Al Tour de Langkawi la componente italiana non è poi così piccola. Ci sono vari team, diversi corridori impegnati e alcuni di loro si sono anche distinti,pensiamo soprattutto ai ragazzi della Green Project – Bardiani, guidati da Mirko Rossato.
In Malesia Enrico Zanoncello ha sfiorato la vittoria, è stato leader per un giorno, e bene hanno fatto anche i giovanissimi Conforti e Scalco… Ma in generale si può dire che ad essere vivace sia stata l’intera Green Project. A volte magari anche sbagliando un po’, ma sempre nel vivo della corsa. Di tutto questo ne abbiamo parlato appunto con il diesse Rossato.
Tre corridori della stessa squadra impegnati in volata, un’immagine un po’ insolita. Ma quando ci sono i giovani di mezzo…Tre corridori della stessa squadra impegnati in volata, un’immagine un po’ insolita. Ma quando ci sono i giovani di mezzo…
Mirko, una Green Project attiva dicevamo…
Direi di sì. Siamo stati sfortunati con Luca Covili che nel giorno di Genting Highlands (arrivo in quota, ndr) ha forato. E lo stesso con il giovane Matteo Scalco che ha avuto la febbre la sera prima di quella tappa. Buone cose ha fatto anche Lorenzo Conforti. Zanoncello è andato vicino alla vittoria. Venivamo dal Tour of Taihu Lake, in Cina, e anche lì avevamo corso bene.
Più di una volta abbiamo visto diversi piazzamenti nei primi dieci se non nei primi cinque, dei tuoi atleti. Visto che la cosa si è ripetuta era un ordine di squadra?
Si è ripetuto più volte perché i sincronismi non sono ancora ottimali. Davide Gabburo, per esempio, doveva tirare la volata a Zanoncello, ma poi lui ha perso le ruote. Uno lo lanciava a destra e l’altro usciva a sinistra e chiudevano quarto e sesto. La stessa cosa Conforti. Mettiamoci anche che Lorenzo è un giovane: lanciava la volata, ma poi voleva tenere duro fino sulla linea. Non dimentichiamo che fino allo scorso anno era juniores.
Assolutamente, il toscano sta ben figurando…
Quel che sta facendo è buono. Un giorno ha lanciato Zanoncello alla grande. Ha imboccato in testa l’ultima curva e poi ha tenuto fino alla fine, facendo 600 metri di volata. Quel giorno hanno fatto secondo e sesto.
Sfortunato Covili: nell’unica vera salita di tutto il Langkawi ha forato, dicendo addio ai sogni di alta classificaSfortunato Covili: nell’unica vera salita di tutto il Langkawi ha forato, dicendo addio ai sogni di alta classifica
Vedendo che la cosa dei piazzamenti in volata si ripeteva, abbiamo pensato ad una Green Project a caccia di punti.
No, sono pochi quelli in palio nelle tappe. Semmai contano di più quelli per la classifica finale. Ma non era questo il nostro obiettivo in quelle volate.
Hai portato una squadra che è un mix di giovani ed esperti. Esperti con le virgolette, visto la loro età. Scalco e Conforti i due “bimbi”, Tarozzi la via di mezzo e poi i “vecchi” Covili, Zanoncello e Gabburo…
Un po’ la stessa cosa che avevo fatto al Tour of Taihu Lake. Lì avevo tre ragazzi di primo anno. Qui al posto di Paletti, che è rientrato in Italia per preparare il ciclocross, c’è Covili. Ma in generale sono contento dei miei giovani. Più o meno tutti hanno messo nel sacco 45 giorni di gara e per essere dei primo anno va bene.
Conforti in particolare si è distinto. Davvero degli ottimi piazzamenti per lui. Solo in Malesia quattro top 10 nelle prime quattro tappe e anche in Cina un secondo posto. Che corridore è?
E’ un corridore veloce, ma non un velocista. Vedo che tiene bene nelle salite non troppo lunghe. Per me è da classiche. Il prossimo anno potrà essere tra i protagonisti assoluti della categoria under 23. E’ cattivo, ha il piglio giusto… Non ce ne sono tanti che si sanno muovere in quel modo in gruppo e in volata a quell’età (parliamo di un classe 2004, ndr).
Manuele Tarozzi (classe 1998) in azione al LangkawiManuele Tarozzi (classe 1998) in azione al Langkawi
Prima hai detto che volevi provare a fare classifica con Scalco, altro 2004, credevamo la facessi con Covili…
Covili era fuori di dubbio, lo davo per scontato. Era lui il nostro uomo per la generale, ma non era facile. Qui in Malesia c’erano un solo arrivo in salita e una tappa un po’ più mossa, per il resto tutta pianura. Spiace perché nella tappa più dura, a metà salita, ha forato. Volevo provare anche con Scalco più che altro per vedere doveva poteva arrivare, mentalizzarlo a tenere duro, a stare attento tutti i giorni. Lui al contrario di Conforti lo vedo per le corse a tappe.
Ultima domanda Mirko, cosa ti è sembrato del livello medio, e quindi delle prestazioni dei tuoi, in questo Langkawi?
E’ una corsa a tappe di otto giorni e non è poco. Serve molto a questi ragazzi. Il livello medio è molto buono e direi piuttosto elevato per quel che riguarda i velocisti. Io poi sono un ex sprinter e ho sempre un certo occhio per le ruote veloci. Ho visto ragazzi molto interessanti, come questo George Jackson, fortissimo. Anzi, per me il più forte. Ex pistard, alto, capello alla Cipollini… Tra l’altro la sua squadra, la Bolton, non ha sponsor per il prossimo anno: prenderlo sarebbe un’occasione. E poi ci sono De Klein della Tudor, Babor della Caja Rural… insomma molti profili davvero interessanti.
Alla vigilia dei mondiali di Stirling, la città alle porte di Glasgow in cui si sono corse le crono, Dario Cioni venne a dirci che avrebbe seguito Tarling e di guardarlo con attenzione. Bastò aspettare poche ore per applaudirlo sul terzo gradino del podio, con tanto di investitura da parte di Ganna. Filippo disse infatti di non essere particolarmente stupito del risultato e che quando il giovane avrà perso quei 4-5 chili di troppo, diventerà davvero un brutto cliente.
Tarling è quel ragazzino di Aberareon, sulla costa occidentale del Galles, che lo scorso anno a Wollongong vinse il mondiale crono degli juniores e poi fu fatto passare alla Ineos Grenadiers. A distanza di 40 giorni dal podio scozzese, il giovane britannico (ha compiuto 19 anni il 15 febbraio) ha vinto il campionato europeo della cronometro, con il passaggio intermedio della vittoria al Renewi Tour. A questo punto Cioni è diventato un interlocutore obbligato. Che cosa sapeva già quel giorno di agosto? Glielo abbiamo chiesto, anche perché giusto due giorni fa di Tarling aveva parlato anche Elia Viviani, indicandolo come uno dei giovani che più ama imparare dall’esperienza dei grandi.
Lo scorso anno a Wollongong, Tarling ha vinto il mondiale juniores della crono. Classe 2004, è alto 1,94 per 78 chiliLo scorso anno a Wollongong, Tarling ha vinto il mondiale juniores crono. Classe 2004, è alto 1,94 per 78 chili
E’ davvero così attento?
Su alcune cose sì, su altre c’è un po’ più da lavorare, tipo la disciplina in allenamento. Però al momento, su tutto quello che riguarda la cronometro è una spugna.
Si era visto subito che potesse già essere vincente nei pro’?
Sì, avendo notato che durante l’anno è anche migliorato. Nella crono di Besseges, la prima gara da professionista, ha fatto secondo dietro Pedersen. In pratica ha confermato subito non solo la sua predisposizione, ma il fatto che potesse essere competitivo. E poi comunque ha vinto il campionato nazionale, la crono al Renewi Tour e ha vinto l’europeo. Ha fatto secondo dietro Ganna al Vallonia… Insomma, è tanta roba, perché ha fatto anche terzo al mondiale. E’ entrato subito nell’elite dei cronometristi. Io pensavo che sarebbe arrivato al livello dei migliori entro un paio d’anni, che avrebbe potuto vincere in qualche gara minore, ma ad esempio che non fosse ancora in grado di ben figurare nello scontro diretto con Kung. Invece al mondiale è arrivato terzo alla presenza di tutti i più forti, mentre all’europeo ha vinto. Mancavano Remco, Roglic e Ganna, però c’erano diversi specialisti, quindi penso che si sia guadagnato subito un posto fra i primi 5-6 al mondo.
