Gasparotto: «Su Pellizzari non ci poniamo limiti, ma serve tempo»

29.10.2024
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Il finale di stagione di Enrico Gasparotto e della Red Bull-Bora-Hansgrohe coincide con la programmazione del 2025. Nel quartier generale austriaco è andato in scena il primo raduno che proietta la squadra verso gli impegni del prossimo anno. Una settimana insieme per conoscere i membri dello staff, i preparatori, i direttori sportivi, il reparto manageriale. Insomma, per i nuovi una prima infarinatura su come funziona un team destinato a pensare in grande e che da poco ha annunciato la nascita della formazione development.

Gasparotto risponde al telefono da Lugano, domani (oggi per chi legge) volerà a Parigi per la presentazione del Tour de France.

«Questi due mesi, ottobre e novembre – dice il Gaspa – saranno i più importanti dell’anno per me. Da ora svolgo il ruolo di Head of Sport Directors e la programmazione è diventata il momento cruciale dell’anno. Andrò in vacanza a febbraio, quando le corse partiranno ufficialmente e il meccanismo sarà avviato. Ora ci sono da coordinare tante cose: dal team professionisti a quello under 23. Non opero direttamente in tutti e due, quello dei giovani ha il suo staff dirigenziale, ma un occhio di riguardo ci va. D’altronde qualche ragazzo verrà a correre con i grandi, per iniziare a fare esperienza».

Con il nuovo ruolo di Head of Sport Directors Gasparotto passerà meno tempo in ammiraglia rispetto alle scorse stagioni
Con il nuovo ruolo di Head of Sport Directors Gasparotto passerà meno tempo in ammiraglia rispetto alle scorse stagioni

Il giovane Pellizzari

Tanta curiosità gira intorno al nome di Giulio Pellizzari, il giovane corridore che ha salutato la Vf Group-Bardiani CSF-Faizanè ed è pronto a spiccare il volo con lo squadrone austriaco. Come entrerà nel progetto uno dei giovani più interessanti del nostro movimento? Riuscirà a preservare il suo cammino di crescita?

«Va detto, prima di tutto – ci spiega Gasparotto – che per Pellizzari questo è uno step importante, come lo è per noi della Red Bull-Bora-Hansgrohe. Rispetto all’inverno 2023 tutto è più grande e fatto in maniera differente, più metodologica. Abbiamo tante figure esterne da inserire e imparare a conoscere: ingegneri, nutrizionisti, uno staff performance profondo. Quella di Pellizzari è un’esperienza fondamentale, rivedo il cammino fatto da me in Intermarché. Il rischio di uno “shock” è alto, da una realtà familiare passa a un team strutturato e con 170 persone che ci lavorano, se consideriamo anche le squadre U23 e U19».

Stimolo a imparare                              

Il passo in un team WorldTour può spaventare, ma in un certo modo lo stimolo a cui si è sottoposti è enorme. Serve la testa giusta per goderselo e per portare a casa un insegnamento nuovo ogni giorno. Arrivare qui a 21 anni per Pellizzari può essere importante, ma tutto va calibrato nel modo giusto.

«Lo stimolo nel correre accanto a campioni del calibro di Roglic, Hindley, Vlasov e Martinez non è da sottovalutare (continua Gasparotto, ndr). Gli investimenti negli anni sono stati importanti e vogliono portarci a vincere il Tour de France, perché no anche con ragazzi cresciuti, o comunque modellati, da noi. Pellizzari può essere tranquillamente questo profilo, ma l’inserimento va fatto in maniera graduale e logica. Ha tutto da scoprire: dalla ricerca dei materiali al loro sviluppo.

«Ci sono tanti dettagli che nella sua carriera non ha curato – prosegue – e quindi di lui non si conoscono i limiti di crescita perché è tutto da scoprire. Pellizzari ha fatto vedere tanto con i Reverberi e con lui si può fare molto, sicuramente non è un giovane “spremuto”.

Futuro da scrivere

La crescita di Pellizzari passerà tanto dalle sue qualità, vero, ma anche dalle occasioni che potrà avere con la Red Bull-Bora- Hansgrohe. Come si garantisce la maturazione di un giovane così promettente?

«Penso che sia talmente grande quello che lui può scoprire di se stesso e noi di lui – analizza Gasparotto – che dire cosa farà è fin troppo limitato. E’ ancora molto giovane, quindi penso che affiancare un corridore come Roglic o Vlasov in una grande corsa a tappe possa essere d’insegnamento per capire e imparare cosa serve per essere un capitano. Avere la percezione di cosa serve per diventare un grande corridore. Correre ancora in una professional non gli avrebbe dato questa dimensione, che invece penso sia importante avere.

«Sono situazioni – dice – che ho vissuto anche io per primo quando correvo. Affiancare un grande corridore in un Giro d’Italia e vincere ti dà sempre qualcosa. Noi Pellizzari lo aspettiamo, è anche vero che ha bisogno di step, con l’iniziare ad essere protagonista in corse di una settimana nel WorldTour. Poi il fatto che io ricoprirò questo ruolo può essere un fattore importante perché sarò la figura di riferimento e con me potrà parlare in italiano. Il suo preparatore invece sarà Paolo Artuso. La prima cosa da fare quando un corridore arriva in un contesto del genere è tutelarlo e mettergli accanto persone che possano comunicare facilmente con lui».  

