Innocenti, una storia di caduta e resurrezione

13.11.2022
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«A un certo punto ho cominciato a fare il pizzaiolo, per dare un senso alle giornate. Volevo ricomprarmi la bici senza chiedere soldi ai miei. Mi serviva perché volevo tornare a correre. Io non sono un dopato – scandisce bene Innocenti – non sono mai stato al limite. Se fossi stato così, non avrei avuto questa voglia di tornare. Dicevano tutti che mi avrebbero dato sei mesi al massimo, per questo quando sono arrivati i 4 anni è stata dura. Sono il tempo di un liceo, una carriera da under 23. Una vita. Ho pensato tante volte al tempo che passava. Per un mese non sono riuscito a dormire. Parlavano di me come di un talento. Avevo fatto tanti sacrifici. Poi piano piano è cresciuta la consapevolezza. Sono giovane. Dovevo cercare di andare avanti».

Le parole di Toni

Seano, giorno di San Martino. Le colline intorno brulicano di reti e olive da cogliere e biciclette in lenta processione su tutte le salite. Andrea Innocenti, classe 1999, ci ha dato appuntamento in un bar baciato dal sole, in questo strano autunno che continua a sembrare primavera. Ha con sé Sancho, uno dei suoi tre cani. Ha la faccia a posto, difficile tradurre la sensazione in parole e sperare di essere creduti.

Qualche settimana fa, parlando con Pino Toni di atleti dal motore importante (immaginando o sognando di trovare prima o poi un erede per Nibali), il preparatore toscano disse poche parole.

«Ne ho visti solo due, ultimamente. Uno è Andrea Piccolo. L’altro è Andrea Innocenti, peccato per quello che gli è successo…».

Il 2017 è il suo anno migliore da junior, con 9 vittorie, fra cui il Lunigiana (duzimage)
Il 2017 è il suo anno migliore da junior, con 9 vittorie, fra cui il Lunigiana (duzimage)

Controllo a sorpresa

La storia, in breve, poi si va avanti. Andrea Innocenti, uno dei talenti più solidi della sua classe, viene trovato positivo al testosterone in un controllo fuori competizione durante un ritiro della nazionale. I Carera, suoi procuratori, lo indirizzano verso un noto avvocato.

La prima udienza (per la prima infrazione della vita) dura un quarto d’ora. Non gli permettono di dire nulla, ma ugualmente il conto è salato: 4 anni di squalifica. L’avvocato a quel punto rilascia un’intervista dicendo che era tutto pilotato. La conseguenza (a quel punto abbastanza scontata) è che nel secondo grado, la squalifica è confermata e così pure al Tas, anche se le prove scientifiche sono a favore dell’imputato. In più, arriva la beffa. L’avvocato non avrebbe notificato che Andrea nel frattempo si è autosospeso, così la squalifica parte due mesi più avanti. Quattro anni e due mesi.

A Bergamo, nel processo penale legato alla positività, il ragazzino viene rappresentato da altri professionisti e viene assolto. Per lo Stato italiano, non c’è stato doping.

Agosto 2017, Innocenti vince il Trofeo Maionchi davanti ad Aleotti e Baroncini (foto Instagram)
Agosto 2017, Innocenti vince il Trofeo Maionchi davanti ad Aleotti e Baroncini (foto Instagram)

La chiamata di Cassani

Davide Cassani è un signore e di ciclismo ne sa tanto. E con disarmante semplicità dice che se a 19 anni risulti positivo in un controllo antidoping, la colpa non può essere solo tua e non vai lasciato da solo. Per questo l’allora tecnico della nazionale, vuole incontrarlo. I due parlano poco dopo la squalifica. E ora che i 4 anni sono passati e dopo che Andrea è rientrato per poche corse nel 2022 con la Park Pre Racing Team di Francesco Ghiarè, Davide gli ha aperto le porte della Technipes-InEmiliaRomagna. La storia può ricominciare.

Chi eri?

Un buono junior. Avevo vinto il Lunigiana ed ero passato dilettante con la Maltinti. Sono stato al funerale di Renzo, era davvero una brava persona. Mi sarebbe piaciuto rientrare con loro per gratitudine verso Renzo e per l’amicizia con Leonardo Scarselli, che è stato tecnico e soprattutto amico.

Pino Toni dice di aver visto solo due motori al livello di una carriera alla Nibali: Andrea Piccolo e Andrea Innocenti.

Parlavano bene di me, ricordo bene. E Pino mi aveva visto da junior e poi anche al primo anno da U23. Facevo tanti sacrifici e le cose andavano bene. Finita la maturità sarei dovuto andare in ritiro con Cioni, che ai tempi mi seguiva.

Nel 2018, dopo due grandi anni da junior, Innocenti va alla Maltinti: qui con Renzo e il ds Scarselli (foto Instagram)
Nel 2018, dopo due grandi anni da junior, Innocenti va alla Maltinti: qui con Renzo e il ds Scarselli (foto Instagram)
Invece un giorno torni a casa da un allenamento e cosa succede?

Era un periodo brutto. Mio padre aveva fatto un incidente in moto, era messo male. Quel giorno però ero contento, perché tornava a casa. Avevo appena fatto la terza prova della maturità, entrai a casa e capii che qualcosa non andava. Mia madre piangeva. Era da poco morto mio zio, pensai che avessero trovato qualcosa a papà. Invece mi guardarono e mi chiesero se avessi qualche problema e se volessi parlarne. Mi dissero che non potevo più correre, che ero risultato positivo. Io neanche ricordavo di averlo fatto quel controllo, erano passati due mesi…

Come reagisti?

I primi mesi furono i più duri. Mia madre lavora in una multinazionale americana, è sempre piena di cose da fare. E con mio padre allettato e io quasi alla depressione, a un certo punto mi scossi e piano piano iniziai a dare nuovamente una mano in casa. Nel frattempo in giro e sui social leggevo cose dette senza sapere niente. Dopo un po’ ricominciai anche ad andare in bici e appunto dopo 15 giorni mi misi a fare il pizzaiolo e a studiare.

Studiare?

Sognavo di fare il veterinario. Da ragazzino, dicevo che presto avrei smesso di correre e avrei studiato per quello. Poi invece da allievo scattò la passione del ciclismo e mi iscrissi a Giurisprudenza. Uscivo dal Liceo Scientifico Sportivo e avevo studiato Diritto. Mi piaceva e così cominciai a preparare Diritto romano. Solo che era il periodo della prima sentenza e a leggere quelle cose mi veniva la nausea, così smisi di studiare. I miei genitori per un po’ non dissero nulla. Poi mi parlarono: «Se vuoi correre ancora, ti appoggiamo. Però nel frattempo o studi o ti trovi un lavoro». E così mi iscrissi a Scienze Motorie. Due anni e mezzo per dare gli esami. Poi il tirocinio tutto insieme. E a giugno 2021 mi sono laureato.

E’ il 2020, due anni di squalifica alle spalle, ne restano due: Innocenti si allena e studia (foto Instagram)
E’ il 2020, due anni di squalifica alle spalle, ne restano due: Innocenti si allena e studia (foto Instagram)
Prima gara al Giro del Friuli, quattro anni e due mesi dopo. Che effetto ti ha fatto?

Mi hanno chiamato in tanti, chiedendomi se fossi emozionato. Io ero tranquillo. Tornavo a fare la mia vita. Ero convinto di andare forte, ma forse sono partito con troppo entusiasmo, perché a fine stagione ci sono arrivato sfinito. A Ghiarè ho chiesto di farle tutte, volevo tanta fatica per sbloccare il motore. Ma al Del Rosso non ero fresco come al Giro del Friuli. Non mi sarei mai aspettato di arrivare 10° sullo Zoncolan. Una salita così lunga in gara non l’avevo mai fatta. Non l’ho preso davanti solo perché mi sono staccato in discesa. La discesa dopo 4 anni può essere un problema (sorride, ndr).

Come ti sei allenato in questi 4 anni?

