Pogacar, obiettivo doppietta. E non solo quella…

19.12.2023
9 min
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LA NUCIA (Spagna) – Ciarliero come sempre in questa fase della stagione, Pogacar arriva intorno alle 16 per raccontare l’anno che lo attende e la fresca novità del Giro. Prima di lui ha parlato Matxin, che ha spiegato come si sia arrivati alla scelta. Ha parlato di sfida e divertimento. Di decisione condivise e di come questa in particolare sia stata la somma di anni di lavoro e valutazioni. Poi ha parlato del programma gare assottigliato, per dare modo allo sloveno di fare Giro, Tour, Olimpiadi, mondiali e Lombardia. Debutto stagionale alla Strade Bianche. Poi Sanremo, Liegi, una corsa a tappe e Giro. Nessuna altura nell’avvicinamento, mentre si andrà in alto nei 34 giorni che precederanno il Tour.

«Ho detto ogni anno che avrei voluto fare il Giro – spiega Pogacar quando tocca a lui – finché quest’anno la squadra ha detto: va bene. Quasi non ci credevo. Hanno detto: va bene, prepariamoci per questo obiettivo».

Ha il ciuffo biondo da una parte e una feritina sul labbro inferiore che può essere fatica o una piccola febbre. Stamattina è uscito con la bici da cronometro su cui sta facendo prove di selle per trovare quella giusta. Nel cortile dell’hotel, i giornalisti convenuti sono tanti e incuriositi. I belgi non si fanno una ragione che Pogacar non torni a difendere il titolo del Fiandre. Gli spagnoli pensano che andare al Giro sia mettere le mani avanti prima del Tour. E poi ci sono quelli più propensi a credere nella grande impresa. A dare la dimensione di cosa significhi vincere nello stesso anno il Giro e il Tour, quando Pantani realizzò l’ultima doppietta, Tadej non era ancora nato.

Hauptman prende la bici da strada per Pogacar, che presto tornerà su quella da crono
Hauptman prende la bici da strada per Pogacar, che presto tornerà su quella da crono
Ieri è uscita questa notizia che farai Giro e Tour, puoi parlarne un po’?

Ho sempre desiderato fare il Giro. E’ una delle mie gare preferite, perché è vicina alla Slovenia e da bambino ci piaceva tanto viaggiare per raggiungerlo e vedere le tappe. Uno dei ricordi più belli è di quando Luka Mezgec vinse a Trieste e io ero lì (accadde nel Giro del 2014, ndr). E’ stato un momento davvero indimenticabile. Correrlo è sempre stato un sogno, poi sono venuto alla UAE Emirates, ho debuttato alla Vuelta e da lì sono andato direttamente al Tour che è stato un successo. Per cui non è mai stato davvero il momento giusto per il Giro d’Italia.

Cosa c’è di diverso ora?

Ora penso che non sono più troppo giovane e penso di poter fare due grandi corse a tappe. Probabilmente avrei potuto farlo già prima, ma penso che ora sia il momento giusto per affrontare una nuova sfida nella mia carriera.

La doppietta Giro-Tour manca dal 1998, anno della tua nascita…

Penso che tutti vorrebbero farla, ma è una delle cose più difficili. L‘obiettivo principale di tutti i corridori da grandi Giri sia riuscire ad averli tutti e tre nel palmares. Non ho idea se adesso Vingegaard verrà al Giro, non conosco i suoi programmi. Vedremo prima come va con il Giro e poi penseremo al Tour. Ma vorrei dire che non penso necessariamente alla doppietta, quanto piuttosto a godermi le due corse.

Alla fine, sistemato un problemino meccanico, Pogacar parte sulla bici da crono
Alla fine, sistemato un problemino meccanico, Pogacar parte sulla bici da crono
Qual è il tuo obiettivo principale per la prossima stagione: vincere il Giro per la prima volta o vincere il Tour per la terza?

Anche le Olimpiadi e i campionati del mondo sono un buon obiettivo. Il percorso di Parigi non è troppo adatto per me e sarà una gara dura perché alle Olimpiadi non ci sono grandi squadre per controllare. E’ quasi come il gioco d’azzardo, per cui puoi vincere come ritirarti, con identiche possibilità che finisca in un modo o nell’altro. Quindi le Olimpiadi sono un po’ così, ma sicuramente i campionati del mondo sono uno dei grandi obiettivi del prossimo anno.

Dopo il Giro arriverai al Tour seguendo un percorso mai provato prima.

Penso che dopo il Giro ci sia il tempo giusto per riprendersi. E pur facendo un programma non troppo intenso fino a maggio, penso che quella del Tour sarà certamente una preparazione diversa. Spero che dal Giro potrò uscire con una condizione abbastanza solida per affrontarla e godermi il mio programma.

Qualcuno pensa che sarà la scusa giusta se al Tour dovessi andare male…

Tutto è possibile, ma credo anche che se uscissi bene dal Giro, arriverei al Tour con altre sicurezze e altro entusiasmo. Anche la squadra vuole che io provi qualcos’altro, per non dover ripetere ogni anno lo stesso percorso. Cambiare un po’ il programma, cercare gare diverse e provare nuove sfide può essere buono per il mio corpo. Penso che nel team lo abbiano capito. Per cui quando nuovamente gli ho proposto il Giro, hanno accettato.

Considerato che al Tour hai pagato le giornate più calde, il clima del Giro potrebbe favorirti?

Finora la mia forma è sempre stata migliore in primavera. Mi sono comportato meglio nei giorni più freddi, ma ugualmente non sarebbe bello se al Giro piovesse per venti giorni. Speriamo nel bel tempo, così il prossimo anno non soffriremo tanto. L’ultimo Giro dal punto di vista del meteo è stato davvero orribile. Magari il prossimo anno avremo solo giornate soleggiate e calde, ma dobbiamo essere preparati a tutto.

Tadej Pogacar è nato il 21 settembre del 1998, è alto 1,76 per 66 chili. E’ professionista dal 2019
Tadej Pogacar è nato il 21 settembre del 1998, è alto 1,76 per 66 chili. E’ professionista dal 2019
Pensi di dover modificare la preparazione, visto che al Giro ci sono salite ben più ripide che al Tour?

Non credo, penso di avere una formazione piuttosto solida. Conosco il mio corpo e come allenarmi per determinate gare. Ovviamente ti prepari in modo diverso se i percorsi sono diversi, ma alla fine c’è sempre da lavorare a tutto gas perché non c’è mai molto recupero. In un grande Giro devi avere il giusto equilibrio.

Sulla tua strada troverai anche Van Aert, cosa pensi della sua partecipazione al Giro?

Se Wout prepara la gara di una settimana, è pericoloso. Ha già fatto secondo dietro di me alla Tirreno ed è stato davvero forte. C’era tanta salita e ricordo che anche nei Tour del 2020 e del 2022 andava al pari dei migliori scalatori. Tuttavia penso che per la classifica generale sia un po’ diverso, non credo che abbia questo in mente. Penso che voglia inseguire la maglia ciclamino e vincere delle bellissime tappe.

Ti vedi nel futuro saltare il Tour e concentrarti solo sul Giro e altre corse del calendario?

Finora non ho mai voluto farlo, perché so quanto sia importante il Tour per la squadra e anche per me. Ma per il futuro mi vedo a farlo, perché il ciclismo non riguarda solo il Tour de France. E’ la corsa più grande del mondo, ma ce ne sono da fare molte altrettanto divertenti. Verrà sicuramente l’anno in cui non farò il Tour de France.

Nel giorno del media day, allenamento di 5 ore. La bici da crono? Intanto per il Giro
Nel giorno del media day, allenamento di 5 ore. La bici da crono? Intanto per il Giro
Al Giro ti aspetti molti tifosi sloveni? Sei stato geloso del bagno di folla per Roglic a Monte Lussari?

Nessuna gelosia, sono stato contento per lui. Penso che anche io avrò parecchi tifosi. Negli ultimi anni ho ricevuto molta pressione da parte dei fan italiani perché andassi al Giro, quindi penso che sarà super bello. Ci saranno sicuramente molte persone, non solo dalla Slovenia o dall’Italia, ma penso anche dal resto del mondo

Pensi di poter migliorare ancora per andare poi al Tour contro Vingegaard?

Sono già migliorato sotto molti aspetti e ancora dovrò crescere. Sono migliore come esperienza, allenamento e apprendimento di cose nuove. Il mio corpo sta ancora crescendo, ma anche quando smetterà di farlo, ci sarà sempre un miglioramento nella testa e in altri aspetti. Penso che ci siano più aspetti da consolidare, non uno solo. Ad esempio la cronometro. Devo lavorarci, ma non si tratta solo di raggiungere il miglior livello e poi andare avanti. Si tratta di migliorare in tutte le piccole cose, ma non so quanto io sia lontano dal miglior Tadej.

Il Giro e poi il Tour: si può fare?

L’idea è esattamente quella, sarebbe il massimo. Però non sono i risultati a farti capire che sei migliore. E’ solo che col tempo conosci te stesso, sai quando ti alleni e giorno per giorno ti rendi conto dei passi avanti. Non contano solo i risultati, perché nelle corse ci sono tante altre cose che possono andare storte. A volte può capitare di non fare buoni risultati, ma di sentirti nella forma migliore.

Una platea di giornalisti divisa fra spagnoli, sloveni e anglofoni
Una platea di giornalisti divisa fra spagnoli, sloveni e anglofoni
Hai ricevuto messaggi da qualche corridore dopo l’annuncio, che magari ti dava del pazzo?

Ho ricevuto alcuni messaggi (sorride, ndr), ma non molti. Penso che anche altri corridori si aspettassero che sarebbe successo presto. Ma credo che poi siano tutti concentrati sulle loro cose.

Lo scorso anno la Jumbo-Visma aveva messo a punto un piano per battere Pogacar: tu ne hai uno per battere Vingegaard?