Il 2024 difficile della Cofidis, Vasseur però non molla e rilancia

29.10.2024
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«Finalmente la stagione è finita, non ne potevamo più…». Non usa mezze misure Cedric Vasseur, il capo della Cofidis nel mettere la parola fine a un 2024 estremamente deludente per la sua squadra, con sole 5 vittorie all’attivo. Parliamoci chiaro: con un bilancio simile, nel calcio non ci sarebbero stati dubbi e il tecnico francese sarebbe già alla porta. Nel ciclismo (per fortuna, verrebbe da dire) non funziona così e si può ragionare su quanto avvenuto.

La vittoria di Thomas nella tappa di Lucca del Giro d’Italia, una delle poche luci del team nella stagione
La vittoria di Thomas nella tappa di Lucca del Giro d’Italia, una delle poche luci del team nella stagione

Il diesse promette cambiamenti

Il bilancio del team transalpino è molto deficitario, a fronte di un anno precedente quasi radioso, illuminato da ben due successi al Tour. Vasseur si è prestato a una lunga disamina, quasi un processo su Cyclism’Actu, senza reticenze come suo costume: «Potrei dare tante giustificazioni e attenuanti, ma la realtà è che non siamo stati all’altezza, abbiamo sprecato molte occasioni. Forse dopo le vittorie del Tour dello scorso anno, arrivate dopo 16 anni di attesa, ci siamo un po’ rilassati».

Vasseur guarda a quelle poche note positive come spinta per andare avanti: «La vittoria più bella dell’anno è stata quella di Benjamin Thomas al Giro, perché ha dato ossigeno al team, ma il momento positivo è durato solo qualche settimana. Non siamo stati squadra da WorldTour e questo deve spingerci a lavorare duro per il 2025, con un team cambiato perché le stagioni difficili non possono non avere conseguenze. Io credo che possiamo avvicinarci alla Top 10 del ranking, ma devono cambiare molte cose».

Guillaume Martin lascia la Cofidis dopo 5 anni di militanza. Quest’anno 8 Top 10, quasi tutte a inizio stagione
Guillaume Martin lascia la Cofidis dopo 5 anni di militanza. Quest’anno 8 Top 10, quasi tutte a inizio stagione

Parole dure su Martin (e non solo…)

Infatti la squadra perde un riferimento storico come Guillaume Martin, il filosofo che passa ai rivali della Groupama FDJ e il giovane Axel Zingle che si accasa alla Visma-Lease a Bike. Prima di scendere nel dettaglio delle due dolorose partenze il tecnico ammette che la squadra senza di loro perde un po’ d’identità nazionalistica: «Abbiamo bisogno di risultati, di gente che lotta per vincere se per far questo devo cercare corridori agli antipodi lo faccio. Magari un domani potremmo ridare un po’ di tricolore al team, ma sappiamo bene che ormai le squadre sono multinazionali. I Moncoutié che sono bandiere del team e vi trascorrono tutta la carriera non esisteranno più…

«Penso che continuare con un corridore che in fondo non ha più davvero voglia di lavorare fianco a fianco con la struttura non sia una buona cosa – afferma Vasseur a proposito di Martin – non è quello del 2020, ha avuto difficoltà a tenere il ritmo di altri scalatori al suo livello. Ci siamo lasciati in buoni rapporti, al suo posto arriva Emanuel Buchmann pronto ad accettare un nuovo ruolo. E’ uno che ha sfiorato il podio del Tour, anche se nel 2019 e so che può tornare a quel livello».

Per Zingle una vittoria e 24 piazzamenti, ma la squadra si aspettava di più soprattutto al Tour
Per Zingle una vittoria e 24 piazzamenti, ma la squadra si aspettava di più soprattutto al Tour

Ziingle, una scelta azzardata?

Su Zingle, il tecnico va giù ancora più duro: «Qui poteva essere leader, alla Visma che cosa farà? Io ho la sensazione che avesse già il contratto in tasca a inizio anno, man mano ha perduto slancio. Puntavamo su di lui per le Classiche del Nord ma siamo stati costretti a estrometterlo visto il suo rendimento. Al Tour volevamo mettere la squadra a disposizione di Coquard, ma non tutti hanno risposto… Zingle ha fatto altre scelte, ha altri progetti. Mi ricorda quando scelsi di andare alla corte di Lance Armstrong: ho dovuto lavorare per lui e ignorare del tutto le mie ambizioni personali. Forse tra un anno o due, Axel dirà di aver fatto la scelta giusta, o al contrario che avrebbe dovuto rimanere leader piuttosto che correre dietro alle lattine o correre per Van Aert…».

Il mercato del team è stato (ma dovremmo dire è, visto che un paio di posti sono ancora disponibili) tra i più movimentati del WT: «Arriva lo spagnolo Aranburu che è un combattente e voglio che sia questa l’immagine della nuova Cofidis. Qui sarà leader, lotterà per i maggiori traguardi e gli altri dovranno aiutarlo ma anche ispirarsi a lui. Buchmann è uno di questi, Teuns anche, un corridore che anche quest’anno ha dimostrato di essere un uomo da Classiche. Attenzione poi a Simon Carr che reputo una delle sorprese in assoluto per il nuovo anno».

Il tedesco Buchmann sarà con Aranburu il nuovo leader del team, a caccia di piazzamenti di rilievo
Il tedesco Buchmann sarà con Aranburu il nuovo leader del team, a caccia di piazzamenti di rilievo

L’ingratitudine dei ragazzi

La Cofidis è una delle poche squadre a non avere una propria filiera e su questo tema Vasseur mostra tutta la sua amarezza di uomo di ciclismo vecchio stampo: «Oggi si individuano i talenti, si permette loro di imparare, migliorare, affermarsi e poi li vedi andar via senza nemmeno un grazie, seguendo quel che freddamente consiglia il suo agente. Mettere mano a una filiera comporta tempo, soldi (almeno un milione e mezzo…), energie che toglieremmo alla squadra maggiore, visti i presupposti non ne vale la pena.

