Petacchi “contro” Nizzolo: «La Sanremo resta per gente veloce»

18.03.2022
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Ripartiamo da una frase di Giacomo Nizzolo che ci ha detto qualche giorno fa: «La Sanremo non è più una corsa per velocisti». Secondo lo sprinter milanese c’è sempre più spazio, se non proprio per gli scalatori, per gli attaccanti più forti che tengono in salita. Gente che riesce a fare la differenza proprio quando la strada sale. Questo argomento lo abbiamo esposto al giudizio di Alessandro Petacchi.

AleJet una Milano-Sanremo l’ha vinta (nel 2005) e l’ha vinta in volata. Lo spezzino non è super d’accordo con Nizzolo. Nonostante la Classicissima coi suoi circa 300 chilometri veda un dislivello prossimo ai 2.100 metri, non servono trasformazioni da velocista. Lo sprinter non deve lavorare per la salita, semmai deve farlo per essere efficiente alla distanza.

Alessandro Petacchi (classe 1974) oggi fa parte della squadra Rai
Alessandro Petacchi (classe 1974) oggi fa parte della squadra Rai

Resta per sprinter

«Se non cambia percorso – spiega Petacchi – bene o male la Sanremo resta una corsa veloce o comunque vinta da gente veloce. Poi ogni tanto, due volte su dieci, succede che la vince anche qualcun altro e per qualcun altro intendo un corridore che arriva da solo, penso a Nibali, o in due o tre, penso all’arrivo tra Sagan, Kwiatkowski e Alaphilippe. Fanno la differenza sul Poggio. Stuyven lo scorso anno ha fatto la differenza sull’Aurelia, resta uno di quei corridori veloci che ha anticipato di un soffio il gruppo. Quella di Nibali è stata una particolarità: per le sue caratteristiche e perché ha fatto una differenza netta. Poi, può finire in tanti modi».

«Molto dipende anche dal vento. Se è contro favorisce i velocisti, che possono restare coperti e sfavorisce eventuali attaccanti. Dipende da quali e quanti velocisti arrivano in fondo al Poggio e come stanno. E anche se la loro squadra è presente ed è riuscita ad organizzarsi».

Nel 2017 il mitico arrivo a tre con Sagan, Kwiatkowski e Alaphilippe
Nel 2017 il mitico arrivo a tre con Sagan, Kwiatkowski e Alaphilippe

Capitolo Pogacar

Magari, facciamo notare a Petacchi, Nizzolo ha pensato ad una corsa per scalatori aspettandosi il quasi scontato attacco di Pogacar. La supremazia dello sloveno, può portare indirettamente a fare ragionamenti diversi.

«Se Pogacar vuol vincere – riprende Petacchi – dovrà fare la corsa dura. Quindi un ritmo alto soprattutto sulla Cipressa. Staccare i velocisti e metterli in croce fra Cipressa e Poggio per rientrare, visto che c’è un bel tratto. Ma certo dovrà usare anche lui i suoi uomini per farlo. A quel punto, Tadej stesso potrà scattare all’inizio del Poggio. Dovrà vedere anche chi saranno i suoi avversari e come saranno messe le loro squadre. Se gli avversari sono stanchi, lui può fare la differenza».

«Veder scattare Pogacar sul Poggio è quasi la normalità (anche se tutto ciò non si è mai verificato, ndr), ma se attacca e non fa la differenza? Se un Van Aert lo segue? Se in fondo un Ewan, che è piccolo e in salita fa meno fatica degli altri, lo rintuzza? Poi non è facile neanche per lui vincere in volata. La Sanremo si conferma una corsa molto aperta».

Nel 2004, AleJet fu quarto dietro Zabel, Freire e O’Grady. Volata per gente fresca e non per sprinter puri
Nel 2004, AleJet fu quarto dietro Zabel, Freire e O’Grady. Volata per gente fresca e non per sprinter puri

Volata per gente fresca

Petacchi più che su scalatori e velocisti, punta il dito sul fatto che bisogna arrivare in Via Roma con l’energia nelle gambe. E’ quello che fa la differenza: chi ci arriva più fresco.

«L’anno prima che vincessi – continua Alessandro – persi la volata perché ci arrivai stanco, molto stanco. E perché? Perché ero “sovrappeso”, non ero tirato. Questo mi fece spendere quel tantino di troppo in salita, che mi tolse energia in volata.

«L’anno dopo mi presentai al via della Sanremo più tirato. Non avevo fatto chissà quali diete, in realtà non ne ho mai fatte, semplicemente non mangiai formaggi o cioccolate durante l’inverno. Arrivai a 72,8-73 chili anziché ai mei 74,5-75. A me tutto sommato non cambiava nulla in un grande Giro se scollinavo con un ulteriore minuto di ritardo, però non mi assillavo col peso».

«Per la Sanremo dunque non feci allenamenti specifici per la salita. Nè cambiai altro. Solo che iniziando a dimagrire presto, con calma, non persi potenza e questo aumentò il mio rapporto potenza/peso che mi fece risparmiare nell’economia della corsa.

«Anche perché la volata della Sanremo non è una volata da 70 all’ora, esplosiva… è una volata di gambe, di benzina nei muscoli. Se anche avessi perso qualcosina in volata, era molto di più quello che avevo risparmiato nell’arco della gara. La volata della Sanremo è a sé. Arriva dopo 300 chilometri. Zabel perché le vinceva? Perché dopo 180 chilometri, dopo 220 o dopo 300 lui faceva sempre lo stesso sprint con gli stessi valori. Ci arrivava meno stanco.

«Che poi, ripensando a Nizzolo, lui è uno di quelli che in salita tiene meglio».

Gilbert è arrivato due volte terzo. Eccolo scattare sul Poggio nel 2015. Scollinò davanti ma cadde e chiuse al 55°
Gilbert è arrivato due volte terzo. Eccolo scattare sul Poggio nel 2015. Scollinò davanti ma cadde e chiuse al 55°

Spazio ai velocisti

Quindi Petacchi non è dovuto diventare “scalatore” per vincere la Sanremo. Nessun lavoro specifico per la strada che sale, ma solo un approccio diverso. 

«Gli “scalatori” della Sanremo sono i Gilbert, i Ballan, i Pozzato e quando loro scattavano sapevi che in qualche modo dovevi seguirli. Il massimo era lasciargli non più di 5”-8” e chiudere con la squadra.

«Per esempio, l’anno dopo che l’ho vinta, forse in salita andavo ancora più forte. Troppo forte. Tanto che seguii Gilbert sul Poggio. Ci ripresero a Sanremo e in volata feci terzo. Avevo pagato quel fuorigiri».

«Fu un errore seguirlo – conclude Petacchi – Avete mai visto un Freire o uno Zabel muoversi sul Poggio? E Freire soprattutto avrebbe potuto farlo».

Petacchi: «Cavendish ha accettato il compromesso»

10.12.2021
4 min
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Contratto rinnovato per un’altra stagione e la certezza che non correrà il Tour de France. Così Mark Cavendish si accinge a vivere quella che probabilmente sarà l’ultima stagione da professionista, con il brutto fuori programma della rapina subita nella casa dell’Essex che ha fruttato ai rapinatori un paio di orologi di immenso valore e portato nella famiglia britannica il seme della paura. Lasciando che la giustizia faccia il suo corso e che il tempo lenisca le ferite, ci siamo ritrovati con Alessandro Petacchi a ragionare del rinnovo di contratto firmato da Mark con la Quick Step-Alpha Vinyl: questo il nuovo nome della squadra di Lefevere.

