Gios Super Record, una bici senza epoca e senza età

25.09.2023
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Il test di una bici in acciaio, la Gios Super Record. Fuori dal tempo? Dipende dai punti di vista, perché non bisogna mai dimenticare che la bici nasce proprio da qui. L'eleganza ed il fascino la fanno da padroni, ma quello che esprime questa non è nulla di banale

La storia della bicicletta passa anche da qui. Gios Super Record, una bicicletta che ha fatto la storia del mezzo meccanico, della capacità e delle qualità dell’artigiano, una bici che è molto più che un oggetto da collezione.

L’abbiamo provata nella sua versione che fa collimare la tradizione dell’azienda torinese ad una componentistica moderna, performante e funzionale. Il prezzo per questa opera d’arte? 7.300 euro, poco, se consideriamo la qualità della bici.

E anche l’abbinamento cromatico è quello Gios
E anche l’abbinamento cromatico è quello Gios

L’acciaio è sempre l’acciaio

Ancora oggi è considerato il materiale di eccellenza per la costruzione delle biciclette, ma comporta un “sapere artigiano” non comune a tutti e si scontra con le grandi produzioni di massa del giorno d’oggi. Eppure una bicicletta in acciaio ha sempre il suo fascino, in particolar modo se è una Gios con le congiunzioni cromate, con i punti di saldatura solo dove servono e con quelle tubazioni rotonde che contrastano con i profilati dai grandi volumi delle biciclette più moderne.

La tubazione dello sterzo con le sedi da un pollice ed il movimento centrale rotondo, filettato e con il passo italiano. C’è anche un piantone dove alloggia un reggisella da 27,2 millimetri di sezione, che non ha collarino e il serraggio avviene grazie ad una vite a brugola inserita nei due occhielli saldati sul tubo. Il tubo obliquo, quello sopra al forcellino del cambio, presenta il dente per l’appoggio della catena, in modo che quest’ultima non rovini il tubo e non cada a terra una volta smontata la ruota posteriore. Eppure la Gios Super Record non è una bici solo da guardare e ammirare.

La Super Record in test

Il telaio è fatto con le tubazioni Columbus SL, quelle di ultima generazione, leggere e con un design tradizionale. La bicicletta non nasce per essere sloping ed è bello vederla nella sua forma originale. Una volta queste geometrie le chiamavano “geometrie quadro”, perché il profilato orizzontale non si scaricava mai verso il basso del retrotreno ed i foderi obliqui si inserivano nella zona del nodo sella.

Il vestito moderno della Gios Super Record è la componentistica, che grazie all’estetica e al carbonio, rende questo prodotto interessante per un ampio delta di utenti. La forcella è in carbonio ed è Columbus, con i foderi curvati in avanti. La trasmissione è Campagnolo Super Record meccanica (52-36 e 11-34) e naturalmente i freni sono caliper della medesima serie. Il gruppo guida (piega, attacco e reggisella) è firmato Deda, con la serie Zero100. Deda sono anche le ruote e sono le SL48 gommate con i copertoncini Veloflex da 25. La sella è di Selle San Marco. Il valore rilevato alla bilancia è di 7,8 chilogrammi (senza pedali), per una taglia del tutto accostabile ad una 54 dell’epoca attuale.

Come va

Il piacere di tornare a pedalare su una bici in acciaio! Al di la della componentistica, una bici così realizzata offre delle risposte non comuni ai materiali attuali, talvolta accostabili, in altre occasioni del tutto differenti e non semplici da spiegare a chi non ha mai avuto la fortuna di pedalare su una bici fatta con questo materiale.

Si tratta di una sorta di elasticità delle risposte, più lunghe e progressive rispetto ad un carbonio di alta gamma e ben fatto anche nelle quote geometriche. Una bici del genere difficilmente mette in crisi la zona lombare, la schiena e anche le articolazioni del bacino.

Non è mai perentoria, eccessivamente secca e cattiva. Si beneficia di una stabilità e di una capacità di copiare il terreno che sono dei valori aggiunti non secondari, fattori che la rendono sfruttabile da chiunque e un po’ ovunque. Ma la Gios Super Record è una bici da strada, che nasce da un progetto dedicato ai corridori (quelli veri), non è un ibrido e non è una tuttofare.

Bella e comoda da usare in salita
Bella e comoda da usare in salita

Spinge in salita e non impegna in discesa

Quando la strada sale la Super Record è una di quelle bici che sa farsi apprezzare. Ci vuole la gamba prima di tutto, questo è chiaro, ma anche avere la malizia di saper sfruttare al meglio le sue peculiarità è un aspetto che fa parte del “lavoro del ciclista”. La Gios in acciaio mostra una trazione del retrotreno fuori dal comune e un’eccellente stabilità, due fattori che nell’insieme la rendono progressiva e anche comoda nel corso delle lunghe ascese. Soffre un poco quando si vuole scattare ed alzarsi in piedi sui pedali a tutti i costi.

In discesa perdona quasi tutto. Non tira lungo nei tornanti, aiutando a tenere una buona traiettoria e non portando mai verso l’esterno della curva. Si guida facile e non si pianta quando è necessario frenare in modo prepotente. Proprio in una situazione di percorso molto tecnico, sparisce e si nasconde il suo design “esile”, un qualcosa di normale per chi ha avuto la fortuna di pedalare su bici del genere in passato, difficilmente immaginabile per chi non ha mai usato un mezzo con questo disegno.

E in discesa sorprende, non poco
E in discesa sorprende, non poco

In conclusione

Alcuni accostamenti con le bici più attuali ci aiutano a descrivere meglio la Gios Super Record, anche se a nostro parere una bici di questa caratura ha ben pochi eguali. Non si tratta esclusivamente di celebrare la storia, ma non dobbiamo dimenticare che la bicicletta da corsa nasce da prodotti come la Super Record.

Questa di Gios è una signora borghese agghindata con abiti moderni, con un trucco leggero e fa bella figura in ogni situazione. Ha un valore alla bilancia relativamente contenuto, ma è il prezzo che ci ha sorpreso, perché 7.300 li vale tutti.

Gios

EDITORIALE / Adriatica Ionica, in ogni caso una brutta storia

25.09.2023
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La cancellazione della Adriatica Ionica Race a poche ore dal via è probabilmente la pagina di ciclismo più triste e a suo modo grottesca degli ultimi tempi. Nel corso della riunione online con cui Argentin ha spiegato le sue ragioni ai direttori sportivi, cui bici.PRO era presente con l’inviato alla corsa, sono stati sollevati argomenti decisamente pesanti all’indirizzo della Lega Ciclismo e dell’Accpi, allo stesso modo in cui altri da altre sponde hanno dedicato identiche… attenzioni al veneziano.