«Torniamo invece all’argomento principale. Nel 2025 non faremo la corsa sui punti per il ranking perché disperdi energie e dai spazio allo scoramento. Corriamo da leader, puntiamo a vincere il più possibile, poi vedremo. Cambieremo alcune cose a livello di preparazione, per restituire fiducia ai corridori verso i nostri metodi».

Coquard vincitore al Tour de Suisse, la sua unica vittoria nella stagione
Coquard vincitore al Tour de Suisse, la sua unica vittoria nella stagione

La disparità di trattamento

Nella sua intervista, Vasseur cita anche la situazione del ciclismo francese paragonata a quella nostrana: «Noi in Francia siamo dei privilegiati, la nazione con più team nel WT, l’Italia non ne ha più da diversi anni. Il problema è che viviamo in un sistema dove non tutti operano allo stesso modo, soprattutto hanno gli stessi strumenti, e parlo di denaro. Non c’è competizione con squadre che spendono almeno 5 volte tanto, questo è un handicap per tutto il ciclismo francese. Il tetto salariale non risolverà il problema perché ci sono mille sistemi per gonfiare artificialmente il proprio budget. Bisogna agire sulle regole, i team devono partire alla pari in base ai vincoli del gioco».

Tre uomini e una barca: in crociera con Nibali, Pozzo e Lello

29.10.2024
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Li abbiamo visti scherzare, pedalare, mangiare e ridere per una settimana. Nibali, Pozzovivo e nel mezzo Lello Ferrara. Tre uomini con tre storie diverse, accomunati apparentemente da nulla, al di fuori delle dirette sulla Squalo TV. Eppure un filo che li unisce deve esserci e abbiamo chiesto proprio a Lello di raccontarci cosa sia. Si ride parecchio, ma come pure con Pulcinella, le sue parole lasciano spesso concetti su cui riflettere. 

Lello, dicci un po’, com’è venuta fuori questa crociera?

Vincenzo era ospite di MSC e di Viaggi e Cultura di Verona, che già lavorano con Fondriest. E così, come regalo, ci ha chiesto di andare con lui. Con noi c’era anche Santaromita con moglie e figli, mentre la moglie di Domenico è incinta e io ho lasciato a casa Luisa, che aveva qualche problemino. Alla fine ci siamo trovati da soli Domenico ed io. Invece i figli di Santaromita si sono ammalati e per lui è stata un’agonia. Quindi grazie a Vincenzo ci siamo trovati in crociera.

Santaromita, Ferrara, Fondriest, Pozzovivo e Nibali: gruppo compatto (foto Instagram)
Santaromita, Ferrara, Fondriest, Pozzovivo e Nibali: gruppo compatto (foto Instagram)
Che rapporto c’è tra voi tre?

Allora, ti dico la verità. Io con Vincenzo avevo già fatto una parentesi in Cina, quando Ballerini ci portò alla preolimpica di Pechino che vinse Bosisio. Eravamo compagni di camera e io vedevo questo giovane e dentro di me dicevo: «Questo è scemo, non andrà mai forte in bicicletta!». Perché stava ora e ora attaccato al computer. E poi si è visto come ci ho preso, un altro pronostico azzeccato!!! Però lo vedevi che non era normale e aveva qualcosa di diverso rispetto a tutti i corridori che avevo conosciuto. Quanto a Domenico, ricordo che al primo anno da professionista ero al Giro di Reggio Calabria e un signore si mise a raccontarmi che era il papà di un ragazzino che andava forte e correva negli juniores. E poi quel ragazzino è diventato Domenico Pozzovivo, quindi con lui c’è sempre stato un rapporto più umano rispetto a Vincenzo.

Più umano?

Sono due pianeti diversi. Quando sei un campione del livello di Vincenzo, viaggi su un’altra galassia. Il campione è circondato dal procuratore e dal massaggiatore. Diciamo che era inarrivabile, anche se è sempre restato umano. Forse non ti ricordi, ma quando mi stavo separando sei stato tu a permettermi di fare il regalo di compleanno a mio figlio. Mi mettesti in contatto con lui tramite Pallini a Spresiano. Andai a trovarlo, non volevo disturbarlo. E lui quando mi vide, mi disse: «Ma come ti sei conciato?!». Però questa settimana ci ha fatto conoscere e ci ha avvicinato tantissimo dal lato umano, perché secondo me un campione ha sempre bisogno di vedere chi ha di fianco. Vincenzo è molto diffidente e ha bisogno di sapere che il rapporto non ha un secondo fine. Abbiamo avuto modo di conoscerci.

C’è qualcosa di simile fra lui e Pozzo come carattere?

Assolutamente no, si somigliano solo per il fatto di non voler cedere un colpo all’altro. Da una parte c’è un campione che non vuole mai perdere, dall’altra c’è Domenico che è un altro duro. Adesso è venuto fuori che gli ha tolto il KOM a casa sua. L’hanno anche pubblicato ed è nata una roba assurda, perché io non pensavo che Vincenzo ci tenesse così tanto. Caratterialmente hanno di simile solo il fatto che entrambi non mollano un metro. Domenico ha dimostrato ogni volta che è caduto di sapersi rialzare. E anche adesso, secondo me, non smette sereno: se qualcuno gli fa una proposta, lui la valuta anche se ha già dato l’addio. Vincenzo invece non vuole perdere a bigliardino nemmeno con la figlia. Hanno questa cosa che li accomuna. Per il resto, due mondi diversi. A tavola per esempio…

La crociera ha cementato l’amicizia fra Nibali, Ferrara e Pozzovivo (foto Instagram)
La crociera ha cementato l’amicizia fra Nibali, Ferrara e Pozzovivo (foto Instagram)
Che cosa?