Con lo spezzino si ragionò quando Cavendish firmò per la Deceuninck-Quick Step e lo vedemmo passare dalla perplessità iniziale alla certezza che, andando al Tour a causa dell’indisponibilità di Sam Bennett, Mark avrebbe fatto grandi cose.

Al Tour de France 2021, Mark Cavendish ha raggiunto Eddy Merckx a quota 34 tappe vinte
Al Tour 2021, Cavendish ha raggiunto Merckx a quota 34 tappe vinte

«Sapevamo più o meno tutti – dice lo spezzino – che per Lefevere il futuro è Jakobsen. Non so quanto gli costi, ma certo è nel suo interesse farlo crescere. Se non avesse avuto quel brutto infortunio, sarebbe già diventato il velocista più forte al mondo. Ha perso tempo, è tornato alla Vuelta e ha vinto. Andrà sempre più forte e tornerà al 100 per cento».

E Cavendish?

Rientrava da anni bui. Al Tour 2021 è andato perché ci sono stati quei problemi con Bennett, altrimenti non avrebbe dovuto farlo. I compagni hanno avuto il grande merito di stargli accanto e forse non c’erano avversari irresistibili, però è sempre Cavendish e va rispettato. Ha dimostrato di aver ritrovato un livello altissimo e sa che se resta lì, continuerà ad andare forte, mentre è lunghissimo l’elenco di quelli andati via da lì e che poi non hanno più vinto. Credo che in nome di questo, Mark abbia accettato il compromesso.

Vince e si commuove allo Sparkassen Munsterland Giro, nel giorno del ritiro di Greipel
Vince e si commuove allo Sparkassen Munsterland Giro, nel giorno del ritiro di Greipel
Pensi che Mark potrebbe convertirsi in gregario di Jakobsen come facesti tu per lui?

Non ha l’indole per tirare. Non puoi portare Mark Cavendish al Tour per tirare. Non ha la mentalità e neanche le caratteristiche per farlo. Per quel ruolo c’è Morkov, semmai cercherei di rafforzare il treno. La squadra del Tour è quasi fatta, con Jakobsen e Morkov, Alaphilippe e Asgreen e poi altra gente che dovrà lavorare.

Lo rivedremo al Giro?

E’ una possibilità. La sua motivazione per il Tour potrebbe essere battere il record di Merckx, ma credo che sia stato già tanto riuscire a eguagliarlo, considerato dov’era finito. Lo avevo visto aggressivo al Turchia, era super motivato e si fece trovare pronto. Magari sarà pronto anche la prossima estate, non si può mai dire.

Al Tour of Britain con Xander Graham, tifoso di 12 anni, che corse accanto al gruppo guadagnandosi una borraccia
Al Tour of Britain con Xander Graham, tifoso di 12 anni, che corse accanto al gruppo
Lasciare fuori uno che ha vinto 34 tappe al Tour, di cui 4 nel 2021, per puntare su un giovane che il Tour non l’ha mai fatto…

Lefevere per queste cose è molto bravo, non usa il cuore ma la testa. E forse battere il record di Merckx, per la squadra potrebbe non aggiungere niente. Ma lasciarlo a casa per portare Jakobsen potrebbe essere visto come un rischio e possiamo essere certi che il Mark del Tour è un’altra persona. Lo ricordo dal 2014. Lo avevo visto dieci giorni prima e quando lo ritrovai alla partenza da Leeds, mi chiesi se fosse lo stesso corridore. Cadde e andò a casa dopo la prima tappa, ma il Cavendish del Tour è davvero un’altra cosa. Non avrebbe vinto quattro tappe l’ultima volta, se così non fosse…

Tosatto, raccontaci qualcosa dei tuoi 34 Giri…

26.11.2021
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Le dichiarazioni di Alejandro Valverde, intenzionato nel 2022 a correre Giro d’Italia e Vuelta d’Espana, hanno fatto il giro del mondo. Tutti a sottolineare che, nel caso, raggiungerebbe la cifra record di 32 grandi Giri affrontati, ma non sarebbe un vero primato. Il corridore che ha disputato più corse di tre settimane è infatti veneto, Matteo Tosatto, che ha messo a frutto le sue esperienze maturate in vent’anni di militanza nel gruppo diventando una colonna portante della Ineos Grenadiers.

Tosatto non è persona che si vanti in giro, eppure questo rappresenta pur sempre un record: se ci si pensa bene, significa aver affrontato oltre 600 giorni in sella solo per affrontare Giro, Tour o Vuelta, quasi due anni senza soste: «Il bello – afferma tradendo un sorriso – è che un anno, il 1998, non disputai neanche un grande Giro, quindi le 34 prove sono ancora più concentrate…».

Tosatto 1997
Con la Mg, Tosatto fa il suo esordio nel 1997 e affronta subito il Tour portandolo a termine
Tosatto 1997
Con la Mg, Tosatto fa il suo esordio nel 1997 e affronta subito il Tour portandolo a termine
Come mai hai disputato un simile numero di grandi corse a tappe?

Una delle mie principali caratteristiche era il fondo: sono sempre andato meglio nella terza settimana che nella prima e questo ai dirigenti era un particolare che faceva molto comodo, quando si doveva lavorare per i capitani. Io andavo sempre più forte, cercavo di risparmiare qualcosa all’inizio per essere brillante quando serviva davvero.

Facciamo un po’ di conti: 13 Giri d’Italia di cui 11 portati a termine, ben 12 Tour tutti conclusi, 9 Vuelta delle quali ne hai terminate 5…

Sì, ma ognuno dei 4 ritiri è avvenuto nell’ultima settimana per precisi accordi con la squadra. Io ero sempre in predicato di correre ai mondiali e quindi chiedevo di saltare le ultime 3-4 tappe per poter staccare prima di partire per la trasferta iridata. La Vuelta finiva alla domenica e quella successiva c’è sempre stato il mondiale, se potevo risparmiare qualche energia era meglio, la maglia azzurra ha sempre avuto un valore speciale per me.

Tosatto Montebelluna 2001
Giro 2001: Tosatto vince a Montebelluna battendo Klemencic e Simoni
Tosatto Montebelluna 2001
Giro 2001: Tosatto vince a Montebelluna battendo Klemencic e Simoni
Al Giro d’Italia?

Nel 2000 mi ritirai prima della diciassettesima tappa perché avevo preso una brutta bronchite, invece nel 2003 finii fuori tempo massimo nella famosa frazione del Fauniera, con le strade piene di ghiaccio. Io ero rimasto a protezione di Petacchi, poi Alessandro mi disse di andare che con lui rimaneva Cioni, ma non potevamo rischiare in discesa. Quel giorno arrivai con un gruppo di una cinquantina di corridori, ma la giuria ci mandò tutti a casa…

Già portare a termine 12 Tour è una grande impresa: quale ti è rimasto più impresso?