Per questo motivo abbiamo chiesto di parlare con il Commissario Straordinario Di Cintio, per farci raccontare in che modo abbia preso in mano la stessa Lega e in che modo si siano sviluppate le vicende della corsa, per approfondire il comunicato con cui la vicenda è già stata ricostruita.

Qui non si tratta di una critica preconcetta al sistema, ma ai tempi in cui ha attuato le sue misure.

Argentin è stato pro’ dal 1980 al 1994, qui vince la Freccia Vallone 1990, dopo aver vinto anche il Fiandre
Argentin è stato pro’ dal 1980 al 1994, qui vince la Freccia Vallone 1990, dopo aver vinto anche il Fiandre

Il ruolo di Argentin

Argentin ha solcato con lustro le strade del ciclismo e quando si è convertito al ruolo di organizzatore, ha toccato con mano le difficoltà nel reperire sponsor e trovare una valida collocazione nel calendario. Il suo progetto, nato ben più ambizioso, quest’anno era sceso infatti a tre sole tappe.

Ha imparato le regole non scritte per stare a galla nel modo più redditizio? Possibile, lo fanno tutti. Per abitudine infatti si sono sempre concesse deroghe a situazioni particolari pur di salvaguardare le giornate di gara. In passato i ritardi nei pagamenti sono stati più che tollerati, venendo incontro anche alle esigenze di strutture più solide. In questo caso forse, si sarebbe trattato di tenere nella dovuta considerazione l’impegno di tre Regioni, l’accordo triennale con il Ministero del Turismo ottenuto da Argentin, evitando il danno di immagine per tutto il ciclismo.

La Adriatica Ionica Race era stata presentata alla presenza del Ministro Santanchè e di Ivana Jelinic, CEO di Enit
La Adriatica Ionica Race era stata presentata alla presenza del Ministro Santanchè e di Ivana Jelinic, CEO di Enit

Il vuoto di Corropoli

Dicono che Moreno abbia avuto ritardi cronici nell’osservare gli impegni economici e che la fila dei creditori sia lunga. E’ possibile, ma in tal caso sarebbe stato necessario fermare la gara ben prima e non rimandarla fino al giorno prima. Ci hanno spiegato che gli avvertimenti tempestivi non siano mancati, ma il sistema evidentemente non ha funzionato, soprattutto se non sono state fornite garanzie economiche e, prima ancora, di sicurezza.

Si è andati avanti, costringendo le squadre ad affrontare il viaggio fino all’Abruzzo, per scoprire che invece nessuna delle componenti tecniche preposte alla gara si era presentata. Non la giuria, non radio corsa, non la scorta tecnica. Nessuno, se non il servizio accrediti. Come mai non c’erano, ha chiesto Argentin, se gli era stata concessa una proroga fino alle 16 della vigilia? Se si era certi che non ce l’avrebbe fatta, perché quel teatrino? Alcuni avrebbero ricevuto messaggi in tal senso da uomini della Lega. E così la bislacca carovana, amputata e triste, si è riunita a Corropoli e da Corropoli ha iniziato la ritirata.

In realtà, sarebbe interessante sapere perché non ci fosse neppure Argentin: era consapevole anche lui che sarebbe stata solo una farsa?

A Corropoli i tecnici delle squadre si sono presentati alla riunione della Adriatica Ionica Race per puro dovere di firma
A Corropoli i tecnici delle squadre si sono presentati alla riunione della Adriatica Ionica Race per puro dovere di firma

La battaglia sui diritti

In attesa di approfondire il discorso con il Commissario Straordinario, continuiamo a riflettere sulle parole di Argentin, che ha tirato in ballo la questione dei diritti televisivi, la cui cessione è stata richiesta dalla Lega agli organizzatori per trattare con una produzione televisiva unica. Argentin e anche altri hanno declinato l’invito e questo sarebbe diventato motivo di tensione. A quel punto, immaginando scenari tutti da verificare, è bastato applicare la prevista intransigenza nei pagamenti per mettere l’organizzatore con le spalle al muro.

Intendiamoci, nessuno vuole fare di Argentin la vittima sacrificale, perché probabilmente anche Moreno ha le sue responsabilità. Quello che stride fortemente è la sensazione che in tanto agire da entrambe le parti non si sia tenuto nella dovuta considerazione l’interesse primario del ciclismo. Se invece si è agito avendolo per obiettivo, bisognava farlo prima.

Perché neppure Argentin era presente a Corropoli? Sapeva già che la Adriatica Ionica Race era al capolinea?
Perché neppure Argentin era presente a Corropoli? Sapeva già che la Adriatica Ionica Race era al capolinea?

L’inibizione di Fin

Sotto lo stesso cielo, negli ultimi giorni sono successe cose che fanno pensare a un clima generale di tensione. Desta curiosità ad esempio l’inibizione comminata al giornalista Andrea Fin, tesserato FCI con una piccola società. Chi è in questo ambiente sa che il veneto curò a suo tempo l’ufficio stampa di Martinello durante la competizione elettorale e non ha poi perso occasione per sollevare questioni sulla gestione federale, a cominciare dalla vicenda delle sponsorizzazioni irlandesi. Casualmente o meno, Fin è anche l’addetto stampa della Adriatica Ionica Race.

E’ evidente che i suoi articoli abbiano infastidito i vertici federali, ma in questi casi, se si pensa di poterlo fare, lo strumento più pertinente ed efficace è la querela per diffamazione a mezzo stampa, non certo il procedimento disciplinare nei confronti del tesserato.

Al momento del tesseramento, richiamandosi al codice etico, il soggetto accetta infatti di non dileggiare o danneggiare la stessa Federazione. Il procedimento era probabilmente motivato, ragione per cui ad esempio il sottoscritto smise di chiedere la tessera con cui accedere alla patente UCI per la guida in corsa. Il giornalista deve essere libero di svolgere il suo ruolo sapendo di essere sottoposto alle leggi sulla stampa, al codice civile e al codice penale, non certo a un regolamento sportivo.

L’avvocato Cesare Di Cintio è Commissario della Lega dal novembre 2022 (foto Facebook)
L’avvocato Cesare Di Cintio è Commissario della Lega dal novembre 2022 (foto Facebook)

Il ruolo del Commissario

Tornando alla vicenda da cui questo editoriale è scaturito e sempre in attesa di poterla approfondire, la Federazione ha delegato alla Lega tutto il calendario, dal novembre 2022 quando è scattato il commissariamento. Per statuto, il Commissario Straordinario dovrebbe modificare le regole, passare per l’Assemblea e ricomporre l’organo (la stessa Lega) in 60+30 giorni. In realtà, la FCI ha rinnovato il mandato dell’avvocato Di Cintio, che certo avrà trovato davanti a sé una situazione compromessa da anni di conduzioni diverse e non sempre eccellenti. Per cui comprendiamo le necessità di resettare il sistema, siamo meno in sintonia quando questo si fa a spese dell’attività.