Il mio programma prevedeva due picchi di condizione all’anno. Il primo per i giorni della Firenze-Empoli, da tenere fino a giugno. Poi 15-20 giorni per recuperare, magari in altura, e si ripartiva con un altro picco da portare fino a ottobre. Inverno da corridore e poi si ricominciava.

La leggenda dice che hai fuso due motorini di tuo padre nel simulare la gara…

Uno era vecchio, l’altro no. E’ vero (sorride, ndr). Facevamo dei bei giri dietro moto, con distanze e andature da gara. La prima ora da solo, poi da Poggio a Caiano si faceva forte il San Baronto, di lì Lamporecchio, andavamo fino a Empoli e dopo 4 ore si faceva forte la salita di Vitolini. E se stavo bene, anche Seano a tutta. Questo una volta ogni due settimane. Nell’altra settimana, andavo con la bici da crono che mi ero comprato (i dati di allenamento parlano di sessioni da 10 chilometri a 7 watt/kg). E la domenica distanze blande di 6 ore in Z2 e Z1.

Il 3 giugno 2021 arriva la laurea in Scienze Motorie: il cammino prosegue (foto Instagram)
Il 3 giugno 2021 arriva la laurea in Scienze Motorie: il cammino prosegue (foto Instagram)
Cosa ti aspetti?

A casa sono tutti contenti. Forse mi mancherà un po’ il ritmo, ma sono convinto che tornerò quello che ero. Sono motivato. Quest’anno c’era poco tempo, ora posso fare un vero periodo di riposo e ricominciare al pari con gli altri.

Dove si erano fermati i tuoi sogni?

Non si sono mai fermati, ma fino al primo anno da junior (4 vittorie, ndr) facevo fatica a capire che corridore fossi. Con un po’ di impegno, vincevo anche le volate. L’anno successivo (9 vittorie, fra cui le classifiche finali del Lunigiana e della Ain Bugey Valromey in Francia), ho iniziato a pensare di essere più adatto per le corse a tappe. Sono andato benino e credo che il mio terreno possa essere quello. So andare in salita, pur non essendo uno scalatore di 56 chili e vado bene a crono. Il mio obiettivo sarà specializzarmi in questo.

Correrai con la squadra di Coppolillo e Cassani…

Michele l’ho conosciuto subito, è davvero una bella persona. Il fatto che Cassani mi abbia dato fiducia, l’ho trovato molto importante. Davide è stato una delle poche persone che mi ha chiamato dopo il controllo. Volle vedermi per capire cosa fosse successo. Per me già quello fu gratificante, fino al giorno prima mi volevano tutti bene e poi sparirono. Il fatto che mi abbia richiamato dopo 4 anni è un punto in più. Spero di poter ripagare la squadra per la fiducia.

Durante il periodo giù dalla bici, uscite in mountain bike o passeggiate con i suoi cani: ne ha 3 (foto Instagram)
Durante il periodo giù dalla bici, uscite in mountain bike o passeggiate con i suoi cani: ne ha 3 (foto Instagram)
Come ti ha accolto il gruppo?

I miei coetanei e compagni di nazionale ormai sono tutti professionisti oppure hanno smesso. I compagni alla ParkPre mi facevano vedere i commenti sui social di qualche… sciocchino. Ma non puoi ascoltare tutti e ognuno è libero di pensare come vuole. Io voglio solo riprendere la mia strada. E sono certo che qualcosa di buono verrà di sicuro… 

Che cosa successe in quel controllo?

La verità? Non lo so. Per il Tas mi sono sottoposto al test del capello con una luminare del campo e non venne fuori nulla. Io non ho preso niente, l’ipotesi più probabile è uno scambio di farmaci con qualcosa che avevamo in casa. Ma non sto neanche a dirlo, perché non ho prove per sostenerlo. Non lo so. So però che non mi sono dopato.

Si ricomincia con un ritiro a ridosso di Natale, quando i corridori della Technipes-#InEmiliaRomagna riceveranno bici e programma. Nel frattempo Innocenti ha preso ad allenarsi con Paolo Alberati e Maurizio Fondriest. Quattro anni sono tanti, ma non sono stati anni di ruggine. E comunque sia andata quel giorno, la lezione è stata imparata. La seconda occasione è ampiamente meritata.

Sidi illustra a EICMA la nuova “vision” aziendale

12.11.2022
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Sidi Sport, storico brand italiano specializzato nella produzione e nella vendita di calzature per il ciclismo e per il motociclismo, è quest’anno tornato in fiera ad EICMA approfittando della straordinaria vetrina rappresentata dalla stessa rassegna expo milanese per tracciare i primi obiettivi a seguito della recente acquisizione dell’azienda da parte di Italmobiliare.

Nel corso di una partecipata conferenza stampa, moderata da Vera Spadini, volto noto delle telecronache di motociclismo, sono stati presentati Davide Rossetti, il nuovo CEO di Sidi, e Davide Cassani, ex ciclista professionista ed ex commissario tecnico della nazionale italiana di ciclismo, chiamato adesso a portare la propria esperienza in ambito ciclistico anche all’interno del consiglio di amministrazione dell’azienda.

Davide Cassani con Davide Rossetti, nuovo CEO di Sidi
Davide Cassani con Davide Rossetti, nuovo CEO di Sidi

Valorizzare il Made in Italy

«La missione che si è data Italmobiliare – ha dichiarato Carlo Pesenti, il Consigliere Delegato di Italmobiliare – è quella di portare l’Italia nel mondo, e proprio per questo investiamo nei migliori marchi del Made in Italy con l’obiettivo di valorizzarli a livello globale, attraverso una crescita sostenibile e improntata alla creazione di valore nel tempo. Da appassionato e da investitore, quando si è prospettata l’opportunità di questa acquisizione non nascondo di essermi emozionato.

«Noi siamo investitori, ma investiamo sempre con una visione un po’ speciale, perché siamo prima di tutto imprenditori. È con questo spirito che ci siamo approcciati a Sidi e che siamo qui oggi a presentare la nostra visione. Il primo passo è stato senza dubbio cercare di costruire una squadra, e oggi è l’occasione giusta per presentare Davide Rossetti, quale nuovo CEO, e Davide Cassani che entrerà ufficialmente nel nostro organico come componente del Consiglio di Amministrazione».

Le Shot 2 nella ultima colorazione Abisso
Le Shot 2 nella ultima colorazione Abisso

Davide Rossetti nuovo CEO

«Da anni lavoro sul territorio di Montebelluna – ha aggiunto da parte sua Davide Rossetti – e per me assumere la guida di Sidi è uno straordinario privilegio. Sidi è un marchio di assoluto valore, uno dei pochi a realizzare ancora internamente i propri prodotti. Il nostro obiettivo per il futuro sarà quello di rafforzare ulteriormente ricerca e sviluppo, continuando a lavorare quotidianamente con atleti e piloti, sia del motociclismo che del mondo del ciclismo, che rappresentano da sempre uno dei nostri asset principali.

«Aziende come Sidi vivono per e con il prodotto, e sicuramente continueremo in questa direzione per ampliare la gamma, portare nuovi prodotti sul mercato, e conferire una dimensione sempre più internazionale al brand, preservando l’enorme valore dell’italianità».

Non solo ciclismo, Sidi è anche “tanto” motociclismo
Non solo ciclismo, Sidi è anche “tanto” motociclismo

«Nel mondo delle due ruote – ha poi dichiarato Cassani – servono competenza, investimenti e passione, ed il bello per me è stato ritrovare tutto questo nei vertici di Italmobiliare. Sono assolutamente entusiasta di far parte di questa nuova sfida per Sidi. Conosco questa azienda da sempre, ricordo quando Sidi fece la prima tacchetta, togliendo i chiodi e offrendo qualcosa di modulabile, con Moser come primo utilizzatore.