Quando una squadra come la vostra prende un ragazzo così giovane, in che modo lo gestisce, non avendo un devo team?
Il suo caso forse è particolare, perché a inizio stagione ha corso un pochino più rispetto ai programmi. Ad esempio ha fatto la Parigi-Nizza che non era prevista. Ha fatto il UAE Tour che non era previsto, però per l’inizio di stagione andava bene. Si sono aperte un paio di porte per partecipare a queste corse, per fargli fare l’esperienza, ovviamente senza mettere nessuna pressione. Però poi, per esempio, dopo la Parigi-Nizza è stato alle classiche con la squadra per tutto il tempo, ma ha fatto solo un paio di gare e poi ha avuto un periodo più tranquillo.
A Sluis, seconda tappa del Renewi Tour, Tarling ha vinto la cronoA Sluis, seconda tappa del Renewi Tour, Tarling ha vinto la crono
Comunque un calendario importante.
Ma non troppo intenso. Si è cercato di dargli un mix fra gare in cui poteva fare esperienza e gare in cui magari provare a fare risultato, come il Renewi Tour, dove eravamo andati proprio con l’intenzione di vincere la crono. Idem al Vallonia, ma lì era difficile vincere perché c’era Filippo. Anche i campionati nazionali erano un obiettivo prestazionale legato alla crono. E’ una specialità in cui si sente a suo agio, invece non è mai stato messo un obiettivo relativo a una corsa a tappe.
Ha dovuto lavorare tanto per la posizione oppure gli viene naturale?
Questa posizione è il frutto di un lavoro fatto l’anno scorso da junior in vista dei mondiali. Lo avevamo guidato sia da un punto di vista biomeccanico sia aerodinamico. Quest’anno il primo intervento l’abbiamo fatto la settimana prima degli europei, ma proprio aggiustamenti minimali in galleria del vento. Qualcosina è cambiato, ma pochi dettagli, tant’è che si è adattato subito alla nuova posizione. E’ uno che trova facilmente la posizione, perché fin da allievo la sua passione è sempre stata la cronometro. In Inghilterra c’è la cultura dei ritrovi che organizzano la domenica, in cui fanno gare a cronometro sulle 10 miglia, 20 miglia, 30 miglia e 40 miglia. E lui ha partecipato spesso.
Che cosa intendevi parlando di disciplina in allenamento?
Ha un grosso margine di miglioramento da quel punto di vista, per questo stupisce la sua prestazione a cronometro. Secondo me questo margine è maggiore su strada che a cronometro, perché essendo lo sforzo più breve ma intenso, va bene per il suo modo attuale di allenarsi. Non fa volume, uno degli obiettivi per l’anno prossimo è aumentare. Al momento è nella fascia super bassa di volume rispetto ai compagni di squadra, però non lo vedo come un male, anzi.
Tarling ha vinto l’europeo dei professionisti a 19 anni, dopo il bronzo ai mondialiTarling ha vinto l’europeo dei professionisti a 19 anni, dopo il bronzo ai mondiali
Una scelta dettata dai 19 anni?
Non necessariamente. Trovi il giovane che vuole fare 5-6 ore, lui invece no. E’ più facile che faccia qualcosa in meno che qualcosa di più. Bisogna lavorare anche sulla struttura degli allenamenti perché ancora non è precisissimo nell’esecuzione. E poi c’è il discorso del peso, un’altra di quelle cose per cui dico che ha margine.
Dove vive Tarling?
Ad Andorra, infatti seguirlo in allenamento è la parte più complicata. Tendenzialmente per vederlo cerco di andare alle gare dove corre anche lui, anche se ad Andorra abbiamo un altro coach che può seguirlo in certi allenamenti. Però bisogna che impari un po’ anche lui, perché l’allenamento è per il loro bene, non per il mio. E questo è un altro dei miglioramenti che vogliamo ottenere l’anno prossimo da lui.
Quando è con Ganna cerca di rubargli il mestiere?
Fra i due non c’è una grossa differenza di età. Pippo dice che è il suo corridore preferito, quindi secondo me se ci passa tempo insieme e lui guarda quello che fa Filippo, impara tanto. Però non è neanche che ti sfinisca di domande.
Agli europei U23 di Anadia, Tarling terzo nell’inseguimento individuale, dietro Charlton e VandenbrandenAncra gli europei U23 di Anadia e vittoria nel quartetto con Charlton, Giddings e HobbsAgli europei U23 di Anadia, Tarling terzo nell’inseguimento individuale, dietro Charlton e VandenbrandenAncora gli europei U23 di Anadia e vittoria nel quartetto con Charlton, Giddings e Hobbs
E’ vero secondo te che Tarling diventerà una minaccia per Ganna?
Secondo me fra qualche anno saranno pari. Poi starà a chi si adatta meglio alle novità tecniche, a chi sarà più bravo. Entrambi hanno margine, mettiamola così. Sulla crono Tarling è già okay, ai massimi livelli. Se fosse allo stesso livello su strada, avrebbe molto meno margine. Invece nella crono è già molto spinto, perché comunque la posizione è buona, il materiale è buono, l’esecuzione è buona. Capisce molto bene anche tutta la strategia di pacing. E’ molto preciso anche lui nelle ricognizioni, una cosa che ha in comune con Filippo. A cronometro ha molto meno margine rispetto alla strada.
Il 2024 di Tarling sarà ancora prevalentemente incentrato sulla crono?
Siccome sarà l’anno olimpico, la crono per lui può essere un grosso obiettivo, quindi sarà una priorità. La squadra è d’accordo con questa scelta e comunque questo non esclude un certo miglioramento su tutto il resto. Però dal punto di vista della performance, il lavoro sarà concentrato sulla cronometro. E alla luce di questo dovremo valutare il calendario e qui il discorso è strano.
Perché strano?
Perché quest’anno c’è stata una prima parte di stagione dove si faceva fatica a trovare le crono. Poi nella parte finale, quasi tutte le gare ne avevano una, anche un po’ a sorpresa. Ci sono state corse che storicamente non hanno mai avuto una crono, che invece l’hanno inserita. Per me è un bene, sono favorevole alla crono in una corsa di 5 giorni.
Al Renewi Tour, Tarling ha vinto la crono, ma sul Muur ha pagato con 9’47” di ritardoAl Renewi Tour, Tarling ha vinto la crono, ma sul Muur ha pagato con 9’47” di ritardo
Può diventare un corridore da classiche come Ganna oppure ha altri sviluppi davanti a sé?
E’ più leggero di Pippo (78 chili, contro gli 83 di Ganna, ndr), ma può scendere ancora. Per cui se mi diceste che fra 5-6 anni si proverà a fare classifica in una corsa a tappe, anche un grande Giro ma con il percorso giusto, non mi stupirei, anche se dobbiamo ancora vedere come recupera nelle corse a tappe. Una Tirreno fra qualche anno secondo me potrebbe essere alla sua portata. Mentre Filippo ha dimostrato di essere più veloce. Anche a Joshua piacciono le classiche, però non so se diventerà uno specialista.
Forse è troppo giovane perché si possa dirlo?
Probabilmente. Se uno pensa dov’erano Wiggins e Thomas alla sua età, è più facile fare un percorso simile al loro con Joshua che con Filippo. Lo vedrei tenere bene sulle salite fino al 7-8 per cento. Quest’anno, per esempio, al UAE Tour non è andato male. Ha fatto il suo lavoro di supporto, però nella prima tappa di salita, che era pedalabile, si è difeso bene.
Cosa farà nel prossimo inverno?