Domenico mangiava una volta al giorno e sempre le sue cose salutari. Siamo tornati a bordo dal giro di Barcellona, che avevamo fatto sui 120 chilometri. Nella nave c’è un posto dove mangi e bevi… a gratis. Pizza, hot dog, le schifezze. Siamo tornati e Pozzovivo ha preso l’acqua, un decaffeinato ed è andato in camera. Io e Vincenzo ci siamo guardati, siamo entrati in questo enorme fast food e ci siamo presi due pezzi di pizza, due hot dog, due hamburger e due birre. Vi dico solo che poi sono andato in camera e mi sono addormentato vestito da corridore. Mi sono svegliato alle 7 e un quarto, ho fatto la doccia e sono andato a cena.

Pozzo incorruttibile?

Ha continuato la linea sua fino a Genova e continua anche adesso. Non lo prendevamo in giro, ma ci chiedevamo come facesse. Abbiamo provato in tutti i modi a farlo sgarrare, tanto che ho detto a Vincenzo di pagare un pranzo di pesce con delle bottiglie e una l’ha pagata anche Domenico, ma non ha toccato alcol e neppure cibo… sporco. Non si è concesso niente, proprio niente. Ho visto solo altre due persone così nella mia vita: Ivan Basso e Davide Rebellin. Penso che Domenico non cambierà mai perché questo ormai è il suo stile.

E va ancora forte?

Ma forte davvero! Per battere il record di scalata su una salita secca è come se tu facessi una cronoscalata. Magari Nibali non lo batterebbe in una gara, però non va piano.

Due affamati e l’incorruttibile Pozzo: Domenico è ancora in modalità corridore (foto Instagram)
Due affamati e l’incorruttibile Pozzo: Domenico è ancora in modalità corridore (foto Instagram)
Vivono entrambi a Lugano e sono entrambi meridionali. Si capisce che per arrivare in Svizzera sono partiti da molto lontano?

Vincenzo lo respiri sulla sua pelle che ha dovuto faticare tanto. Domenico invece ha il suo lato intellettuale e ha preso il distacco da tutto quello che è il mondo povero, del ciclista ignorante. Lui è stato uno dei primi forse a qualificarsi in questo mondo, mentre con Vincenzo percepisci che lui ce l’ha fatta. Arriva dal nulla e si è preso tutto da solo. Siamo stati a Messina, abbiamo discusso di tutto quello che è stato Vincenzo, dai sacrifici, la bici, l’edicola della mamma e della sorella. Anche Domenico lo vedi che è un ragazzo del Sud, ma ce l’ha fatta anche con lo studio ed è diventato una sorta di terrone borghese (ride, ndr). Invece l’altro è un povero terrone (ride ancora più forte, ndr). Però entrambi sono grandi esempi. Lo dico sempre ai giovani: bisogna guardare il passato, non per fare quello che è stato già fatto, ma per capire cosa significhi stringere i denti.

Assist perfetto: a stare in mezzo a quei due, hai pensato alla tua carriera e cosa ti è mancato?

Abbiamo parlato di questo, perché Domenico mi conosce bene. Avendo corso alla Zalf, ha vissuto a Castelfranco e quindi ha avuto modo di conoscere il Lello atleta. Invece Vincenzo per certi aspetti non mi conosce e quando mi prendeva in giro che andavo piano, c’è stato un momento in cui Domenico gli ha detto quello che aveva visto. Cioè che se mi fossi impegnato veramente, magari non avrei vinto un Grande Giro perché ci volevano continuità e mentalità, ma se mi fossi concentrato sulle gare di un giorno, avremmo avuto veramente un corridore forte. Perciò, da una parte mi dispiace di non essere riuscito ad impegnarmi, ma la mia condizione familiare era quello che era e mi sono ritrovato da solo al Nord senza una gestione. Forse questo è stato il mio più grande rammarico. Mi ricordo una volta che Ballerini mi convocò in nazionale e in un’intervista disse che ero il leader dello spogliatoio. Questo mi ha permesso di restare per dieci anni in quel ciclismo. E ci ho tenuto a dire a Vincenzo, che se avessi avuto gente che mi seguiva, di lui non si sarebbe mai parlato (sorride, ndr).

Oggi c’è ancora spazio per personaggi alla Lello Ferrara?

Come atleta ho avuto degli sprazzi. Ho corso per dieci anni sempre al minimo, però questo mi ha permesso di non dover fare un lavoro normale (ride, ndr). Magari con un ciclismo controllato come adesso, dove ti devi allenare per forza e curare l’alimentazione, sarei potuto durare di più oppure saltare di testa. Mi rincuora il fatto che quando parlo con Guercilena, mi ricorda che se solo lo avessi ascoltato invece di fare le battute e scendere dal rullo, sarei stato un corridore. Lui e Morelli lavoravano alla Mapei e ci facevano i test quando ero alla Trevigiani. Però va bene così, sono contento e non ho rimpianti. 

Sulla nave di MSC crociere anche Emma Vittoria e Miriam Venere, figlie di Vincenzo e Rachele (foto Instagram)
Sulla nave di MSC crociere anche Emma Vittoria e Miriam Venere, figlie di Vincenzo e Rachele (foto Instagram)
Siete usciti più uniti da questa crociera?