Certamente il primo, nel 1997 perché era anche il primo grande Giro affrontato e concluderlo agli Champs Elyseés mi rese molto orgoglioso. Ero un neopro’, ricordo che feci tanta fatica, ma anche allora nell’ultima settimana, sulle Alpi, mi sentii meglio che sui Pirenei o sul Massiccio Centrale. Fui felice anche nel 2016, l’ultimo anno, quando riuscii a concludere sia il Giro che il Tour pur avendo ben 42 anni (nella foto di apertura è sul podio di Arezzo al Giro di quell’anno, nel giorno del suo 42° compleanno, ndr). Lavorai tanto per Sagan in Francia e le sue tre vittorie furono un po’ anche mie. La cosa che mi colpì è che in salita tenevo meglio che a inizio carriera…

Tosatto Tinkoff 2016
A fine carriera Tosatto è stato ancora capace di concludere sia il Giro che il Tour
Tosatto Tinkoff 2016
A fine carriera Tosatto stato è ancora capace di concludere sia il Giro che il Tour
In questi quasi due anni di tappe fra sole e pioggia, pianura e montagna hai avuto giornate di libertà, nelle quali era la squadra a lavorare per te?

E’ capitato, capita sempre nella carriera di un corridore. Nel ’99, alla Ballan, si correva per Simoni, ma il giorno della tappa che arrivava a Castelfranco Veneto, a casa mia, il team lavorò per la mia volata e fui battuto solo da Cipollini. Quell’anno andai bene, ebbi più piazzamenti nella top 10. Due anni dopo centrai il successo pieno a Montebelluna, in quell’edizione vestii anche la maglia rosa. Ma non posso dimenticare neanche la vittoria al Tour 2006 a Macon: la Quick Step era tutta per Boonen, ma quando il belga non si sentiva in giornata si correva in base alle sensazioni e quella fu la mia giornata.

Questo record quanta soddisfazione ti dà?

Molta, significa che della mia carriera qualcosa è rimasto. Io non mi pento di nulla, ho sempre lavorato e avuto anche le mie giornate. A proposito di soddisfazione, ricordo quando nel 2014, all’ultima Vuelta che vinse Contador, “El Pistolero” si avvicinò a me alla fine e mi disse che non aveva mai visto un corridore con la mia testa, così forte e tenace nel carattere. Per me fu un grande premio detto da lui.

Tosatto Petacchi
Davanti a Rijs, Tosatto con Petacchi, compagni e avversari, ma soprattutto amici e spesso in allenamento insieme
Tosatto Petacchi
Tosatto con Petacchi, compagni e avversari, ma soprattutto amici
Se magari decidesse di tirare avanti anche nel 2023, Valverde potrebbe eguagliarti…

Glielo auguro di cuore, ma so anche che c’è differenza: stiamo parlando di un campione che non solo li ha corsi, ma è stato protagonista. Ha vinto la Vuelta e poi è stato iridato e ha conquistato grandi classiche. Non si può fare un paragone perché abbiamo vissuto carriere diverse e a questo proposito voglio aggiungere una cosa.

Prego…

Lavorando nell’ambiente, la cosa che mi dispiace di più del ciclismo attuale è che mancano sempre più i gregari di una volta, intesi come uomini che si sacrificano. Mancano coloro che creano il gruppo e senza di esso non si va lontani. Correre 34 Giri? Dopo Valverde chissà se ci sarà ancora qualcuno che potrà farlo…

Giro: sul “piattone” della tappa 11 critiche giuste o sbagliate?

17.11.2021
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Su alcuni social è stata fortemente criticata la tappa numero 11 del prossimo Giro d’Italia, la Sant’Arcangelo di Romagna-Reggio Emilia: 201 chilometri piatti come un biliardo, quasi tutti lungo la Via Emilia (foto di apertura). «Sarà una noia mortale». «Basterà accendere la Tv solo negli ultimi cinque chilometri». E ancora: «Oggi è improponibile una tappa così». «Sembra una tappa d’inizio Tour di qualche anno fa».

Commenti negativi dunque, ma davvero è così brutta una frazione del genere? Anche se valutata nel contesto di una gara che si disputa nell’arco di tre settimane?

Ne parliamo con tre corridori che rispondono ad altrettante categorie: un velocista, Alessandro Petacchi, un attaccante da percorsi misti, Andrea Vendrame, e uno scalatore, Fabio Aru.

Parola al velocista

«Oggi organizzare un Giro non è semplice – dice Petacchi – Si parte e si arriva nelle località che richiedono l’ospitalità e che pagano. Le frazioni vengono disegnate in base a queste. Se Mauro Vegni avesse avuto a disposizione un budget maggiore probabilmente avrebbe disegnato un Giro migliore. Ma in questo caso se deve fare un collegamento tra queste due località… deve passare di lì (vanno considerate anche le località che ospitano i traguardi volanti, ndr). E se l’Italia è fatta così c’è poco da fare».

Ale Jet poi continua. E a dire il vero un po’ ci stupisce…

«Una tappa così è noiosa anche per i corridori e non solo per chi la guarda da casa. Non è come la pianura francese o quella spagnola dove spesso piove, c’è vento o sono vallonate. In quel caso non sarebbe noiosa per nessuno. Al Tour o alla Vuelta non esiste una tappa così. In Francia soprattutto anche quando è piatta fai 2.000 metri di dislivello, ma come ripeto il territorio italiano è così».

A questo punto facciamo notare a Petacchi che negli ultimi anni le frazioni per gli sprinter erano arrivate a 1.800-2.500 metri di dislivello e che gli stessi velocisti si dovevano “guadagnare” la volata. A loro dovrebbe andare bene una frazione così.

«Non è detto che una tappa piatta sia per forza per un velocista – conclude l’ex sprinter – Io non aspettavo le frazioni piatte per fare la volata. Non bisogna pensare che questa frazione sia stata fatta per i velocisti, ma semplicemente perché è capitata in pianura. Se avessero voluto le colline sarebbero passati dalla Toscana».

La tappa “icriminata”. Sant’Arcangelo di Romagna – Reggio Emilia: 201 chilometri e appena 480 metri di dislivello
La tappa “icriminata”. Sant’Arcangelo di Romagna – Reggio Emilia: 201 chilometri e appena 480 metri di dislivello

Parola all’attaccante

Andrea Vendrame è un vero attaccante e i percorsi vallonati sono il suo terreno. Da buon cacciatore di tappe, la prima cosa che è andato a guardare è stata la collocazione della Sant’Arcangelo di Romagna – Reggio Emilia. Se arriva cioè dopo frazioni intermedie, dopo un giorno di riposo o prima di una tappa di montagna.

«Duecento chilometri non sono pochi – spiega Vendrame – oggi anche 150 chilometri fanno la differenza e in tappe così lunghe e piatte già si sa che al 99,9% si arriverà in volata. Ho chiesto conferma su come fosse collocata perché se volevano creare un giorno di riposo attivo dovevano metterla prima di un tappone di montagna. L’anno scorso la tappa di Bagno di Romagna (che vinse proprio Vendrame, ndr) alla fine fece registrare 4.500 metri di dislivello e la tappa del giorno dopo, la Ravenna-Verona fu un giorno di transizione prima dello Zoncolan e di Cortina, anche per questo motivo.