No, in questa squadra non abbiamo una mentalità del genere. Il nostro approccio alle cose è leggermente diverso. Ci concentriamo su noi stessi e ci alleniamo molto insieme come squadra, come gruppo e cerchiamo di migliorarci. Cerchiamo di legarci gli uni con gli altri. Abbiamo sempre un bel gruppo e facciamo del nostro meglio, qualunque cosa accada. Non si va alle corse per battere qualcuno in particolare, devi battere tutti, quindi devi essere preparato. Anche al fatto che qualcuno possa essere migliore di te.

Hai gli incubi quando pensi a Vingegaard?

Penso a lui quando il Tour è più vicino o quando è appena finito. Passiamo molto tempo insieme, uno accanto all’altro sulla bici. Non ho bisogno di pensare troppo a lui.

Ci sono 34 giorni tra Giro e Tour, Matxin ha spiegato che a quel punto finalmente andrai in altura…

Il Giro è molto impegnativo per il fisico, ma devi finirlo ancora con un buon livello se vuoi pensare alle gare successive. C’è un po’ di spazio in cui puoi riposarti e poi andare in altura con i compagni. Se sei in buone condizioni e finisci bene il Giro, non hai bisogno di tanto. Devi mantenere la base e non è come iniziare da zero.

Accanto a Pogacar al Tour ci saranno Almeida (nella foto) e Ayuso
Accanto a Pogacar al Tour ci saranno Almeida (nella foto) e Ayuso
Grazie a te le persone stanno tornando al ciclismo, perché corri sempre per vincere. Sei pronto il prossimo anno a correre con il freno tirato?

Penso che sia difficile cambiarmi, fare in modo che vada a correre senza preoccuparmi della prestazione e delle corse. Andare lì solo per allenarmi sarà faticoso, ma quest’anno il programma di gare è un po’ meno intenso anche per questo. Quindi, avendo meno impegni, posso cercare di essere forte in tutte le gare.

Farai delle ricognizioni sui percorsi del Giro?

Sì, alcune sì. La gestione del tempo è piuttosto importante e anche se nel calendario non ci sono molte gare, non c’è ancora molto tempo per fare tutto. Sicuramente farò delle ricognizioni e vedrò alcune tappe importanti.

Nel frattempo hai cambiato preparatore.

La formazione non è cambiata molto, ma comincio a fare cose un po’ diverse per migliorare ancora le piccole cose. Per il resto, la filosofia di allenamento dovrebbe essere la stessa.

Matxin è intervenuto per spiegare la scelta di Pogacar
Matxin è intervenuto per spiegare la scelta di Pogacar
Il Giro ti toglierà energie per il Tour oppure pensi che sarà utile?

Penso di conoscermi e, se non va storto nulla nella mia testa, posso fare anche tutti e tre i Grandi Giri. Ma so anche che avere la concentrazione mentale al 100 per cento per sei settimane è pesante e non lo sai finché non ci provi. Penso che sia l’anno buono per provare a dare il 100 per cento al Giro e subito dopo al Tour. Poi le cose possono andare molto o meno bene.

Quando lo saprai?

Solo quando finirà il Tour, alla fine di luglio. Non voglio dire che sarà positivo solo se avrò la maglia gialla, basterebbe lottare ancora per il primo posto. Lo ripetiamo continuamente: siamo più o meno allo stesso livello, per cui l’unico modo per sapere come è andata sarà aspettare la fine.

Bevilacqua, un addio che deve far riflettere

18.12.2023
5 min
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A soli 26 anni, Simone Bevilacqua ha detto basta. La sua carriera da pro’ è durata qualche anno, tra la difficile e tumultuosa esperienza alla Vini Zabù e un biennio all’Eolo-Kometa senza squilli personali, ma con molti apprezzamenti per il suo lavoro in seno alla squadra. Il suo ritiro rappresenta l’esempio di quel che significa vivere nel ciclismo contemporaneo, che richiede tantissimo, che ti mette continuamente alla prova, che ti consuma e spreme velocissimamente. Un esempio che dovrebbe far riflettere.

Simone ne parla con tranquillità, convinto della sua scelta seppur conscio di essere alle prese con un profondo cambiamento di vita: «Io sono orgoglioso di quello che ho fatto – dice – sono arrivato a un alto livello seppur non gareggiando in un team del WorldTour, ma potrò dire un giorno di aver corso con i più forti. Se ho un rammarico è quello di essere passato molto giovane, a 20 anni, non ancora in possesso di quelle necessarie linee guida per vivere in quest’ambiente. Senza di esse gli errori arrivano: cerchi di imparare, vai avanti ma ti manca sempre qualcosa».

Il culmine della sua carriera, la vittoria nella settima tappa del Tour de Langkawi 2019
Il culmine della sua carriera, la vittoria nella settima tappa del Tour de Langkawi 2019
Proviamo a ripercorrere la tua carriera, i primi due anni com’erano stati?

Avevo corso nella Wilier Triestina-Selle Italia, poi Neri Sottoli e i risultati non erano mancati. Tante corse all’estero, un po’ di piazzamenti fino alla vittoria di tappa al Tour de Langkawi. Quello è stato il momento più alto, più bello. Da lì mi aspettavo una crescita, che tutto cominciasse invece è stato un continuo su e giù, è come se fossi salito sulle montagne russe.

Hai vinto nel 2019. L’anno dopo è stato quello del Covid, pensi che ti abbia penalizzato oltre misura?

E’ stata una stagione strana, questo sì, ma non c’entra molto con quello che è successo. Sulla Vini Zabù voglio essere chiaro: i “casini” che sono scoppiati, i casi di doping che hanno portato alla sua fine non devono far dimenticare le persone che erano al suo interno. Era un bel gruppo, affiatato, che lavorava bene e in maniera corretta. Al Giro stavamo andando bene, poi il caso di positività portò alle perquisizioni nelle nostre stanze e le ripercussioni sull’ambiente furono forti. L’anno dopo altro caso, vennero a perquisire casa e sequestrare i telefoni, una situazione davvero drammatica per chi come me non c’entrava niente. Venimmo esclusi dal Giro, non si gareggiava quasi più, per fortuna però un giorno squillò il telefono…

L’esperienza alla Vini Zabù è stata difficile, anche dal punto di vista famigliare
L’esperienza alla Vini Zabù è stata difficile, anche dal punto di vista famigliare
Chi era?

Ivan Basso e lo ringrazierò sempre per questo, per l’opportunità che mi offrì di passare alla Eolo-Kometa. Mi ritrovai in un mondo completamente diverso, una struttura estremamente professionale, dove tutto era perfetto e tutte le negatività da cui venivo erano cancellate. Piano piano sentivo che stavo tornando me stesso e infatti la seconda parte del 2022 era stata molto positiva, con tutto che nella stagione ho dovuto affrontare prima il Covid e poi problemi a un ginocchio.

E quest’anno?

Ero partito bene, facendo il mio in Sudamerica e in Istria, ho corso anche la Sanremo, ma poi sono rimasto fermo tre mesi. Sono tornato alle gare a giugno ma ho fatto fatica a riprendere il ritmo gara. Nella seconda parte dell’anno sono arrivate le trasferte in Slovacchia Croazia e Turchia, si era formato un bel gruppo in corsa come fuori, con Maestri, Lonardi e gli altri. Avevo però capito che il contratto non sarebbe stato rinnovato.

In Turchia l’ultima gara, con Lonardi, Maestri e quel gruppo così ben affiatato
In Turchia l’ultima gara, con Lonardi, Maestri e quel gruppo così ben affiatato
Hai provato a vedere se c’erano altre strade?

Tante parole, ma nulla di concreto. Io convivo con la mia fidanzata, sono arrivato a un punto che devo fare scelte ponderate. Non c’era obiettivamente un team che potesse garantirmi uno stipendio adeguato per poter tirare avanti. Ci ho riflettuto e sono giunto alla decisione di chiudere, convinto di quel che faccio.

La tua storia sembra quasi la dimostrazione di come passando molto giovani si vada incontro a un futuro anche molto incerto e non sempre fortunato. Tornando indietro, ci ripenseresti?

Domanda difficile. Quando a quell’età ti trovi di fronte a un contratto triennale, con tutta la carriera davanti, come fai a dire di no? Pensi che magari rinunci, resti U23 ma poi chi lo dice che quel treno ripasserà? Rischi di esserti giocato l’unica vera carta a disposizione perché non sai se nel futuro ti capiteranno incidenti, problemi, sconfitte e nessuno magari ti chiamerà più. Il ciclismo di oggi è così, rischi che arrivi a 24 anni e ti dicono che sei vecchio, quando vecchio assolutamente non lo sei, solo che non c’è la pazienza di aspettare e la voglia di investire su un corridore di quell’età.

Bevilacqua ha corso gli ultimi due anni con la Eolo-Kometa, prodigandosi per gli altri
Bevilacqua ha corso gli ultimi due anni con la Eolo-Kometa, prodigandosi per gli altri
Un altro aspetto che emerge è che figure come la tua, non vincenti ma utilissime per il lavoro nel team, non vengono più prese tanto in considerazione…

E’ vero, ma io dico di più. Andranno a sparire anche i corridori alla Morkov o Richeze, quelli che garantiscono i successi del velocista di turno. Guardate Philipsen: le volate gliele tira un certo Van der Poel, il campione del mondo! I team vogliono tutti corridori vincenti, è come se fossero tutti capitani, i ruoli predefiniti vanno scomparendo e una figura come la mia anche prima delle altre.

E ora?