Sì, diciamo che abbiamo rischiato con quel maledetto KOM che Vincenzo e Pozzo non si parlassero più. E’ una cosa che purtroppo ha aperto una ferita in Vincenzo, il suo orgoglio sarà andarselo a riprendere. Si allenerà di certo, sono sicuro che presto il record di Dinnamare sarà nuovamente suo. Ma a parte questo, alla fine siamo usciti amici. Ci siamo conosciuti veramente, perché stare dieci giorni in camera da corridore, non significa niente. Invece in crociera abbiamo avuto modo di conoscerci bene, tant’è che ho detto a Vincenzo di darsi da fare e farmi lavorare per lui…

Risata. Allarga le braccia. Poi Lello Ferrara torna alla sua vita. «Se rinasco, voglio essere Lello Ferrara – ride – in alternativa, va bene Merckx…».

«Il ciclismo cresce solo se divide gli utili»: la voce di Guercilena

28.10.2024
8 min
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Nel ciclismo che cerca un nuovo sistema di business, le parole pronunciate qualche giorno fa da Brent Copeland hanno prodotto la reazione di Luca Guercilena, team manager della Lidl-Trek. Il ciclismo che si spinge verso vertici prestazionali clamorosi vive di contraddizioni commerciali e strutturali da mani nei capelli. In questo quadro così… arabo, mettersi a ragionare di salary cap, budget cup o di un sistema che limiti i punteggi delle squadre può suonare da un lato necessario dall’altro probabilmente poco utile per sciogliere i tanti nodi.

Luca, proviamo a capire cosa sia oggi il ciclismo?

Uno sport legato ai controsensi. Prima di pensare di introdurre cap e limitazioni, bisognerebbe mettere mano al modello di gestione in generale. Se analizziamo quali sono gli sport che hanno un cap, vediamo che sono riconducibili a delle leghe professionistiche. Significa che le parti sono all’interno di un’unica società che produce profitto per tutti. Un sistema in cui i proventi dei diritti – televisivi, commerciali, merchandising e quant’altro – vengono suddivisi secondo dei criteri ragionati tra tutte le parti del movimento. Nel nostro caso sappiamo benissimo che non è così, quindi il discorso di introdurre dei cap per favorire o sfavorire qualcuno non porta nessun bilanciamento, ma soprattutto non porta beneficio alle casse delle squadre. Se limitiamo la prima squadra WorldTour, secondo voi l’ultima ne ha un beneficio reale in termini economici? Può solo sperare di acquisire un atleta di livello superiore a quello che potrebbe permettersi un prezzo probabilmente nemmeno calmierato.

Luca Guercilena, 51 anni, è il team manager della Lidl-Trek
Luca Guercilena, 51 anni, è il team manager della Lidl-Trek
Quindi pensi che sarebbe logico o comunque funzionale al discorso creare una sorta di lega in cui tutti partecipano con diritti e doveri proporzionali alla loro dimensione?

Assolutamente, anche perché quello che noi tanto osanniamo come sistema aperto in realtà è già un sistema chiuso. Basti pensare che se uno vuole entrare nel WorldTour, può comprarsi una licenza esistente oppure, partendo dalla categoria professional, non ci arriverà prima di sei anni. A questo punto mi chiedo perché non abbia senso fare la valutazione di un modello di business molto più simile alla Formula 1 o agli sport americani, dove la suddivisione degli introiti è gestita da un ente unico.

L’unico ente che mette le mani nelle tasche di tutto è proprio l’UCI…

Penso che lo stesso problema che viviamo noi come squadre lo vivano le federazioni. Ho letto recentemente di polemiche abbastanza accese sulle spese che le nazionali hanno sostenuto in Australia e quelle che sosterranno in Rwanda. Di conseguenza, se abbiamo costantemente questa divisione, far crescere il movimento è complicato. E far crescere non significa avere manager capaci di far innamorare gli sponsor del nostro sport, ma di creare un sistema di investimenti che abbiano un ritorno che non sia esclusivamente la visibilità.

Secondo te c’è la volontà da parte di tutti che il sistema cresca?

Mi sembra evidente che ognuno difenda il proprio orticello. Gli stessi benefici e gli svantaggi che potrebbero derivare da un sistema dei cap vengono spiegati sommariamente. Basti pensare che tutti parlano di budget cap e raramente si è parlato di budget floor, che è un’altra delle componenti fondamentali quando si parla di budget cap. Quindi una quota di ingresso che normalmente non è inferiore al 90% del budget cap. Questo vuol dire che se si fa un’ipotesi di 100 come budget cap, vuol dire che una squadra che voglia fare parte del sistema minimo debba mettere 90. Si fa così proprio per assicurare la competitività, per cui la differenza tra il massimo e il minimo sarebbe veramente ridotta. Se invece le differenze sono enormi, il sistema sarà sempre in crisi. E renderà possibile che una squadra spenda una fortuna per prendere un corridore e dopo due anni sia costretta quasi a chiudere.

La Red Bull-Bora sarà nel 2025 la squadra con il budget più alto (foto JM Red Bull-Bora)
La Red Bull-Bora sarà nel 2025 la squadra con il budget più alto (foto JM Red Bull-Bora)
Su quale ipotesi si sta ragionando?