«Carapaz ha vinto le Olimpiadi con Sidi ai piedi, e Colbrelli sia un Europeo che la Paris-Roubaix. Personalmente nel 1985 ero al Tour de France e usavo delle altre scarpe, non mi trovavo bene e nel giorno di riposo sono andato a comprarmi un paio di Sidi. Quindi il mio ruolo è esattamente questo: assicurare e cercare di accrescere quell’unione di competenza, professionalità e passione che sono gli elementi caratterizzanti di Itamobiliare, di Sidi e del mio personale percorso».

Sidi

Tour of the Alps, qualità e sicurezza: scelte azzeccate

05.11.2022
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Quello che è andato in scena ieri a Milano, durante la presentazione del Tour of the Alps 2023, è stato il confronto fra due modi di intendere il ciclismo. Alla presenza di Mauro Vegni, organizzatore del Giro d’Italia, il tema è venuto fuori da sé. Poi è rimasto sotto traccia, forse perché non era quella la sede idonea per un approfondimento.

Il Tour of the Alps – si legge nel comunicato ufficiale – ha infatti affermato un proprio modo di interpretare il ciclismo. Salite, dislivelli importanti ma senza altitudini estreme, brevi chilometraggi e trasferimenti ridotti al minimo. Così si può sintetizzare la “Formula TotA”, premiata dall’apprezzamento di campioni e squadre – prova ne sia il nutrito contingente World Tour schierato al via anno dopo anno – oltre che dall’entusiasmo di un pubblico sempre più vasto e internazionale.

Rohregger, Evangelista, Rossini, Giacomo Santini, Pichler: il motore operativo del Tour of the Alps
Rohregger, Evangelista, Rossini, Giacomo Santini, Pichler: il motore operativo del Tour of the Alps

La formula ToTa

Il Tour of the Alps partirà il 17 aprile 2023 dall’Austria e si concluderà il 21 in Alto Adige. Le cinque tappe propongono un modello moderno e avvincente, in cui lo spettacolo e i corridori sono prepotentemente al centro della scena. Lunghezza media delle tappe di 150,52 chilometri: la più breve di 127,5 mentre la più lunga ne misura 165,2. Ciascuna tappa del Tour of the Alps parte a metà mattinata, per concludersi nel primo pomeriggio. Una volta anche il Giro faceva così. Poi le esigenze televisive hanno fatto passare in secondo piano le esigenze degli atleti. Per cui le tappe partono all’ora di pranzo e si concludono sul far della sera, con tutte le problematiche connesse.

«Credo che per una corsa di una settimana – ha spiegato Giuseppe Saronni – la formula tecnica del Tour of the Alps rappresenti la soluzione ideale. C’è brillantezza, c’è spettacolo tutti i giorni. Il Tour of the Alps propone percorsi da ciclismo moderno. E’ corsa per scalatori, non c’è dubbio, e gli atleti la affronteranno con intensità dall’inizio alla fine».

Qualità e quantità

Probabilmente la modernità non c’entra affatto: il ciclismo è ciclismo e basta. Tuttavia è un dato di fatto che la progressiva riduzione delle distanze di gara negli ultimi tempi abbia prodotto lo spettacolo maggiore. Un orientamento nato dalla Vuelta, che non ha però rinunciato ai suoi tanti arrivi in salita, poi ripreso dal Tour. La tappa più spettacolare dell’ultima edizione, quella del Granon e del crollo di Pogacar, misurava appena 151,7 chilometri. Anche nella prossima edizione le tappe più brevi saranno quelle con l’arrivo in salita.

«Il Tour of the Alps – ha detto Davide Cassani, presente in sala – ha trovato una forte identità, grazie ai percorsi impegnativi che contraddistinguono i territori. A questa gara non si arriva per prepararsi, ma per vincere. L’inizio della prima tappa non sarà morbido e già da qui si potrà capire chi potrebbe essere il favorito della gara. In generale le corse rispetto a un tempo sono molto più spettacolari e questo perché si punta maggiormente alla qualità, rispetto alla quantità. Bisogna puntare a offrire corse che siano belle da vedere, proprio come il Tour of the Alps».

Tivù, croce e delizia

Le tre settimane dei grandi Giri non si toccano e così pure i tapponi, su questo siamo d’accordo. Eppure le tappe troppo lunghe sembrano noiose, al punto di chiedersi se i corridori di una volta fossero davvero più battaglieri. La risposta probabilmente è no, tanto che le tappe leggendarie ricorrono in un numero limitato di racconti e il resto rimane nelle statistiche.

Quel che fa la differenza è la copertura televisiva. La diretta integrale mostra anche i momenti di presunta… fiacca, risulta soporifera e costringe i cronisti spesso a vere maratone. Ne abbiamo davvero bisogno? Quei chilometri sono alla base del cumulo di fatica che nei finali avvantaggia i corridori più solidi, ma non sono spettacolari. Si ha modo finalmente di apprezzare il lavoro dei gregari, ma lo spettacolo della corsa è quello dei finali. Né si può pretendere che si vada a tutta dalla partenza all’arrivo nel nome dello spettacolo.

E’ corretto che la televisione diventi la discriminante per la modifica dei percorsi e della loro lunghezza? E’ corretto che costringa gli atleti a barbari orari di corsa? Si comprende il costo dei diritti, ma la risposta è no.

Secondo Vegni sono le grandi distanze fra Nord e Sud a costringere il Giro a tappe molto lunghe
Secondo Vegni sono le grandi distanze fra Nord e Sud a costringere il Giro a tappe molto lunghe

«Per quello che propone dal punto di vista tecnico – ha commentato Mauro Vegni – il Tour of the Alps mette in luce i corridori veri e anche coloro che potranno pensare di presentarsi con ambizioni al Giro d’Italia qualche settimana dopo. Un identikit del prossimo vincitore? Sarà un campione assoluto, un grande scalatore. Quanto al Giro, l’esigenza di tappe più lunghe deriva dal fatto che l’Italia è allungata al centro del Mediterraneo. Per coprire il più elevato numero di regioni, non si possono fare tappe troppo brevi».

Le tappe di montagna del prossimo Giro sono tutte intorno ai 200 chilometri. Non sarà questo spauracchio a indurre i corridori a condotte meno garibaldine, in attesa dell’ultima salita?

Obiettivo sicurezza

E così il Tour of the Alps si gode il momento e va avanti nel segno della sua filosofia. Al suo fianco, Trentino Marketing e la partnership entusiasta con gli omologhi del Sud Tirolo e del Tirolo Austriaco, orgogliosi di dare la partenza alla corsa.

«Intendiamo proseguire – ha detto Maurizio Evangelista, General Manager (foto di apertura) – su una direzione tecnica che incarna la modernità del ciclismo. Il ciclismo di oggi è decisamente più spettacolare rispetto a quello del passato e si è spostata anche l’asse della carriera di un corridore. Ci saranno sempre più atleti precoci ed è giusto dar loro grandi sfide con le quali confrontarsi».

«Fra i capisaldi per noi – ha proseguito – c’è il tema della sicurezza. All’interno del nostro team organizzativo, è presente un nucleo tecnico che lavora tutto l’anno su questa tematica».

Fra le note più toccanti della presentazione, c’è stato l’intervento di Sonny Colbrelli. Il video ha mostrato un uomo ancora alle prese con una scelta di vita importante e dolorosa, ma sempre innamorato pazzo della bici e del ciclismo. Sonny in Trentino ha vinto il suo titolo europeo e nel raccontarlo aveva gli occhi lucidi. Probabilmente, neanche noi siamo pronti a restare senza di lui.

Colbrelli, pronto un futuro da campione: Cassani sicuro

29.10.2022
6 min
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Era il primo giorno di primavera, il 21 marzo 2022, quando Colbrelli ha visto spalancarsi davanti il rettilineo in lieve salita con l’arrivo di Sant Feliu de Guixols giusto sulla cima. Giro di Catalogna, prima tappa. Matthews sul lato destro, lui sul sinistro verso il secondo posto. Di quel giorno non ricorda molto, se non il fatto che dopo la volata si spense la luce e quando qualcuno per miracolo riuscì a riaccenderla, la sua carriera di corridore era finita.