Ora entrerò a gennaio a lavorare nell’azienda di famiglia, una lattoneria a Marostica, quella di mio padre e dove lavora anche mio fratello. Inizia una nuova vita, più tranquilla, con altri tempi, vivendo la mia famiglia con meno stress. Per ora non penso al ciclismo anche se mi manca, poi col tempo vedremo se qualcosa verrà fuori: mi piacerebbe lavorare con i giovani, ma sarebbe comunque un hobby. Non potrei permettermi di stare fuori ogni weekend per 8 mesi l’anno. Ho già dato abbastanza da quel punto di vista…

Paladin, il team building fatto di gravel, basket e turismo

18.12.2023
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I ritiri di fine stagione sono quegli appuntamenti dove si gettano le basi per l’anno successivo. Momenti collettivi di transizione dove le ultime arrivate conoscono la nuova squadra. Un periodo di giorni vissuto intensamente, alcune volte in contesti poco affini al ciclismo, altre volte in modo un po’ alternativo, ma sempre con divertimento. Soraya Paladin è rientrata da poco da un training camp in California nel quale si è ritrovata a fare anche da… tour operator.

Tutto ruota attorno al gravel e al profondo concetto di team building. E’ l’unica anticipazione che vi diamo perché sarà proprio la trentenne di Cimadolmo a portarci dentro ai dettagli di questa trasferta della Canyon-Sram, così originale sia per la preparazione che per lo svolgimento.

La Canyon Sram ha scelto un training camp in gravel in California, organizzato dalle atlete (foto Tino Pohlmann)
La Canyon Sram ha scelto un training camp in gravel in California, organizzato dalle atlete (foto Tino Pohlmann)
Soraya da dove iniziamo col racconto?

Col viaggio della speranza che ho fatto per giungere a San Diego. Sono arrivata il 2 dicembre al mattino, con più di mezza giornata di ritardo perché la neve aveva bloccato l’aeroporto di Monaco, in cui avevo la coincidenza del volo intercontinentale. A cavallo del mezzogiorno però ero già in bici per abituarmi al fuso e mettere in moto le gambe, prima del primo impegno istituzionale.

Quale era?

A metà pomeriggio avevamo una piccola presentazione della squadra a Carlsbad, 50 chilometri a nord di San Diego, sempre sulla costa pacifica dove c’è la sede statunitense della Canyon. La squadra ha scelto la California per questo team building perché così potevamo fare visita ad alcuni nostri sponsor. Siamo stati da Giro, Oakley e Zwift. Bisogna dire però che durante quei dieci giorni non abbiamo quasi mai parlato di calendari e programmi di corse. Lo faremo al prossimo ritiro, qui dovevamo solo fare gruppo.

Come si è sviluppato il vostro training camp?

In realtà è iniziato da casa nostra (dice sorridendo, ndr). I nostri tecnici avevano diviso la squadra in coppie. Ognuna di esse doveva organizzare una tappa del nostro viaggio con le gravel tra San Diego e Los Angeles, conoscendo solo l’hotel in cui avremmo dormito. Inoltre dovevamo pianificare anche le attività ricreative di quella giornata. Dalle soste per il pranzo o per il caffè a quelle per i migliori punti panoramici fino alla serata. Al mattino la coppia che aveva organizzato quella tappa indicava il percorso e si pedalava tutti assieme. Qualche giorno anche i nostri diesse sono venuti con noi, a volte con la bici normale, altre con e-bike.

Come erano le tappe?

Abbiamo fatto circa dieci giorni, il 12 dicembre siamo ripartite da Los Angeles per l’Europa. In media facevamo 80/90 chilometri o circa 4-5 ore al giorno. Avevamo creato anche le tracce con altimetria e planimetria. Non è stato così scontato però perché non conoscevamo la zona. Abbiamo dovuto studiare le mappe del posto affidandoci alle app o piattaforme usate dai pedalatori. E’ stato un bel lavoro d’equipe. Ci siamo divertite, anche nel confrontarci per stabilire chi aveva programmato il giorno migliore.

La tua coppia che tappa ha organizzato?

La pianificazione l’ho fatta con Antonia Niedermaier. Ci sentivamo via whatsapp o tramite videochiamate per allineare le informazioni che avevamo raccolto. Purtroppo lei è stata male qualche giorno prima di partire e non ha potuto essere con il resto della squadra. Alla fine abbiamo tracciato un percorso di 120 chilometri, prevalentemente pianeggiante, fino ad Hermosa Beach, nella periferia sud di Los Angeles. E per la sera avevamo previsto un bell’intrattenimento.

Cosa?

Sono una appassionata di basket, spesso vado a vedere la Famila Schio (la più titolata formazione femminile italiana, ndr). Così ho controllato se c’erano partite dell’NBA e allo Staples Center c’era in programma Lakers-Phoenix Suns dei quarti di finale della NBA Cup. Una competizione nuovissima che poi hanno vinto proprio i Lakers. Insomma, ho scelto bene, ho fatto vedere alle mie compagne i futuri campioni (sorride, ndr).

Avevate mezzi al seguito?

No, anche perché sarebbe stato impossibile. C’erano molti tratti sterrati, alcuni dei quali si sono rivelati particolarmente impervi anche per le bici stesse, le Mtb sarebbero state più utili. In alcuni punti abbiamo guadato dei piccoli corsi d’acqua oppure abbiamo spinto la bici sia in salita che in discesa per evitare di farci male. Un paio di pulmini viaggiavano con le nostre valigie da un hotel all’altro. Avevamo attrezzato le bici con una borsa da manubrio dove inserivamo tutto l’occorrente per le forature o altri problemi meccanici. Dovevamo fare tutto in autonomia ed è stata una bella esperienza anche quella (ride, ndr). Il buon clima poi ha reso tutto più semplice e bello.

Però tu sembri avere un bel rapporto col gravel…

Sì, diciamo il giusto. Devo ringraziare mia sorella Asja che mi ha introdotto nel mondo gravel qualche anno fa. Per fortuna mi ha anche indottrinato su tante cose che mi sono servite in California. Quando esco in bici con Asja ed il suo gruppo, li seguo e faccio fare a loro quando capitano inconvenienti. Nel nostro training camp invece ero una delle più esperte, così come Tiffany e Kasia, che è campionessa del mondo gravel (rispettivamente Cromwell e Niewiadoma, ndr). Entrambe pedalano tantissimo con quel tipo di bici.

Cosa rappresenta il gravel per Soraya Paladin?

Per me è un buon modo di tenermi allenata durante l’off season. Mi serve soprattutto a livello mentale, perché mi aiuta a scaricare tanto la tensione accumulata. E’ vero che si fatica, perché in discesa non puoi rilassarti come su strada, dove puoi recuperare fiato, però ti pesa meno fare anche cinque ore. Le gare a cui ho partecipato, le ho fatte con uno spirito differente pur dando sempre il massimo. Quando si stacca tra un blocco di gare e l’altro, si potrebbe pensare di fare gravel anche a metà stagione, ma a quel punto subentra la paura di farsi male e gli allenamenti sarebbero differenti. Di sicuro col gravel mi diverto. Si impara sempre qualcosa e ti dà la possibilità di scoprire posti nuovi, anche dietro casa o in vacanza, in una maniera più tranquilla.

EDITORIALE / Le tante domande per Pogacar al Giro

18.12.2023
5 min
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LA NUCIA (Spagna) – Il giornalista belga guarda, sorride e dice che il prossimo anno gli toccherà sicuramente venire al Giro. Sono le 19 di una domenica di interviste nell’hotel dell’Astana Qazaqstan Team, il video con cui RCS Sport ha annunciato la presenza di Tadej Pogacar al Giro ha già fatto il giro del modo del ciclismo. «Con Wout, Uijtdebroeks e adesso Tadej – sorride – ne abbiamo abbastanza per lavorare bene». Poi chiude lo zaino e se ne va. Manca poco per finire l’intervista con Cavendish, poi lo seguiremo.

Uno screenshot del video Instagram con cui Pogacar annuncia la sua presenza al Giro, dicendo: «Andiamo!»
Uno screenshot del video Instagram con cui Pogacar annuncia la sua presenza al Giro, dicendo: «Andiamo!»

Regalo di Natale

Pogacar ha fatto un bel regalo al Giro d’Italia e anche il Giro d’Italia si è fatto un bel regalo. Sarà l’aria del Natale, la notizia suona grandiosa, ma lascia un’infinità di punti di domanda che proprio mentre starete leggendo ci accingeremo a porre al diretto interessato.

Oggi nell’hotel che ospita il UAE Team Emirates si terrà il media day in cui potremo toglierci le prime soddisfazioni, incontrando Tadej e tutti i suoi compagni per i quali abbiamo dovuto presentare richiesta ai primi del mese.

E’ il 2018. Froome ha già vinto quattro Tour e due Vuelta. Viene al Giro e a Bardonecchia arriva il capolavoro
E’ il 2018. Froome ha già vinto quattro Tour e due Vuelta. Viene al Giro e a Bardonecchia arriva il capolavoro

Quelli del Tour

Pogacar al Giro farà spettacolo, ma fa già paura. Gli ultimi anni hanno offerto alcuni esempi di corridori da Tour che sono venuti al Giro e che hanno mostrato un livello davvero più alto rispetto ai concorrenti locali.

Il primo degli anni moderni fu Indurain, in Italia dopo aver vinto il Tour del 1991: si pappò due Giri, giocando contro Bugno, Chiappucci e Chioccioli. Restando in anni più recenti, quando nel 2005 arrivò Basso, reduce dal podio francese dell’anno precedente, il divario rispetto a Cunego e Simoni fu disarmante. Quel Giro lo vinse Savoldelli perché Ivan stette male nella tappa di Livigno, ma tornò l’anno dopo e vinse.

Poco dopo, era il 2008, toccò a Contador, richiamato in extremis. Aveva vinto il Tour dell’anno precedente, arrivò in Italia ed ebbe vita piuttosto facile contro Riccò, Bruseghin e Pellizotti. Tornò e vinse anche nel 2011 (vittoria revocata) e nel 2015.

Gli ultimi ad essere venuti sono stati Froome, Bernal e Roglic. Il primo ribaltò la classifica a Bardonecchia, con un solo giorno da vincitore di Tour. Il secondo fece fatica, ma era reduce da problemi alla schiena e varie vicissitudini. Il terzo è il vincitore in carica e nel 2024 riproverà l’assalto al Tour.