«Dal mio punto di vista, essendo posizionata tra due tappe intermedie è un bene. Mi consente di recuperare un po’. Se ci fossero state due frazioni adatte a me attaccate mi sarei focalizzato di più su una. In questo modo invece posso recuperare un po’ e puntare ad entrambe. Si tratta di un recupero attivo, perché 200 chilometri non sono comunque una passeggiata, ma vedendola così sembra abbastanza soft».

Appurato il fatto che Vendrame in qualche modo può trarne vantaggio, il veneto parla poi dal punto di vista dei tifosi.

«Sarà poco spettacolare per il pubblico e “bella per noi corridori”, anche se fare 200 chilometri piatti ha poco senso. Un po’ quindi hanno ragione i tifosi quando dicono che ci sarà spettacolo solo nel finale.

«Se un corridore si annoia in una frazione così? Eh, diciamo che la distanza non è poca, ma se ci si trova un buon compagno di chiacchierate il tempo passa!».

Lo scorso anno nella piattissima Ravenna-Verona andatura turistica per lunghi tratti. La Ineos di Bernal controllò agevolmente
Lo scorso anno nella piattissima Ravenna-Verona andatura turistica per lunghi tratti. La Ineos di Bernal controllò agevolmente

Parola allo scalatore

Anche se Fabio Aru ha appeso la bici al chiodo resta uno scalatore. E ancora di più un uomo di classifica.

«Questa tappa è stata criticata: e perché, che problema c’è? – si chiede il sardo – Capisco l’attesa dei tifosi che vorrebbero sempre avere l’arrivo su uno strappo, in fondo ad una discesa o su una salita, però una tappa del genere non la vedo come un male. E poi non è detto che non possa esserci spettacolo. Se c’è vento? Anche una tappa piatta può diventare dura, credetemi. Nel vento si possono fare gli stessi wattaggi che in salita. Non è detto insomma che sia noiosa. Tante volte dalla Tv non si vede, non si percepisce la velocità o lo stress che c’è in gruppo.

Anche se la tappa 11 misura 201 chilometri è però un “mezzo giorno di riposo” per gli uomini di classifica. E Aru lo ammette.

«Se al mattino ti svegli e vedi che non piove e non tira vento, sì: la prendi come una giornata di quasi riposo. La prendi in tranquillità, soprattutto nella prima parte. Sai che magari andrà via una fuga e che dovrai stare attento gli ultimi 30-40 chilometri. Ecco, lì non è facile per gli uomini di classifica. Nell’ultima ora di gara l’insidia ci può essere sempre. Ricordate quest’anno quando è caduto Landa? Anche quella era una tappa per velocisti.

«No, io non ci vedo niente di male – conclude Aru – Pensiamo ai velocisti puri. E poi da quello che ho visto il prossimo Giro dovrebbe essere molto duro, con tante tappe che piacciono ai tifosi».

Sabatini 2021

Professor Sabatini, ci spieghi l’ultimo uomo…

12.10.2021
5 min
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A 36 anni, Fabio Sabatini dice basta, chiudendo una carriera da pro’ durata ben 16 anni. Se si guarda il suo palmarés, i numeri dicono che non c’è neanche una vittoria, ma i numeri talvolta mentono, perché i successi del toscano sono stati tantissimi. Sono le vittorie dei suoi capitani, dei velocisti che hanno dopo anno ha lanciato verso il traguardo, diventando quello che, insieme al danese Morkov, è considerato il più grande “ultimo uomo” della storia recente del ciclismo. Tante volte ha tagliato il traguardo alzando le braccia, perché quei successi erano anche suoi.

La sua figura nel gruppo mancherà e nel ripercorrere la sua storia si capisce come attraverso di lui il ruolo di ultimo uomo sia diventato un cardine delle volate, ma anche qualcosa che la frenesia del ciclismo attuale sta divorando, come tanto altro, nella ricerca spasmodica del campione giovane, del nuovo Pogacar o Evenepoel, dimenticando che questo sport è fatto di tante altre cose.

Iniziamo dalla Milram…

La nostra chiacchierata parte dall’ormai lontano 2006 e dal suo approdo alla Milram, team Professional nel quale Sabatini si ritrovò con un particolare vicino di casa, Alessandro Petacchi: «Lui è di Montecatini Terme, io sono a Camaiore, eravamo a un tiro di schioppo così ci allenavamo insieme. Con lui ho iniziato la gavetta e con Ongarato, Sacchi, Velo, Zabel costruimmo uno dei primi grandi treni per le volate. Al tempo io ero per così dire il primo vagone, ma imparai tantissimo, poco alla volta, gara dopo gara. Capii che le volate sono un meccanismo delicatissimo, dove ci sono mille incastri che devono funzionare».

Sabatini Petacchi
Compagni, avversari, ma sempre amici e vicini di casa: Sabatini e Petacchi hanno condiviso molte battaglie
Sabatini Petacchi
Compagni, avversari, ma sempre amici e vicini di casa: Sabatini e Petacchi hanno condiviso molte battaglie
Nessuno più di te può spiegare che cos’è essere l’ultimo uomo…

Devi capire tantissime cose, essere sempre attento: ci sono variabili che condizionano ogni volata, come dove spira il vento oppure le traiettorie scelte dal gruppo. Bisogna studiare le strade nei minimi particolari: oggi c’è Google Map, ci sono le tecnologie che aiutano, prima dovevi vederle con i tuoi occhi. Ricordo che alla Vuelta mandavamo l’addetto stampa Agostini a visionare gli ultimi chilometri, lui che era stato ciclista e ci raccontava la strada per filo e per segno, curva dopo curva, come prendere le traiettorie, dove chiudere la propria porzione e così via.

Ripercorriamo la tua carriera attraverso i velocisti che hai accompagnato. Iniziamo da Petacchi…

Alessandro è un fratello maggiore. Da lui ho imparato tantissimo, basti dire che per due anni mi ha anche ospitato a casa sua. Mi ha insegnato tantissimo, mi spiegava per filo e per segno la volata in ogni particolare. E’ stato il mentore ideale, quello che purtroppo tanti ragazzi che arrivano oggi al professionismo non vogliono più avere, non ascoltano più…

Daniele Bennati significa parlare del periodo alla Liquigas. 

Con lui ho iniziato davvero a fare l’ultimo uomo. Con il Benna la comunicazione era continua, diceva quando partire, quando aspettare e questa partecipazione era totale, mi sentivo veramente parte delle sue vittorie perché era il compimento di una volata fatta bene.

Sabatini Conti 2021
Sabatini è sempre stato benvoluto nel gruppo, anche dagli altri team: qui è con Valerio Conti
Sabatini Conti 2021
Sabatini è sempre stato benvoluto nel gruppo, anche dagli altri team: qui è con Valerio Conti
Poi arrivò la Cannondale e Peter Sagan…

Grande Peter, un vero funambolo. Con lui il lavoro era particolare, non serviva tanto tirargli la volata, quanto metterlo in posizione buona per partire. Capitava magari che non te lo trovavi più a ruota e dovevi andarlo a recuperare. Ma alla fine il risultato arrivava…

Hai lavorato anche per Mark Cavendish…

Non sono state molte le volate nelle quali abbiamo lavorato insieme, inoltre già allora era Morkov l’uomo deputato a tirarlo per ultimo. E’ stata però un’esperienza utile e siamo rimasto in buoni rapporti.