La proposta attuale è di mettere il budget cap a 50 milioni, quindi credo che la squadra che ne abbia di più attualmente sia la Red Bull con 52. Nel corso di 5-6 anni, tenendo sempre fissa la soglia dei 50 milioni, il beneficio dell’ultima squadra WorldTour, che in questo momento ha un budget di  12 milioni, arriva a 15. Mi spiegate, quando questi arrivano a 15 milioni e quelli ne hanno ancora 50, cioè tre volte e mezzo, che equità hai creato? Non dovrebbero neanche essere nel WorldTour. Se infatti applichi il cap a 50 milioni come in tutte le altre leghe, vuol dire che devi avere almeno 25 milioni per essere nel World Tour, se no non ci stai. E’ la legge di mercato. Anche se gli organizzatori ne sono fuori…

Fuori dal sistema?

Perché a loro queste cose non vengono mai chieste? Non devono presentare un bilancio, non devono presentare niente. Basta che facciano l’iscrizione al calendario e rispettino il fatto che ti danno l’albergo o anche niente e sono a posto. Per lo stesso concetto dovresti dire che i ragazzi del Tour de France non possono spendere più di 100 milioni e con gli altri creiamo un sistema di condivisione per cui traggano benefici. L’UCI dice che sono due lavori diversi, mi sta bene. Allora però trovo illogico che facciano una commissione in cui ci sono anche loro e siano chiamati a decidere come io devo spendere i miei soldi. Io non ho potere di decidere come loro spendono le loro risorse e loro entrano nella mia economia? Se io dimostro di avere più capacità di un collega o più fortuna, perché un organizzatore deve venirmi a dire a me come devo spendere i miei soldi?

Avrebbe senso ragionare sin da subito di una regolamentazione per l’ingaggio di nuovi talenti, come nel draft del basket americano?

Certo, il concetto è che a lungo termine, se ci fosse un modello di business rivisto completamente, l’ideale sarebbe avere un sistema di drafting all’interno delle squadre continental. Dovrebbe essere un ranking individuale e di squadra e il livello superiore dovrebbe autotassarsi attraverso gli sponsor di un sistema Lega, per dare dei benefici alle squadre inferiori da cui provengono i giovani talenti. Quindi l’atleta individuale farebbe parte di un ranking e le squadre che producono talenti a quel punto devono essere rimborsate per quello che è il loro valore effettivo. Se ci fossero le clausole di uscita chiare e definite dall’UCI, se il valore dell’atleta fosse realmente vincolato al sistema di punteggio e se per questo avesse un valore reale economico, sicuramente si potrebbe già applicare adesso. Ma se tutto dipende dalle mie capacità di trovare gli sponsor, il sistema parte già con delle fondamenta molto sbagliate.

Gianni Savio e la Androni sono riusciti per primi a percepire un “premio di valorizzazione del talento”
Gianni Savio e la Androni sono riusciti per primi a percepire un “premio di valorizzazione del talento”
Nelle leghe professionistiche qual è l’impatto degli sponsor?

Al massimo nel bilancio del team rappresentano il 15%, noi invece siamo al 95%. Quindi mi chiedo perché vuoi limitare la mia capacità di creare profitto? Al momento tutto dipende esclusivamente dai soldi che io riesco a trovare all’interno del mercato e come io riesco a renderli redditizi attraverso il risultato.

Forse più che limitare i budget e la capacità di trovare risorse si potrebbe intervenire tecnicamente per evitare che una squadra abbia un accumulo di corridori con tanti punti?

La realtà dei fatti è che in questo momento tutto nasce dal fatto che abbiamo un fenomeno. Se togliessimo alla UAE Emirates il punteggio di Pogacar, alla fine tutte le classifiche e anche il numero delle vittorie sarebbero uguali, né più né meno che prima. C’è la balzana idea che la UAE stia ammazzando il ciclismo, io ho sempre ragionato in modo diverso, anche quando non avevamo un budget consistente. Noi dobbiamo dimostrare di essere capaci di fare, perché così quando arriverà il supporto economico, avremo tutte le basi per fare passi ulteriori. Credo che questo sia lo spirito con cui si debba affrontare il ciclismo attuale, perché lamentarsi degli altri che hanno più soldi è sempre comunque relativo. E poi forse occorre distinguere bene fra ciclismo professionistico e resto del movimento.

In che senso?

A mio parere la riforma andrebbe fatta a 360 gradi. Il ciclismo professionistico dovrebbe essere regolamentato attraverso un sistema molto simile alle leghe professionistiche, non possiamo essere sempre vincolati a regolamenti che poi devono andare bene per gli juniores, gli allievi e gli esordienti. Se si vuole definire uno sport professionistico, bisogna rifarsi ai parametri delle leggi del lavoro.

Richard Plugge, manager della Visma-Lease a Bike, ha più volte parlato di una Superlega per bypassare il blocco dell’UCI
Richard Plugge, manager della Visma-Lease a Bike, ha più volte parlato di una Superlega per bypassare il blocco dell’UCI
Credi sia possibile?

Quando nel 2005 è partito il ProTour, un minimo di forma strutturata era stata creata. Adesso si tratta di continuare a seguire quella linea, però come sempre tutto dipende dalle persone. Nel momento in cui ci sono le persone e ruoli di potere che hanno una visione di questo tipo, allora la cosa potrebbe anche nascere in tempi relativamente brevi. Nel momento in cui la visione è sempre vincolata al fatto che siamo lo sport del passaggio della borraccia, allora resteremo sempre al palo rispetto alla Formula 1, rispetto al tennis, rispetto all’NBA e alle altre leghe, nonostante abbiamo dei numeri di partecipazione elevatissimi.