Al contrario, tolti Bugno, Chiappucci e Pantani, nessuno dei protagonisti dei Giri degli ultimi 30 anni è andato al Tour per giocarselo. Di loro tre, soltanto Marco è riuscito a conquistare la maglia gialla finale, facendo anche l’accoppiata che si sta già tentando di cucire sulle spalle di Tadej.

Gli ultimi due Tour hanno visto Tadej arrendersi a Vingegaard, il cambio di programma è dovuto anche a questo?
Gli ultimi due Tour hanno visto Tadej arrendersi a Vingegaard, il cambio di programma è dovuto anche a questo?

Le ragioni tecniche

E qui iniziano le domande per lo sloveno. Viene in Italia per tentare davvero l’accoppiata Giro-Tour? Viene in Italia perché, come ha sempre detto, per lui il ciclismo è un divertimento e dopo quattro anni di Tour, è arrivato il momento di cambiare? Oppure dopo due anni di bocconi amari, la scelta del Giro è un’implicita resa, sfuggendo allo strapotere della Jumbo?

Per mesi negli scorsi anni abbiamo sentito ragionamenti sulla necessità di arginare gli sforzi di primavera per arrivare più fresco al Tour, correre il Giro rientra in questa logica? Pogacar partirà più piano lasciando il Fiandre e magari concentrandosi sulle Ardenne? Come gestirà i 34 giorni che dividono le due corse? Il Tour sarà per lui anche una preparazione olimpica? Con quale criterio la squadra dividerà i corridori? 

Il Giro d’Italia si presta ogni giorno a un’impresa, come lo affronterà Pogacar? Qui da solo al Lombardia 2023
Il Giro d’Italia si presta ogni giorno a un’impresa, come lo affronterà Pogacar? Qui da solo al Lombardia 2023

Il Giro e le trappole

In un’intervista fatta oggi sulla Gazzetta, Nibali dice che Pogacar potrebbe conquistare il margine necessario nelle prime due settimane e gestirlo poi con la squadra nella terza. La cosa è assolutamente credibile, come è credibile che il livello dello sloveno sarà molto più alto rispetto agli altri pretendenti alla maglia rosa. Potrebbe davvero limitarsi a entrare in azione quando ci sarà da guadagnare, restando… dormiente e in guardia nel resto del tempo. Siamo certi però che Pogacar sia capace di addormentarsi in corsa?

Se vorrà correre alla Pogacar, come tutti si augurano, il Giro gli offrirà certamente trampolini e spazi per giocare, ma la troppa esuberanza potrebbe trasformarsi in una trappola. Ci sono oceani di differenze tra Pogacar e Van der Poel, ma l’ultima volta che l’olandese venne al Giro ed ebbe la sfrontatezza di correre ogni giorno all’attacco, portò a casa una vittoria il primo giorno, bei piazzamenti e una lunga serie di lezioni ben più aspre.

Il Giro del 1994 sembrava nuovamente preda di Indurain, ma due ragazzini (Pantani e Berzin) si misero di traverso…
Il Giro del 1994 sembrava nuovamente preda di Indurain, ma due ragazzini (Pantani e Berzin) si misero di traverso…

Lo spirito del Pirata

Insomma, in attesa di parlare con Pogacar e di raccontarvi cosa ci dirà, speriamo con ardore che presto il campo dei partenti si arricchisca di altri nomi di alto livello (fermo restando che a nostro avviso Van Aert non abbia il livello e la testa per vincere il Giro). Ci eravamo quasi abituati all’idea di un Giro che premiasse la linea verde del ciclismo mondiale, adesso prenderemo le misure al Giro di Pogacar. E speriamo che chiunque si troverà fra i piedi abbia il coraggio e le gambe per mettersi di traverso.

Non è per caso che il mito di Pantani si inizio a costruire quando Marco sfidò e piegò il gigante Indurain, ritenuto imbattibile. Per i giovani in cerca di gloria, il prossimo Giro sarà un’occasione d’oro, purché abbiano davvero il carattere necessario. Sarebbe monotono, per avere occasione di applaudirne la vittoria, ritrovarsi con una corsa rosa che ricalchi le dinamiche dell’ultima Vuelta.

Il mondo della perfetta scalatrice. A tu per tu con Gaia Realini

18.12.2023
7 min
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CALPE (Spagna) – Gaia Realini è una di quelle atlete che fa quasi paura quando ti guarda negli occhi. La sua determinazione è totale. L’abruzzese è forse la scalatrice più pura del circus femminile. E proprio su questo tema insistiamo con lei. Un viaggio tecnico nel modo di una scalatrice appunto. Una scalatrice non solo per i numeri (150 centimetri per 39-40 chili), ma anche per la testa.

Dopo lo stop invernale, la portacolori della Lidl-Trek sembra aver recuperato benone. «Le pile – dice Realini – sono state ricaricate. A distanza di un anno posso dire di essere cresciuta un po’, soprattutto se guardo all’anno ancora prima. Non mi aspettavo di fare la stagione che ho fatto. La squadra non mi ha messo pressione e mi ha fatto lavorare in tranquillità, facendomi godere gara per gara e dandomi le mie opportunità. Tutto ciò mi ha fatto crescere tantissimo».

Gaia Realini (classe 2001), a destra, in allenamento sulle strade spagnole con le compagne (immagine Instagram)
Gaia Realini (classe 2001), a destra, in allenamento sulle strade spagnole con le compagne (immagine Instagram)
Gaia, sei la scalatrice perfetta: potente e leggera. Eppure questa figura sia tra le donne che tra gli uomini si sta perdendo?

Di certo è sempre più in difficoltà. Ci sono meno occasioni, come negli uomini. La figura dello scalatore puro anche nel mondo femminile sta andando in secondo piano. Serve e non serve, perché comunque le nostre gare non hanno così tante salite lunghe. Anche nei tapponi al massimo sono due.

Una figura in fase di rivoluzione dunque…

E’ chiaro che se uno nasce scalatore puro diventare velocista è impossibile, però è chiamato a diventare un po’ più completo. Se in pianura può nascondersi in qualche modo, deve imparare a difendersi in una volata un po’ ristretta. Quest’anno ho vissuto il mio momento clou, nella volata con Van Vleuten e l’ho battuta alla Vuelta Feminina. Però lì eravamo in 3-4 quindi è tutto da vedere. Tornando al discorso dello scalatore puro, diciamo che lo vedi anche dall’attenzione che dedica al cibo, ma anche ad altre cose nella vita. Insomma, tende a fare cose un po’ diverse rispetto alle altre.

Hai parlato di cibo e differenze. Per esempio tra te e una velocista cosa cambia? Chiaramente andiamo a cercare il capello nell’uovo…

Tra me scalatrice e una velocista, qualche differenza c’è. Una scalatrice va a battere sempre sullo stesso punto, cioè va a limare sui grammi e, come su altre cose, punta sul minimo indispensabile. Partendo dalla bici, ma anche dall’alimentazione appunto, dal vestiario…

Insomma, lo scalatore è un po’ più fissato…

Esatto, magari un velocista se deve mangiare o portarsi dietro qualche grammo in più lo fa senza problemi, lo scalatore o la scalatrice no. Secondo me cambia anche molto la mentalità tra lo scalatore e il velocista.

Possiamo capirti. C’era chi chiedeva di bucare il reggisella o forare il manubrio per ridurre il peso della bici…

Sono sempre in sfida con me stessa. Mi dico: «Fino a quel cartello l’altra volta ci ho messo undici minuti e quattro secondi. Oggi anche per un solo secondo però devo battere quel tempo». E anche queste piccolezze, secondo me, dicono molto dell’essere uno scalatore. Ma poi in corsa secondo me noi scalatori ce lo ritroviamo questo spirito, questo piglio. Nella testa dello scalatore c’è sempre la voglia di soffrire un po’ di più.

Gaia è sempre molto attenta per quel che riguarda l’alimentazione anche in corsa
Gaia è sempre molto attenta per quel che riguarda l’alimentazione anche in corsa
Scommettiamo che ogni volta che fai un allenamento, anche di scarico ci butti dentro una salitella, vero? 

Assolutamente sì! Non lo nego. Magari un cavalcavia breve, ma c’è.

Hai una cadenza preferita? Quella che ti mette a tuo agio o dalla quale capisci che sei in forma?

Essendo una scalatrice pura, tendo ad andare con il rapporto pieno. Fuori sella, soprattutto. E infatti ogni tanto mi rimproverano. Mi dicono e mi chiedo: «Perché non vai più agile, così salvi la gamba per il finale?». E su questo aspetto hanno ragione, magari la gamba sarebbe un filo meno dura e affaticata. Quindi è un rimprovero che accetto, però dopo tutti questi anni ho preso il vizio e non è facile da togliere.

E in numero di rivoluzioni?

Dipende anche dalla salita. Quando è lunga, tipo quella al UAE Tour, viaggiavo sulle 80 rpm, poi quando mi hanno detto di iniziare a scremare il gruppo mi sono messa fra le 85 e le 90 rpm. Pertanto ero anche abbastanza agile. Quando invece ci sono tratti più ripidi preferisco stare sulle 70-75 rpm. Insomma avere una pedalata piena.

Se è così, davanti preferisci delle corone grandi, vero?

Sì, più il 39 che il 36. Ho la guarnitura 52-39 e mi piace. Qualora devo essere più agile preferisco aumentare i denti dietro, ma tenere il 39. Se poi un giorno andrò alla ricerca del 36, vedremo come come fare.

Un po’ per la sua statura e un po’ per il suo pedalare in punta, Gaia utilizza il reggisella con l’offset in avanti
Un po’ per la sua statura e un po’ per il suo pedalare in punta, Realini utilizza il reggisella con l’offset in avanti
Che ruote preferisce una scalatrice come te?