Poi due anni con Marcel Kittel…

Con lui si lavorava di potenza, lo portavo dai 400 ai 200 metri, ma la volata iniziava già prima dei 2 chilometri finali. Mi sono trovato bene con lui anche se il nostro era un rapporto molto professionale.

Sabatini Viviani
Con Elia Viviani tante vittorie condivise e un’amicizia profonda, che li ha resi complementari
Sabatini Viviani
Con Elia Viviani tante vittorie condivise e un’amicizia profonda, che li ha resi complementari
Infine è arrivato Viviani, alla Deceuninck e poi alla Cofidis.

E’ stato il compimento del mio lavoro: con Elia ci lega un’amicizia profonda, fatta di gioie e dolori, nottate a parlare, a condividere tutto. Quando stai oltre 100 giorni in giro per il mondo s’innesca un legame profondo. Le nostre volate sono sempre state meccanismi particolari, avevamo una parola concordata, quando la sentivo significava che dovevo lanciarlo a tutta velocità, oppure che si stava sganciando e andava recuperato. Per questo le sue vittorie mi hanno dato gioie enormi. 

Mettiamo tutto insieme: con che spirito chiudi?

Senza rimpianti, penso di essere stato bravo a capire che potevo sì forse vincere qualche corsa, trovare spazi diversi in piccole squadre, ma io volevo il meglio e potevo dare molto di più in quel ruolo specifico. Sono sempre rimasto con i piedi per terra, conscio del mio ruolo e contento di quel che ho fatto.

E’ una questione di approccio dei giovani?

Non solo. Tutti guardano solo i dati, quel che dicono i preparatori, che in base ad essi decidono se farti correre oppure no, ma si dimentica che la corsa ti accresce la condizione per quella successiva e che anche inconsciamente, in allenamento non darai mai quel “di più” che ti viene naturale in gara. I numeri non dicono tutto.

Sabatini 2010
Giro d’Italia 2010, l’americano Farrar batte Sabatini allo sprint a Bitonto. Resterà il suo risultato più alto
Sabatini 2010
Giro d’Italia 2010, l’americano Farrar batte Sabatini allo sprint a Bitonto. Resterà il suo risultato più alto
Come saranno le volate del futuro?

Io dico che presto i treni non ci saranno più. All’ultimo Tour io non c’ero e spesso abbiamo guardato le tappe con Cipollini, eravamo d’accordo che alla fine era tutta una confusione, molti sprint vedevano i velocisti compiere mille errori. Cavendish ha vinto tanto proprio perché aveva un treno eccezionale, ma quella gente, i Morkov o i Sabatini della situazione, chi li sostituirà? Io ad esempio ho cercato d’insegnare tanto a Simone Consonni, sarebbe un grande ultimo uomo.

In sintesi, che cosa serve per essere “l’ultimo vagone del treno”?

Innanzitutto acquisire esperienza nel corso del tempo e ne serve tanto. Quell’esperienza ti consentirà di improvvisare quando sei nella m…. perché raramente le cose vanno esattamente come vuoi e devi decidere in pochissimi secondi che cosa fare, sapendo che da te dipende la volata del compagno e la possibile vittoria.

Che cosa farà adesso Fabio Sabatini?

Non lo so, intanto penso di prendere il 1° livello a Firenze, vicino casa, per un futuro da diesse. Quel che è certo è che il ciclismo non lo lascio…

Vos Balsamo 2021

Balsamo come Cipollini nel 2002? Ecco il perché…

30.09.2021
5 min
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Un minuto, una volata, un’emozione che si stampa nella mente e non vuole andar via. A qualche giorno di distanza dalla vittoria di Elisa Balsamo ai Mondiali, quell’autentico capolavoro tecnico è ancora oggetto di discussioni. A chi ha qualche anno in più e non si perde un’edizione della rassegna iridata, quella volata di Flanders 2021 ha ricordato un’altra edizione che curiosamente si svolse sempre in Belgio: Zolder 2002, la trionfale cavalcata di Mario Cipollini.

Abbiamo allora pensato di rivivere le due gare in parallelo, non solo riguardandole nei video per trovare punti in comune e altri momenti dissonanti (come è normale che ci siano) ma anche sentendo due personaggi che di quelle cavalcate sono stati attori importanti: Alessandro Petacchi nel primo caso, Marta Bastianelli più recentemente.

Azzurre Zolder 2021
Il gruppo azzurro festante sotto il podio: da sinistra Confalonieri, Guazzini, Longo Borghini, Cecchini e Bastianelli
Azzurre Zolder 2021
Il gruppo azzurro festante sotto il podio: da sinistra Confalonieri, Guazzini e Longo Borghini

La preparazione

Quella volata di Zolder era stata pianificata a lungo, studiata a tavolino: «Ma quello che metti su carta ben difficilmente poi si tramuta in realtà – ammonisce Petacchi – e devi essere bravo a saper improvvisare. A noi venne a mancare Bettini, che… s’intruppò con Freire, ci trovammo così ad affrontare la volata con un uomo in meno. Di Luca aveva tenuto alta l’andatura sullo strappo finale. Scirea e Bortolami avevano fatto la loro parte. Io ero il penultimo uomo, ma mi trovai a dover guidare il treno dai meno 1.200 ai meno 600 metri. Una trenata pazzesca, ancora non so dove trovai le forze. Poi toccò a Lombardi lanciare Mario verso il titolo».

Nel caso di Leuven, le cose stanno in maniera leggermente diversa: «Sapevamo della possibilità di finire la gara in volata e avevamo stabilito i ruoli, ma ha ragione Alessandro, le cose non vanno mai come te le aspetti – afferma la Bastianelli – io ero esentata dal treno, ero una sorta di jolly che poteva tentare l’azione nel finale e/o parare i colpi delle avversarie ed è stato proprio così, soprattutto con la micidiale sparata della Van Vleuten. Quando ho lasciato sfilare il gruppo verso la volata finale sono rimasta sorpresa vedendo che la Confalonieri era in testa al treno azzurro. Sulla carta lei era l’ultima prima di lasciare spazio alla Balsamo, ma in corsa si sono messe d’accordo in maniera diversa».

Bastianelli Balsamo Leuven 2021
L’abbraccio tra la Bastianelli e la Balsamo: nell’ultimo giro l’intesa fra le due è stata determinante
Bastianelli Balsamo Leuven 2021
L’abbraccio tra la Bastianelli e la Balsamo: nell’ultimo giro l’intesa fra le due è stata determinante

L’imprevisto

Le tattiche sono qualcosa che vale come una tela sulla quale però il dipinto è sempre in base all’estro individuale, bisogna saper inventare, ma non sempre si può: «Vi racconto un particolare – interviene Petacchi – facendo la ricognizione avevamo stabilito la volata nei particolari e Bortolami la sera prima si era raccomandato: “Io tiro fino alla curva, poi mi tiro fuori, passatemi sulla destra per affrontare la discesa così non perderete velocità”. Un treno va studiato nei minimi particolari, ma come detto l’assenza di Bettini mi costrinse ad allungare il mio lavoro. Se Bortolami l’avesse saputo, avrebbe sicuramente affrontato la curva in testa. In quei frangenti però non hai il tempo di voltarti e capire cosa succede, quindi svolse appieno il suo compito».