La stagione finirà ora in Croazia e poi farà la Crono delle Nazioni, perché potrà partecipare assieme al fratello minore, che corre anche lui. Ci sarà tutta la famiglia, che è molto presente, quindi sarà un obiettivo, ma anche una festa. Poi probabilmente dovrebbe staccare subito. Quello che si sta considerando è il discorso della pista. Nelle categorie giovanili l’aveva praticata, quest’anno invece l’aveva lasciata da parte con il cambio di categoria. Però ha partecipato agli europei U23 e ha fatto terzo nell’inseguimento individuale e hanno vinto quello a squadre. Ora si sta valutando di reinserirla e se questo va in porto, comincerà al Tour Down Under, in modo poi da partecipare alla Coppa del mondo in Australia.
Alla CRO Race, Tarling ha festeggiato la vittoria di VivianiAlla CRO Race, Tarling ha festeggiato la vittoria di Viviani
Avendo l’obiettivo olimpico?
Le convocazioni non sono state ancora ufficializzate, però per il discorso delle quote limitate, avere corridori che fanno molte discipline può essere utile. Bisognerà solo valutare il suo livello rispetto agli altri. Per il resto, io ho sempre sostenuto l’utilità della pista anche in proiezione della strada. Lui si era un po’ allontanato, probabilmente ora si sente un po’ più a suo agio. E intanto la Federazione inglese osserva. Visto però che avevo ragione e valeva la pena seguirlo?
Giulio Ciccone è pronto ad affrontare il suo ultimo blocco di gare del 2023. L’abruzzese sarà di scena domani al Giro dell’Emilia, quindi Tre Valli Varesine e Giro di Lombardia. In realtà poi il suo programma prevede anche l’appendice asiatica della Japan Cup.
Il corridore dellaLidl-Trek è rientrato in gara dopo le fatiche del Tour de France e lo ha fatto al Giro di Lussemburgo, anche se prima c’era stata la parentesi del Trofeo Matteotti. Come ha lavorato dunque Ciccone nel suo post Tour? Cosa ci possiamo attendere? Ce lo ha detto Giulio stesso… E lo ha fatto con un tono brillante che ci ha lasciato davvero una piacevole impressione.
Giulio Ciccone (classe 1994) in maglia a pois a Parigi con sua moglie AnnabrunaGiulio Ciccone (classe 1994) in maglia a pois a Parigi con sua moglie Annabruna
Giulio, ultime fatiche. Una stagione tutto sommato buona a parte la parentesi del Covid che non ti ha permesso di fare il Giro…
E’ quasi fatta dai! E’ stata una buona stagione, altroché. Io dico sempre che se non avessi preso il Covid non avrei vinto la tappa al Delfinato, non sarei andato al Tour e non avrei portato a casa la maglia a pois. Magari se fossi andato al Giro d’Italia chissà cosa avrei fatto. Questi intanto sono stati risultati concreti.
Partiamo proprio dalla fine del Tour: come è andata?
La settimana successiva alla Grande Boucle sono stato ancora in giro per mezza Europa per i circuiti, avendo vinto la maglia c’erano questi impegni. Quindi mi sono riposato una settimana, una settimana scarsa. Ne avevo bisogno. Avendo cambiato i piani nel corso della stagione sono arrivato a fine Tour che ero davvero stanco.
E come hai lavorato?
Ho fatto una parte di giorni, 5-6, di riposo assoluto, poi qualche piccola uscita e dal 10 agosto ero di nuovo nel pieno degli allenamenti. Non sono andato in altura. Subito dopo il Tour, Bennati mi ha chiamato e mi ha detto del Matteotti. Io ho accettato immediatamente. Sapevo che qualche gara mi serviva e l’ho vista come un’ottima occasione. E infatti è stata ottima per tornare a fare un po’ di ritmo. E poi era anche un po’ la corsa di casa.
Ciccone è tornato in gara al Matteotti (in azzurro), vale a dire 55 giorni dopo la fine del Tour (foto Instagram)Ciccone è tornato in gara al Matteotti (in azzurro), vale a dire 55 giorni dopo la fine del Tour (foto Instagram)
Il Matteotti si è tenuto il 17 settembre, a seguire c’è stato il Lussemburgo: che sensazioni hai avuto? Hai riconosciuto la gamba “fotonica” del Tour?
Riprendo il discorso del cambio dei piani nel corso dell’anno. Dopo il Tour mi serviva quel periodo di stacco e il Lussemburgo lo abbiamo preso proprio per fare ritmo. L’ho disputato in un’ottica di carico di lavoro. E tutto sommato le sensazioni sono state buone nonostante il livello alto. I valori non erano malvagi, ma come detto, mancava il ritmo corsa. E quella gara era perfetta: cinque tappe, l’ultima delle quali a sei giorni dall’Emilia, percorsi vallonati con salite brevi… L’unico piccolo rammarico è che nei giorni più difficili faceva freddo, c’erano sette gradi e pioveva, e in questi casi è difficile testarsi o avere indicazioni precise.
Sei giorni tra Lussemburgo ed Emilia: come li hai gestiti?
Nei primi due ho continuato a recuperare, ma andando in bici: senza avrei avuto l’effetto opposto e il Lussemburgo anziché farmi bene mi avrebbe fatto male. Poi ho fatto un giorno di lavoro intenso e quindi in questi ultimi due giorni prima dell’Emilia ancora recupero, scarico. In bici ovviamente. Alla fine non ho fatto molto (esattamente il discorso che faceva Notari qualche giorno fa, ndr).
Giro dell’Emilia: cosa ci possiamo aspettare da Giulio Ciccone?
L’Emilia è una di quelle gare che mi piace tanto, ma proprio tanto… devo però ancora capire se è adatta a me! Certo, con i corridori che ci sono quest’anno è dura, soprattutto per essere a fine stagione. Però io ho lavorato bene e anche di testa sono propenso, sono motivato. E in questa fase della stagione magari si riesce a cogliere qualcosa di più proprio perché si ha voglia. Mettiamola così: le aspettative sono buone, il risultato vedremo.
Al Lussemburgo un buon lavoro, peccato per il freddo in un paio di tappe chiaveAl Lussemburgo un buon lavoro, peccato per il freddo in un paio di tappe chiave
Fai lo stesso discorso per il Lombardia?
E’ un po’ diverso perché il Lombardia è l’obiettivo grande, grande. Arriva alla fine e lo si prepara come fosse un mondiale… ma è così per tutti. Io mi aspetto di stare bene.
Preferivi il finale più duro di Como o quello più classico di Bergamo che andrà in scena il prossimo 7 ottobre?
A me piace di più questo di Bergamo. Primo, perché sono strade che conosco molto bene (Ciccone è stato alla Colpack, team bergamasco, ndr). Secondo, perché l’arrivo a Bergamo presuppone un tracciato diverso, con salite più lunghe e regolari prima. Vero, il finale di Como è più duro, ma anche più esplosivo se vogliamo, mentre qui c’è lo strappo della Boccola (Bergamo Alta, ndr), ma come ho detto ci si arriva facendo scalate più lunghe. E’ una corsa diversa.
Allora vedremo Ciccone fare a “sportellate” con Pogacar!
Il Lombardia è il mio grande obiettivo. In questa corsa ho colto un quinto posto nel 2020. La condizione c’è, manca ancora qualcosa e spero di trovarla con Emilia e Tre Valli Varesine. Se tutto va come deve andare sarò competitivo come voglio io.
Francesca Selva la incontrammo lo scorso novembre a Noto, nel ritiro della nazionale della pista. Spigliata e diretta, ci raccontò la passione per la pista: il vero centro della sua attività di atleta. Nel resto del tempo lavorava per T°Red che produce le bici su cui correva. Tuttavia dopo la Coppa del mondo del Cairo le cose hanno preso una piega diversa. La sua strada si è divisa da quella dell’azienda di Montichiari e in poche settimane, rimboccandosi le maniche, Francesca si è inventata una nuova dimensione. Alla fine c’è riuscita. E pochi giorni fa, al culmine della stagione così raddrizzata, ha ricevuto la convocazione in cui non osava più nemmeno sperare.
