Il suo nome di battesimo è quello del filosofo Kant e come sia la sua idea di correre ce lo ha mostrato in questo scorcio di 2023. Immanuel D’Aniello ha aperto la stagione con un importante successo al Gran Premio La Torre che lo rilancia nel suo percorso di crescita, scacciando anche qualche brutto pensiero sopraggiunto dodici mesi fa.
A febbraio dell’anno scorso il 21enne di Sant’Antonio Abate doveva stare attento ad ogni spiffero d’aria per una conseguenza del covid. Invece poche settimane fa ha vinto la gara toscana nel pieno di una mezza bufera invernale che ha accompagnato i corridori per tutto il tempo. Al momento la rinascita di D’Aniello (in apertura foto Pagni) sta avvenendo anche per merito della Trevigiani Energiapura Marchiol in cui è arrivato quest’anno dalla Palazzago. Lui però, che vive con la valigia sotto braccio fin da quando era junior, non si dimentica di tornare a casa dove vuole dare una mano anche all’azienda di famiglia.


Immanuel cosa ha rappresentato la vittoria di Fucecchio?
E’ stata una grande emozione, una soddisfazione doppia. Ho pensato subito ai problemi di salute che ho avuto. In un anno sono passato dal non potere uscire di casa al vincere con un freddo incredibile, quasi con la neve. In inverno avevo lavorato tanto perché volevo partire forte e per il momento ce la sto facendo. Per questo devo ringraziare il mio preparatore Pino Toni che mi segue dallo scorso dicembre. Questo successo è un punto di partenza che mi dà morale. Mai avrei pensato di esultare sul podio come fa il mio idolo Kvaratskhelia (sorride, lui che è tifoso del Napoli, ndr). La vittoria l’ho dedicata alla mia famiglia e alla squadra. Sono loro che, per motivi diversi, mi hanno aiutato.
Cosa ti era capitato l’anno scorso?
E’ stata una stagione totalmente differente da quella prima. Nel 2021 avevo fatto esperienza, disputando il Giro U23. Ad inizio 2022 però ho preso il covid. Non ho corso per tanti mesi. Ho fatto addirittura 40 giorni completamente fermo per un principio di broncopolmonite. Ho passato un momento veramente difficile. Come accennavo prima, solo poche persone, in primis i miei genitori, sono state al mio fianco. Speravo di avere più supporto psicologico da parte di alcuni amici e da parte della mia vecchia società. Ora va meglio e non ci penso più.




In quel periodo che pensieri avevi?
Non ho avuto paura di smettere di correre in bici, ma ho pensato più di una volta di non poter tornare più quello di prima. Anche a livello cardiaco facevo fatica. Per fortuna che il mio medico di famiglia mi ha seguito durante quelle settimane e mi ha permesso di rimettermi in sesto. Già al Giro del Veneto (tra fine giugno ed inizio luglio, ndr) ho chiuso in undicesima posizione e terzo nella classifica dei giovani, anche se non ero al 100 per cento. Lì ho iniziato a vedere la luce in fondo al tunnel.
Come gestisci ora invece gli spostamenti tra Veneto e casa?
Sono un pochino più distante rispetto al passato, ma ormai ci sono abituato. L’anno scorso viaggiavo da Palazzago. Già da esordiente e allievo correvo sempre fuori regione. Poi da junior sono passato alla LVF a San Paolo d’Argon, in provincia di Bergamo, anche se avevo deciso di finire il liceo scientifico a Sant’Antonio Abate. Adesso viaggio in aereo o in treno e non mi pesa. Basta trovare l’ambiente giusto. Quando devo fare un periodo di stacco, cerco di tornare a casa per aiutare mio padre Paolo con la sua attività. Lui è titolare di un maglificio sportivo (Daniello Sports Wear, ndr), specializzato in abbigliamento ciclistico, ed io sono uno dei soci. Gli testo i materiali, gli do i miei feedback e gli seguo la pubblicità sulle pagine social.


Con la Trevigiani come ti stai trovando?
Molto bene. Da circa tre settimane abito a Montebelluna assieme ad altri due compagni e mi trovo davvero a mio agio. Sto imparando a conoscere le zone delle grandi gare internazionali. Mi alleno spesso con i compagni sul Combai, cercando di memorizzare tutte le strade. Quando avevo saputo che la Trevigiani mi aveva cercato, il mio procuratore (Massimiliano Mori, ndr) ed io ne abbiamo parlato subito. Ed ho capito immediatamente che avevo fatto la scelta giusta non appena ho conosciuto tutto lo staff. Luciano Marton, Franco Lampugnani, Mirco Lorenzetto, Francesco Benedet ed anche il presidente Ettore Renato Barzi sono stati tutti disponibili per facilitare il mio inserimento. Considerando anche la storia della squadra, penso che meritiamo l’invito al prossimo Giro U23. Spero possa essere così. Noi intanto, per guadagnarci l’attenzione degli organizzatori, dovremo continuare a vincere e fare risultati.
Gli obiettivi sono quelle gare internazionali di cui parlavi prima o ce ne sono altri?
Correre corse come il Piva, Belvedere o San Vendemiano è un grande stimolo. Così come il Recioto anche se siamo in provincia di Verona o tante altre di quel livello. Vorrei fare bene in tante di queste ma voglio anche mettermi al servizio dei miei compagni in gare che magari sono meno adatte alle mie caratteristiche. Dipenderà dalle situazioni che si creeranno ma l’idea sarebbe quella di restare tra gli U23 anche nel 2024. Questa è una categoria formativa dal punto di vista psicologico e tattico. Continuerei il mio processo di crescita.


E la filosofia di corsa di Immanuel D’Aniello qual è?
Non sono un attendista, mi piace andare spesso all’attacco. Infatti mi piacciono i corridori dell’ultima generazione che sanno dare spettacolo anche da lontano. Mi attengo alle indicazioni che mi danno i miei diesse, però per me il corridore deve saper interpretare e leggere la corsa. Anzi, a volte bisogna proprio inventare. Sono un passista-scalatore che non disdegna il colpo da finisseur. A Fucecchio ho vinto partendo in contropiede sulla salita finale dopo che avevamo ripreso il mio compagno Zurlo in fuga. In quel momento ho seguito l’istinto. A volte per vincere una gara devi rischiare di perderla.