E’ chiaro che se lo scopo della Lega è anche quello di costituire un pacchetto di gare da vendere a chi possa produrle, trovare ostacoli sul cammino allunga i tempi e rende più gravoso il compito. In attesa che anche Argentin racconti il suo punto di vista nella conferenza stampa che ha promesso, il ciclismo italiano va avanti come meglio può, costretto questa volta a leccarsi le ferite.

Sanchez ha detto basta: ultimo, ma da vincitore

25.09.2023
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Vuelta, tappa con arrivo a Bejes. Vingegaard, il vincitore è arrivato da 19 minuti, i Jumbo-Visma hanno sistemato la loro classifica, ma la gente non è andata via. E’ lì. Aspetta. Aspetta che Luis Leon Sanchez arrivi al traguardo. E’ caduto, i dolori gli fanno compagnia nelle faticose pedalate verso il traguardo. E’ ultimo, ma la gente gli tributa un’ovazione come se fosse il primo. Perché sa che non lo vedrà più correre.

L’arrivo a Rejes, ultimo e staccato, con i segni della caduta. La folla lo acclama come se avesse vinto
L’arrivo a Rejes, ultimo e staccato, con i segni della caduta. La folla lo acclama come se avesse vinto

20 anni da professionista

Sanchez ha deciso di chiudere. «Avevo già detto che lo avrei fatto a Madrid, chiudendo la mia ultima Vuelta – afferma ai giornalisti presenti – e neanche l’ultima, ennesima caduta della mia carriera me lo impedirà. E’ un atto dovuto a tutti i miei tifosi, per ringraziarli del sostegno che non mi hanno mai fatto mancare. Il mio sogno era di fare anche un solo anno da professionista: ne ho fatti 20…».

Sanchez è uno che ha vinto, tanto: 47 successi in carriera, fra cui 4 tappe al Tour de France e 2 Clasica di San Sebastian, oltre a 5 titoli spagnoli di cui 4 a cronometro. Ma non è con queste che è riuscito a essere più popolare anche di suo fratello Pedro Leon, calciatore del Murcia passato anche nelle fila del Real Madrid di Mourinho e ricordato con poco piacere dai tifosi del Milan per quel gol al 93° in Champions League 2011 costato la vittoria. Non è con queste che è riuscito a far passare sotto traccia la sospensione per doping che lo ha coinvolto nel 2015, quand’era nelle file dell’olandese Blanco/Belkin per essere legato al famigerato dottor Fuentes, quello dell’Operation Puerto. Sospetti costatigli tutta la stagione ma mai effettivamente affluiti verso una vera squalifica.

Sanchez premiato a Madrid, dopo la conclusione della sua ultima Vuelta, la tredicesima
Sanchez premiato a Madrid, dopo la conclusione della sua ultima Vuelta, la tredicesima

La perfetta vita da atleta

La grande forza di Sanchez è stata la sua simpatia, la sua disponibilità. Stefano Zanini ha vissuto parte della sua vita ciclistica insieme allo spagnolo, dal 2015 a oggi all’Astana con la parentesi del 2022 alla Bahrain Victorious e lo conosce bene: «Lo conoscevo già, nei miei ultimi anni da corridore lui iniziava la sua avventura e si vedeva il suo talento. Sanchez è quello che si chiama uomo-squadra, quell’elemento che tutti vorrebbero avere all’interno del proprio team perché fa gruppo ed è di esempio ed è su questo aspetto che voglio mettere l’accento.

«Lo spagnolo è sempre stato un corridore vecchio stampo. Uno attentissimo a ogni aspetto della propria vita d’atleta, guardava all’alimentazione, alla preparazione con un’attenzione pari a quella di oggi, ma quando lui iniziò non era così. E’ stato un antesignano. Un professionista vero, che non ha mai mollato neanche un secondo.

La vittoria nella tappa del Tour del 2008, battendo il tedesco Schumacher poi squalificato e Pozzato
La vittoria nella tappa del Tour del 2008, battendo il tedesco Schumacher poi squalificato e Pozzato

Gli esercizi per la schiena malandata

«Tanto per fare un esempio, Luis ha sempre avuto una particolare attenzione per la schiena, sentendo col passare degli anni i naturali problemi di postura e di risentimento che l’attività può comportare. Ebbene, non ha mai rinunciato agli esercizi specifici, neanche a fine carriera. Un altro avrebbe potuto mollare, lui no, fino all’ultimo giorno è stato un professionista serissimo».

Tra le vittorie, quali pensi siano quelle che tiene nel cuore? «Si sarebbe portati a dire le due prove di San Sebastian perché per uno spagnolo vincere in casa è il massimo, ma so che tiene particolarmente ai successi al Tour perché è l’espressione ciclistica per eccellenza. Ad esempio quella del 2012, quando dopo la lunga fuga è ancora in testa con 4 uomini fra cui Sagan ma approfitta della distrazione dello slovacco per allungare senza essere più ripreso».

Il momento dello scatto decisivo nella tappa di Foix al Tour 2012. Beffati i compagni di fuga
Il momento dello scatto decisivo nella tappa di Foix al Tour 2012. Beffati i compagni di fuga

Al servizio di Cavendish

Per Zanini l’essere un uomo-squadra significa anche sapersi mettere in discussione: «Sanchez è stato competitivo fino all’ultimo, ma ha saputo essere utile per il team anche in maniera diversa. Ad esempio all’ultimo Giro d’Italia si è messo al servizio di Cavendish e gli ha tirato la volata verso la vittoria. Ha sempre saputo mettersi a disposizione degli altri quando capiva che la corsa non era per lui e questo è un pregio».

Tecnicamente come può essere identificato? «E’ stato un corridore completo, capace di vincere su diversi percorsi. Non era certamente uno scalatore ma sapeva domare anche le alte montagne altrimenti non finisci nella Top 10 al Tour e alla Vuelta come ha saputo fare. Era fortissimo sul passo, capace di fare la differenza anche su salite non troppo dure come dimostrato a San Sebastian, anche veloce, mai averlo con se in una fuga ristretta…».

Per Sanchez 48 vittorie in carriera, tra cui anche due Clasica di San Sebastian (qui nel 2012)
Per Sanchez 48 vittorie in carriera, tra cui anche due Clasica di San Sebastian (qui nel 2012)

Il dolore per Michele

E al di fuori delle corse? «Uno attaccatissimo alla famiglia, quando ci vivi assieme durante l’anno cogli quel legame, quel bisogno di sentire sempre i propri cari vicino, anche solo con una telefonata. Era uno che dava tutto, ma io ricordo un momento particolarmente doloroso della sua carriera e fu quando morì Michele Scarponi. Luis era stato nella stanza con Michele al Tour of the Alps, la sua ultima corsa. Erano molto legati e la notizia della sua scomparsa fu per lui un colpo duro da assorbire. Io spero che rimanga nell’ambiente, uno così in una squadra è sempre una figura importante, qualsiasi ruolo ricopra».