Ad ogni gara i meccanici sono a nostra completa disposizione. Il giorno prima ci chiedono cosa preferiamo sia per le ruote che per la bici, la pressione delle gomme. Siamo dunque noi atlete che scegliamo il setup. Data la mia statura e il mio peso opto sempre per le ruote con profilo da 37 millimetri.

Profilo che una volta era medio, ma adesso in pratica è quello basso…

Esatto, io con questo profilo mi sento a mio agio. Anche in pianura. Perché basta che ci sia un po’ di vento e con il profilo più alto mi sento a disagio. Certo, se poi capita una giornata totalmente senza vento e una tappa tutta piatta, magari uso anche le ruote da 52. Ma al UAE Tour, per esempio, anche se di pianura ce n’era tanta, il vento non mancava e per questo utilizzavo sempre le 37.

E al profilo differenziato ci hai mai pensato: 52 posteriore, 37 anteriore?

A me non è mai capitato. Forse solo in un paio di gare ho usato il profilo da 52.

Prima, parlando del UAE Tour, hai detto una cosa interessante: come è variata la tua potenza dal momento in cui hai iniziato a fare il forcing per scremare?

E’ una domanda a cui non so rispondere, perché in corsa non guardo i watt. In allenamento sì. Anzi, bisogna allenarsi con i watt. Il preparatore ti dà lavori e valori e li devi rispettare, ma in gara preferisco non avere questo dato sotto controllo. Nella prima pagina del mio computerino non ci sono i watt. Se quel giorno stai male, ti fai influenzare. O magari fai i tuoi best power e ti esalti. 

Realini non ama controllare troppo i dati in corsa, ma saggiamente registra tutto
Realini non ama controllare troppo i dati in corsa, ma saggiamente registra tutto
Insomma in corsa si va sensazione…

Sono concentrata sulla gara, su me stessa. Mi ricordo, per esempio, la tappa del Giro Donne quando è caduta Elisa (Longo Borghini, ndr). Ebbene, in quella frazione Van Vleuten tirava ma era al gancio, io ero al gancio ancora di più. Mi è andato l’occhio sul computerino che era rimasto su una schermata che non uso spesso e ho visto un wattaggio esagerato. Ero già fuori di molto e non mancava poco. Quindi mi sono detta: «Togliamolo del tutto. Mi concentro solo sulla sua ruota». E lo stesso in certi frangenti vale per i battiti del cuore. Alla fine non puoi rallentare perché sei fuori soglia. No, è una gara e in gara devi soffrire. Devi superare i tuoi limiti.

Però magari prima della bagarre, nelle prime fasi, ti aiuti con il computerino, i watt… per gestirti, magari anche per l’alimentazione?

Solo in parte. Io comunque ho i miei tempi di alimentazione. Ogni “tot tempo” mi alimento, mangio, bevo… 

La tua bici perfetta è?

Sicuramente leggera! Poi anche pulita.

Hai apportato dei cambiamenti? Oggi si tende a portare la sella molto in avanti…

Quella io ce l’ho sempre avuta piuttosto avanti. Ho una pedalata molto in punta di sella. Non so se sia un vizio.

O qualcosa che viene dal cross?

Probabile, sì. Però diciamo che quando sono lì concentrata, tendo a mettermi in punta di sella e a pedalare a testa bassa.

Strada stretta e pendenze che sfiorano il 16%: il Gavia potrebbe essere una salita ideale per Realini
Strada stretta e pendenze che sfiorano il 16%: il Gavia potrebbe essere una salita ideale per Realini
Pochi giorni fa è stato presentato il Giro Donne, e tra le scalate c’è anche il “tuo” Blockhaus…

Non solo, si farà tappa anche a Pescare e L’Aquila, per cui il Giro finirà proprio nel mio Abruzzo. Non conosco i programmi della squadra, ma non alzerò la mano per esserci: sono una ragazza che dove la metti dà il massimo. Quindi farò quello che che mi diranno.

Il Blockhaus lo consoci?

Lo conosco? Sono lì tutti i giorni in allenamento. Dove troviamo Gaia? Sul Blockhaus!

Se un giorno scoprissi che al Giro hanno previsto una tappa con Gavia e Stelvio. O Gavia e Mortirolo saresti contenta?

Contentissima, ho l’emozione per tutto il corpo solo a sentirla una cosa del genere. Sono salite che per ora sono soltanto nell’ambito maschile. Grandi salite, grandi arrivi: sarebbe bellissimo se un giorno capitasse anche a noi donne.

E i nomi di queste cime li leghi a qualche campione in particolare? O anche ad un tuo ricordo?

Campioni no, ma due anni fa ero in ritiro a Livigno. Ero da sola, dovevo fare un lungo. Era l’occasione giusta: nessuno che mi rompeva le scatole, che mi diceva cosa fare e come. Quindi in una giornata mi sono fatta Gavia e Stelvio. Oltre 5.000 metri di dislivello. Quei nomi li associo a quel giorno bellissimo. Io e la mia bicicletta. Passarci in corsa… un sogno.

Cavendish e il ciclismo, tanta grinta e vero amore

18.12.2023
7 min
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ALTEA (Spagna) – Lo stesso hotel dello scorso anno. Bianco, imponente, affacciato sul mare. Casa Astana è silenziosa ed elegante, nel soffitto della gigantesca hall galleggiano a mezz’aria enormi decorazioni natalizie. L’unica brutta sensazione è legata al fatto che qui morì Umberto Inselvini, ma è meglio non pensarci e piuttosto ricordarsi di lui. Cavendish è rientrato da poco con il suo gruppo di lavoro. Qualcuno maligna che arriverà tardi all’intervista, invece lui salta fuori dal nulla con la tuta e il cappello calzato sulla testa.

Una volta visto su Netflix il film che lo riguarda, abbiamo iniziato a guardarlo in altro modo. E forse aver raccontato a quel modo le sue difficoltà è stato catartico. Il Cavendish che oggi ci viene descritto come un compagnone capace di fare gruppo è diverso dall’immagine che tanti avevano di lui, eppure in fondo a quel digrignare degli occhi arde il fuoco dei grandi.

Doveva ritirarsi, così almeno aveva annunciato. Invece Vinokourov è stato bravo a fare il suo mestiere e l’ha convinto a restare, prendendo per lui Morkov, il miglior pilota delle volate, e per direttore sportivo quel Mark Renshaw che lo guidò nei primi sprint. Quindi ha aggiunto al pacchetto Vasilis Anastopoulos, allenatore d’oro della Soudal-Quick Step e Cav si è lasciato convincere. Anche perché forse l’idea di smettere non ce l’ha mai avuta davvero. Chi si fermerebbe a una sola tappa dal record di vittorie al Tour de France?

Cavendish ha incontrato ieri la stampa nell’hotel di Altea, ritiro dell’Astana
Cavendish ha incontrato ieri la stampa nell’hotel di Altea, ritiro dell’Astana
Come stai, Mark?

Sto bene, grazie. E grazie per avermelo chiesto.

Stai vivendo un vero inverno da corridore, l’anno scorso non fu così. Pensi che darà buoni frutti?

Mi stavo allenando anche l’anno scorso, ma questa volta è diverso. Ho un obiettivo, so dove sto andando veramente. Sono stato costretto a ripartire da un infortunio, non mi sono mai preso troppo tempo libero. Man mano che invecchi, non hai bisogno di una pausa lunga, perché poi è difficile far ripartire il motore. Quindi ho sempre continuato a pedalare, ma ovviamente non per allenarmi. Semplicemente sono andato in bicicletta e quando sono arrivato qui non stavo benissimo. Ma abbiamo avuto bel tempo, ci siamo allenati davvero bene e siamo molto felici. Parto per il nuovo anno con tutte le cose a posto e mi piace molto. Grazie.

Un’interruzione si impone. Non crediate che Mark abbia detto le 108 parole della risposta precedente tutte d’un fiato. Ha quel suo modo di parlare a bassa voce, smozzicando le lettere. A volte si ferma. Si capisce che stia seguendo un ragionamento, per cui è bene non fare la domanda successiva, finché non ti fa capire che ha detto tutto. E questo di solito si capisce perché dice: «Grazie».

Al Giro d’Italia del 2023, Cavendish ha vinto la tappa di Roma: un successo commovente
Al Giro d’Italia del 2023, Cavendish ha vinto la tappa di Roma: un successo commovente
Inizi dalla Colombia, anche per avere i vantaggi della quota. Non potevate cercare posti in giro per l’Europa?

In Europa non ci sono condizioni simili, a meno che non decidiamo di allenarci sulla neve o cose del genere. In realtà non ho mai fatto tanta altura nella mia carriera, ma ora forse è necessario. Non so che tipo di vantaggio otterrò, non so se non facendolo sarei a un livello più basso. Però stavamo cercando un posto per provare e abbiamo trovato la coincidenza con il Tour Colombia. L’accoppiata fra ritiro e corsa potrebbe funzionare bene.

La tua stagione si fermerà se dovessi vincere quella tappa o andrai avanti?

Non ci ho davvero pensato, semplicemente.

Vasilis Anastopoulos ha detto che l’anno prossimo ridurrai il tuo calendario di gare, facendo più allenamenti. Questo esclude la possibilità di fare il Giro prima del Tour o ti piacerebbe provarci?

Quest’anno ho trascorso molti giorni in gara. Ho la fortuna che non mi pesi molto, ci sono sempre riuscito, ma il prossimo anno potrebbe essere un ostacolo. Il Giro è veramente bello, ma credo che come già nel 2023 vivrò la stagione gara per gara. Quest’anno non l’ho fatto per mettermi alla prova, per ottenere la selezione per il Tour de France. L’ho fatto perché sentivo di poterlo fare e potrei riprovarci, perché è una corsa molto bella in cui vestire la maglia Astana. Vedremo.