«Mi hanno invitata alla Champions League della pista – sorride la veneziana (in apertura, foto Marc Goyvaerts) – ed è stata una sorpresa. Quest’anno non avevo nemmeno provato a entrare, perché su 18 posti, 12 erano esclusiva per i podi del mondiale. E io il mondiale l’ho visto dal divano di casa, quindi evidentemente non potevo esserci. Però c’erano sei wild card in tutto il mondo a discrezione dell’organizzazione. Neanche venti giorni fa la mia compagna ha detto che l’avevano contattata per andare e, visto che insieme facciamo tutto il calendario della pista, ormai gli organizzatori ci conoscono. Così ho provato a scrivere a quelli della Champions. Mi hanno riposto dopo un paio d’ore che mi avrebbero fatto sapere la settimana successiva. Io ero a correre in Danimarca, era un venerdì e il mercoledì successivo mi ha scritto questo ragazzo. E mi ha detto che ero stata presa. Ho pianto per venti minuti…».
Selva-Vitillo: la coppia della madison che ha corso al Cairo nella Coppa del mondo 2023Selva-Vitillo: la coppia della madison che ha corso al Cairo nella Coppa del mondo 2023
Come mai?
Perché era un sogno poter andare, ma non lo avrei mai immaginato, soprattutto dopo l’anno che ho passato. Se me l’avessero detto 2-3 mesi fa, non non ci avrei creduto e tutt’ora faccio fatica a realizzarlo. Penso che non lo realizzerò finché non sarò lì a correre. Per me è un grandissimo obiettivo. C’è chi magari va per i soldi, per me che in questo lavoro investo il mio tempo e i miei soldi, è il riconoscimento di tutto quello che sto facendo.
Che stagione è stata finora questa per te?
Ci siamo visti in Sicilia. Dopo quel ritiro ho continuato a correre in inverno. Ho vinto un po’ di gare e a gennaio ero al ritiro con la nazionale a Calpe e poi ho fatto tutto il lavoro invernale in pista a Montichiari con la nazionale. Mi sono veramente resa conto di cosa voglia dire lavorare a quel livello. Soprattutto girare con il quartetto, una disciplina che non amo, a livello di allenamento è stata molto utile. E poi sono andata in Coppa del mondo al Cairo. Ho fatto la madison con Matilde Vitillo: lei giovane che doveva fare un po’ di esperienza, io più esperta. E anche se non abbiamo fatto risultati importanti, è sempre bello rappresentare la nazionale.
Francesca Selva e Amalie Winther Olsen sono presenze fisse nelle gare su pista. Ora la ChampionsFrancesca Selva e Amalie Winther Olsen sono presenze fisse nelle gare su pista. Ora la Champions
Dopo il Cairo però, c’è stata una battuta d’arresto.
Sì, perché la mia strada e quella della squadra si sono divise e questo mi ha tenuto fuori dalle gare per circa 3-4 mesi. Sono tornata a correre alla Sei Giorni di Fiorenzuola, che si fa a luglio. Ovviamente il periodo non è stato dei migliori, non mi stavo neanche allenando perché non avevo certezza su quando sarei potuta tornare in bici. A Fiorenzuola ho partecipato sempre con la mia compagna danese, con cui faccio tutte le gare, e da lì ho iniziato a correre tantissimo. Praticamente la mia stagione è stata di due mesi e mezzo, ma facevo tre gare su strada alla settimana.
Con quale maglia?
Mi sono unita a un team continental irlandese che si chiama Team Torelli e ha sede in Belgio. Praticamente ho fatto due mesi fissa lassù e mi spostavo solo per andare a correre su pista. Non mi danno materiale, mi arrangio con tutto. E’ una squadra piccola, però molto conosciuta, quindi ha inviti per tutte le gare, anche molte WorldTour. Non avendo un grande main sponsor, ci arrangiamo. Però per me è un vantaggio, perché mi permette di essere libera, di scegliermi il calendario e gestirmelo come preferisco. Mi permette di fare l’attività su pista come voglio io, ma al tempo stesso di fare gare importanti su strada, che mi fanno soffrire come non avevo mai sofferto prima e quindi per crescere va benissimo.
Alla Schaal Sels Merksem in Belgio, Selva a ruota di Kopecky che vincerà. Per l’azzurra, il sesto posto (foto Marc Goyvaerts)Alla Schaal Sels Merksem in Belgio, Selva a ruota di Kopecky che vincerà. Per l’azzurra, il sesto posto (foto Marc Goyvaerts)
Hai fatto anche un sesto posto alla Schaal Sels Merksem…
E c’era anche Lotte Kopecky dopo il mondiale. Ho fatto due mesi lassù e nel mezzo ho buttato appunto un po’ di gare su pista in giro per l’Europa. Sono contenta che abbiamo avuto bei risultati anche su strada, che è stata una sorpresa. Ormai erano cinque anni che non correvo più seriamente su strada. L’anno prossimo sicuramente farò più gare, sempre in ottica di allenarmi per la pista, però chiaramente una volta che ho il numero sulla schiena corro sempre per cercare di vincere.
Sembra di risentire Rachele Barbieri due anni fa, quando correva in una piccola squadra. Va bene questa dimensione o ti piacerebbe trovare una squadra più grande?
Per ora mi va bene così, soprattutto perché fino ad ora non avevo mai realizzato di poter correre su strada. Mi ha sempre un po’ annoiato, quindi penso di dover fare almeno una stagione per capire se effettivamente posso pensare di insistere o se sia meglio che resti in questa dimensione. Passare in una squadra più grande darebbe magari disponibilità economica, ma non mi lascerebbe libera di vivere il ciclismo come adesso. Sono molto felice e tranquilla, perché faccio quello che mi piace. Sono io che ci investo e sono io che scelgo cosa fare, quindi chiaramente sono coinvolta al 200 per cento. La mia paura di andare in una squadra più grande è quella di trovarsi i classici paletti, che sono anche normali, perché alla fine sarebbe un lavoro.
Nel 2023 ha vinto il Gp Tufo in Repubblica Ceca (Jan Brychta Photo)Con lei sul podio, la compagna danese Amalie Winther Olsen (Jan Brychta Photo)Nel 2023 ha vinto il Gp Tufo in Repubblica Ceca (Jan Brychta Photo)Con lei sul podio, la compagna danese Amalie Winther Olsen (Jan Brychta Photo)
La Champions League è un riconoscimento, ma anche l’occasione di farsi vedere?
Assolutamente. Ho saputo di poter partecipare neanche 20 giorni fa, quindi chiaramente in un mese e mezzo non diventerò la ragazza più forte del mondo. Però sicuramente è un’occasione preziosa e cercherò di sfruttare le possibilità che ci verranno date. Speriamo anche in un pizzico di fortuna, di essere al posto giusto nel momento giusto. In questi giorni sto correndo in Danimarca, perché tra l’altro Montichiari e chiuso e quindi è l’unico modo di tornare a girare sul legno, perché era dal Cairo che non riuscivo a farlo.
Cosa ti aspetta da qui al debutto?
Un bel blocco di lavoro nel prossimo mese. Sicuramente arriverò pronta e poi speriamo che tutto vada bene.
La nazionale, invece, è qualcosa su cui si può investire?
Ultimamente mi è stato difficile, devo ammetterlo, perché dopo marzo mi sono dovuta trasferire a casa dei miei a Venezia, quindi chiaramente Montichiari mi è abbastanza scomoda, perché sono più di due ore di strada. Però spero di poter tornare in zona per ricominciare ad allenarmi seriamente almeno tutte le settimane. L’anno scorso la differenza che ho notato lavorando con la nazionale è stata abissale, quindi sicuramente tornare più vicino alla pista è una cosa che dovrò prendere in considerazione.
Nemmeno il tempo di finire la Champions League che Silvia Zanardi va in ritiro con la nazionale della pista. Intanto le abbiamo chiesto qualcosa sul 2023
Per chiarezza. Si è chiuso così il post del Team Gauss sulla loro pagina social in cui il presidente Luigi Castelli ha voluto mettere qualche “puntino sulle i” relativamente ad alcune affermazioni che venti giorni fa ci aveva rilasciato Daniele Fiorin sul trasferimento di Federica Venturelli nella formazione veneta ad inizio 2022.