Prima tappa del Catalunya 2022 a Sant Feliu de Guixols: Colbrelli secondo dietro Matthews, poi il malore
Prima tappa del Catalunya 2022 a Sant Feliu de Guixols: Colbrelli secondo dietro Matthews, poi il malore

Il ritiro dalle corse

Giusto oggi Colbrelli ha annunciato il ritiro dalle corse. La storia dice che l’infermiere che lo rianimò fece davvero un mezzo miracolo, riportandolo in vita. Il defibrillatore che gli fu impiantato successivamente per evitare drammatiche ricadute gli impedisce di ottenere l’idoneità. E così, essendosi preso il tempo necessario, Sonny ha comunicato che non ci saranno per lui altre corse. Resta in archivio, al culmine di una carriera da 11 anni di professionismo, il 2021 dei sogni. Con vittorie qua e là, poi il campionato italiano di Imola, il Benelux Tour, l’europeo di Trento e l’infernale Roubaix di ottobre. Pochi giorni prima, il mondiale di Leuven lo vide al 10° posto, piegato da quel genio di Alpahilippe.

Campionati europei di Trento: Colbrelli resiste a Evenepoel e lo batte in volata. Cassani lo festeggia
Campionati europei di Trento: Colbrelli resiste a Evenepoel e lo batte in volata. Cassani lo festeggia

Sonny e Davide

Curiosamente, per quell’ironia a volte inspiegabile, la sua carriera in azzurro è coincisa con quella di Davide Cassani, che per primo lo convocò da professionista a Ponferrada e poi lo fece per altre quattro volte. A Doha, Bergen, Harrogate e Leuven. E proprio a Davide abbiamo chiesto di ripercorrere i suoi anni con Colbrelli.

«Un po’ me l’aspettavo che avrebbe fatto questo annuncio – dice il romagnolo – perché la cosa è stata molto seria. Sonny è stato il mio primo e ultimo capitano. Fu il mio uomo di punta a Ponferrada, nonostante fosse molto giovane, e poi è stato il mio capitano anche nelle Fiandre. Quindi alla fine la mia esperienza in nazionale è coincisa con la sua.

«A Ponferrada gli sono mancati 30 metri e sarebbe potuto arrivare non tredicesimo, ma nei primi cinque. Mentre nelle Fiandre abbiamo trovato un Alaphilippe superlativo. Ma a parte i risultati, è uno dei ragazzi più buoni e generosi che io abbia mai incontrato tra i miei azzurri e, soprattutto nell’ultimo periodo, cresciuto di testa».

Mondiali 2014 a Ponferrada: in allenamento il giovane Colbrelli con Daniele Bennati, oggi ct azzurro
Mondiali 2014 a Ponferrada: in allenamento il giovane Colbrelli con Daniele Bennati, oggi ct azzurro
Tu hai toccato con mano il suo cambiamento.

Forse all’inizio aveva un po’ paura di non essere all’altezza della situazione, probabilmente sentiva la pressione. Nel 2021 era un Sonny diverso, che non aveva paura di niente. Negli ultimi due anni è arrivato a un equilibrio e una consapevolezza delle proprie forze molto diversi rispetto ai primi tempi.

La prima vittoria veramente importante l’ha fatta con te agli europei di Trento…

In realtà aveva già vinto il campionato italiano e poi all’europeo è stato esemplare, perché alla fine è riuscito a battere Evenepoel. L’unico modo che avevamo per riuscirci era correre in quella maniera. E lui poi mi disse che quelli sono stati forse tra i 5 chilometri più duri della sua vita. Tenere Evenepoel non è stato facile, è stato un fenomeno. In quel caso ha dimostrato di essere veramente un campione, perché quel giorno abbiamo corso per lui e lui ha vinto.

Il 3 ottobre 2021, una settimana dopo i mondiali chiusi al 10° posto, Colbrelli vince la Roubaix
Il 3 ottobre 2021, una settimana dopo i mondiali chiusi al 10° posto, Colbrelli vince la Roubaix
E’ sempre brutto quando una carriera si interrompe così, ma secondo te poteva diventare per le classiche uno dei grandi italiani?

Ne sono certo, perché era riuscito veramente a trovare un equilibrio straordinario. Vuoi la famiglia, vuoi l’aiuto che ha avuto dagli altri, è riuscito a sciogliere quei piccoli nodi che non gli avevano permesso di ottenere grandi successi. E la cosa bella è che comunque c’è riuscito con gli anni, senza mai demordere, senza mai mollare. E’ sempre stato un lottatore, un tenace. Sembrava che il suo punto debole fosse nel carattere che ogni tanto gli impediva di ottenere grandi successi. Quindi la sua abilità è stata che comunque è riuscito con pazienza, buona volontà e con puntiglio, probabilmente lavorando sulle sue debolezze, a diventare quello che è diventato.

E cosa era diventato?

Ha vinto l’italiano, ha vinto l’europeo, ha vinto la Roubaix e vi ricordate come ha vinto Il Benelux Tour? Nel 2021 ha fatto veramente un anno stratosferico. E’ stato il classico esempio di un corridore che, conoscendo i suoi punti deboli, è riuscito a superarli con calma e con attenzione.

Ha chiuso il 2021 da campione italiano ed europeo, ma non ha potuto difendere nessuno dei suoi titoli
Ha chiuso il 2021 da campione italiano ed europeo, ma non ha potuto difendere nessuno dei suoi titoli
Tu dov’eri il giorno del malore?

Ero a casa e mi chiamò Alessandra Giardini, chiedendomi se avessi sentito qualcosa. L’ho saputo così, poi ho fatto passare un po’ di tempo e l’ho chiamato. Con Sonny e con Trentin, i corridori che più mi sono stati vicini, avevo proprio un rapporto speciale. Stasera sono a Salò alla presentazione del libro e ci sarà anche lui.

Lo vedi occupare ancora un ruolo nel ciclismo?

Secondo me, anche lui deve ancora capire. Nella vita, questo penso di poterlo dire, quando ti rendi conto che sta arrivando la fine di un ciclo, cominci a pensarci. Un anno prima, un anno e mezzo prima, due anni. Quindi io penso che lui debba ancora metabolizzare questo cambiamento, che è stato proprio radicale. Per l’esperienza che ha e per il carattere, può diventare un direttore sportivo, ma forse anche un uomo importante all’interno di una squadra o di un’azienda. Perché ha la passione, ha l’attenzione e tutto quello che gli può servire. Deve capire e soprattutto studiare quello che potrà fare e poi farlo bene.

La carriera passa, la famiglia resta: esserci ancora è la vittoria 2022 più grande di Colbrelli
La carriera passa, la famiglia resta: esserci ancora è la vittoria 2022 più grande di Colbrelli
Forse i sette mesi trascorsi non sono ancora abbastanza…

Penso che abbia passato momenti non facili. Ti ritrovi che hai risolto tutti i problemi, hai capito come fare per vincere le grandi corse e da un giorno all’altro tutto si ferma. E quando finisce, devi comunque trovare un equilibrio. Secondo me può averlo ritrovato, perché è sempre stato una persona positiva. Penso che anche in questo caso, Sonny sarà andato a vedere il bicchiere mezzo pieno, perché la cosa importante è che lui sia ancora qua.

Si volta la pagina, insomma…

Io sono sempre più convinto, lo vedo anche su me stesso, che quello che semini raccogli. E Sonny ha sempre seminato molto bene, perché è veramente una bella persona, un generoso, un uomo vero. Ha tutto quel che serve. Perciò, quando avrà somatizzato tutto e avrà davanti le varie soluzioni, avrà anche l’opportunità di scegliere quello che andrà a fare.

