirito?

E’ anche divertente, con tutte queste cose da fare. Mi piace ancora lasciare casa, per venire qui. Mi piace stare con gli altri corridori, condividiamo ricordi ed esperienze, ci divertiamo.

Come va col ciclismo olandese?

Non conosco tanto i giovani in arrivo. Ovviamente si parla sempre di Van der Poel, che è ancora giovane. La Jumbo Visma fa pensare alla Rabobank di un tempo, con tanti buoni corridori, anche se non punta solo sugli olandesi com’era ai miei inizi.

Quale vittoria racconterai ai tuoi nipotini?

Bè, le due tappe al Tour sono state momenti indimenticabili, ma per come sono fatto io e la storia da cui vengo, il Lombardia del 2019 resta la più bella di tutte. Sono arrivato e tutti prevedevano per me un futuro nei grandi Giri. Ci ho provato, non si può dire che non l’abbia fatto. Ma ho capito già da un pezzo che non fa per me. Ma avere certe giornate in cui attaccare e sentire che la vittoria sta arrivando, è quello che rende questo lavoro ancora il più bello che ci sia.

Ciccone, un po’ di fortuna e tanti sassolini da togliere…

15.12.2021
6 min
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«Se puoi – dice Ciccone – riportala alle stesse misure del Giro d’Italia. Alla fine sono le migliori, mi trovavo bene. E anche le selle… Se riusciamo a fare tutta la stagione con quella nera, io sono contento».

Mauro Adobati prende nota. Il primo ritiro serve proprio per mettere a posto i materiali e il lavorìo dei meccanici della Trek-Segafredo va avanti instancabile dal mattino e sarà così fino a domenica, quando torneranno a casa. Tra bici tirate a lucido e altre con il divieto di fare foto perché probabilmente esordiranno durante la stagione, il parcheggio dell’hotel è come la piazza di un paese brulicante di attività. Le strade di Altea, nella Comunità Valenciana, hanno accolto i corridori con il consueto calore di sole e di gente. E com’era prima del Covid, anche se il Covid c’è ancora, si può vivere qualche ora con loro per capire, conoscersi meglio, raccontare.

A confronto con Adobati per la messa a punto della bici per il 2022
A confronto con Adobati per la messa a punto della bici per il 2022

Nuova maglia da allenamento

Ciccone indossa la nuova tenuta da allenamento. Non più il giallo fluo degli scorsi anni, ma un rosa salmone, ugualmente fluo, cui dovremo fare gli occhi e che avevamo intravisto passando nel laboratorio Santini quando si trattò di annunciare la maglia gialla del Tour. Il 2021 dell’abruzzese ha avuto luci e ombre, ma se si vuole leggere completamente la stagione di un corridore, non ci si deve limitare ai soli piazzamenti, che pure resteranno negli albi. Eppure questa semplice annotazione lo mette di buon umore.

«Un conto è se nel bilancio di fine anno – conferma – devi mettere dei pessimi risultati e delle prestazioni non all’altezza. Un altro se i risultati sono al di sotto, ma le prestazioni finché sei stato… in piedi erano delle migliori. Sono caduto troppe volte e sempre nei momenti importanti. Così ora passa in secondo piano che alla fine della seconda settimana del Giro fossi a ridosso dei primi cinque e che a lungo il solo che abbia lottato con i migliori sia stato io. Eppure nei commenti continuano a dire che non sono più quello del 2019. E dopo un po’ che li leggi, diventa pesante…».

Giro d'Italia 2021, Nibali Ciccone
Con Nibali passato all’Astana, gli equilibri in Trek sono diversi. Ma la coppia secondo Ciccone non ha funzionato
Giro d'Italia 2021, Nibali Ciccone
La coppia Nibali-Ciccone non ha funzionato. Ciccone spiega…

Due anni con lo Squalo

Non c’è più Nibali e la sensazione, più sulla pelle che suffragata da fatti, è che per lui sia come aver perso un condizionamento. Positivo o negativo che fosse. Ma siamo qui per capire e così, partendo da Vincenzo, andiamo indietro provando a guardare in avanti.

Come è andata con lo Squalo?

Adesso che posso guardarla da fuori, sono stati due anni difficili. La coppia per vari motivi non ha funzionato. Lui ha vissuto i due anni più difficili della carriera, io ho avuto qualche sfortuna e qualche tensione di troppo. La sintesi c’è stata al campionato italiano.

Che cosa è successo?