Il diritto di replica non si nega a nessuno ed è stato normale prendere spunto da quelle righe per fare un briciolo di… chiarezza in più sulla questione. Potremmo dire che è una storia tipica dello sport giovanile in generale (o forse solo italiano) già vissuta in passato da qualcun altro e da altre parti. Ma attenzione, vi facciamo un piccolo spoiler. Non c’è nessuna polemica o alcun caso in atto che abbia intenzione di protrarsi. La vicenda è già risolta, chiusa. Questo ce lo conferma con tutta la serenità del mondo lo stesso Castelli, che tuttavia non ha potuto fare finta di nulla, in onore quanto meno di quella attività che svolge dal 1996. E così col dirigente bresciano del Team Gauss ne abbiamo approfittato per ampliare il discorso al ciclismo femminile giovanile e al suo importante passato (in apertura il presidente nel 2014 con Martina Alzini tricolore nell’ominum junior e Maria Vittoria Sperotto terza).
Venturelli in maglia Team Gauss nel 2022. Per lei sei vittorie su strada, compreso il tricolore a crono (foto ufficio stampa)Venturelli in maglia Team Gauss nel 2022. Per lei sei vittorie su strada, compreso il tricolore a crono (foto ufficio stampa)
Dovere di presidente
«Quando ho letto il vostro articolo – ci spiega Castelli al telefono – sono rimasto piuttosto spiazzato da ciò che aveva detto Daniele. Anche presidenti o diesse di altre formazioni mi hanno scritto o chiamato dicendomi che pure loro erano straniti.Non mi sono arrabbiato e non lo sono nemmeno adesso, anche perché ormai ci si può fare poco o nulla.Delle sue parole mi ha dato solo fastidio la concezione che è passata della Gauss, come di una squadra non ritenuta all’altezza. Io l’ho intesa così. Magari posso pure essermi sbagliato però mi si doveva concedere il fatto di chiarire alcuni passaggi imprecisi a scanso di equivoci.
«Noi alle spalle – prosegue il presidente della Gauss – abbiamo una bella storia fatta di vittorie di prestigio anche tra le elite, tra 2006 e il 2012. I primi in abbinamento con Chirio e FRW, gli ultimi quattro da soli. Nel nostro palmares ci sono il bronzo olimpico con Guderzo nel 2008 e l’oro mondiale con Bronzini nel 2010, giusto per citare i successi più importanti. Nel 2013 è stata poi una nostra scelta di ripartire dalle junior quasi da zero e quindi farci nuovamente conoscere. In ogni caso ora non vorrei che si innescasse un meccanismo dove controbattono le mie dichiarazioni perché non voglio che la questione diventi molto più grande di quella che è. Ognuno ha detto la sua opinione e siamo a posto così. Io di sicuro lo sono».
Bronzini corre per il Team Gauss nel 2010 e a fine anno conquista il mondiale di GeelongAlzini è stata al Team Gauss nel biennio 2014-15, vincendo tre gare su strada e due italiani in pista (foto facebook) Bronzini corre per il Team Gauss nel 2010 e a fine anno conquista il mondiale di GeelongAlzini è stata al Team Gauss nel biennio 2014-15, vincendo tre gare su strada e due italiani in pista (foto facebook)
Un altro chiarimento. Venturelli nel 2022 in alcuni ordini d’arrivo compariva come Team Guass e in altri come Cicli Fiorin. Ci sono stati problemi di comunicazione in questo senso?
L’anno scorso avevamo fatto un’affiliazione plurima. A quella classica in Veneto ne avevamo aggiunta una in Lombardia per quattro atlete visto che c’era ancora il vincolo di non poterle fare uscire dalla regione. Eravamo stati chiari fin da subito visto che il budget e le spese erano coperte interamente dal Team Gauss. I nostri comunicati sono sempre usciti con il nome Gauss Fiorin, perché ci chiamavamo così. Purtroppo non era così per le convocazioni di Federica in nazionale. Lo abbiamo segnalato fin da subito pur adeguandoci alla situazione per il quieto vivere di tutti. Solo da fine giugno abbiamo visto che veniva indicato il nome corretto negli ordini d’arrivo.
C’era mai stata la possibilità di trattenere Venturelli anche per questa stagione?
Avevamo un accordo di base col padre e con lo stesso Fiorin, però noi non potevamo garantire ciò che le davano da altre parti in termini economici. La mia filosofia nelle junior è sempre stata quella di non fare differenze tra le ragazze e di ottimizzare il nostro budget a disposizione. Naturalmente Federica l’avremmo voluta tenere volentieri, ma non era possibile a certe condizioni. Lei è davvero qualcosa di fenomenale. Siamo contenti di averla avuta così come lo siamo per i suoi successi e la sua crescita attuali. Tifiamo per lei e speriamo che possa raccogliere ancora tanti risultati da U23 ed elite.
Carola Ratti (al centro) con la nazionale junior ha conquistato il bronzo mondiale nel team sprintCarola Ratti con la nazionale junior ha conquistato il bronzo mondiale nel team sprint
Ci sembra di capire che diventa difficile fare ciclismo giovanile, specialmente le juniores. E’ realmente così o è solo una impressione sbagliata?
Partiamo dal presupposto che in questa categoria devi gestire atlete il cui rendimento ha curve… gaussiane, se mi concedete il gioco di parole (sorride, ndr). Ed è normale che sia così. Ammiro tanto queste ragazze che hanno davvero tanti impegni tra scuola, compiti, vita sociale, famiglia, palestra, allenamenti in bici. Già si vive sempre più immersi nello stress che non possiamo nemmeno noi crearne di ulteriore se i risultati sportivi non arrivano. Per fortuna nostra, Gauss è il nostro sponsor principale dal 1996 e non è assillato dai risultati. Ma è ovvio che ci siano dei problemi che abbiamo più volte segnalato alla federazione. Alcuni regolamenti sono cambiati e non necessariamente in bene. Prima le allieve più forti che passavano juniores venivano distribuite su più squadre in modo da avere un certo livellamento. Ora chi ha più potere economico può prendere le migliori tutte assieme se volesse. Non è finita qua…
La formazione juniores del Team Gauss. Il presidente Castelli è contento per la crescita delle sue ragazze (foto ufficio stampa)La formazione juniores del Team Gauss. Il presidente Castelli è contento per la crescita delle sue ragazze (foto ufficio stampa)
Ci spieghi meglio.
Nel 2024 i numeri delle juniores potrebbero scendere ancora. Valcar e Acca Due O chiuderanno, quindi tante ragazze potrebbero non trovare squadra. E’ impossibile pensare a formazioni da 20 atlete. Già quest’anno avevamo avuto un’avvisaglia quando al campionato italiano c’erano solo 60 partenti. In più c’è il problema dei percorsi troppo duri che sono un deterrente per alcune squadre, proprio per quello che dicevo prima. Alcune atlete sentono il salto di categoria dalle allieve poi magari vanno bene il secondo anno, altre viceversa. Dobbiamo tenerne conto. In questo senso le gare open non aiutano molto, troppa disparità col ritmo delle elite. Al momento le ragazze del Team Gauss stanno crescendo bene e siamo contenti. Carola Ratti ha conquistato un bel bronzo ai mondiali di Cali nel team sprint. Vedremo cosa sarà del futuro ma in generale il ciclismo femminile giovanile deve pensare a non perdere ragazze troppo presto.
Giorgia Bronzini lascia la Trek-Segafredo e va alla Liv Racing. Scelta tecnica e basta? Porta in Olanda entusiasmo e competenza. La seguirà qualche azzurra?
Il finale di stagione di Fausto Masnada scorre lento verso le ultime gare del calendario. Il bergamasco si gode le fatiche e le gioie di essere tornato in gruppo a fare quello che ama di più: pedalare. Per Masnada il futuro ha il sapore dolce della tanto sperata rinascita, ma anche quello amaro dell’addio. Chi saluta però non è lui, ma Andrea Bagioli. I due dopo quattro anni insieme alla Quick Step si saluteranno a fine stagione.