Kuss e la Jumbo: ipotesi e chiacchiere sul contratto

25.09.2023
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Sepp Kuss ha vinto la Vuelta ed ha un altro anno di contratto con la Jumbo-Visma. Far parte della squadra numero uno al mondo e la consapevolezza che non avrebbe mai vinto senza la benevolenza dei compagni smorza probabilmente ogni velleità. Tuttavia, la penuria di uomini da Giri potrebbe indurre qualche squadra a tentare l’americano. E per contro, nei piani del suo agente potrebbe esserci la voglia di tentare il salto. Che cosa fa in certi casi l’agente di un corridore come Kuss?

Alex Carera con suo fratello Johnny è uno dei soci fondatori della A&J, società che rappresenta un ampio numero di atleti
Alex Carera con suo fratello Johnny è uno dei soci fondatori della A&J, società che rappresenta un ampio numero di atleti

Il contratto di Kuss

Sepp è seguito da un agente americano, per cui quello che segue è praticamente un discorso da bar, per capire quali siano le dinamiche possibili. Lo abbiamo chiesto ad Alex Carera, che non ha mai lavorato con Kuss, ma in certi scenari si muove perfettamente a suo agio.

«Farei un altro ragionamento – inizia il bergamasco – e cioè che in questo momento ci sono cinque team estremamente ricchi e Kuss fa parte di uno di quelli. Quindi l’eventuale proposta economica di un’altra squadra, potrebbe arrivare dalla stessa Jumbo, cui lui deve qualcosa, come la Jumbo deve qualcosa a lui. Io credo che se fossi il suo agente, la prima cosa che farei sarebbe incrementare il suo contratto, ma al tempo stesso punterei ad allungarlo, perché non so quante altre Vuelta potrebbe vincere».

Richard Plugge, Merijn Zeeman e i loro gioielli: Vingegaard, Kuss e Roglic. I contratti sono blindati
Richard Plugge e i suoi gioielli: Vingegaard, Kuss e Roglic. I loro contratti sono blindati
Infatti Kuss avrà certamente la consapevolezza che se gli altri lo avessero attaccato, non avrebbe vinto…

Sicuramente questo c’è, perché aveva soltanto 8 secondi di vantaggio e non ci dimentichiamo che ha guadagnato tre minuti grazie a una fuga. Per cui se io fossi il suo agente farei questa mossa.

Kuss sembra un ragazzo con la testa sulle spalle, ma può capitare che al corridore venga la voglia di andare a cercare fortuna altrove?

Se vince un grande Giro, se la gioca anche dov’è, quindi perché andare via, considerato che lui è uno di quelli meglio pagati? Secondo me non è questo il problema. Ci sono tre grandi Giri e nessun grande capitano può farli tutti, quindi se lui da gregario pure diventasse capitano, troverebbe lì il suo spazio.

In cosa si potrebbe migliorare il contratto?

Prima di tutto, nella maggior parte dei casi hai già previsto delle clausole migliorative, nel caso di particolari risultati. Questo è il punto numero uno, per cui normalmente tutti hanno il bonus. Non solo per la vittoria, anche per una top 3 o una top 5. Quando le cose iniziano a mettersi in questo modo, non si aspetta neppure la fine della corsa: tante volte si bussa alla porta del team manager anche durante la competizione.

Kuss vive in Andorra da anni e ora la sua popolarità è alle stelle
Kuss vive in Andorra da anni e ora la sua popolarità è alle stelle
L’atleta è al corrente di queste manovre?

In queste fasi l’atleta deve rimanere concentrato unicamente sulla gara. Oggi un bravo agente è colui che lascia l’atleta più tranquillo possibile, in modo che non debba preoccuparsi delle discussioni con le squadre. Poi a fine gara, il lunedì o la domenica sera, si tirano le somme.

L’incremento di un contratto così, fermo restando che non sappiamo da che base parta, è significativo secondo te o si parla di piccoli ritocchi?

Quando uno parla di un atleta del genere, è normale che sia un ritocco significativo. Molto dipende anche dalla base di partenza. Kuss a mio parere, provo a fare una stima, è un atleta che guadagna un milione e 200 mila, un milione e mezzo, quindi si parlerebbe di un salto in avanti comunque importante. Non ho la certezza che lui guadagni così perché non sono suo agente, però credo che per un atleta considerato da tutti come uno tra i migliori aiutanti al mondo, e non da oggi, i valori siano questi.

Quindi gli orizzonti possibili in questo momento non sono molti…

Lui è un caso molto particolare. E’ già al top come atleta, in una tra le cinque squadre più ricche al mondo. Quindi bisogna considerare che non ce ne sono così tante che possano paragonarsi alla Jumbo a livello di budget: due o tre al mondo? Quindi un conto è se corresse in una squadra più piccola, ma corre già alla Jumbo, credo che il caso neanche si ponga.

Kuss ha aiutato Roglic a vincere il Giro, poi Vingegaard al Tour: la squadra gli doveva qualcosa
Kuss ha aiutato Roglic a vincere il Giro, poi Vingegaard al Tour: la squadra gli doveva qualcosa
La sensazione è che rispetto a una volta la vittoria non sia più il motivo per cambiare squadra…

La differenza è che adesso ci sono contratti molto più lunghi: una volta normalmente erano biennali, adesso sono quadriennali. Di conseguenza fanno tutti i programmi a crescere con dei bonus. E’ un’altra mentalità: oggi si ragiona a lunga scadenza, una volta si ragionava a corta scadenza. Quindi il ragionamento non si può più fare in questi termini.

Aumentare l’ingaggio comporta necessariamente un prolungamento?

Se chiedi di più, devi dare qualcosa in cambio. Quindi io sono disposto a concedere fino a 500 mila euro in più, ma devo avere in cambio uno o due anni di contratto in più.

Laporte campione, ma perché Van Aert ancora secondo?

24.09.2023
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Difficile dire se in questa serata che saluta l’autunno ci sia da stupirsi più per la vittoria di Laporte all’europeo, per l’ennesima sconfitta di Van Aert o per il podio completamente occupato da corridori della Jumbo-Visma. Allo stesso modo in cui ieri le atlete della olandese SD Worx hanno dominato la prova in linea delle donne, quest’oggi un altro team dei Paesi Bassi ha schiacciato la concorrenza. E trattandosi di un campionato europeo corso per loro sulle strade di casa, c’è da capire che si possa parlare a buon titolo di dominio olandese. Anche se oggi il vincitore è francese, ma ha cambiato decisamente passo da quando è approdato nella squadra giallonera.