Mancano 60 chilometri all’arrivo della tappa di Limoges, una distrazione e Cavendish finisce sull’asfalto. Il Tour 2023 finisce qui
Mancano 60 chilometri all’arrivo di Limoges, Cavendish finisce sull’asfalto. Il Tour 2023 finisce qui
La sensazione è che avrai attorno compagni forti e più esperti…

Sai, quando ero alla Quick Step non dovevo trovare i giorni di gara in anticipo per sapere a che livello fosse la squadra. Non dovevo scegliere le corse in cui fare le prove. Avere compagni esperti sarà sicuramente un vantaggio. Ma non è che io qui sia il capo, ovviamente posso avere voce in capitolo su cosa funzionerebbe e cosa no, su cosa ha dimostrato di funzionare in passato o cosa no. Tuttavia per il resto, sono solo un corridore.

Però intanto l’Astana è diventata una delle squadre migliori per lo sprint…

Sono fortunato. Storicamente la squadra non si è mai concentrata su questo, ma abbiamo un manager come Alex (Vinokourov, ndr) che ha corso in bicicletta, quindi è consapevole di quello che stiamo facendo. Ho grande fiducia e finora sembra che tutto stia andando come deve.

L’anno scorso avevi detto che il 2023 sarebbe stato l’ultimo, poi hai cambiato idea. E’ successo dopo la caduta del Tour?

Penso che il fattore più importante sia stato sapere di essere apprezzato. Non mi sentivo così da tanti anni. Apprezzato come corridore, per la mia immagine, come compagno di squadra e cose del genere. Ero felice, sono felice e ho trovato che fosse ironico doversi fermare proprio nel momento in cui ero felice e riuscivo a godermi la vita da corridore. Ho scoperto di amare questo sport come quando ho iniziato, quindi non c’è voluto molto per decidere.

Nessun dubbio?

Il punto era soprattutto capire come sarei tornato dall’infortunio. A quel punto, subito dopo il mio ritorno dall’ospedale, Alex mi ha chiesto se volevo continuare e l’ho trovato gentile. Sentire il capo di una squadra parlarmi così mi ha fatto capire che è stato un vero campione in sella a una bicicletta. Ha capito il mio stato. Al riguardo non penso di avere altro da dire. Amo il mio lavoro e voglio semplicemente godermelo, perché è davvero un bell’ambiente.

Per Cavendish, WIlier Triestina ha realizzato una Filante customizzata
Per Cavendish, WIlier Triestina ha realizzato una Filante customizzata
L’intervento di Vinokourov è stato decisivo?

Il suo e quello dei ragazzi: quello forse è stato ancora più decisivo. Quando ho detto loro che stavo per ritirarmi e che non sarei più stato un corridore, tutti mi hanno detto: «Non puoi farlo». Ed è stato davvero un grande fattore. Ho capito di dover dare l’esempio. E del resto la mia filosofia è sempre stata di non mollare mai. Potevo farlo io?

L’ultima volta che hai vinto una tappa al Tour, avevi accanto Morkov. Cosa rappresenta per te?

E’ il miglior leadout al mondo. Chiunque abbia Michael Morkov ha maggiori possibilità di vincere una tappa del Tour de France. E’ così, è grandioso. Corriamo insieme da 14 anni, abbiamo passato di tutto, in corsa e giù dalla bici. Proprio come è stato con Mark Renshaw, lui per me è la calma… Oddio, non è poi così calmo, ma mi permette di restare in equilibrio, mettiamola così (ride, ndr).

Che ruolo ha avuto il pubblico in questa decisione?

E’ stato travolgente. Il sostegno che ho avuto non solo quest’anno, ma anche negli anni scorsi è stato davvero meraviglioso. Sono fortunato a praticare uno sport in cui i fan possono farsi sentire così da vicino e così bene. Puoi sentire l’emozione che vivono. Ne ho già parlato altre volte in precedenza, vivono il loro viaggio al tuo fianco e ti guardano mentre lo fai. Mi piace pensare che la mia storia possa avere risonanza a qualsiasi livello e per tante persone. E mi piace pensarlo, perché non so quanti altri abbiano lottato per un obiettivo come questo.

Quarta tappa del Tour 2021, Cavendish torna a vincere. C’è lo zampino di Morkov, ora passato all’Astana
Quarta tappa del Tour 2021, Cavendish torna a vincere. C’è lo zampino di Morkov, ora passato all’Astana
Mark, lo sport è cambiato tantissimo da quando hai iniziato, fra tecnologia, nutrizione e allenamento. Quanto è diverso questo sport da quando hai iniziato? Ti ha costretto a cambiare molto?

Sì, ma non tanto quanto si potrebbe pensare. Si è sempre evoluto, pratico questo sport da quasi 20 anni come professionista e non sarò l’unico che ha dovuto evolversi in 20 anni. Sono molto fortunato ad aver avuto una carriera così lunga e capisco anche che esserci riuscito significa essersi adattato e sono grato per essere stato in grado di farlo.

Cosa pensi quando dicono che sei il più grande velocista di tutti i tempi?

Se ci pensi, sono belle parole da sentire. E’ imbarazzante. Sono cresciuto guardando questo sport e ho sempre sognato che un giorno, se mai ci sarà un libro sui grandi del ciclismo, il mio nome possa essere fra quelli. E’ sempre stato più di un lavoro per me, ma ugualmente penso che sentirmi dipingere a quel modo sia davvero molto imbarazzante.

Il tuo film è molto commovente…

Sono contento che ti sia piaciuto. Grazie.

Firma un libro e prende la via della stanza. Mark Cavendish, signori, meglio di un buon vino. Verrebbe da trattenerlo e non lasciarlo più andare.

L’inverno del cambiamento e finalmente Persico tira il fiato

17.12.2023
6 min
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OLIVA (Spagna) – Se la spia del diventare grandi è la capacità di razionalizzare gli sforzi e rinunciare a qualcosa per conseguire il proprio obiettivo, allora Silvia Persico è diventata grande. Nel giorno in cui in Belgio si è vissuta la vigilia della Coppa del mondo di ciclocross di Namur, con Van der Poel che a Herentals le ha suonate a Pidcock, la bergamasca si è goduta il giorno di riposo, dopo nove giorni di lavoro importante in ritiro. La temperatura è da primavera avanzata, i 15 gradi all’ombra pungono leggermente se si è lasciata la felpa in stanza, ma pare che ieri pedalando al sole si siano raggiunti i 27.

«Il fatto che abbia rinunciato al cross – esordisce Persico, seduta sul divanetto – è una questione di priorità. Sicuramente quest’anno ho avuto alti e bassi, quindi ho scelto di prendere l’inverno in maniera più easy per recuperare. Se il cross mi manca? A volte guardo le gare e quando vedo che arrivano tutti sporchi di fango, penso che in fondo sia meglio vederla dal divano». 

Un po’ di riposto serviva, dopo i 12 giorni di corsa nel cross e i 50 su strada con Giro, Tour, mondiali di cross e strada e campionati europei. In casa UAE Team ADQ si è consumata una rivoluzione tecnica. Per distinguere i ruoli, si è deciso che i direttori sportivi non possano più preparare le atlete. E così Arzeni, che dai tempi della Valcar aveva sempre allenato le sue ragazze, si è ritrovato di colpo a cedere la preparazione di Persico, Consonni e Gasparrini. E le ragazze hanno ricominciato con nuove figure e la conoscenza da fare.

Che inverno ti aspetti che sia?

Sarà l’inverno del cambiamento. Senza cross, cercando di fare cose che durante la stagione mi sarebbero impossibili. Un inverno un po’ diverso dagli altri, in cui peraltro ho cambiato anche il coach.

Che cosa ha significato cambiare allenatore?

Dopo 8-9 anni con Davide (Arzeni, ndr), non è stato semplice, però devo credere in questo nuovo processo e fidarmi di Luca Zenti, il mio nuovo allenatore. All’inizio è stato difficile, ma adesso è un mese e mezzo che mi alleno con lui e sta diventando tutto più semplice. Ci stiamo conoscendo e comunque credo che sia importante durante la carriera fare dei cambiamenti. Speriamo che questo sia arrivato al momento giusto. Immagino che Luca e Davide abbiano parlato fra loro al momento del passaggio delle consegne, anche se Luca già aveva seguito il mio lavoro in altura a Livigno, preparando il Giro. Diciamo che conosceva già i miei valori.

Silvia Persico, 4ª al Fiandre 2023. Qui nella morsa della SD Worx, tra Vollering e Kopecky che vincerà
Silvia Persico, 4ª al Fiandre 2023. Qui nella morsa della SD Worx, tra Vollering e Kopecky che vincerà
Che cosa ti viene in mente al pensiero del Giro delle Fiandre?

Bè, sicuramente che è un sogno, una gara che mi piacerebbe vincere. L’anno scorso ci sono andata abbastanza vicino, ma ero in fuga con Lotte Kopecky che poi ha vinto. Diciamo che lo sogno da quando sono passata e speriamo che prima o poi arrivi. Serve essere nella giornata giusta e devi avere una buona squadra. Credo proprio che quest’anno la avremo per le classiche in generale, non solo per il Fiandre.

Vai forte su parecchi terreni, hai scelto il tuo profilo migliore?

Sicuramente quest’anno hanno voluto che facessi un po’ tutto. Nel 2024 voglio concentrarmi di più su qualche aspetto in particolare. Più che altro vorrei andare bene per le classiche, poi puntare alle tappe del Giro e del Tour. Hanno sempre voluto che facessi classifica, ma quest’anno ho avuto continuamente alti e bassi, quindi spero che per quel ruolo ci sia Erika (Magnaldi, ndr). Io potrei darle supporto, pensando a fare bene in alcune tappe.

Al Tour de France Femmes, tutta la squadra a disposizione, ma rendimento incostante
Al Tour de France Femmes, tutta la squadra a disposizione, ma rendimento incostante
Fra il Giro e il Tour ci sono le Olimpiadi, ci pensi anche tu?