Il gruppo di italiani alla Soudal-Quick Step ha creato una famiglia nella formazione belga. Nella foto manca BalleriniMasada eBagioli, più Cattaneo e Ballerini: una famiglia all’interno della Souda-Quick Step
“Lontani da casa”
Correre in una squadra straniera non è semplice, ci si trova in un contesto differente e lontano da casa. Modi di pensare, di dire e di fare che differiscono a volte dalle abitudini quotidiane.
«Siamo stati in una squadra belga per quattro anni – dice Masnada – in questa stagione di italiani eravamo in 4: Ballerini, Cattaneo, Bagioli ed io. Tra connazionali si lega sempre di più, soprattutto quando si condividono più stagioni insieme. Molti dicono che manca una WorldTour italiana per il prestigio del nostro ciclismo, io dico che manca anche per il divertimento. Lo vedo qui in Soudal Quick Step, dove i belgi hanno creato una grande famiglia, di contro noi italiani abbiamo cercato di formare la nostra piccola famiglia. Quello che ho con Bagioli non è un rapporto di lavoro, ma di amicizia vera, anche al di fuori del ciclismo».
Masnada e Bagioli corrono insieme alla Quick Step dal 2020Masnada e Bagioli corrono insieme alla Quick Step dal 2020
Cosa vi ha portato a legarvi?
Siamo così diversi che alla fine ci siamo trovati, anche grazie al mio modo di fare estroverso. Bagioli è un ragazzo che ti ascolta sempre e ti dà consigli, anche se i calendari spesso sono differenti ci sentiamo spesso al di fuori della corsa. Quello che mi piace di Andrea è che ti cerca e scrive anche quando il ciclismo non c’entra.
Cosa vuol dire essere amici al di fuori della bici?
Che le nostre ragazze si frequentano e sono diventate amiche, ci scriviamo e ci vediamo durante tutto l’anno. Per esempio ora stiamo organizzando le vacanze di fine stagione insieme. In un mondo di gente con il coltello fra i denti è bello avere qualcuno di cui puoi fidarti.
Come si è evoluta questa amicizia?
Ci siamo trovati spesso in camera insieme durante i ritiri. All’inizio lui era più chiuso a causa del suo carattere timido, ma sono riuscito a “scardinarlo”. Bagioli mi ha dimostrato negli anni che mi vuole davvero bene, come in questi mesi difficili dove non ho corso. Lui è stato uno dei pochi, se non l’unico, compagno di squadra che mi ha scritto ed è venuto a trovarmi. Quando ho deciso di operarmi mi ha dato tanto supporto e mi ha detto che secondo lui stavo facendo la cosa giusta.
L’amicizia è andata oltre la bici, i due trascorrono molto tempo insieme anche nel tempo libero, qui insieme alle fidanzateI due trascorrono molto tempo insieme anche nel tempo libero, qui insieme alle fidanzate
Se pensi alla vostra amicizia qual è la prima cosa che ti viene in mente?
Un episodio che ci ha fatto ridere parecchio è stato al Catalunya del 2022, quando ha vinto la tappa di Barcellona. Io nelle prime tappe ero stato male e mi sono ritirato, prima di andare via gli ho detto: “Vinci e dedicami la tappa, ci conto”. Bene, Andrea ha vinto e non ha esultato perché non si era reso conto di averlo fatto, pensava di aver davanti altri corridori. Devo ammettere che mi ha fatto ridere tantissimo.
Un episodio in cui ti ha fatto arrabbiare c’è?
No. E’ troppo moderato per perdere la pazienza, è lui che si arrabbia con me (ride, ndr). Sono io che lo prendo in giro e gli rompo le scatole, sono uno curioso che vuole sapere tutto e dopo un po’, ogni tanto, perde la pazienza.
Nel 2024 avrete una maglia diversa in gruppo, come ti senti?
Sicuramente in gara si può scordare di ricevere un aiuto da me (ride ancora, ndr). Rimarrà però sempre un amico, con certe persone costruisci dei legami di amicizia e lo capisci con il tempo. Non è dopo una stagione in squadra insieme che ti fa legare, ma tutto si costruisce durante gli anni. Dopo tre anni ti accorgi di chi hai davanti e dello spessore umano. Posso dirvi che saremo amici comunque: puoi vestirti come vuoi ma quello che abbiamo passato insieme rimane.
La loro amicizia continuerà nonostante il cambio di squadra di BagioliLa loro amicizia continuerà nonostante il cambio di squadra di Bagioli
Quindi vacanze e allenamenti sempre insieme anche in futuro?
Assolutamente. “Bagio” lo vedo come una di quelle persone che incontrerò sempre nella vita, anche una volta smesso di correre. E’ con lui che mi immagino di uscire a fare una cena insieme alle nostre ragazze o altro.
Speri di non dovervi giocare un arrivo a due allora?
No, no – ride – se arriviamo a fare una volata mi batte, devo staccarlo nell’ultimo chilometro. A proposito, mi è venuto in mente un aneddoto.
Al Giro di Lussemburgo una scommessa su chi sarebbe arrivato davanti nella cronometro, ha vinto MasnadaAl Giro di Lussemburgo una scommessa su chi sarebbe arrivato davanti nella cronometro, ha vinto Masnada
Dicci…
Al Giro di Lussemburgo, prima della cronometro ha voluto fare una scommessa. Mi ha detto che a cronometro mi avrebbe battuto, ovviamente ha perso (ride, ndr). In linea mi può battere, ma a crono non ancora. Avevamo scommesso una cena in aeroporto: bè, ha pagato lui!
Ora correte ancora insieme?
Facciamo Emilia e Bernocchi, poi vediamo se rientreremo nei panni del Giro di Lombardia, ma non sappiamo ancora le convocazioni.
Aspettando di assistere al Giro dell’Emilia, che domani vedrà impegnati le donne e poi gli uomini sul circuito di Bologna, si è fatta avanti una curiosità. In realtà avremmo potuto dipanarla da soli col semplice ragionamento, ma volete mettere il gusto di parlarne con un’atleta? Che differenza c’è tra il Muro d’Huy e la salita di San Luca? Com’è finire una classica su quelle due salite?
Il Muro è lungo 1.400 metri, il San Luca (noto anche col nome di Colle della Guardia) ne misura 1.900. Il primo ha pendenza media del 9,7 per cento e massima del 18, il secondo ha una media del 10,5 per cento e la massima del 18 per cento. Ma qual è la differenza fra i due arrivi?
Prima le donne e poi gli uomini (nella foto): il Muro di San Luca sabato li abbraccerà tuttiPrima le donne e poi gli uomini (nella foto): il Muro di San Luca sabato li abbraccerà tutti
Quasi 3 minuti di differenza
Lo abbiamo chiesto a Marta Cavalli, che nel 2022 vinse la Freccia Vallone e poi, rientrando proprio dopo la caduta del Tour, si piazzò sesta nella corsa italiana, che la vedrà al via domani.
«Secondo me – esordisce Marta – fare il paragone è difficile, perché non hanno la stessa lunghezza. Il muro di Huy si fa in 4 minuti, più o meno, invece San Luca in 6’47”, quindi quasi il doppio. E poi perché il Muro all’inizio è una falsa salita, ha gli ultimi metri proprio impegnativi e spiana per 100-150 metri quando sei in cima. San Luca invece parte subito con una rampa secca, spiana un po’, poi altra rampa secca alla “S” delle Orfanelle, mentre in cima ci sono più di 400 metri in cui tende a scendere leggermente. Perciò c’è una specie di volata, in cui le carte si rimescolano».
Cavalli sesta all’Emilia del 2022: per lei il rientro dopo la terrificante caduta del Tour con cui ancora fa i contiCavalli sesta all’Emilia del 2022: per lei il rientro dopo la terrificante caduta del Tour con cui ancora fa i conti
Altre differenze?
Alla Freccia, il Muro d’Huy si fa tre volte, ma è distribuito in tutta la gara. Quindi ne fai uno subito, uno dopo tre/quarti di gara e uno alla fine. Invece quest’anno al Giro dell’Emilia ci sarà il San Luca due volte di seguito, ma penso che il tempo di recupero tra uno e l’altro sarà meno di 3-4 minuti al massimo. Per questo venerdì (oggi, ndr) andremo a provare il finale.