«Il nostro momento difficile è stato prima dell’avvio del treno – rammenta Marta – sull’ultimo strappo la Balsamo era rimasta leggermente staccata, solo qualche metro ma poteva perdere l’attimo. Mi sono messa al suo fianco e senza dirci niente ci siamo riavvicinate alla testa. Volevo darle coraggio, convinzione che poteva farcela, non c’era bisogno di parlarci, in certi casi t’intendi col pensiero».

Cipollini Zolder 2002
Lo straordinario sprint di Cipollini a Zolder 2002, il momento finale di una volata dominata dalla squadra italiana
Cipollini Zolder 2002
Lo straordinario sprint di Cipollini a Zolder 2002, il momento finale di una volata dominata dalla squadra italiana

La stoccata del campione

Petacchi, Lombardi e poi fu tutto pronto per l’assolo finale di Cipollini, che finì non per vincere, ma per dominare: «Mario era un velocista atipico, dalla struttura possente, alta. Chiaramente quella macchina umana aveva bisogno di tempo per raggiungere la massima velocità, per questo pensò che gli serviva essere lanciato dai compagni. Non so se la moda dei treni nacque con lui, Mario ha vinto tante corse e molte in maniera differente, senza il cosiddetto treno. Sicuramente per lui era però importante, anche perché avere chi ti pilota ti consente di prendere meno vento. Ormai tutte le volate hanno le squadre che cercano di costruire il treno giusto e si viaggia a grandi velocità. Se notate, nell’ultimo chilometro le posizioni sono comunque ormai consolidate proprio perché si va forte».

«Anche nel ciclismo femminile è da qualche anno che i team principali cercano di costruire i treni giusti per le loro sprinter – interviene la Bastianelli – io ormai non ho più quella base di velocità per affrontare gli sprint a ranghi compatti, posso giocarmi le mie carte in arrivi ristretti o cercare altre vie».

Balsamo Longo Borghini 2021
La Longo Borghini davanti alla Balsamo: nello sprint finale la neoiridata è stata bravissima a pilotare la compagna
Balsamo Longo Borghini 2021
La Longo Borghini davanti alla Balsamo: nello sprint finale la neoiridata è stata bravissima a pilotare la compagna

Le parole di Elisa

C’è un momento nello sprint vincente della Balsamo sul quale è necessario tornare: Elisa Longo Borghini che la stava pilotando si stava per far da parte, Elisa con un urlo le ha detto di continuare a tirare perché era troppo presto: «E’ vero – testimonia la Bastianelli – in quel momento è stata lucida e scaltra, aveva bisogno che la Longo Borghini spendesse quelle ultime energie rimaste per lanciarla più avanti anche perché gli ultimi 100 metri erano in leggera salita. Al mattino ci eravamo dette che decisive sarebbero state le tempistiche in caso di arrivo in volata, il minimo errore avrebbe rischiato di compromettere tutto. In quel caso la Balsamo è stata attentissima a rispettare il copione e il risultato l’ha premiata».

«Io sono convinto, rivedendo la volata, che se la Longo Borghini si fosse fatta da parte, la Vos avrebbe vinto – interviene Alessandro in base alla sua esperienza di mille volate – per battere una campionessa come l’olandese servono gambe al massimo ma soprattutto una tattica precisa, se si fosse trovata davanti troppo presto non avrebbe fatto altro che tirare la volata alla Vos che poi l’avrebbe saltata, così invece non aveva più né spazio né gambe abbastanza fresche per farlo. Quella vittoria è stata un capolavoro anche per questo». 

Milano Sanremo 2005, Alessandro Petacchi

Nel 2022 mondiale veloce? Petacchi cittì. L’idea di Malori

28.09.2021
4 min
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Giovedì scadono i contratti dei tecnici federali. La storia è nota. Nonostante l’elezione del nuovo presidente della Federazione avvenuta il 21 febbraio, per non sconvolgere lo svolgimento delle Olimpiadi, degli europei e dei mondiali, si è deciso di prolungare il rapporto con i cittì sino alla fine di settembre. Così, nonostante alcuni scivoloni di cui si poteva fare anche a meno, sono arrivati i successi di Tokyo, quelli di Trento, quelli di Bruges e quelli di Leuven.

Nel frattempo fiorivano i nomi di coloro che a vario titolo sono stati sentiti dal presidente per rivestire il ruolo di tecnico dei professionisti, alle… dipendenze di Roberto Amadio, nominato nel frattempo responsabile di tutte le nazionali. Prima Fondriest. Poi Pozzato. Ora Bennati. I nomi si rincorrono e forse anche per le sue doti in volata, pare che l’aretino sia in vantaggio nell’arrivo a tre. Ma sarà poi un arrivo a tre o nel frattempo le consultazioni sono andate avanti?

Secondo Malori Pozzato poteva essere cittì a Leuven, avendo corso tanto al Nord e nella Quick Step
Secondo Malori Pozzato poteva essere cittì a Leuven, avendo corso tanto al Nord e nella Quick Step

Malori getta il sasso

E allora succede che mentre si parlava di crono e campioni e malgrado quello che hanno detto vari tecnici fra cui Bettini e Cassani, Adriano Malori s’è zittito un attimo e ha fatto una domanda.

«Ma è proprio necessario – ha chiesto – che il commissario tecnico sia soltanto uno?».

Sul momento ci ha spiazzato. Ma siccome in questa fase storica è bene avere le antenne dritte e la capacità di intercettare il cambiamento, abbiamo voluto approfondire il suo punto di vista.

Che cosa intendi?

Non facciamo nomi se non per qualche esempio, ragioniamo soltanto. A capo di tutto c’è Amadio, questa è l’unica cosa sicura. Facciamo allora che lui è il direttore generale e poi a seconda dell’evento sceglie il tecnico di riferimento?

Vai avanti.

Punti su personaggi che nella loro carriera sono andati forte in eventi simili o hanno guidato la loro squadra in modo vittorioso. Ad esempio, per il mondiale di Leuven, seguendo il discorso potevano starci Ballan che ha vinto il Fiandre o Pozzato che ha corso nell’ambiente Quick Step e sa come si muovono.

Amadio, fra Scirea e Amadori, è il team manager delle nazionali: sarebbe lui a scegliere i cittì
Amadio, fra Scirea e Amadori, è il team manager delle nazionali: sarebbe lui a scegliere i cittì
Anche Bartoli ha vinto il Fiandre, anche Tafi…

Non andrei troppo indietro nel tempo, perché il ciclismo cambia in fretta. Ad esempio il prossimo anno è per velocisti? Chiamiamo Petacchi. Serve gente che abbia corso in questo stesso ciclismo. Chiaro che non glielo dici alla fine, ma all’inizio dell’anno, in modo che possa fare le sue osservazioni, valutare gli uomini e formare il gruppo. Un commissario tecnico a tutti gli effetti.

Cassani non lo ha mai vinto da corridore, ma ha pur portato a casa un secondo posto e quattro europei.

Perché ha avuto la fortuna o è stato bravo a formare un gruppo di ragazzi che corrono insieme sin da quando erano dilettanti e sono amici, fra loro c’è un’unione naturale. Ai mondiali non si è visto lo stesso.

