Abbiamo intercettato Marta Cavalli al rientro dal Tour International de l’Ardeche, che ha conquistato grazie al distacco dato alle avversarie nella tappa regina, vinta in solitaria facendo bottino pieno: tappa e maglia.
La caratteristica che contraddistingue la corsa francese è che tutte le squadre e l’organizzazione pernottano in un grande campeggio. Ogni squadra ha a disposizione tre o quattro bungalow, poi ognuno deve organizzarsi al meglio per gestire i pasti e i trasferimenti, che sono sempre piuttosto lunghi e tortuosi.
Aprendo per un istante la pagina dei ricordi, fatta la mia prima esperienza in Ardeche nel 2013, l’anno successivo scommisi con il direttore sportivo che, se avessi fatto podio alla prova di coppa del mondo qualche giorno prima, ci avrebbe portato tutti i giorni al ristorante del campeggio. Purtroppo arrivai quarta per mezza ruota e toccò a noi atlete cucinare per tutti durante tutto il tour.
Marta, avevi mai corso in Ardeche?
Per me era la prima volta. E’ stata una settimana molto impegnativa, ma allo stesso tempo meno stressante rispetto ai grandi Giri. Le giornate erano molto lunghe a causa dei trasferimenti e delle tappe impegnative, però il nostro approccio e l’atmosfera che c’era, forse complice il campeggio, l’hanno resa anche divertente. E’ stato un po’ come ritornare indietro nel tempo a quando correvo le gare open. Era normale vedere gli altri team alla ricerca dell’ombra prima della gara, e le ragazze che, in assenza del camper, si cambiavano in pulmino.
La camping experience…
La soluzione del campeggio è ormai stata accettata come parte della gara. Ogni squadra cerca di organizzarsi al meglio per curare il recupero delle atlete, ma il divario tra i team è netto.
Ci sono ancora atlete che cucinano e lavano i piatti da sole?
Sì, in effetti la realtà è che si nota molto il divario tra gli squadroni e gli altri team. Noi abbiamo avuto un’organizzazione eccellente, molto professionale e penso che abbia fatto la differenza. Squadre più piccole, con atlete forti, hanno retto bene le prime tappe, poi con l’accumulo della stanchezza, a causa di questa situazione difficile tra trasferimenti e campeggio, non sono più riuscite a stare al passo.
Come eravate organizzati?
C’era tanto staff quante atlete ed avevamo molti mezzi, compreso il food track con la nutrizionista, che in queste occasioni eccezionali, fa anche da cuoca. Lei rimaneva in campeggio a cucinare per il giorno successivo, mentre noi andavamo alla gara portando con noi la colazione d’asporto e il lunch box per il dopo gara. Per rispettare i tempi giusti dei pasti siamo state costrette a mangiare sempre in macchina. Considerando i lunghi e tortuosi trasferimenti, avere tanti mezzi è stato sicuramente un vantaggio, perché viaggiare nei sedili anteriori è sempre meglio.
Avere la nutrizionista al seguito ha fatto la differenza?
E’ stata bravissima a trovare soluzioni d’asporto pratiche, per mantenere la nostra dieta pre-gara anche in queste condizioni. Il mio porridge per esempio era meno liquido del solito alla mattina. Alla sera invece mangiavamo all’aperto. Purtroppo la luce fuori dal bungalow non funzionava, così per vedere quello che si mangiava avvicinavamo il più possibile il tavolo al food track, da cui usciva uno spiraglio di luce. E’ stato divertente.
Come hai gestito il rifornimento in gara?
Insieme alla nutrizionista abbiamo studiato i percorsi per pianificare i punti di rifornimento. Avendo a disposizione tanto personale, siamo riuscite ad averne anche sei volte in 100 chilometri e nei momenti migliori. In questa gara si andava in salita ad andatura vivace oppure si affrontavano discese tecniche, quindi non c’erano molte occasioni per mangiare. Anche in questo caso l’organizzazione professionale del mio team è stata fondamentale: abbiamo avuto tutto ciò di cui avevamo bisogno in gara al momento giusto.
Come valuti questa esperienza?
Non avevo mai fatto nulla di simile, ma è stato bello. I percorsi mi sono piaciuti molto. Credo che come team non potessimo organizzarci meglio di così. Personalmente la presenza del food track con la nutrizionista è un grosso vantaggio, perché essendo a conoscenza della mia intolleranza al lattosio, prepara soluzioni apposta per me. Eravamo attrezzate così anche per Tour e Vuelta (al Giro no, perché in Italia si mangia sempre bene) e ho notato che sono molto più tranquilla. So che quello che mangio è sicuramente privo di lattosio, ed è tutto ciò di cui ho bisogno.
Questa testimonianza di Marta, fa riflettere sui passi in avanti fatti dal ciclismo femminile negli ultimi anni, soprattutto grazie agli squadroni WordTour e sui miglioramenti ancora possibili. Con il successo in Ardeche, Marta si prepara con determinazione per gli ultimi appuntamenti di stagione, e nella speranza di vederla trionfare in Italia sul San Luca o alle Tre Valli, le facciamo anche noi un grosso in bocca al lupo.