Christophe Laporte ha attaccato quando l’ultima caduta del giorno, quella causata dal tedesco Heiduk, ha tagliato fuori dalla lotta metà gruppo di testa, compresi Trentin e Ganna. Il francese ha avuto la scelta di tempo e il coraggio per tirare dritto, con lo stesso piglio che ieri ha consegnato la gara delle donne alla olandese Bredewold. Senza mai voltarsi, Laporte sembrava avere il destino segnato quando ai 200 metri De Lie gli ha portato sotto il gigantesco Van Aert. Sembrava un finale già scritto.

Christophe Laporte è nato nel 1992, è alto 1,91 e pesa 76 chili. E’ pro’ dal 2014. Eccolo all’arrivo di Col du Vam
Christophe Laporte è nato nel 1992, è alto 1,91 e pesa 76 chili. E’ pro’ dal 2014. Eccolo all’arrivo di Col du Vam

Rimonta strozzata

Van Aert infatti è scattato con l’olandese Kooij a ruota. Ha guadagnato metro su metro nel ripido arrivo di Col du Vam. Ha affiancato Laporte. E quando non mancava che la pedalata decisiva, il belga si è seduto. L’altro se ne è accorto e ha rilanciato proprio nel momento in cui anche Van Aert ha trovato la forza per rialzarsi. Risultato: primo Laporte, secondo Van Aert, terzo Kooij. Come già alla Vuelta, podio tutto Jumbo-Visma, ma con attori diversi. Mentre al quarto posto Arnaud De Lie si è messo in un angolo a chiedersi se non avrebbe fatto meglio a farsi gli affari suoi.

«Questa maglia è molto bella – dice il francese – dovrò abituarmi. Sono molto orgoglioso. La squadra ha fatto un ottimo lavoro mettendomi in buone condizioni. Mi sentivo bene, ho provato e ha funzionato. Ne è valsa la pena. Ho sempre sognato di cantare la Marsigliese sul podio con i miei amici. La dedico alla squadra francese e a Nathan Van Hooydonck, che sarà contento per me. Non sono mai stato neppure campione francese, sono davvero molto felice. E sono felice di condividere questo podio con Wout e Olav».

Peso psicologico

Van Aert però probabilmente non è altrettanto allegro. Lo abbiamo visto sorridere in alcune inquadrature prima del podio, poi tornava a guardare il vuoto. Avevamo sentito ieri le sue parole sul fatto di lottare sempre e dei suoi dubbi dopo tanti piazzamenti, ma è davvero credibile che un campione così forte si faccia scivolare addosso certi colpi? Già un’altra volta quest’anno era finito dietro a Laporte: nella Gand-Wevelgem che in modo insolito (e a questo punto poco opportuno) aveva deciso di lasciargli vincere.

«Avevo concordato con De Lie – spiega nella zona mista – che avremmo giocato la mia carta. Penso che anche lui abbia capito che dei due oggi ero il più forte. E’ stata una buona decisione, ma Arnaud (De Lie, ndr) ha inseguito così forte per chiudere su Laporte, che non sono più riuscito a saltarlo. Abbiamo sottovalutato quanto gli fosse rimasto. Forse l’errore è stato che davanti non ci fosse uno di noi due al posto di Laporte, questo sì. 

«Durante le corse non penso che potrei fare secondo – aggiunge e riflette – ma è una constatazione che adesso non posso negare e ovviamente questo in qualche modo agisce nella mia testa. Cerco di vincere ogni gara, oggi ho corso per questo ed è il motivo per cui ho sentimenti contrastanti. Da un lato è bello essere sempre davanti, quest’anno semplicemente non riesco a vincere. Resto fiducioso che in futuro le cose andranno diversamente (il prossimo impegno titolato di Van Aert potrebbe essere il mondiale gravel di inizio ottobre, ndr)».

De Lie è arrivato fortissimo all’europeo. Ha lavorato per Van Aert, ma forse avrebbe potuto fare lui il finale
De Lie è arrivato fortissimo all’europeo. Ha lavorato per Van Aert, ma forse avrebbe potuto fare lui il finale

La saggezza di De Lie

Cosa dice De Lie? Il ragazzone di Libramont, che sogna di comprarsi una fattoria ed è arrivato agli europei con la vittoria di Quebec City, si guarda bene dal fare polemiche. Sa stare al suo posto e conferma le scelte del finale.

«Possiamo dire che sia venuta una corsa davvero dura – spiega – ho parlato con Wout a cinque chilometri dal traguardo. Gli ho detto: “E’ buona per te”. Era l’occasione giusta per regalargli un bel titolo, ma sfortunatamente è arrivato secondo dietro ad un fortissimo Laporte. Non l’ho visto partire, ero troppo indietro, forse altrimenti lo avrei seguito. Guardando indietro, forse avrei anche avuto le gambe per vincere, ma non ne sono certo. Semmai potremmo aver iniziato lo sprint un po’ troppo presto, ma la sensazione era che altrimenti Laporte non lo avremmo più visto. E così è stato».

Europei, una caduta di troppo ferma Ganna e Trentin

24.09.2023
4 min
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C’è amarezza nella voce di Daniele Bennati, che probabilmente sperava di festeggiare diversamente il compleanno. Il campionato europeo si è concluso davvero da poco e proprio quando sembrava che l’Italia fosse pronta per l’attacco decisivo, un’altra caduta ha tagliato fuori Ganna e Trentin. I due leader si sono ritrovati fuori e poi a inseguire, uno davanti e uno dietro, senza essere consapevoli di lavorare al reciproco sfinimento. L’assenza di radio porta anche a questo. Così se anche ci fosse stata una possibilità di rientrare sul gruppetto che davanti si è giocato la corsa, il destino ci ha impedito di farlo. Ma l’Italia questa volta c’era e ha fatto tutto quel che doveva per vincere il titolo continentale. Ha tenuto testa a Belgio e Danimarca, ma nulla ha potuto contro una banale caduta altrui.

Gli azzurri sono rimasti coperti nelle fasi iniziali, ma nel finale hanno rotto il gruppo: forcing feroce, il gruppo c’era
Gli azzurri sono rimasti coperti nelle fasi iniziali, ma nel finale hanno rotto il gruppo: forcing feroce, il gruppo c’era

Una gara (quasi) perfetta

Torniamo a casa con le pive nel sacco, come era già successo ai mondiali, solo che questa volta la componente della casualità è stata più incisiva della capacità di prestazione, che è parsa all’altezza delle squadre più forti. L’ennesima grande azione di Cattaneo che ha rotto il gruppo e poi la menata di Ganna hanno fatto vedere che i nostri sarebbero stati all’altezza del gran finale.