Per le crono, Malori vedrebbe benissimo Pinotti come cittì per le crono
Per le crono, Malori vedrebbe benissimo Pinotti come cittì per le crono
Bettini ha vinto due mondiali da corridore, ma non li ha vinti da tecnico…

Bettini si è trovato l’incarico fra capo e collo per la morte di Ballerini. Nel 2011 il mondiale era per velocisti e una regola impediva a Petacchi di partecipare. A Valkenburg non aveva il corridore adatto. E a Firenze, senza la caduta Nibali vinceva di sicuro.

E nella crono come si fa?

Non serve cambiare ogni anno, basta chiamare uno competente. Uno come Pinotti, secondo me. Che ha imparato dai migliori e poi ha fatto il tecnico di specialità alla BMC. Almeno io farei così…

Petacchi, 10 e lode. Su Cavendish avevi visto giusto

02.07.2021
7 min
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Era il 22 dicembre. E in quei giorni che portavano al Natale, con il pretesto di scambiarci gli auguri, chiedemmo a Petacchi che cosa pensasse del ritorno di Cavendish alla Deceuninck-Quick Step. E lui con grande lucidità scolpì parole che sei mesi dopo si sono rivelate più che profetiche.

«Il Tour, è sempre stato il Tour – disse – Mark pensa solo al Tour. L’ho visto cambiare completamente nel giro di 15 giorni. Presentarsi con un altro sguardo e per giunta dimagrito. Concentratissimo. Se non ha questa motivazione, non vede altro. E forse in quella squadra crede di trovarla. Non credo che il suo sia un problema fisico, quanto piuttosto di testa. Sono due anni che non corre e se ricomincia ad allenarsi bene, magari gli danno la fiducia che poi sta a lui ricambiare. Bisognerà capire se la sua reattività e l’esplosività ci sono ancora. Insomma, non è semplice».

E’ il 2017, Cav è al secondo anno conla Dimension Data, il declino è iniziato
E’ il 2017, Cav è al secondo anno conla Dimension Data, il declino è iniziato

Petacchi buon profeta

Cavendish è tornato e come lui è tornato anche Alessandro, che ai campionati italiani ha ripreso in mano un microfono della Rai. Perciò, volendo riprendere il discorso, lo abbiamo pizzicato di ritorno dai lavori nella nuova casa, in cui ha sistemato una serie di box in cui sua moglie Chiara accoglie e poi dà in adozione cani che così vengono tolti dalla strada.

Bè, dati i risultati degli ultimi mesi, ci avevi visto giusto…

Credo che l’esempio sia lampante. Tutti quelli che vanno via da lì non rendono più come prima, ma non capitemi male. Io lo posso dire perché ci ho vissuto un anno e mezzo ed è un ambiente fantastico, che ti dà qualcosa in più. Essere sereni in un ciclismo esasperato come quello di oggi è molto importante. Io credo che Mark sia benvoluto. E’ rientrato in una situazione in cui era stato bene e credo che come gli altri sia andato via per soldi e si è accorto a una certa età dell’errore che ha commesso. E si è detto: «Cosa mi serve per tornare? La tranquillità».

Tanti se ne sono andati di lì per offerte giganti.

Tutti vanno via per soldi, come Gaviria ed Elia (Viviani, ndr) probabilmente. Andare via di lì è un po’ da folli. Capisco che ci sono tanti corridori, il budget è quello e Lefevere non si può permettere di tenerli tutti. In quella squadra vanno forte ed è naturale che uno li vada a prendere. Ti convinci che la stessa situazione te la ricrei da un’altra parte, ma non è assolutamente così. Perché chi va lì ha sempre il sorriso, non ha mai problemi coi compagni. E chi non si sente al suo posto, alla fine se ne va da solo. Io la vedo così: quella squadra per me è l’ambiente giusto per fare risultato. E Cavendish poteva solo tornare lì. Gli serviva solo che le cose si mettessero tutte in fila.

In che senso?

Secondo me la volata che ha vinto prima del Tour è stata un segnale importante. Poi Bennett ha avuto quel problema. A volte serve anche una mano dal destino.

Perché la volata del Belgio è stata importante?

Sicuramente quando vince, gli scatta una molla in testa. Per quello che lo conosco io, è un ragazzo che un po’ soffre la pressione. E quando si accorge di poter vincere e si sblocca, diventa incontenibile, perché in quella corsa lì si sente il più forte. Poi magari dopo 10 giorni cambia corsa e ricomincia da capo. Questo è quello che ho capito di lui. Poi comunque il Tour lo sente tanto, l’ha sempre sentito tanto e gli ha dato anche tanto.

Sembra esserci tornato dentro benissimo.

Non voglio immaginare quanto possa aver tribolato in quei due, tre giorni prima del via. Sentendo di essere l’unico velocista della squadra e di potersi giocare le sue carte. E di avere soprattutto i compagni che ha e un ultimo uomo come Morkov, che è un fuoriclasse. Negli ultimi anni è il più forte del mondo per quel tipo di lavoro.

Perché dici che ha tribolato?

Per la tensione, per le solite foto che ho visto di lui che sposta i tacchetti dopo l’allenamento, che mette a posto le scarpe, che guarda le misure della bici. Questo è Cav, le stesse cose che faceva al Tour quando c’ero io. Fa parte del suo rituale e alla fine va bene, ci sta tutto. E poi a 36 anni non credo che sia vecchio. Io a 38 anni ho messo la maglia rosa battendo lui. Quindi non mi meraviglio di quello che sta facendo. Lui ha fatto due anni nel posto sbagliato, questo penso.

Si può essere così forti ancora a 36 anni?

Io credo che le qualità a 36 anni ci siano ancora tutte. Sei ancora molto forte, magari quando ti avvicini ai 40 puoi perdere un po’ di esplosività. E’ sicuramente più resistente e ha fatto due anni in cui non ha quasi mai corso. Poi si è rimesso sotto, si è allenato, è andato in ritiro con la squadra giusta, ha fatto chilometri nella maniera giusta, non mi sembra sovrappeso. Ci credeva, lo sapeva che poteva essere il suo anno e poteva ritornare a essere molto vicino al vero Cavendish.

Credi gli sia costato tanto in termini di orgoglio andare a chiedere una maglia a Lefevere?

Alla fine ti rendi conto che sei davanti a un bivio: smetto o cosa faccio? Allora vai lì e gli dici: «Fammi provare un anno, non voglio nulla, dammi il minimo». Tanto lui non ha problemi di soldi, parliamoci chiaro. Voleva solo ritrovarsi e smettere magari fra uno o due anni, ma smettere bene. Un campione deve smettere bene, se può farlo. Invece lui avrebbe smesso male, era andato nel dimenticatoio, lo davano tutti per morto. E conoscendolo, so quello che può aver sofferto.

Quel sorriso in effetti non si vedeva da un pezzo.

Quando ha vinto, io mi sono emozionato, perché da corridore lo so benissimo cosa ha provato. Mi sono calato nei suoi panni ed ero contento. Gli ho anche scritto un messaggio, non mi ha risposto, però mi sono sentito di scrivergli un bel messaggio. Perché fondamentalmente è stato un avversario, un compagno, uno che tiene in alto il nome del ciclismo. Fa bene ai giovani vedere un corridore come lui.