Una garetta quasi importante, insomma… Diciamo che è il sogno di tutti gli atleti, quindi speriamo vada tutto bene. Sicuramente ci andrà chi più lo avrà meritato, per cui vedremo durante la stagione. Con il cittì Sangalli avevamo già cominciato a parlare, ma siamo ancora in tante, quindi credo che guarderà le prime gare e poi deciderà cosa fare.

Cambio di allenatore, cambio di obiettivi: cambio anche di preparazione?

Sinceramente no. Come volume faccio più ore, sto di più sulla bici. Il 31 dicembre dello scorso anno fu la prima volta che facevo quattro ore, col gruppo del lago. Quest’anno ha iniziato a farle già a novembre, anche più volte per settimana. E’ necessario perché le gare sono diventate più lunghe. Un paio di anni fa, con 140 chilometri sembrava una gara lunghissima. Adesso è una distanza da gara corta e nel 2024 si allungherà ancora di più. Per questo abbiamo aumentato in allenamento. E poi aggiungiamo che prima ero più giovane e dovevo fare le cose con gradualità. Adesso invece ho 26 anni e credo che sia il momento di alzare l’asticella.

Le classiche saranno il focus principale: nel 2023 è venuta (alla grande) la Freccia del Brabante
Le classiche saranno il focus principale: nel 2023 è venuta (alla grande) la Freccia del Brabante
Il fatto di correre il UAE Tour, che per voi ha particolare importanza, impone di stringere i tempi?

Sicuramente abbiamo iniziato a spingere già da qui e sicuramente anche Natale non sarà un periodo tranquillo. Non so come arriverò al UAE Tour, nel 2023 chiusi al terzo posto, quindi magari andrà bene anche il prossimo anno. Comunque torneremo qui l’8 gennaio e poi andremo a fare le prime gare a Mallorca, in modo da arrivare in UAE più rodate.

Pontoni ha lasciato intendere che nel 2024 potresti rimettere le ruote nel cross…

Non lo so, sinceramente non lo so. Alla fine l’idea di fare un inverno più tranquillo mi incuriosiva e finora mi è anche piaciuto, quindi vediamo come andrà la stagione su strada e poi da lì riprogrammeremo la stagione invernale. Il cross mi dà qualcosa per la strada, ma è anche vero che prima la stagione iniziava più avanti e finiva prima, invece adesso si anticipa il via e si ritarda la fine. Bisogna scegliere, non si può fare tutto. Questo l’ho visto sulla mia pelle, sennò a un certo punto esplodi.

Pellizzari riavvolge il nastro e sogna il Giro… dei grandi

17.12.2023
6 min
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BENIDORM (Spagna) – Volto, atteggiamento, entusiasmo e persino i brufoli sono quelli di un ragazzo come tanti. E forse Giulio Pellizzari lo è anche, solo che ha anche il pregio di andare forte in bici. Molto forte. Il gioiellino della Green Project-Bardiani, che dal primo gennaio diventerà VF Group-Bardiani-Faizanè, è con la sua squadra in Spagna. Anche loro sono nel pieno del ritiro. Vogliono fare le cose ancora meglio. 

Parliamo con il marchigiano mentre affida i suoi muscoli alle mani di Emanuele Cosentino. La stagione che si appresta ad arrivare si presenta davvero come un bel trampolino di lancio per Pellizzari. Dopo la bella annata, in tanti, a partire da lui stesso, si aspettano belle cose da Giulio.

Il “quadro”: Pellizzari diventa pro’ a 18 anni, dagli juniores viene inserito direttamente nel gruppo dei giovani guidato da Mirko Rossato nel 2022. Giulio viene gestito alla perfezione dalla famiglia Reverberi e da chi gli è intorno: 5.671 chilometri in 42 giorni di gara nella prima stagione, 7.936 chilometri in 58 giorni di corsa in quest’ultima. Un buon 35 per cento in più. Una crescita graduale, ma senza stare troppo alla finestra. I tempi non lo permettono più.

A parte un po’ di raffreddore che sappiamo hai avuto nei primi giorni di ritiro, come vanno le cose, Giulio?

Direi benone, siamo qua con la squadra. Ci alleniamo bene.

Sei giovanissimo, ma sei quasi un “vecchietto” ormai in questa squadra. Alla fine sei al terzo ritiro invernale…

Eh già! Però comunque sono sempre considerato uno dei giovani, quindi finché sono considerato così direi che va bene. Rispetto al primo ritiro mi sento più maturo. E dal punto di vista fisico sopporto molti più carichi di lavoro. Ma come ambiente è sempre lo stesso: tranquillo, familiare ma con uno staff preparatissimo.

Cosa hai messo dunque nella valigia per venire qui?

La consapevolezza, sai quello che ti aspetta. Mentre nel concreto la valigia è sempre la stessa. Avevo molta più voglia di venire rispetto ad altre volte. Diciamo che quando parto da casa mi dispiace sempre, però questa volta non vedevo l’ora di venire qui perché sto bene con i compagni, quindi non mi serve chissà cosa per ammazzare il tempo. Ci sono loro: ridiamo, scherziamo…

Cosa ti aspetti per la prossima stagione?

È ancora presto per dire quello che sarà. Volendo potrei ancora fare il Giro Next Gen, ma ci sono davvero molte corse sul piatto, tra cui il Giro d’Italia, quello vero. E il sogno sarebbe quello. Penso che non sarà facile. Bruno (Reverberi, ndr) mi ha detto che se me lo merito mi porta. 

Giulio Pellizzari (classe 2003) sta per iniziare la sua terza stagione da pro’. Eccolo in ritiro in Spagna (foto Gabriele Reverberi)
Giulio Pellizzari (classe 2003) sta per iniziare la sua terza stagione da pro’. Eccolo in ritiro in Spagna (foto Gabriele Reverberi)
Tutto sommato ci sta, dopo una stagione tanto corposa e un Avenir che ti ha visto secondo e protagonista perché non esserci? Ormai siamo nell’era in cui a 22 anni non compiuti, si è vinto il Tour de France… Perché Giulio Pellizzari non può provare a fare il Giro?

E’ tutto un altro mondo rispetto all’Avenir. Quello è un terzo del Giro d’Italia. Comunque sia non andrei a far classifica. Sarebbe più un test e questo mi consentirebbe di viverlo in modo più tranquillo. Quando devi fare classifica un grande Giro diventa molto duro di gambe, ma anche di testa perché devi sempre limare, stare attento a tutto per tre settimane.

Hai chiesto qualcosa in merito alla corsa rosa ai tuoi compagni più esperti, magari a Covili che ci prova a fare classifica?

Sì, sì. Per esempio ne ho parlato con Marcellusi. Gli ho detto: «Martin immagino quanto sia duro». E lui: «No, non te lo puoi immaginare se non lo hai fatto!». Una botta di fiducia! In generale siamo una squadra che punta più alle tappe che non alla classifica, quindi alla fine l’obiettivo è quello metterci in risalto per le fughe.

Una stagione che ti chiama ad un ulteriore salto e che vede il tuo sviluppo fisico, 20 anni compiuti da una manciata di giorni, cambierà qualcosa nella tua preparazione? Ne hai già parlato con chi ti segue (Leonardo Piepoli) di aumentare i carichi?

Leonardo l’ho visto qui in ritiro giusto qualche giorno fa, era di passaggio. Riguardo alla preparazione chiaramente ruota tutto intorno all’eventuale presenza al Giro. Se dovessi farlo la stagione sarebbe improntata su quello, quindi più altura rispetto rispetto agli altri anni, carichi di lavoro differenti. In più riguardo ai cambiamenti, da quest’anno sono seguito da una nutrizionista esterna, Erica Lombardi.

Tour of the Alps: il momento in cui Pellizzari “diventa grande”. Va in fuga e la gente lo acclama
Tour of the Alps: il momento in cui Pellizzari “diventa grande”. Va in fuga e la gente lo acclama
Però Pellizzari nella passata stagione non ha fatto bene solo nelle classifiche generali delle corse a tappe. Hai vinto il Giro del Medio Brenta, sei stato secondo al Recioto e hai ottenuto altre vittorie nelle tappe delle varie stage race. Alle corse di un giorno ci pensi? Magari anche quelle U23, oppure si è definitivamente voltato pagina con questa categoria? Insomma di quale gruppo fai parte: pro’ o under 23?

Quest’anno ero un po’ una via di mezzo, anche se comunque ho corso tanto con i professionisti. L’anno prossimo spero di fare ancora più corse con i professionisti. Diciamo che questo 2023 è stato più un esame. Certo, non sono passato con 30 e lode, direi con un 27 che mi prendo e mi porto a casa!

Cosa butteresti via dell’anno appena concluso? E cosa invece terresti stretto e emoziona ancora pensarci?

Butterei il Giro d’Italia under 23, sicuro. Neanche è andato male… non è andato proprio! Non sono partito perché stavo male. Ed è stato un peccato perché ci avevo lavorato tanto. Il miglior momento invece – Giulio fa una pausa –  boh, forse l’Avenir. La vittoria dell’ultima tappa? No, no, no… Il terzo posto nella quarta tappa del Tour of the Alps. Quello è stato il momento più emozionante.

Perché?

Perché è stato un primo grande palcoscenico. Sì, qualche corsa con i pro’ già l’avevo fatta, ma quella era la prima volta che mi giocavo una gara, una gara importante. Una gara che avevo sempre visto in televisione ed ora ero lì anche io. E poi non scorderò mai la gente che in salita diceva il mio nome. E’ stato ancora più emozionante.

In Turchia, Pellizzari si è trovato spesso davanti con i big delle WorldTour
In Turchia, Pellizzari si è trovato spesso davanti con i big delle WorldTour

Siparietto turco

Dietro di noi ci sono un paio di compagni di Pellizzari. Dopo quest’ultima domanda gli fanno notare che un’altra buona prestazione è stata quella al Giro di Turchia a fine stagione.