E’ diversa anche la gestione dello sforzo?
Per il San Luca non ci si può gestire tanto nella prima parte, perché si arriva a forte velocità. C’è una bella lotta per le posizioni, mentre alla Freccia di solito il gruppo è già scremato. Si arriva al Muro che hai già affrontato più di 2.000 metri di dislivello, invece all’Emilia avremo un dislivello pari a zero. Quindi il San Luca nella prima parte sicuramente non si gestisce, perché c’è da difendere le posizioni per prendere la prima curva sulla sinistra in posizione ottimale: soprattutto se la lotta per la posizione non è andata bene, quella è l’occasione per riguadagnare posizioni. Dopo si si può rifiatare un po’, giusto prima delle Orfanelle. Poi si va a tutta per la rampa più impegnativa. Mentre nel finale spiana, quindi solitamente negli ultimi metri di salita ci si guarda un po’, ci si studia, anche perché poi è una volata.
In questa fase della stagione, Marta Cavalli si sente più a suo agio sulle salite lunghe, che sugli strappiIn questa fase della stagione, Marta Cavalli si sente più a suo agio sulle salite lunghe, che sugli strappi
Quindi secondo il tuo gusto, meglio la Freccia o l’Emilia?
Forse in questo momentoil Giro dell’Emilia è un po’ più adatto, perché la salita è più lunga, quindi posso spalmare lo sforzo in un tempo maggiore. Allo stesso tempo non ho un vero e proprio metro di paragone, perché tutti gli anni arrivavo all’Emilia molto stanca, sia fisicamente che mentalmente e quindi non ho mai reso come a inizio stagione. Quest’anno invece mi sembra che stia andando un po’ diversamente. Avendo fatto una stagione leggermente sottotono, ho ancora parecchia motivazione. Mi sento anche di stare abbastanza bene, tranquilla. Sono quasi curiosa di vedere come potrà andare una gara così, con un approccio differente e con più freschezza.
Con quali rapporti si fanno le due salite?
Io personalmente preferisco sempre il rapporto un po’ più lungo. L’agilità va bene, certo, ma non troppo, perché non porti a casa metri: li lasci tutti nelle pedalate. Diciamo quindi che magari l’Emilia, il San Luca è un po’ più aperto allo scalatore nel senso classico del termine, mentre in Belgio serve uno che sia anche un po’ esplosivo.
Sulle pendenze elevate, come Huy e San Luca, Cavalli preferisce rapporti non troppo agili, per non perdere metriSulle pendenze elevate, Cavalli preferisce rapporti non troppo agili, per non perdere metri
Quando vincesti sul Muro, la facesti praticamente tutta in piedi. Il San Luca?
Sicuramente nei tratti più impegnativi, come possono essere le Orfanelle, lì sicuramente sei sui pedali. La prima parte è di slancio, la prima rampa sicuramente sui pedali dall’inizio per cercare di essere più esplosivi. Poi ci si siede anche un po’. Nel caso dovesse esserci una volata breve, si fa sui pedali, perché si arriva con le gambe totalmente in acido lattico e quando sei in acido, fai fatica a spingere sui pedali. Il fatto che il finale spiani e sia in leggera discesa potrebbe favorire anche il rientro da parte di qualcuno che non è troppo distante. Per questo si tira su il rapporto, il 52 oppure il 54. Invece sul Muro giochi con i rapporti dietro: ne tiri giù un paio, non di più.
Anche il Muro d’Huy nel finale molla un po’…
Un po’ spiana, ma è apparente, perché comunque rimane una salita del 4- 5 per cento. Solo che lo si percepisce piatto, perché rispetto al 18 per cento precedente è meno impegnativo. Invece San Luca in cima è proprio zero per cento.
LISSONE – L’abbraccio e l’amore che la gente riserva a Davide Formolo hanno sempre un sapore diverso. Quando taglia il traguardo di via Matteotti a Lissone per primo, ha anche il tempo per alzare le braccia al cielo e godersi il momento. Il veneto della UAE Emirates oggi alla Coppa Agostoni è stato sommerso dall’affetto dei tifosi, il motivo è semplice ma significativo, questa è la prima vittoria dopo tanto tempo. Era la terza tappa del Giro del Delfinato del 2020 l’ultima che ha visto “Roccia” salire sul gradino più alto del podio.
Dopo più di tre anni Formolo torna ad esultare, per lui un successo che vale tantissimoDopo più di tre anni Formolo torna ad esultare, per lui un successo che vale tantissimo
Finalmente!
Non che in questi anni non ci abbia provato, anzi, tra la fine del 2022 e l’inizio del 2023 il successo Formolo l’aveva sfiorato un paio di volte. Prima alla Veneto Classic a ottobre e poi al Saudi Tour a febbraio. Ora ha vinto e l’emozione forse lo accoglierà questa sera, una volta tornato a casa ed abbracciate sua moglie Mirna e sua figlia Chloe.
«Dall’ultima vittoria è passato tanto tempo – racconta Formolo in una conferenza stampa rumorosa e affollata – siamo una squadra veramente forte. Molto spesso mi metto a disposizione dei miei compagni, come doveva essere oggi per Hirschi. In partenza infatti non dovevo provare a vincere, la corsa si era messa in una situazione tale che avrei potuto tirare fino alla fine per lui. Però sapevamo che c’era quello zampellotto a 7 chilometri dall’arrivo e che sarebbe stato una bella rampa di lancio. Ci ho provato ed è andata bene, davvero bene».
La UAE Emirates ha preso in mano la corsa fin dai primi chilometri del circuito brianzoloLa UAE Emirates ha preso in mano la corsa fin dai primi chilometri del circuito brianzolo
In solitaria
Sul circuito che ha attraversato la Brianza per quattro volte, la UAE ha acceso la miccia e Formolo non si è fatto pregare due volte, come sempre d’altronde. Correre nel team che ogni anno si gioca il primato per la squadra più vincente non è semplice, le occasioni si contano sulle dita di una mano. Per questo quando l’occasione si presenta non bisogna sprecarla.
«Formolo era davanti e tranquillo – spiega Hirschi – sull’ultima salita mi sono reso conto che non ero al 100 per cento e ho detto alla squadra che non sarei riuscito a fare lo sprint. A quel punto Davide ha attaccato e, diciamocelo pure, era forte oggi, molto più di me».
«Il percorso della Coppa Agostoni – dice ancora Formolo – mi piace molto. Non c’è mai un attimo di respiro, è davvero tanto selettivo. Ha tanti rilanci e in pochi chilometri hai tre salite impegnative e tutte diverse l’una dall’altra. Nonostante si scollini l’ultima salita quando si è ancora lontani dall’arrivo non si è mai presentato un gruppo numeroso, sinonimo di una corsa davvero dura.
Formolo sorride, dopo tanti sacrifici è il suo momento di festeggiareFormolo sorride, dopo tanti sacrifici è il suo momento di festeggiare
Il giusto equilibrio
La nostra chiacchierata con Formolo prosegue nella zona dei pullman, dopo una doccia il veneto scende e si siede in macchina, e lontano dal trambusto scioglie la lingua.
«Alla fine serve sempre il risultato – con addosso quegli occhiali da vista che un po’ lo fanno ritornare Clark Kent – la gente guarda quello. Però anche settimana scorsa al Giro di Toscana e al Memorial Pantani ho dimostrato di essere in forma. La vittoria è quella cosa che ripaga sempre i sacrifici e gli sforzi fatti, ma in una squadra così forte bisogna anche sapersi mettere a disposizione. Io l’ho fatto spesso ed è stato bello quando oggi Marc (Hirschi, ndr) mi ha detto di provare a giocarmi le mie occasioni, quasi non ci credevo. E’ stato veramente gentile e ne sono davvero contento. L’anno scorso alla Veneto Classic proprio HIrschi era rientrato ed era andato via in discesa, io ero arrivato secondo e oggi me l’ha resa».