Deceuninck-Quick Step incontenibile, ma da oggi tocca di nuovo ad Alaphilippe
Deceuninck-Quick Step incontenibile, ma da oggi tocca di nuovo ad Alaphilippe
Hanno detto che ha eguagliato il tuo numero di vittorie.

Io ho vinto 187 corse oppure 179 quante me ne contano. Nei grandi Giri ne ho vinte 53. Io le conto tutte, lo sapete benissimo (il riferimento è alle tappe cancellate per una squalifica cui si è sempre opposto, ndr). Se poi andiamo a vedere quelle che contano, lui ha vinto 32 tappe al Tour e io solo 6. Ecco se ho un rammarico è aver fatto pochi Tour nella mia carriera. Se tornassi indietro, cercherei di farne di più.

Chiudiamo con la maglia verde, che ora indossa proprio Cavendish, ma cui punta anche Colbrelli, e che tu hai vinto nel 2010.

E’ tanto stressante. Dipende anche da come vengono attributi i punti, se ci sono i traguardi intermedi. Non puoi pensare solo al traguardo finale. Magari se l’arrivo è complicato, alla Sagan, Colbrelli può tenere duro e pensare a fare punti. Il problema è quando ti vanno in fuga quelli che sono in classifica. Io ho dovuto lottare con Hushovd che andava in fuga ogni tre per due e mi toccava seguirlo tutti i giorni. Anche nelle tappe di montagna con l’Aubisque. 

La maglia verde riduce la possibilità di vincere tappe?

Secondo me qualcosina perdi in finale. Perché magari un po’ di energie le butti via e quando sei su un traguardo finale, guardi quello più vicino a te e cerchi di passare lui e basta. Vai a punti e magari ti accontenti di un secondo e di un terzo, non sei focalizzato tanto sulla vittoria. Perché se punti a vincere, puoi sbagliare e perdere punti. Se invece prendi come riferimento quello più vicino, sei sicuro di fare i punti che ti servono. Non è facile, è molto stressante. Se però riesci a salire sui Campi Elisi in maglia verde è davvero una gran cosa.

Felice Gimondi, Marco Pantani, Tour 1998

Tour, una corsa poco italiana? Guardiamo i numeri

24.06.2021
4 min
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Il Tour del ritorno all’estate, il Tour della rivincita slovena Pogacar-Roglic, il Tour del minimo di presenze italiane da anni a questa parte. A due giorni dal via la Grande Boucle si sofferma a contare i suoi numeri, in attesa che le ruote inizino a dare i loro verdetti in un’estate infuocata che avrà un’appendice destinata a pesare, visto che solo 6 giorni dopo l’arrivo a Parigi ci si giocherà l’oro olimpico dall’altra parte del mondo.

Andiamo per ordine: Tadej Pogacar va a caccia del bis consecutivo, un’impresa che al Tour non è certo infrequente. Il primo a riuscirci fu Lucien Petit Breton, nel 1907 e 1908. Da allora ben 11 corridori hanno compiuto lo stesso iter, qualcuno come Bernard Hinault riuscendoci due volte (1978-79 e 1981-82), qualcun altro andando anche oltre, come Chris Froome autore di un tris e Jacques Anquetil, Eddy Merckx e Miguel Indurain arrivati al poker consecutivo. Armstrong andò anche oltre, ma sulla sua carriera come noto è stato passato un deciso colpo di spugna…

Chiappucci Tour 1992
Chiappucci pur senza vincere il Tour è rimasto nel cuore dei francesi, per la doppia maglia a pois
Chiappucci Tour 1992
Chiappucci pur senza vincere il Tour è rimasto nel cuore dei francesi, per la doppia maglia a pois

Da Bottecchia a Pantani, 10 grandi colpi

Uno della “magnifica dozzina” era italiano, Ottavio Bottecchia, primo nel 1924 e 1925 e soprattutto primo italiano a vincere la Grande Boucle. Bottecchia era un corridore che agiva in Francia, era quasi ritenuto uno di casa, ben diverso il discorso quando iniziarono ad arrivare i campioni da questa parte delle Alpi, come Bartali (1938-48), Coppi (1949-52), Nencini (1960), Gimondi (1965) fino ai più recenti trionfi di Pantani nel ’98 e Nibali nel 2014, ultimo italiano a salire sul podio agli Champs Elysees.

Proprio considerando il podio, le 10 vittorie si uniscono ai 15 secondi e 15 terzi posti, quindi i successi rientrano in una congrua media matematica.

Il Tour non è fra le manifestazioni sportive francesi più favorevoli ai nostri colori, considerando che in altri sport vige da quelle parti il detto “la course des italiens”. Molto dipende anche dalla partecipazione.

Petacchi Tour 2010
Due sole vittorie italiane nella classifica a punti: una per Petacchi, trionfatore nel 2010
Petacchi Tour 2010
Due sole vittorie italiane nella classifica a punti: una per Petacchi, trionfatore nel 2010

Le firme di Bitossi e Petacchi

Con 9 presenze italiane sparse per vari team, torniamo a contingenti nazionali che ricordano fortemente gli anni Ottanta, quando squadre e corridori nostrani privilegiavano il Giro e le partecipazioni in Francia erano ridotte al minimo. Nel nuovo secolo mai si era scesi alla singola cifra, ma non essendo presenti team italiani la cosa ha un suo perché.

Abbiamo detto che il Tour è sempre stato poco italiano, ma è davvero così? la maglia verde della classifica a punti è stata vinta solo da due italiani, Franco Bitossi nel 1968 e Alessandro Petacchi nel 2010. Quella a pois del miglior scalatore ha registrato 14 successi azzurri, da Bottecchia negli anni dei suoi trionfi a Claudio Chiappucci nel 1991 e ’92.

Gli italiani più combattivi

Quella bianca di miglior giovane ha visto 5 successi italiani (Moser nel ’75, Pantani nel ’94 e ’95, Basso nel 2002, Cunego nel 2006), ma non vanno dimenticati i 6 premi alla combattività conquistati da Gimondi nel ’65, Ghirotto nel ’93 seguito l’anno dopo da Poli, Chiappucci sempre nel ’91 e ’92 fino ad Alessandro De Marchi che mise la sua firma nel 2014.

Azzini Tour 1910
Una foto-documento: al centro Ernesto Azzini dopo la sua vittoria alla 15esima tappa del Tour, a Parigi
Azzini Tour 1910
Una foto-documento: a destra Ernesto Azzini dopo la sua vittoria alla 15esima tappa del Tour, a Parigi

Vittorie di tappa

Capitolo vittorie di tappa: si resta quasi stupiti vedendo che l’Italia è al terzo posto nella classifica per nazioni con 268 centri, certamente lontana dai 710 della Francia e 477 del Belgio, ma ben protetta dal ritorno dell’Olanda, ferma a 177. Se le ultime vittorie risalgono al 2019 con Viviani, Trentin e Nibali, la prima è datata addirittura 1910, per merito di Ernesto Azzini, un gigante di quasi due metri che fu anche il primo ad abbinare una vittoria di tappa al Tour a una al Giro. Scomparso a soli 38 anni per una forma di tisi, il suo nome resta comunque una pietra miliare nella storia italiana del Tour.