«Sarebbe stata una gara perfetta – dice con amarezza il toscano – se fossimo restati davanti senza incappare in troppi incidenti, troppe cadute. Purtroppo ancora una volta devo dire che per quello che abbiamo dato, per quello che i ragazzi hanno costruito, abbiamo raccolto veramente poco. Questa volta non abbiamo raccolto davvero nulla. E’ vero che il Belgio e la Danimarca hanno fatto la corsa nella prima parte, ma poi una volta che abbiamo deciso di rompere gli indugi, abbiamo fatto noi l’azione, come eravamo d’accordo sin da ieri sera con i ragazzi».

Troppe due cadute

Strade strette, gara nervosa. I nostri sono abituati alle corse del Nord, ma quando si è entrati nel circuito, gli angoli delle curve erano da piega col ginocchio a terra. E proprio all’uscita di una di queste, è avvenuto il fattaccio che ha tagliato fuori i nostri leader. La caduta maldestra del tedesco Heiduk ha spaccato il gruppo di testa. E se già Ganna era… sopravvissuto alla prima caduta, questa volta la ripartenza non è stata così immediata.

«La prima aduta di Pippo e quella di Pasqualon – riprende Bennati con lucidità – ci hanno un po’ destabilizzato. Però Pippo non ha non ha subito grosse conseguenze, sembrava stare molto bene. La seconda caduta invece ha determinato l’attacco dei dieci che si sono giocati il campionato europeo. L’attacco non è avvenuto di forza, ma proprio perché quando erano rimasti in 20-25, la caduta ha rotto il gruppo e nella seconda parte si sono ritrovati sia Pippo sia Trentin. Ed è svanito tutto.

«Dietro abbiamo cercato di inseguire. Chiaramente senza radioline a un certo punto davanti tiravano, mentre Pippo stava cercando di rientrare, ma non è facile comunicare con i ragazzi quand’è così. E la corsa è andata. Purtroppo è normale che ci siano cadute in un circuito così, soprattutto quando ti giochi una maglia di campione europeo. I ragazzi sono abituati a correre con il famoso coltello tra i denti. E quando poi quel ragazzo è andato fuoristrada, ha tirato giù anche i nostri. Ci si può fare poco…».

Dopo l’arrivo, Ganna con il massaggiatore Santerini: il piemontese porta sulla schiena i segni della caduta
Dopo l’arrivo, Ganna con il massaggiatore Santerini: il piemontese porta sulla schiena i segni della caduta

Ganna rassegnato

Le parole di Ganna dopo l’arrivo sono concilianti, come di chi ha avuto il tempo prima di rendersi conto di avere davvero delle grandi gambe e poi di rassegnarsi chilometro dopo chilometro quando, aiutato prima da Mattia Cattaneo e poi da Arnaud Demare, ha capito che non sarebbe mai riuscito a rientrare.

«Abbiamo avuto un po’ di sfortuna nella prima caduta – dice il piemontese – in cui siamo rimasti coinvolti più corridori. Abbiamo avuto i compagni di squadra per rientrare e abbiamo preso bene il circuito. Eravamo pronti per fare una bella prova, quando purtroppo c’è stata la sfortuna della seconda caduta, quando eravamo usciti a portar via il gruppo giusto. Però ci possiamo rifare al più presto, adesso cerchiamo di recuperare…».

Sulla Vuelta Saronni ne ha per tutti, da Vingegaard in poi

24.09.2023
5 min
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E’ passata una settimana dalla conclusione della Vuelta, da quel podio tutto targato Jumbo-Visma con Vingegaard e Roglic, ossia il re del Tour e del Giro a fare da valletti a Sepp Kuss, loro gregario nelle due prime avventure della stagione e questa volta proiettato sul gradino più alto. Un dominio incontrastato, ma con qualche perplessità destata dalla gestione del team olandese.

Le ultime tappe dure avevano dimostrato in maniera evidente come Jonas Vingegaard fosse il più forte della compagnia, ma hanno anche evidenziato come il danese abbia corso quasi con il bilancino, attento a non superare l’americano. Scelta dettata dal team? Volontà di non penalizzare Kuss che aveva capitalizzato al meglio la fuga bidone della prima settimana? Tante le ipotesi possibili, abbiamo allora provato a fare chiarezza parlandone con chi il mondo dei pro’ lo conosce in ogni sua sfumatura, Giuseppe Saronni.

Saronni, qui con Argentin, esprime le sue idee su vantaggi e svantaggi per la Jumbo-Visma
Saronni, qui con Argentin, esprime le sue idee su vantaggi e svantaggi per la Jumbo-Visma
Che idea ti sei fatto dell’epilogo della corsa iberica?

Io credo che la Jumbo-Visma abbia iniziato la corsa con qualche dubbio, legato al futuro di Roglic. Si parlava molto della possibilità che lo sloveno cambiasse squadra, invece pare rimanga perché il team olandese gli ha garantito il giusto spazio. Questo ha influito sull’evoluzione della corsa, che poi ha preso una piega probabilmente inattesa.

La vittoria di Kuss è stata decisa a tavolino dal team?

Penso di no, è certo però che la squadra aveva per certi versi interesse che Kuss vincesse, per molte ragioni: gratificare il corridore dopo quanto fatto a Giro e Tour, ma anche capire quali sono i suoi limiti e come può gestire la pressione di un grande giro. Attenzione però: la Vuelta non è al pari di Giro e Tour, che scatenano un’attenzione decisamente maggiore.

Anche alla Vuelta Vingegaard si è dimostrato il più forte, ma senza conquistare il trofeo
Anche alla Vuelta Vingegaard si è dimostrato il più forte, ma senza conquistare il trofeo
Vingegaard come l’hai visto?

Non era quello del Tour, è evidente, eppure in un buon campo partenti – e sottolineo buono, non oltre – aveva fatto la differenza. Poteva superare l’americano, è molto probabile, ma è stato bravo anche Kuss a tenere botta, restare lì davanti, meritandosi la maglia roja.

Resta però la sensazione di una classifica che non rispecchia la vera gerarchia dei valori…

Io credo che la Jumbo-Visma abbia lasciato mano libera ai suoi corridori. L’interesse del team era quello di vincere, a un certo punto quello di fare man bassa sul podio e scrivere una pagina storica, ma chi fosse, primo, secondo e terzo era delegato direttamente ai corridori, senza combinare disastri… Poi è chiaro che per i diesse una soluzione del genere, voluta dagli stessi atleti evita ogni malumore e questo nel prosieguo dell’attività è molto importante.

Da che cosa deduci la scelta di lasciare libertà ai propri atleti?

Se si guarda l’evoluzione delle tappe, si vedeva che quando partiva uno di loro gli altri stavano lì, aspettavano, poi appena conclusa l’azione partiva un altro e così via. Quelle sono azioni frutto di accordi in corsa, fatte per non pestarsi i piedi nella consapevolezza della propria superiorità. Anch’io l’ho fatto tante volte, poi è difficile che il progetto vada in porto in maniera così schiacciante come avvenuto alla Vuelta, ma i Jumbo non hanno davvero sbagliato nulla.