E’ venuto fuori il nervosismo classico delle corse, che quando hai due leader può diventare brutto da vedere. Vincenzo doveva dimostrare di essere all’altezza della convocazione olimpica, io stavo vivendo un momento di forma molto buono dopo il Giro e alla fine ci siamo inseguiti fra noi. I rapporti fra noi sono buoni. Mi ha trasmesso la tranquillità nell’affrontare e vivere le corse. Lui in questo è un freddo. Ma tecnicamente non posso dire di aver imparato qualcosa, perché non c’è stato proprio modo di lavorare insieme.

In questi primi giorni, la squadra esce in gruppi differenziati in base al tipo di lavoro
In questi primi giorni, la squadra esce in gruppi differenziati in base al tipo di lavoro
Come va il cantiere Ciccone, continui a crescere?

Siamo ancora in fase di costruzione, anche se qualcosa ci è un po’ sfuggito. A livello di crescita fisica e mentale, vedo un grosso cambiamento, i risultati non ci sono ancora.

Perché dicono che vai meno che nel 2019?

Si parla del Giro. Partivo da leader e secondo me è stato un Giro importante. Nel 2019 correvo all’arrembaggio, ho vinto una tappa e conquistato la maglia dei Gpm, ma nelle altre tappe prendevo venti minuti e nessuno diceva niente. Io non voglio essere così, voglio tenere duro e quest’anno non ho mai preso quei distacchi e ugualmente ero lì a giocarmi le tappe.

La fase di costruzione prevede la cura di quali dettagli?

Negli ultimi anni è cambiato parecchio, tutti curano i dettagli. Quel che fa più la differenza è la tensione con cui vengono vissute le gare, senza mai un momento di tranquillità. Il ritmo è sempre alto per questi giovani che non perdono un solo colpo. Una volta ai miei 27 anni sarei stato considerato sulla porta del periodo migliore, ora è diverso. Un aspetto su cui ho capito di dover migliorare è la crono, per la quale abbiamo già fatto dei lavori specifici prima della Vuelta, anche se al Giro non ce ne saranno…

Luca Guercilena, Giulio Ciccone, Tour de France 2019
Si torna al Tour per ricercare vecchie sensazioni. Qui con Luca Guercilena in quei giorni indimenticabili
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Con Guercilena al Tour del 2019: questppanno si torna in Francia
Farai il Giro?

Il Giro e il Tour, come nel 2019. Prima un bel programma con la Valenciana, la Tirreno, il Catalunya, finalmente la Freccia e la Liegi, che non vedevo l’ora di rifare. L’ho corsa solo nel 2019, una delle edizioni più dure, e mi è piaciuta molto.

Perché quelle osservazioni sulla sella con Adobati?

Sono un maniaco dei dettagli e quando trovo un’imbottitura che mi va bene, non la mollo più. Con gli ingegneri Trek stiamo facendo selle personalizzate. Lo stesso ho fatto delle scelte per quanto riguarda il manubrio. Abbiamo provato quello integrato per scendere un po’ di peso, ma alla fine ho scelto di tornare a uno tradizionale. Attacco e curva.

Hai parlato delle critiche: dite spesso di infischiarvene, ma alla fine siete sempre lì a leggere…

Solo un tipo solare, mi piace tenere i contatti con i tifosi. Le critiche le sento e a volte fanno male. Del confronto con il 2019 abbiamo detto, mentre quelle durante la Vuelta in cui arrivavo a un minuto da Roglic… Ero deluso anche io, ma Roglic è il numero uno al mondo e quei distacchi li abbiamo presi in tanti.

Nella Trek è arrivato Cataldo: suo padre è stato ds di Ciccone nelle giovanili
Nella Trek è arrivato Cataldo: suo padre è stato ds di Ciccone nelle giovanili
Al tuo fianco ci sarà Cataldo.

E’ una grande novità per la squadra, l’uomo giusto per creare un progetto. Ha grande esperienza in corsa e gli riconosco il fatto di avere potere su di me, perché lo conosco e lo stimo da quando ero bambino. Ciclisticamente sono cresciuto con i consigli di suo padre. Quel che mi dice è per il mio bene, come Brambilla.

Cosa chiedi al 2022?

Un po’ di fortuna. Negli ultimi due anni, tra cadute e Covid, è girato tutto storto. Dopo la caduta della Vuelta ho avuto problemi al ginocchio e sono restato senza bici per 50 giorni: un’eternità. Ma andrà bene partire calmo, dovendo fare Giro e Tour. Ecco, vorrei non cadere e le stesse prestazioni del 2021, poi ne riparliamo. E poi vivere gli ultimi due anni a Monaco non è stato il massimo. Ora mi sono trasferito a San Marino, più vicino a casa e con spazi che mi si adattano meglio. Spero di avere la tranquillità che serve. Perché è vero che il 2019 può essere un bel metro di paragone, ma è anche vero che dal 2020 è cominciata la pandemia e niente è più stato come prima. Nemmeno io.