Ecco la nuova Sidi: Rossetti CEO e Cassani nel board

26.10.2022
3 min
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La finanziaria Italmobiliare ha completato l’acquisizione del 100% del capitale di Sidi. Sidi Sport, che ha sede a Maser (Treviso), nel cuore del distretto industriale della calzatura sportiva di Montebelluna, impiega oltre 250 dipendenti e distribuisce i propri prodotti in oltre sessanta paesi del mondo. La società, creata da Dino Signori nel 1960 e che nel 2021 ha registrato 38 milioni di euro di ricavi e 7 milioni di EBITDA, è stata rilevata da Italmobiliare sulla base di un “enterprise value” di 66 milioni di Euro, cui si aggiungono 20 milioni di cassa netta detenuta dalla Società. Il corrispettivo complessivo di circa 86 milioni ha comportato un esborso netto di Italmobiliare pari a 53,5 milioni, mentre i restanti 32,5 milioni circa derivano da un finanziamento concesso da Banco BPM. 

Davide Rossetti, nuovo CEO Sidi Sport
Davide Rossetti, nuovo CEO Sidi Sport

Valore Made in Italy

Con questa acquisizione Italmobiliare prosegue nel proprio percorso finalizzato a supportare ed accompagnare le eccellenze industriali del nostro Paese.

«Sidi – ha dichiarato Carlo Pesenti, consigliere delegato di Italmobiliare – significa professionisti eccellenti, prodotti di assoluta qualità, un brand apprezzato e vincente ed un settore tornato a mostrare tassi di crescita molto interessanti grazie ad un pubblico di appassionati e praticanti sempre più ampio. Questi sono i fattori che Italmobiliare ambisce a valorizzare a livello globale, attraverso una crescita sostenibile e improntata alla creazione di valore nel tempo. Da imprenditore e da appassionato del mondo delle due ruote, conosco il valore della tradizione e dell’identità di un marchio che ha un legame fortissimo con il mondo dello sport e di chi lo pratica, per professione o per passione e che rappresenta un altro straordinario esempio della qualità del Made in Italy».

L’ex cittì Davide Cassani, in una foto d’archivio, sempre con Sidi ai piedi
L’ex cittì Davide Cassani, in una foto d’archivio, sempre con Sidi ai piedi

C’è Cassani nel consiglio

E nuovo CEO di Sidi è stato nominato Davide Rossetti, manager con oltre 25 anni di esperienza nel mondo degli “sporting goods” in eccellenze multinazionali in Italia e all’estero, sia a livello “wholesale” che “retail”, tra cui Safilo Group (sport division), 55DSL by Diesel, Cisalfa Sport, Alpinestars e da ultima Northwave, azienda di calzature tecnico sportive bike e snowboard, che ha guidato come direttore generale sviluppandone il business. 

Nel board dell’azienda ha fatto il proprio ingresso anche Davide Cassani…

«Il mondo delle due ruote in Italia – ha confessato l’ex ct azzurro – ha bisogno di investimenti, competenza e passione. Sono entusiasta di ritrovare questi tre elementi nei vertici di Italmobiliare e di essere partecipe di questa nuova sfida di sviluppo per Sidi».

La modernissima sede Sidi di Maser, proprio di fronte ai colli Asolani
La modernissima sede Sidi di Maser, proprio di fronte ai colli Asolani

Fondata nel 1946, e quotata nel segmento Euronext STAR della Borsa di Milano, Italmobiliare è una delle principali investment holding italiane ed è riconosciuto partner strategico per imprenditori impegnati nello sviluppo di realtà di eccellenza. Gestisce un portafoglio diversificato di investimenti con un Net Asset Value di circa 2 miliardi di euro e, a partire dal 2017, ha consolidato la propria strategia di investimento in società caratterizzate da marchi importanti ed innovativi del Made in Italy, sostenendo – attraverso il suo know-how e i propri modelli di sviluppo e governance – significativi tassi di crescita.

Sidi

Cassani, senza Nibali con chi faremo classifica al Giro?

21.10.2022
5 min
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Mettiamola così, quasi fosse fantaciclismo: il prossimo anno tra gli italiani su chi puntereste per fare classifica al Giro d’Italia? Noi lo abbiamo chiesto a Davide Cassani. L’ex cittì ne ha viste di ere e di corridori e più di altri ha il polso della situazione per fare delle valutazioni senza farsi prendere “dall’ansia” del post Nibali.

Perché, diciamolo pure, senza più lo Squalo c’è un bel vuoto. E l’atleta che lo segue a ruota in quanto a garanzie di classifica è Domenico Pozzovivo. Il lucano, al netto che non è più un bimbo, ad oggi non ha una squadra per il 2023. Almeno non ufficialmente.

Davide Cassani (classe 1961) è stato cittì degli azzurri fino al 2021
Davide Cassani (classe 1961) è stato cittì degli azzurri fino al 2021
E quindi Davide, su chi punteresti tra gli italiani al Giro?

Il primo che mi viene in mente è Damiano Caruso (nella foto di apertura, ndr). La classifica può farla lui. A mio avviso avrebbe potuto farla anche quest’anno, ma la squadra lo ha dirottato sul Tour. Lui può essere un vero protagonista. Va bene a crono e in salita ed è costante.

Altri nomi?

C’è Giulio Ciccone, ma ancora dobbiamo capire se è lì per fare classifica o per dare caccia alle tappe. Certo che con 71 chilometri a cronometro, per lui la possibilità di arrivare fra i primi sei si fa complicata. La crono è il suo punto debole. In generale, credo che dovremmo vedere se qualche giovane potrà dire la sua. E’ innegabile che Nibali lascia un bel vuoto. Dovremmo lottare soprattutto per le tappe.

Alla luce di quanto detto circa le crono, in teoria un buon atleta che va forte anche in salita c’è ed è Mattia Cattaneo

Sì, però bisogna vedere cosa farà. Uno come lui ha di certo le caratteristiche per fare bene al Giro, ha ottenuto già un può piazzamento al Tour. Però se ci dovesse essere Evenepoel? Sappiamo già che dovrebbe fare un certo lavoro.

Ciccone è stato autore di belle tappe. La sua miglior posizione in un grande Giro è il 16° posto al Giro 2019
Ciccone è stato autore di belle tappe. La sua miglior posizione in un grande Giro è il 16° posto al Giro 2019
Sulla base dei nomi fatti, quando parliamo di classifica a cosa ci riferiamo di preciso?

Ad una top dieci. Lottare per il podio non è semplice per questi atleti. Eccezion fatta per Caruso che già ci è salito. Lui può ambire a confermare certe posizioni di vertice… sempre che faccia il Giro.

Però a questo punto della carriera e con il nome che si è fatto, Damiano non potrebbe simbolicamente sbattere i pugni sul tavolo e dire alla Bahrain-Victorious che vuole andare al Giro? Oppure è impensabile nel ciclismo moderno?

Sinceramente non lo so, non conosco le dinamiche di quel team. Di certo visto come andava lo scorso anno al Giro di Sicilia avrebbe potuto fare il Giro e sarebbe andato molto forte. Mi auguro che possa avere voce in capitolo. Damiano è completo sotto ogni punto di vista.

Andiamo avanti, Davide: altri nomi?

Mi vengono in mente Fabbro, Aleotti… Ecco Aleotti è un buon corridore. Giovanni sta crescendo bene e potrebbe essere il Giro con cui capire fin dove davvero può arrivare.

Aleotti ha vinto gli ultimi due Sibiou Tour. Come per molti altri italiani, dovrà lottare all’interno della suo team per avere spazio
Aleotti ha vinto gli ultimi due Sibiou Tour. Come per molti altri italiani, dovrà lottare all’interno della suo team per avere spazio
Però è alla Bora-Hansgrohe,: lì ci sono Hindley, Buchman, Vlasov, Higuita…

Eh, il problema è sempre quello: capire che corsa possono fare, stando in un team con tanti capitani. In tal senso anche un Covi potrebbe provare a fare bene, anche se lui è più da corse di un giorno per me. Volenti o nolenti si ritrovano in squadre in cui c’è chi punta alla classifica… quella alta.