«Caspita, Giulio – dicono in coro – anche al Turchia, nella tappa in salita. Sei andato forte. C’era la UAE Emirates a tirare. Erano convinti di aver staccato tutti. Poi si sono girati e ti hanno visto lì. Gli è crollato il mondo addosso». Allora Pellizzari risponde: «Sì, lì è andata bene. Ma il livello del Tour of the Alps era ben diverso». Un siparietto, simpatico, che però denota anche la consapevolezza del corridore.

Il pubblico italiano aspetta senza pressioni. Con la speranza che questo atleta, questo ragazzo, non perda mai la sua semplicità naturale, marchigiana, genuina. E la sua forza chiaramente.

«Il mio amico Sante»: con Vigna, ricordando Gaiardoni

17.12.2023
6 min
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Nel 1959 Milano era piena di prati. «Si poteva andare in bicicletta – ricorda Marino Vigna – io addirittura andavo a fare le volate in Viale Certosa, che adesso non ci passano neppure più i pedoni». In questa città, che aveva nella Torre Brera il grattacielo in cemento armato più alto al mondo e con i suoi 116,5 metri era diventato il simbolo della rinascita dopo la Guerra, in un giorno del 1959 arrivò Sante Gaiardoni, ciclista veneto di vent’anni (foto Repubblica in apertura).

Vigna, a sinistra, con Testa e Arienti: tre del quartetto di Roma. Il quarto, Vallotto, se ne andò nel 1966 per una leucemia
Vigna, a sinistra, con Testa e Arienti: tre del quartetto di Roma. Il quarto, Vallotto, se ne andò nel 1966 per una leucemia

Un veneto a Milano

Il Vigorelli era il centro del mondo, in una città che respirava ciclismo. L’anno precedente proprio nella pista milanese, Ercole Baldini aveva vinto il Giro d’Italia, coprendo con la maglia rosa quella (ideale) di campione olimpico conquistata a Melbourne 1956. Mancava appena un anno ai Giochi di Roma.

«Di Sante Gaiardoni sono stato più che amico – racconta Vigna – iniziai a seguirlo quando arrivò a Milano e corremmo insieme alla Azzini. Aveva vent’anni e anche io, quando vinsi le Olimpiadi, ne avevo 21. Fra noi ci creò subito un bel feeling, mi incaricai di fargli da guida in una città in cui non conosceva nessuno, ma grazie al suo carattere fece presto a riempirsi di amici».

Gaiardoni arrivava da Villafranca di Verona. Era figlio di contadini e straripava di forza fisica. Ai Giochi del Mediterraneo di Beirut vinse l’oro nella velocità e nel chilometro, mettendo in discussione la supremazia di Gasparella.

Campionati del mondo 1963 a Rocourt, Sante Gaiardoni conquista il secondo oro (foto Anefo)
Campionati del mondo 1963 a Rocourt, Sante Gaiardoni conquista il secondo oro (foto Anefo)

Il rione dei ciclisti

Vigna ha da poco compiuto 85 anni, Gaiardoni se ne è andato il 30 novembre a 84. Il ciclismo lo aveva un po’ messo ai margini e di questo era rimasto male. Ma in quei giorni così lontani, alla vecchiaia non si pensava:f il mondo era una torta da mangiare con gioia e avidità.

«Ci ritrovammo a vivere tutti nello stesso rione – ricorda Vigna – c’erano più corridori in quell’angolo di Milano che nel resto della Lombardia. Io abitavo in via Piero della Francesca, a 500 metri c’era Maspes e, allargando il cerchio, anche altri. Eravamo nati e cresciuti in quelle strade, alcuni erano figli di negozianti, altri avevano l’azienda e anche Sante venne ad abitare in zona. Non l’ho mai sentito lamentarsi per la lontananza dal Veneto. Un po’ perché dopo un anno vennero a vivere a Milano anche i genitori e le sorelle. Un po’ perché aveva un carattere gioviale, era sempre allegro. Si fece presto tanti amici, come Manari, che lavorava alla Polizia Stradale…».

Gaiardoni vinse due mondiali della velocità. Qui al secondo posto il grande Antonio Maspes (foto Anefo)

La lunga lista dei P.O.

La Federazione del presidente Rodoni aveva divulgato l’ampia lista dei Probabili Olimpici e dentro c’erano finiti anche Vigna e Gaiardoni. La Azzini era una grande squadra e la curiosità di Marino, mai più risolta, verteva sul perché mai Gaiardoni non avesse scelto di correre con la Padovani, in cui avrebbe trovato Bianchetto e Beghetto: altri due eroi di Roma 1960.

«Eravamo andati a fare la visita a Padova – ricorda ancora Vigna – ma io non avrei mai pensato di poter partecipare alle Olimpiadi. Sante invece era già più forte di me e qualche sicurezza l’aveva, ma neanche tanto a ripensarci, perché Gasparella lo faceva penare. Invece fra il 1959 e l’inizio del 1960 feci davvero un bel salto di qualità e così nel mese di aprile, anche io iniziai a pensarci seriamente. Anche perché la prima volta che al Vigorelli misero contro i quartetti del Veneto e della Lombardia, vinsero loro con il record del mondo. E quando poi facemmo lo spareggio a Roma, vincemmo noi e facemmo ugualmente il record. Per Sante, il fatto di andare alle Olimpiadi nella velocità venne fuori quell’anno. Andammo a Parigi a fare il Grand Prix e lo vinse. Al Vigorelli si faceva il mercoledì dei dilettanti e corremmo un’americana così forte che vincemmo dando un giro a tutti».

Nel 1963, Gaiardoni sposò la celebre cantante Elsa Quarta, che per stare con lui interruppe l’attività (foto FCI)
Nel 1963, Gaiardoni sposò la celebre cantante Elsa Quarta, che per stare con lui interruppe l’attività (foto FCI)

L’oro di Roma

Roma nel 1960 si mostrò bella come mai più in seguito. Il velodromo era un monumento alla velocità e alla bellezza, circondato da pini e realizzato sul progetto di Ligini, che nell’assegnazione aveva preceduto Antonio Nervi, figlio di Pier Luigi.

Il 29 agosto era di lunedì e Vigna corse l’inseguimento a squadre con Arienti, Testa e Vallotto, con il tempo di 4’30”900 che gli valse l’oro. Alle spalle degli azzurri si piazzarono i tedeschi, staccati di 4”380, poi l’Unione Sovietica e la Francia.

Nello stesso giorno, Gaiardoni vinse l’oro della velocità, lasciandosi dietro l’indiano Rimple e l’australiano Baensch. Tre giorni prima aveva già vinto il chilometro da fermo, battendo il tedesco Gieseler e il sovietico Vargashkin.

«Quel lunedì sera – ricorda Vigna – festeggiammo, ma neanche tutti insieme. Erano arrivate le varie società e ci ritrovammo in un bar dell’Eur, lungo lo stradone che porta a Roma. Il giorno dopo invece ci accompagnarono al Villaggio Olimpico e ripartimmo quasi tutti. Sante invece rimase ancora e riuscì a viversi l’atmosfera delle Olimpiadi».

Il velodromo olimpico di Roma è stato demolito nel 2008: era inutilizzato dal 1968 (foto Artribune)
Roma, il velodromo è stato demolito nel 2008. Era inutilizzato dal 1968 (foto Artribune)

Il velodromo demolito

Di quei giorni restano le foto in bianco e nero di ragazzi pieni di sogni. Gli eroi sono tutti giovani e belli, recita la canzone, e anche se gli anni hanno increspato la pelle, nello sguardo di chi resta c’è ancora il lampeggiare di allora.

«Quando demolirono il velodromo di Roma – racconta Vigna – io piansi. Tornai a vederlo prima che lo facessero esplodere. Ricordo che il Comune era riuscito a scongiurarne la demolizione, ma ormai lo avevano minato e preferirono distruggerlo che rischiare di togliere gli esplosivi. Fu un peccato, aveva una foresteria in cui, quando divenni tecnico della pista, tenevo i corsi per direttori sportivi. Con Gaiardoni rimasi sempre in contatto. Venne ad abitare a Buccinasco e aprì il suo negozio. Continuavamo a frequentarci con le famiglie. Aveva tante cose da fare, al punto che un anno decise di candidarsi come sindaco di Milano. Ci credeva, ma vinse la Moratti e lui rimase male perché prese pochi voti. Io nemmeno votavo a Milano, altrimenti avrei potuto appoggiarlo».

Nel 2010 all’EICMA di Milano, Gaiardoni viene premiato con gli altri olimpionici di Roma
Nel 2010 all’EICMA di Milano, Gaiardoni viene premiato con gli altri olimpionici di Roma

Un eroe dimenticato

Quando Sante Gaiardoni se ne è andato, sua figlia Samantha ha chiamato Vigna, chiedendogli di chiamare i giornalisti affinché ricordassero suo padre. Marino fa una pausa. L’amico si era defilato, quando erano insieme quasi mai parlavano di ciclismo, ma di fatto il ciclismo fino a quel momento aveva fatto poco per ricordarlo. La gente quasi non si ricordava più di lui.

«Ebbi questa sensazione e ci rimasi male – racconta – quando lavorando in Bianchi, mi resi conto che nessuno sapeva chi fosse. E allora ho cercato di chiamare qualche amico e sono convinto che sui giornali il ricordo di Sante sia stato fatto bene. Alla fine lo hanno salutato in tanti con begli articoli e sono contento, perché se lo meritava. Sante Gaiardoni è stato un doppio campione olimpico, perderlo è stato un duro colpo. Beppe Conti mi ha invitato in RAI per ricordarlo a Radio Corsa e ci sono andato volentieri. Io sto bene, porto i miei anni e riesco ad essere presente a vari eventi, anche se non vado più troppo lontano. Ad esempio non sono riuscito ad andare a Forlì per ricordare Baldini, troppa strada e in poco tempo. Le cartucce sono sempre meno (sorride, ndr), bisogna usarle con attenzione».