«Alla fine – conclude Formolo – noi siamo delle seconde punte rispetto ai vari Pogacar, Vingegaard o altri capitani. Però quando c’è l’occasione, saperla cogliere è importante, diciamo che ho fatto capire che anche io posso vincere».
Entriamo nel dettaglio della bici da crono del Team UAE-Emirates, ovvero della nuova Colnago TT1. Purtroppo non la vedremo sfrecciare con Almeida, i motivi ormai li conosciamo, ma vale la pena entrare nel dettaglio della bicicletta
Sono circa due mesi che Covi non ha problemi fisici e il suo lavoro per Hirschi e Wellens ha portato vittorie. Le sue parole e l'obiettivo di tornare al top
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Racconta Pietro Mattio (immagine Fg Photos in apertura) che quando gli amatori lo vedono in allenamento, lo osservano con più attenzione del solito. Vedere un corridore della Jumbo-Visma, sia pure del Development Team, fa un certo effetto. Soprattutto dopo che la squadra olandese ha vinto il Giro, il Tour e la Vuelta. Lui sorride e risponde alle domande, ma intanto tira dritto, lungo questa prima stagione fra i gialloneri.
Se all’inizio era parso quasi intimorito per il grande passo, adesso trasmette un senso di sicurezza che fa bene al morale. Ricordiamo bene la foto scattata in un ritiro in Croazia, apertura del primo articolo su di lui, quando il giovane piemontese venne invitato per guardare più da vicino la struttura che di lì a poco lo avrebbe accolto. Era un bimbo sulla porta del paese dei balocchi. La stagione volge al termine. Ci saranno il Lombardia U23 e poi la Coppa San Daniele in Friuli, a capo di un anno con 32 giorni di gara, di cui 6 sono state corse a tappe. Miglior risultato il terzo posto alla Targa Crocifisso corsa in Puglia con la nazionale, in precedenza due settimi posti: ai campionati italiani e alla Slag om Woensdrecht, corsa olandese in cui quarto è arrivato il compagno Belletta.
E’ il 2022, ecco il primo contatto fra Pietro Mattio e la Jumbo-VismaE’ il 2022, ecco il primo contatto fra Pietro Mattio e la Jumbo-Visma
Come sta andando questa prima stagione olandese?
Soddisfatto, senza dubbio. L’organizzazione dietro è tanta, non ci fanno mancare nulla. E sono soddisfatto anche delle mie prestazioni. Penso di essere cresciuto tanto e questo era l’obiettivo principale di quest’anno. Senza avere grosse pressioni addosso, cercando di migliorare il più possibile. Per il resto tutto bene.
All’inizio eri un po’ timoroso, ora hai trovato la tua dimensione?
Un po’ di timore c’è sempre quando cambi squadra. In più andavo nel team più forte al mondo, ero curioso di sapere cosa facessero e come. Invece ho trovato una squadra normalissima, che sicuro non lascia nulla al caso. E’ questo il loro punto forte, perché curano tutto nei minimi dettagli ed è quello che probabilmente fa la differenza rispetto agli altri.
I grandi hanno vinto Giro, Tour e Vuelta: che effetto fa allenarsi vestito come loro?
Attira gli sguardi dei ciclisti della zona, anche perché ormai mi conoscono. Ho gli occhi puntati e questo fa sicuramente molto piacere. Mi fanno domande. Gli amatori diventano matti per queste cose, perché alla fine cerchiamo di dare spettacolo e in effetti ci riusciamo.
Pietro Mattio è approdato quest’anno alla Jumbo Visma Development. E’ nato a Cuneo nel 2004Pietro Mattio è approdato quest’anno alla Jumbo Visma Development. E’ nato a Cuneo nel 2004
Come è andato il salto di categoria?
Mi aspettavo di sentirlo di più. Invece con i nuovi strumenti che hanno, si riesce ad allenarsi veramente bene. Sono riuscito a raggiungere subito un livello che mi permettesse almeno di provare a fare la mia corsa. All’inizio faticavo di più, anche perché non era semplice conciliare allenamento e scuola, ma da quando ho fatto la maturità, sono riuscito ad allenarmi con più costanza, mettendo sicuramente un po’ più di ore nelle gambe. E gli effetti si sono visti. Sono riuscito a centrare il primo podio nella seconda parte di stagione, mentre prima era venuta una top 10 in una gara olandese, anche quella nazionale non internazionale. Sono arrivato settimo ai campionati italiani, quindi sono abbastanza soddisfatto.
In cosa è cambiata maggiormente la preparazione?
Sicuro per il numero di ore. Da junior a U23 cambia abbastanza, perché si allungano anche le corse. Per fortuna ho avuto la possibilità di correre con i professionisti. I chilometri sono tanti e in certe giornate la qualità dell’allenamento è molto alta. Più che altro, ho visto che nella Jumbo prediligono la qualità alla quantità, che è meglio per il recupero. Non devi stare tutti i giorni sulla bici per 5-6 ore, a volte ne bastano 2-3 e fa davvero la differenza.
Ti capita di parlare di questi argomenti con under 23 che corrono in Italia?
Mi è capitato perché un amico corre in Italia e praticamente ci alleniamo quasi tutti i giorni insieme. All’inizio ho notato veramente la differenza, poi anche lui ha cambiato abitudini, non so se grazie a me oppure al suo preparatore. Prima faceva sempre tanto, ora ha un po’ ridotto i volumi e secondo me è migliorato tanto anche lui.
Al Circuit des Ardennes, seconda corsa a tappe, facendo i conti con spirito con le dure cotes della LiegiAl Circuit des Ardennes, seconda corsa a tappe, facendo i conti con spirito con le dure cotes della Liegi
Anche voi del Devo Team siete seguiti per l’alimentazione?
Non abbiamo ancora tabelle alimentari, quanto piuttosto un progetto che punta allo sviluppo regolare. Non tutto e subito, ma intanto lavoriamo con il Food Coach. Il primo anno vengono insegnate le basi, ora pian pianino abbiamo iniziato a introdurre i pasti pesati o degli spuntini pesati per poi arrivare, credo già dal prossimo anno, ad avere tutto controllato, pesare tutto e iniziare a scrivere sull’App in cui ogni giorno si deve appuntare ciò che si mangia.
Ora che parti da una base più solida, che tipo di inverno ti aspetti?
Parto avvantaggiato rispetto al 2022, ma penso che sarà molto simile all’ultimo. Di sicuro farò qualcosina di più, perché l’anno scorso avevo la scuola, quest’anno invece sono più libero. I ritiri saranno gli stessi, molto probabilmente. Quindi andremo a dicembre in Norvegia a fare sci di fondo. Qualcuno potrebbe ironizzare, poi vai e capisci che il fondo è uno sport di fatica forse anche più del ciclismo. E ti accorgi che vai più forte di quando sei partito, com’è possibile?
Tu sapevi sciare, oppure hai imparato per necessità?
Per fortuna sapevo già farlo e questo mi ha aiutato da subito, però non è un problema, anche se non sai sciare, perché nei primi giorni ti insegnano. Se poi non usciamo, facciamo anche palestra, corsa e sport alternativi che aiutano il fisico.
Il calendario di Mattio ha visto 6 corse a tappe e parecchie classiche: qui alla Fleche Ardennaise (21°)Il calendario di Mattio ha visto 6 corse a tappe e parecchie classiche: qui alla Fleche Ardennaise (21°)
Quanta voglia avresti di passare professionista?
Questo era un anno di transizione, non mi aspettavo grossi risultati, perché comunque era tutto nuovo. Squadra nuova, categoria nuova, tante gare internazionali, quindi anche il livello si è alzato molto, quindi non volevo pressione. Dal prossimo anno, il secondo da U23, ci proviamo con più cattiveria e speriamo magari di poter già firmare per gli anni successivi.
Se guardi il ragazzino di quella foto in Croazia e ti rivedi dopo un anno, cosa pensi?
Sicuro da quel giorno è passato più di un anno. Vestire la maglia della Jumbo lo vedo come motivo di orgoglio, una cosa che non tutti possono fare. E quindi, cavolo, sono proprio orgoglioso di quello che sono riuscito a fare finora.