Secondo Luca Guercilena un modello così ridisegnato rende più attrattivo il ciclismo anche per sponsor che dovessero entrare o darebbe più stabilità alle società?

Entrambe le cose. Ci sarebbe un modello che prevede un senso comune della creazione di profitto. Alla fine sarebbe un beneficio di tutti, per cui l’UCI potrebbe andare da grossi sponsor come Apple oppure Visa, proponendo di sponsorizzare il suo calendario, mettendo sul piatto l’unicità del gruppo e della sua narrativa. Ma siccome l’UCI prende i voti da tanti organismi diversi, federazioni e atleti, la sensazione è che gli interessi mantenere questa suddivisione e lotta interna tra organizzatori e squadre. Divide et impera, è sempre andata così.

Pensi che la Superlega auspicata da alcuni manager sia una soluzione possibile?

Secondo me ci sarebbero i margini di operare all’interno del frame dell’UCI, con dei regolamenti adeguati e accettabili, senza nessuna Superlega. Con un modello di business nuovo dove, ripeto, non si devono rubare i diritti agli organizzatori, ma creare nuovi sistemi perché tutti abbiamo profitto. Questo sarebbe lo sforzo reale e probabilmente tramite investitori esterni ci sarebbero anche i margini per poterlo fare. Però ripeto: se si vuole operare negli ambiti istituzionali, lo sforzo deve venire dall’istituzione. Dovrebbero capire loro per primi la portata della riforma.

Ferri, toscana d’attacco con l’offroad nel sangue

28.10.2024
5 min
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O prima o seconda. La stagione italiana di ciclocross, se parliamo di juniores femminili, non sfugge a questa regola e le attrici di questo balletto sono Giorgia Pellizotti ed Elisa Ferri. Se la prima, per via del cognome decisamente importante nel mondo delle due ruote è già abbastanza conosciuta, la seconda è meno famosa, anche se parliamo di una ragazza che vanta già ben 8 maglie tricolori nelle categorie giovanili, fra ciclocross e mountain bike.

A Osoppo la sua unica vittoria nel Giro delle Regioni, gareggiando con le Elite (foto Billiani)
A Osoppo la sua unica vittoria nel Giro delle Regioni, gareggiando con le Elite (foto Billiani)

Invogliata seguendo papà

D’altronde per Elisa l’offroad è sempre stata la sua passione, ci è praticamente nata, per “colpa” di suo padre: «Lo seguivo nelle sue gare perché era un corridore di downhill e la sua passione per la velocità mi ha subito contagiato. Io però ho cercato altro, infatti la mia più grande passione è il cross country di mtb, amo la guida, la tecnica, le capacità di scelta delle traiettorie e di valutazione del terreno, caratteristiche che poi sono utili anche nel ciclocross».

Elisa, nata a Montevarchi nel 2007 affronta questa sua passione con grande professionalità senza assolutamente trascurare la scuola, al punto da dare appuntamento per l’intervista telefonica alle 7,15 di mattina, prima di entrare. Se non è disponibilità questa…: «Sono una delle tante ragazze che amano il ciclismo a 360°, faccio anche gare su strada, ma l’attività in superleggera l’interpreto soprattutto come preparazione per i miei impegni offroad. Che cosa sceglierò in futuro è difficile a dirsi, è troppo presto e so bene che la strada schiude possibilità che le altre discipline non danno, ma per ora non voglio pensarci, ho già la testa piena…».

Giorgia Pellizotti in azione, anche lei protagonista con 3 successi stagionali (foto Billiani)
Giorgia Pellizotti in azione, anche lei protagonista con 3 successi stagionali (foto Billiani)

Una sfida finora alla pari

La stagione come detto ha visto finora la toscana battagliare spesso con la Pellizotti. Nelle prove del Giro delle Regioni (dove la portacolori della Fas Airport Service Guerciotti ha saltato il primo appuntamento a Corridonia) il conteggio è 1-1, considerando però che si corre insieme alle categorie più grandi e questo dà alle più giovani anche l’opportunità di acquisire maggiore esperienza. Nell’ultimo fine settimana, si è invece gareggiato in prove a sé stanti e la Ferri ha portato a casa il prestigioso successo di Brugherio.

«E’ stata una grande soddisfazione anche perché si gareggiava su un tracciato molto tecnico come piace a me – racconta Elisa – dove le curve hanno avuto un grande peso per il rilancio, facendo alla fine la differenza. Sin dall’inizio mi sono trovata con Giorgia, poi nel secondo giro ho provato ad andar via sfruttando i punti più tecnici e dove serviva il “manico”, alla fine ho accumulato un buon distacco che ho mantenuto fino alla fine».

La Ferri ha preso parte agli europei 2023, finendo 21esima, ma centrando la Top 10 in World Cup a Benidorm
La Ferri ha preso parte agli europei 2023, finendo 21esima, ma centrando la Top 10 in World Cup a Benidorm

Le ambizioni europee

37” secondi per la precisione, il giorno dopo a Salvirola la figlia d’arte ha però restituito pan per focaccia con 1’32” di vantaggio, pari e patta anche in questo caso e questo dimostra come la lotta fra le due sarà uno dei leif motiv della stagione: «Fra noi ragazze c’è molta competitività in gara e non nascondo che qualche volta ne nasce anche qualche piccola discussione, ma appena tagliato il traguardo è tutto dimenticato. Ci conosciamo tutte, facciamo gruppo e questo aiuterà quando saremo in nazionale».