C’erano dubbi sulla permanenza di Roglic nel team, dissipati durante la corsa
C’erano dubbi sulla permanenza di Roglic nel team, dissipati durante la corsa
Pensi sia stata anche una scelta di Vingegaard evitare il sorpasso per non trovarsi un nemico in casa?

Sicuramente per Jonas questo è stato un investimento a lungo termine. Lui sa e Kuss sa altrettanto bene che il danese era il più forte e gli ha fatto un favore, verrà il momento che riscuoterà. Per l’americano, e ancor più per il team, la situazione era ideale perché anche avesse avuto un cedimento, c’erano gli altri due pronti a prendere il suo posto.

Domanda al Saronni campione: in questo modo però Vingegaard si trova con una Vuelta in meno…

Verissimo e nello sport non si può mai ipotecare il futuro. Fare due grandi giri in una stagione è sempre un rischio, non puoi sapere se l’anno prossimo sarai nella stessa situazione, nella stessa forma. L’incognita la devi mettere in conto, quindi è vero che il danese ha pagato un prezzo salato, per sua scelta. Solo in futuro sapremo se ha fatto bene e ha perso poco.

Kuss e Vingegaard. Ora l’americano ha un debito da saldare verso il danese…
Kuss e Vingegaard. Ora l’americano ha un debito da saldare verso il danese…
La Jumbo-Visma diventa così sempre più una squadra di leader che fanno anche da gregari, quasi cancellando questo ruolo…

E’ il ciclismo del futuro e io a tal proposito ricordo quand’ero alla Mapei, dicevo sempre che avrei sempre voluto tanti campioni da mettere d’accordo. Sarà anche difficile, ma lo è ancor di più cercare il risultato quando non hai qualità in mano. Oggi è un ciclismo fatto di punteggi, di calcoli, un ciclismo fatto col bilancino. Alla fine i fuoriclasse veri si contano sulle dita di una mano. Molto influisce anche il calendario, così ricco che dà spazio a tutti, ma le gare che contano sono sempre quelle poche e io preferirei un calendario più asciutto dove i campioni si scontrino in quegli stessi appuntamenti, tutti insieme. Invece ti trovi giornate anche con 6 gare in contemporanea, questo non è un bene.

Un dominio come quello del team olandese non rischia di creare inimicizie all’interno del gruppo?

Questo penso che lo abbiano messo in preventivo. Così aiuti nel gruppo non ne trovi. Hai fatto una cosa fantastica e difficilmente ripetibile, ora però andando avanti raramente troveranno qualcuno che gli darà una mano nel togliere le castagne dal fuoco…

Ballerini torna all’Astana. Martinelli: «Potrà essere il faro»

24.09.2023
4 min
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Davide Ballerini torna “a casa”. Il lombardo dal prossimo anno vestirà di nuovo i colori dell’Astana-Qazaqstan. Il “Ballero” era stato nella squadra di Vinokourov nel 2019, poi prese altre strade.

Di questo ritorno, e in parte della squadra che sta nascendo, ne parliamo con Giuseppe Martinelli, storico direttore sportivo del team kazako. E’ lui che ci spiega cosa va a fare il Ballero in Astana. E che corridore si aspetta di ritrovare.

Davide Ballerini (classe 1994) si appresta a tornare in Astana-Qazaqstan
Davide Ballerini (classe 1994) si appresta a tornare in Astana-Qazaqstan

Lo zampino di Vino 

La trattativa si è consumata questa estate e, a dire il vero, lo zampino di Martinelli è relativo.

«C’entro abbastanza poco in questo ritorno – ha detto sinceramente Giuseppe – è stata una trattativa tra Vinokourov e lui, ma chiaramente mi fa piacere. Io in questa fase sto gestendo altre cose, sono più impegnato con questioni logistiche, senza contare che sono diventato nonno per la seconda volta per la nascita di Alice. E anche per questo ho lavorato anche per mia figlia (Francesca, che cura appunto la logistica dei turchesi, ndr)! Riprendendo Ballerini, Vinokourov ha ha fatto una scelta intelligente, mirata al presente e al futuro».

Il Ballero (al centro) durante il Giro d’Italia accanto al suo futuro compagno Velasco
Il Ballero (al centro) durante il Giro d’Italia accanto al suo futuro compagno Velasco

Ballerini capitano

Davide Ballerini torna così in “Italia”. Conosce l’ambiente Astana. È partito che aveva 25 anni, vi torna a 30 con più esperienza, più sicurezza e un palmares maggiore. Tutto questo può essere un fattore chiave.

«In Astana – spiega il diesse bresciano – Ballerini avrà tutto lo spazio che vuole, specie in questo momento storico del team in cui non c’è il corridore leader per le corse a tappe. Quindi siamo abituati a cercare di poter fare il massimo con tutti gli atleti, nessuno è chiuso da noi».

E qui il discorso si allarga anche agli altri corridori. Tutto sommato il team kazako per l’immediato futuro non è messo male. Velasco è migliorato molto. Battistella, Garofoli e Scaroni possono fare bene. Senza dimenticare Gazzoli. E poi c’è Lutsenko e ora, appunto, anche Ballero.

«Guardiamo Velasco – prosegue Martino – lui ha avuto spazio e lo ha avuto per tutto l’anno. Questo è stato un bene per lui. Niente vincoli, tanto che è cresciuto fino a vincere il campionato italiano.
Idem, Scaroni. Lui ha avuto il Covid due volte. E tanti dei nostri hanno avuto una sfortuna simile».

Ballerini è più maturo dicevamo e Martinelli lo sa bene. Non a caso insiste sul discorso del sapersi muovere tra gli equilibri di una squadra e magari prenderla in mano. Perché anche se alla Soudal-Quick Step Davide leader non ci è stato spesso, sa però cosa vuole un leader e cosa gli serve. Sa come si preparano, anche nei dettagli tecnici, certe corse del Nord.

«Davide – va avanti Martino – ha toccato con mano la realtà di team forte, il più forte in quasi tutte le corse che faceva, da quelle a a tappe con Evenepoel, alle classiche soprattutto, anche se negli ultimi due anni non sono riusciti ad essere protagonisti al 100 per cento, come erano abituati a fare. E questo è molto importante».

«Per questo dico che Ballerini può essere il faro dell’Astana che verrà. Potrà essere aiutato da Fedorov, Gruzdev… gente che se ha un corridore buono da supportare magari riesce a fare qualcosa in più anche per sé stessa».

L’esperienza come gregario al Nord per gente come Alaphilippe potranno aiutare il comasco (foto Instagram)
L’esperienza come gregario al Nord per gente come Alaphilippe potranno aiutare il comasco (foto Instagram)

Nuova Astana

Vinokourov non troppi giorni fa ci aveva parlato della nuova veste della sua squadra: un’Astana garibaldina, a caccia di classiche e tappe.