Sennò dobbiamo passare ad un gradino “più basso”, nel senso di ragazzi davvero giovani: Fortunato, Piganzoli… Oppure a corridori più esperti come Formolo o Masnada.

Partendo da Formolo lui ha già provato a fare classifica, ma ormai ha preso una direzione diversa, vale a dire aiutare i capitani. Se Davide dovesse preparare un Giro da leader nei primi dieci ci arriverebbe, ma in UAE Emirates sa che deve lavorare per altri. Per Masnada vale lo stesso discorso di Cattaneo. Mentre gli altri due nomi sono davvero giovani in effetti. E Fortunato forse lo vedo meglio come cacciatore di tappe.

E chi potrebbe essere una sorpresa?

Fatemi voi qualche nome!

Per Cassani Filippo Zana è un buon profilo già per il prossimo anno (ma dipenderà da chi sarà il capitano della BikeExchange)
Per Cassani Filippo Zana è un buon profilo già per il prossimo anno (ma dipenderà da chi sarà il capitano della BikeExchange)
Villella, Battistella, Rota… Certo sono nomi un tirati per la classifica di un grande Giro…

Godiamoci i successi dei ragazzi e delle ragazze in pista, godiamoci i profili interessanti che abbiamo. Siamo stati abituati bene ultimamente. Ma non sempre è così, ci sono periodi anche lunghi in cui non si ha il campione da grandi Giri. Il Belgio ci ha messo più di 40 anni per tornare a vincerne uno. I francesi lo stesso non lo vincono dal 1995 (Jalabert alla Vuelta, ndr). Quindi alla fine ci sta un periodo così. Nibali ci ha lasciato in braghe di tela, ma dobbiamo avere fiducia. Fiducia nei nostri under 23, ce ne sono buoni, specie per le corse di un giorno: Germani, Milesi

Questo è vero. Ma anche per le corse a tappe abbiamo speranze: oltre a Piganzoli ci sono Frigo, Garofoli…

E Zana, anche lui è bravo e potrà fare bene. L’importante è conoscere il problema e attivarsi per risolverlo. 

EDITORIALE / Quando era Cassani la causa di tutti i mali

30.08.2022
6 min
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Circa un anno fa, l’8 agosto del 2021, si chiuse in modo goffo e inelegante la pagina di Cassani nella Federazione (in apertura Davide con il presidente Dagnoni). L’aggettivo goffo non è per caso, tantomeno quello inelegante. Per far sapere al mondo del ciclismo che Davide avesse ormai le ore contate, si scelse la Gazzetta dello Sport, facendo capire fra le righe che né agli europei di Trento e tantomeno ai mondiali di Leuven sull’ammiraglia azzurra sarebbe salito il romagnolo. Peraltro rispedito a casa prima del tempo dalle Olimpiadi di Tokyo con motivazioni tutt’altro che convincenti.

Per fortuna si mise di mezzo il Coni. Cassani guidò Colbrelli alla vittoria degli europei e rimase alla guida degli azzurri anche per i mondiali. Anche allora stigmatizzammo lo stile, tacciati di parlare sempre delle stesse cose, ma trovammo per contro che fosse comprensibile il desiderio di cambiare i nomi per dare un segno di discontinuità. Chi vince fa le sue scelte e poi semmai se ne prenderà la responsabilità.

Nonostante il clima teso, a Trento 2021 l’Italia fece incetta di vittorie: qui Colbrelli fra i pro’
Nonostante il clima teso, a Trento 2021 l’Italia fece incetta di vittorie: qui Colbrelli fra i pro’

Neanche un euro

Al cittì romagnolo venivano mosse diverse contestazioni. L’eccessiva esposizione. E soprattutto il fatto di avere le mani in pasta fra sponsor e organizzazioni. Non si muoveva nulla, dicevano, senza il suo avallo: sembrava quasi che ne avessero soggezione. Ma consapevoli dei suoi mezzi, gli proposero un incarico ancora indecifrato, che permettesse tuttavia di mantenerne gli agganci.

«Non ho mai fatto l’organizzatore – ci disse Davide alla vigilia della sfida di Leuven – con il Giro d’Italia Under 23 ho trovato due amici molto bravi (Marco Selleri e Marco Pavarini, ndr) che hanno fatto crescere il movimento dei giovani in Italia. Con Extra Giro è ripartito il ciclismo dopo il Covid. I mondiali di Imola sono stati un incontro tra forze diverse e sono costati un settimo di questi in Belgio. E quanto agli sponsor, non ho mai preso un euro. Tutto quello che è entrato, l’ho riversato sull’attività. Sono nate corse e ne vado molto orgoglioso».

Quello che è successo negli ultimi 12 mesi merita forse una rilettura. Non necessariamente per infierire su una dirigenza in evidente difficoltà dopo il caso delle sponsorizzazioni irlandesi, le dimissioni di Norma Gimondi e tutto quello che verosimilmente ne conseguirà, ma per sottolineare un paio di punti.

Marco Pavarini e Marco Selleri riuscirono a organizzare i mondiali di Imola 2020, supportati dalla FCi e da Cassani
Marco Pavarini e Marco Selleri riuscirono a organizzare i mondiali di Imola 2020, supportati dalla FCi e da Cassani

Assoluta trasparenza

Il primo. Quando si lavora per la Federazione Ciclistica Italiana si dovrebbe avere a cuore l’assoluta trasparenza. Ricordate questo termine? Lo leggerete spesso. Non devono esserci dubbi, non deve esserci ombra alcuna sull’etica di chi la amministra.

Nei giorni scorsi abbiamo avuto occasione di parlare con i manager di alcune squadre continental, sfiniti dall’aumento del costo dei punteggi degli atleti e del contributo da versare ai comitati regionali. Con quale faccia si va a imporre loro di stare alle regole, se per primi si cercano scorciatoie senza provare la benché minima necessità di chiarire cosa è successo? I giorni passati dalla prima denuncia sono stati lunghi come la più lenta delle agonie, ma nulla è emerso e nulla è stato chiarito. Si dovrà farlo davvero davanti a un giudice? Aspettiamo fiduciosi.

Con Cassani, per anni Suzuki è stato partner della Federazione e della maglia azzurra
Con Cassani, per anni Suzuki è stato partner della Federazione e della maglia azzurra

Gli sponsor di Cassani

Il secondo. Quando Cassani venne nominato alla guida della nazionale, si prodigò per non costare nulla o comunque il meno possibile alla Federazione. Portò gli sponsor di cui si è parlato, a cominciare da Enervit. Trovò gli alberghi dove far svolgere i ritiri. Propiziò il cambio del parco ammiraglie e poi bisognerebbe chiedere a lui cos’altro fece senza per questo arricchirsi. Non è un mistero che in quel periodo la FCI non avesse un ufficio marketing all’altezza, tuttavia le conoscenze di Cassani colmarono il gap. L’attività venne finanziata e alla fine in cassa rimase anche qualcosa.

L’arrivo del pullman è stato uno dei primi passi nella nuva gestione delle nazionali
L’arrivo del pullman è stato uno dei primi passi nella nuva gestione delle nazionali

Nazionali e WorldTour

Quando venne eletto, il presidente Dagnoni annunciò di voler cambiare passo, puntando su marketing e comunicazione e allineando la gestione della nazionale a quella di un team WorldTour. Per questo è stato ingaggiato Roberto Amadio, per questo i tecnici federali sono diventati come direttori sportivi, che proprio in questo momento stanno lavorando, come fanno da mesi, probabilmente chiedendosi cosa ci sia di vero in tutte queste storie. Il dubbio legittimo a questo punto, nell’attesa che tutto il castello venga spiegato, è che della gestione di un team si siano prese anche le cattive abitudini di un tempo. Quelle usanze tutt’altro che trasparenti con cui i manager facevano cassa e che negli anni sono state più o meno abbandonate.