Martinelli vede bene Ballerini anche per le tappe dei grandi Giri. E al suo fianco potrebbe avere un altro pezzo da novanta, Gianni Moscon, anche se sul suo futuro non si sa ancora molto.

«Non so cosa farà Moscon – va avanti Martinelli – non ho lista definitiva degli atleti del prossimo anno e come ha detto anche Vino ci saranno grandi cambiamenti. In questi due anni abbiamo pagato tantissimo le sfortune di salute, ma anche la campagna acquisti 2021. Corridori che per noi dovevano essere importanti come Moscon, De La Cruz, Dombrowski… non hanno dato molto poco».

Ballerini invece è pronto. «Partiamo dal presupposto che quando è andato via io e la squadra eravamo dispiaciuti. Ma all’epoca lui voleva fortemente la Quick Step. Fece una scelta di squadra e non economica. Voleva quel team forte per certe corse… Sentiva che gli serviva quella squadra, non quel tipo di squadra. Ora il suo ritorno avrà un certo impatto. E per me non avrà paura di essere un leader».

Con l’Astana è cresciuto, ora dal suo ritorno ci aspetta quello per cui ha lavorato in Belgio alla corte di Lefevere.

«Io – conclude Martinelli – dico che potrà puntare ad una semiclassica, ad una classica, alle tappe di un Giro… Davide sa che qui ha il suo spazio, che c’è gente che gli vuole bene e che non voleva andasse via all’epoca. E infatti alla prima occasione… rieccolo. È stato intelligente Vinokourov a riprenderlo e lui a tornare».

Persico quinta nell’europeo donne targato SD Worx

24.09.2023
5 min
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L’Olanda trionfa in casa e conserva la maglia di campionessa europea grazie alla stoccata solitaria di Bredewold. Una buona Italia finisce quinta con Persico, ma ci sono due episodi che nel finale hanno deciso la gara di Drenthe per le ragazze del cittì Paolo Sangalli.

Il primo è la caduta di Elisa Balsamo in discesa a circa 13 chilometri dalla fine, pochi metri dopo che era iniziato l’ultimo giro e proprio quando si era formato il gruppo buono che si sarebbe giocato la vittoria sul Vamberg. Il secondo è lo scatto secco ed in contropiede della nuova campionessa continentale quando mancavano 10 chilometri senza che nessuna avversaria potesse prenderle subito la ruota. In quel frangente le olandesi hanno coperto la compagna mentre Persico e Cecchini – entrambe generose nel resto della corsa ed uniche azzurre rimaste davanti – hanno dovuto riorganizzarsi per cercare di giocare al meglio le proprie carte.

Finale concitato

L’europeo è finito da mezzora e Persico è subito disponibile come sempre per fare due chiacchiere al telefono sull’andamento della gara. A tre secondi dalla vincitrice, Wiebes anticipa Kopecky nello sprint ristretto per l’argento completando così un podio tutto griffato SD Worx. Appena dopo la bergamasca della UAE Team Adq finisce dietro la britannica Georgi.

«L’ultimo giro lo abbiamo fatto forte – analizza Persico dall’altra parte della cornetta – e diventava difficile poter fare la differenza. Noi italiane abbiamo corso bene, con lo spirito giusto. Ci è mancata la buona sorte. Anzi mi spiace tanto per Elisa (Balsamo, ndr) che quest’anno è stata davvero tanto sfortunata. Lei aveva fatto molto bene a seguire Reusser sullo strappo finale al penultimo giro. Una come la svizzera non puoi lasciarla andare via facilmente. Poi quando ho vista a terra Elisa non è stata una bella visione (riporterà solo abrasioni, ndr).

Balsamo sull’asfalto

«Ho avuto un momento – prosegue Persico – che sembrava eterno nel quale non sapevo cosa fare. L’istinto è stato quello di fermarmi per aiutarla perché era lei la nostra punta designata. Ma ho anche pensato che avevamo iniziato l’ultimo giro e davanti stavano già accelerando. Così ho deciso di andare avanti e a scegliere con Cecchini cosa fare. Elena è stata bravissima per tutta la corsa e anche nell’aiutarmi nel finale.

«L’Olanda ha deciso di giocarsela così, un po’ sorpresa – prosegue – anche se non sono molto convinta che siano contente del risultato della corsa. Questa è stata la mia impressione. Dopo che è andata via Mischa (Bredewold, ndr), dietro le altre hanno iniziato a scattare a turno e le olandesi oltre a stopparci provavano a rilanciare l’azione tirando a loro volta. Comunque hanno sfruttato la superiorità numerica ed Elena ed io onestamente non potevamo fare di più. Ci siamo alternate nel seguire gli scatti ma dovevamo fare i conti anche con la poca brillantezza».

Parziale riscatto azzurro

L’europeo doveva essere anche l’occasione per cancellare la prova più opaca del solito del mondiale di Glasgow. Il cittì Sangalli lo aveva ripetuto a più riprese: non deve più succedere che l’Italia non sia presente nelle fasi decisive della corsa, soprattutto quando si muovono certi elementi. Ovvio però che poi bisogna fare di necessità virtù quando la gara si mette su certi binari.

«Personalmente – spiega Persico – stavo meglio rispetto al mondiale e alle ultime settimane. L’arrivo era adatto alle mie caratteristiche e naturalmente avrei voluto raccogliere qualcosa in più, ma era difficile fare meglio. Siamo a fine stagione e la stanchezza si fa sentire. Oggi (ieri per chi legge, ndr) però, come ho detto prima, siamo contente perché abbiamo corso di squadra, unite. Oltre al risultato, era importante la nostra prestazione. Non abbiamo nessun rammarico e direi che rispetto al mondiale ci siamo sicuramente riscattate».

Sul podio a Col du Vam, Bredewold ha preceduto Wiebes e Kopecky: podio tutto per la SD Worx
Sul podio a Col du Vam, Bredewold ha preceduto Wiebes e Kopecky: podio tutto per la SD Worx

«Certamente Paolo (il cittì Sangalli, ndr) ha del disappunto per il risultato – conclude Persico – ma credo anche che sia soddisfatto della nostra prova. Nelle azioni più importanti ci eravamo sempre dentro. Questo è importante. Abbiamo rispettato le tattiche pre-gara anche se poi è difficile rispettarle sempre perché possono esserci tante variabili. Al momento l’Olanda è difficile da battere, loro vanno tutte forte. Però sappiamo batterle. Una volta tocca a noi vincere, una volta a loro. Speriamo che la prossima tocchi a noi. Indubbiamente possiamo fare di meglio, ma mi sento di dire che questo europeo non fa scendere il nostro livello. Non ne usciamo ridimensionate e siamo un gruppo forte».