Qual è il senso di quei 106 mila euro? Qual è il senso delle spiegazioni rincorse nei giorni successivi? Dov’è la trasparenza nella gestione?

Così oggi sulla Gazzetta dello Sport il ciclismo cede il passo allo scandalo
Così oggi sulla Gazzetta dello Sport il ciclismo cede il passo allo scandalo

Una pagina tutta rosa

Non si può pretendere di piacere a tutti. Solo che a suo tempo colpì la denuncia ai danni di Marco Selleri, organizzatore del Giro d’Italia U23, accusato di aver parlato male della Federazione in un’intervista in cui sostanzialmente non diceva niente. Colpirono anche alcuni passaggi improntati alla ripicca con cui furono accolti articoli come questo, scritti per capire e semmai far luce. Colpirono i modi da squadra di calcio per cui le voci sgradite sarebbero state messe ai margini. Lo stesso poi accaduto, stando al suo racconto, a Norma Gimondi.

Vivendo da sempre in Italia, siamo curiosi di vedere come finirà la storia. Davvero il Coni metterà mano alla vicenda? Lo faranno le procure? Oppure saranno le azioni legali intentate dalla FCi ad avere ragione? Non lo sappiamo. La sola certezza, in questo momento di ciclismo che conduce ai mondiali e in piena Vuelta, è che sulla Gazzetta dello Sport di oggi il ciclismo si è guadagnato una pagina intera. Lo stesso su altri giornali altrettanto importanti. Ma non si parla di corse, si parla di scandali. Presto si andrà ai mondiali e ci saranno prima le convocazioni: per allora sarà tutto spiegato? Oppure le domande verteranno su questa vicenda? Come già detto ieri, il nostro sport e la gente che quotidianamente lo onora con il suo lavoro non lo meritano affatto

Suzuki Bike Day: una giornata in sella tra Formula 1 e ciclismo

11.07.2022
5 min
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Non attaccare il numero sulla schiena a volte può fare bene. Vivere il territorio, il paesaggio, stare insieme ad altri ciclisti in sella alla propria bici può essere un’attività rigenerante per corpo e mente. Se si aggiunge un contesto unico al mondo come l’autodromo Enzo e Dino Ferrari e il percorso dei mondiali su strada del 2020 il gioco è fatto. E’ questa la ricetta perfetta che ha attirato circa 2000 persone al 2° Suzuki Bike Day

A dare linfa vitale a questo evento c’erano i due fautori senza i quali questa idea non avrebbe preso vita. Davide Cassani Presidente dell’ATP Emilia-Romagna e Massimo Nalli Presidente di Suzuki Italia. Due persone che hanno voluto portare il piacere di andare in bici su strade chiuse al traffico, in totale sicurezza, con partenza e arrivo in un area affascinante e chiusa come il circuito di Imola. Alla partenza erano presenti tanti ospiti speciali e autorità, tra cui Gian Carlo Minardi, Carolina Kostner, alcuni azzurri delle nazionali di short track e di rugby, e altri atleti e ospiti speciali. Noi c’eravamo ed ecco la nostra esperienza…

L’intervista doppia con Davide Cassani Presidente ATP Emilia-Romagna e Massimo Nalli Presidente di Suzuki Italia

Territorio amico

La bici è il mezzo ecologico che ogni persona possiede. Imparare a viverlo per scoprire il territorio è una chiave di lettura molto importante per il futuro dell’ambiente. Davide Cassani e Suzuki Italia hanno deciso di renderlo fruibile e dare la possibilità ad appassionati e neofiti di solcare i 28,5 chilometri di Imola in totale sicurezza. Su queste strade nel 2020 e nel 1968 i mondiali hanno portato l’élite del ciclismo mondiale a sfidarsi per conquistare la maglia iridata. 

Le strade sono sempre quelle ma nel frattempo il mondo è cambiato. Percorrendo le strade chiuse al traffico dopo un primo momento di esaltazione generale per la partenza, il sorriso è stata la parola d’ordine che ci ha accompagnato per tutto il giro. Occupare la strada senza clacson e smog, mentre riaffioravano alla mente le immagini degli atleti che due anni fa su queste strade hanno scritto pagine di storia.

«Ecco qui è dove c’erano tutti i tifosi di Van Avermaet». E ancora «Ecco il Mazzolano, non pensavo fosse così duro». Infine «Qui è scattato Alaphilippe».

Tante voci in mezzo al gruppo di appassionati che fanno venire la pelle d’oca se si condividono i ricordi di quel giorno di due anni fa. 

Pedalare in sicurezza

Duemila persone, spalmate su 28,5 chilometri con una partenza alla francese. La percezione grazie al contesto del circuito è stata quella di una manifestazione organizzata in maniera perfetta e funzionale sotto ogni punto di vista. Un ulteriore aspetto che ci ha fatto apprezzare ogni metro della cicloturistica è stata la sicurezza. Poter guardare solo avanti e perdere lo sguardo nelle bellezze della Romagna è stato un elemento che ha reso questo Suzuki Bike Day un’esperienza unica e ripetibile. 

Manifestazioni come queste sono un esempio di come la bici sia fatta per stare in strada. La convivenza con le auto è qualcosa che può spaventare il ciclista. Suzuki Italia ha voluto dare un’altra chiave di lettura a questo rapporto a volte ostico.

«Siamo costruttori di auto e di moto – dice Massimo Nalli – ma questo non ci impedisce di essere anche ciclisti, siamo le stesse persone. A volte siamo in auto a volte in bicicletta, per questo siamo qui a promuovere il rispetto reciproco».

Il circuito di Imola è stato invaso dai circa 2.000 partecipanti
Il circuito di Imola è stato invaso dai circa 2.000 partecipanti

Autodromo e bici

Le immagini di Julian Alaphilippe e di Anna van der Breggen a braccia alzate sul rettilineo dell’autromo Enzo e Dino Ferrari fanno parte della storia del ciclismo su strada. In quel 2020 quello spiraglio di normalità si è fissato nei ricordi degli appassionati e ha impresso nelle menti il circuito di Imola non solo per le Formula 1, ma anche come teatro per le due ruote a pedali. Partire e arrivare qui è stata una scelta che ha valorizzato e attirato ancora più persone. Cassani e Suzuki Italia infatti rappresentano i rispettivi mondi, bici e auto/moto. L’autodromo è un contesto perfetto che sempre più si sta avvicinando al panorama bike. 

La manifestazione era aperta a tutti i tipi di bici. Muscolari, ebike, gravel, Mtb, tandem ecc…Neofiti e appassionati hanno pedalato fianco a fianco ritrovandosi prima e dopo la gara nei box adibiti ad hospitality per accogliere tutti con ristori e gadget.

«Senza numero sulla schiena – spiega Cassani – alla scoperta del territorio, siamo andati a Riolo Terme, sulla salita della Gallisterna. Insieme a gente che non voleva gareggiare bensì stare insieme, arrivando qui nella casa della Formula 1 che oggi ci ha accolto a braccia aperte ancora una volta».

Tonina Pantani era presente alla partenza a rappresentare la Fondazione Marco Pantani Onlus
Tonina Pantani era presente alla partenza a rappresentare la Fondazione Marco Pantani Onlus

Per Marco

Bici e beneficenza. Il Suzuki Bike Day, oltre ai suoi intenti rivolti alla socialità e all’ecologia, non si è tirato indietro sul fronte della beneficenza. La giornata era aperta a tutti con un solo vincolo, una donazione minima di cinque euro alla Fondazione Marco Pantani Onlus. Alla partenza era presente Tonina Pantani in rappresentanza dell’associazione. L’intero incasso infatti è stato devoluto alla Fondazione che si occupa del sostegno di persone con problemi mentali, motori od economici, ma soprattutto di aiutare i bambini. 

EDITORIALE / La tappa della discordia e il ciclismo che cambia

27.06.2022
6 min
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Ha ragione Marco Selleri. La terza tappa del Giro d’Italia U23, da Pinzolo a Santa Caterina Valfurva, ha scatenato un processo degno di uno studio televisivo. Distanza di 177 chilometri, dislivello di 5.000 metri con Tonale, Aprica e Mortirolo. Ha vinto Leo Hayter in 5 ore 10’49” alla media di 34,186 (in apertura, foto ExtraGiro-Isolapress), come era previsto della tabella di marcia che indicava un range fra 33 e 37 orari.

E’ chiaro che, a fronte del tempo di Hayter, vada annotato anche quello dell’ultimo: Christian Danilo Pase della Work Service, all’arrivo in 6 ore 14’57” (distacco di un’ora 04’08”). Dato che tutti hanno dovuto sobbarcarsi anche un trasferimento di 50 minuti, è chiaro che le ore di sella siano state oggettivamente tante.

La tappa di Santa Caterina Valfurva ha evidenziato enormi differenze in gruppo (foto ExtraGiro – Isolapress)
La tappa di Santa Caterina Valfurva ha evidenziato enormi differenze in gruppo (foto ExtraGiro – Isolapress)

Italiani cercasi

Dei corridori italiani si sono perse le tracce. Per trovare i primi tre bisogna andare alla 14ª posizione con Piganzoli (Eolo) a 9’27” poi alla 19ª, dove si incontrano Meris (Colpack), Raccani (Zalf) e Germani (Fdj) che però in precedenza aveva tirato per i compagni Gregoire e Martinez all’attacco. Il loro distacco è stato di 13’45”.

E qui è scattata la discussione. Sul posto, per chi c’era. Sui social, per gli altri. Non è semplice interpretare la disfatta, perché di base hanno ragione tutti. Ciascuno ha il suo punto di vista, anche se non tutti i punti di vista sono condivisibili. E qui si innesca il corto circuito.

La coppia francese in fuga dalla partenza: hanno osato troppo ma dato spettacolo (foto ExtraGiro – Isolapress)
La coppia francese in fuga dalla partenza: hanno osato troppo ma dato spettacolo (foto ExtraGiro – Isolapress)

Dibattito acceso

Davide Cassani osserva che le squadre italiane non vanno a confrontarsi all’estero, come le altre. Ma invece di fare autocritica, preferiscono puntare il dito sull’organizzatore che ha proposto una tappa troppo dura. 

Pino Toni, preparatore della Bardiani U23, sostiene che non si possa proporre una corsa così dura a un parterre come quello italiano, abituato ad altre difficoltà. E che se anche la tappa avesse avuto 3.500 metri di dislivello, il risultato finale non sarebbe cambiato. 

Il Giro d’Italia U23 non è una gara italiana, come l’Avenir non è una corsa francese. Sono prove internazionali di altissimo prestigio: le vincono i più forti e non strizzano gli occhi a nessuno. Il tempo in cui per avvantaggiare i corridori di casa si modificavano i percorsi è finito da un pezzo: aspettarsi che accada è un altro sintomo del problema.

E’ probabilmente un errore invece portare ragazzi di primo anno a corse così dure. Se rischia di esserlo per Gregoire e Martinez (abituati a un’attività superiore sin da juniores, che da tempo corrono senza la limitazione dei rapporti e che comunque si sono inchinati alla solidità dei rivali), figurarsi per gli italiani.

La direzione di corsa, a sinistra Fabio Vegni, sapeva di andare incontro a un giorno duro (foto ExtraGiro – Isolapress)
La direzione di corsa, a sinistra Fabio Vegni, sapeva di andare incontro a un giorno duro (foto ExtraGiro – Isolapress)

Declino invisibile

L’Italia è la culla del ciclismo, così come lo è dell’arte e della cultura. Poi vai all’estero e ti accorgi che hanno la metà del nostro patrimonio, ma lo valorizzano meglio. Siamo talmente pieni delle nostre certezze, da non accorgerci del declino.

Nel 2004 eravamo così convinti che il WorldTour non sarebbe mai nato, che ci misero dentro per il rotto della cuffia. Poi iniziammo a lamentarci perché ai mondiali U23 vincevano ragazzi abituati al professionismo e siamo ancora lì a parlarne. E adesso che la svolta continental ha impresso un cambio di marcia, come accade in tutti gli sport di elite in cui si accede al professionismo nella tarda adolescenza (non a caso l’UCI ha abolito la limitazione dei rapporti fra gli juniores), il tema è una tappa troppo dura. 

E’ giusto? E’ sbagliato? Questi ragazzi dureranno meno? Le domande sono tutte legittime, ma non essendoci risposte facilmente raggiungibilli, non è facendo finta di niente che si possa gestire la situazione.

Felix Engelhardt della continental KTM, 6° finale e 10° a Santa Caterina a 6’57” (foto ExtraGiro – Isolapress)
Felix Engelhardt della continental KTM, 6° finale e 10° a Santa Caterina a 6’57” (foto ExtraGiro – Isolapress)

Il mondo del lavoro

Le squadre di dilettanti, in cui i ragazzi vengono seguiti come figli, avrebbero ancora senso se ci fossero dei grandi team italiani per dare continuità al lavoro. La continental deve preparare al mondo del lavoro ed essere agganciata a una WorldTour: se non accade, c’è un problema.

L’Italia del ciclismo è come una vecchia casa gloriosa, con i muri pieni di affreschi che raccontano storie bellissime. E’ la Reggia di Caserta, più imponente di Versailles ma tenuta peggio, che nessuno si sognerebbe di modificare per ospitarvi uffici che abbiano bisogno di tecnologia e modernità. Invece siamo lì a pensarci. Aggiungiamo piani. Ampliamo stanze. Sfondiamo pareti. Cambiamo destinazioni d’uso, senza renderci conto da un lato di essere bloccati per mille vincoli e dall’altro di comprometterne la solidità.

La fortuna di altri Paesi, che non hanno mai avuto tanta ricchezza, è aver costruito tutto dal nuovo. Senza vincoli, mettendo dentro solo quello che effettivamente serve.

Dopo le fatiche del Giro e un 2022 correndo in tutta Europa, Germani ha raccolto i frutti al campionato italiano (foto Benati)
Dopo le fatiche del Giro e un 2022 correndo in tutta Europa, Germani ha raccolto i frutti al campionato italiano (foto Benati)

L’esempio di Germani

Tredici continental sono troppe, soprattutto perché non fanno un’attività all’altezza. Un invito alla Coppi e Bartali e alla Adriatica Ionica Race, quando va bene al Giro di Sicilia e poi? E poi le solite corse. Quanti ragazzi delle continental a fine anno saranno andati all’estero contro i pari età stranieri? Si contano sulle dita di mezza mano. Poi arriva il Giro e speriamo di brillare? Non è realistico.

Lorenzo Germani, fresco campione italiano U23, quest’anno ha corso in Francia, Belgio, Repubblica Ceca e in Italia. Ha preso schiaffi, ma al momento giusto ne ha dati.

Si può fare attività U23 senza essere continental? Si può fare. Per scovare e lanciare i talenti migliori, anche se alla fine ne godranno altri. Senza contare le vittorie e senza promettere la luna agli sponsor, sacrificando ad essa il futuro dei ragazzi. Servirebbe un tavolo di lavoro condiviso, con la Federazione a tirare le file, per incastrare al meglio le esigenze di tutti, sgombrando il campo dalle pretese meno realistiche.

Il nostro giardino

La nostra ricchezza non merita di essere svilita dall’assenza di visione. Però bisogna che tutti facciano la loro parte. Occorre una più ampia partecipazione alla vita federale e a quella internazionale, quando vengono prese le decisioni più importanti, altrimenti è inutile lamentarsi. Invece si guarda spesso al proprio giardino senza sapere cosa ci sia fuori. Come nella vita di tutti i giorni, in cui a decidere sono quelli che nella politica hanno trovato un mestiere. Gli altri si lamentano, ma non vanno neanche a votare. E se qualcosa non va, la colpa è degli altri.