L’appuntamento europeo si avvicina, nel prossimo fine settimana ci si confronterà per la prima volta con le migliori ragazze della categoria e la toscana non nasconde le sue ambizioni: «Abbiamo lavorato tanto per quest’appuntamento e le gare sono servite non solo per acquisire la condizione, ma anche per guadagnare punti nel ranking e permettermi di poter partire dalla prima fila. Io sono convinta che in questa maniera potrò giocarmela ad armi pari, senza paura di nessuna».

I percorsi più tecnici e fangosi sono molto graditi dalla toscana, 4 volte tricolore nel ciclocross (foto Billiani)
I percorsi più tecnici e fangosi sono molto graditi dalla toscana, 4 volte tricolore nel ciclocross (foto Billiani)

Conciliare sport e studio

La Ferri è al suo secondo anno nel team Guerciotti e il militare nel team di riferimento del ciclocross italiano ha un suo peso: «E’ molto professionale, danno un supporto importante non solo in gara o in allenamento ma in tutta la mia attività. Ad esempio tengono molto al mio rendimento scolastico, pur nella consapevolezza che l’attività dei fine settimana richiede dei sacrifici nello studio. E’ la scelta giusta per progredire».

Bertolini continua a collezionare successi: doppietta fra Brugherio e Salvirola (foto Billiani)
Bertolini continua a collezionare successi: doppietta fra Brugherio e Salvirola (foto Billiani)

Il weekend dei soliti noti

Per il resto il weekend delle gare internazionali italiane ha confermato Gioele Bertolini e Carlotta Borello come i riferimenti assoluti fra gli open. Il Bullo ha dominato a Brugherio mentre a Salvirola ha trovato molta più resistenza in Folcarelli, 2° a 11” e a un ritrovato Viezzi in decisa crescita a 21”, ma che non farà il suo esordio internazionale nella nuova categoria U23 agli europei. Per la Borello due prove quasi fotocopia, con un deciso vantaggio sulle avversarie fra cui si inizia a distinguere Beatrice Fontana, ormai qualcosa di più che una semplice U23.

EDITORIALE / Non ci sono più i corridori di una volta?

28.10.2024
5 min
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Se metti un direttore sportivo di 70 anni a guidare un team di juniores non è detto che ne tirerai fuori dei corridori, ma è abbastanza certo che se gli esiti dell’esperimento non saranno quelli sperati, la colpa sarà tutta dei ragazzi. Non ci sono più i corridori di una volta: il titolo è già fatto. Eppure i corridori ci sono e non è un caso che l’unica categoria davvero in attivo del ciclismo italiano sia quella dei loro agenti. Sono loro che danno la linea dello sviluppo, che prendono i corridori e li distribuiscono fra i vari team. Se qualche regola li ostacola, trovano con competenza la via d’uscita. Fanno la loro parte, poco da rimproverargli. Se porti un goloso in pasticceria e lo lasci libero di prendere quel che vuole, sai già che non farà prigionieri.

In questi pochi mesi che porteranno alle elezioni federali, questo sarà uno dei fronti più caldi. Non tanto per imporre dei vincoli che la legge europea sul lavoro può scavalcare senza troppi problemi, ma per cercare di rimettere lo sport al centro del ragionamento. Siamo certi che chi gestisce il ciclismo giovanile abbia le carte in regola? Con quali argomenti può confutare le tesi dei procuratori? Siamo certi che non sia arrivato il momento per un sostanzioso ricambio su alcune ammiraglie? I corridori ci sono, i corridori di oggi: sottoposti a tensioni da cui quelli di una volta sarebbero stati sbriciolati (in apertura una foto dal Giro della Lunigiana). Quanto può cambiarti la vita un contratto da professionista se non sei in grado di onorarlo come (giustamente) ci si aspetta?

Tomas Trainini, neoprofessionista nel 2021 a 19 anni, ha alzato bandiera bianca nel 2022 (foto Instagram)
Tomas Trainini, neoprofessionista nel 2021 a 19 anni, ha alzato bandiera bianca nel 2022 (foto Instagram)

Pro’ a 18 anni

Uno dei primi punti di domanda fu il passaggio al professionismo di Tomas Trainini nel 2021, a 19 anni appena compiuti. Correva alla Colpack e anche a Villa d’Almé rimasero stupiti vedendolo andar via. I suoi giorni di corsa tra i professionisti non arrivarono a 15 e nell’aprile del 2022 annunciò il ritiro. Le motivazioni sulla sua presunta fragilità furono prese per buone, perché dubitarne? Resta il fatto che, essendone a conoscenza, probabilmente quel contratto non andava neanche proposto. E da quel giorno anche Reverberi imparò a prendere meglio la mira.

E’ di questi giorni notizia del ritiro di due corridori dal devo team della Soudal-Quick Step: il britannico Cormac Nisbet e Gabriel Berg, un promettente francese classe 2005, passato a 19 anni . In una intervista molto interessante su L’Equipe proprio lui spiega il perché della sua scelta. Questo un passaggio.

«La mia vita ruota attorno al ciclismo. E’ diverso da quando correvo alla Argenteuil da junior e andavamo alle gare con gli amici nel fine settimana. La mia età ha avuto un ruolo nella decisione di smettere. A 18 anni non ero pronto, era troppo presto. Non avevo la maturità per mettere tutto da parte per il ciclismo. Non sapevo come trasformare la mia passione in una professione. Ero pronto per rendermi conto a 30 anni che mi ero perso gli anni migliori della mia vita? Ma quello che non ha funzionato per me funziona anche per altri, come Matys Grisel, Léo Bisiaux o Paul Seixas (campione del mondo junior della crono, ndr) che sono diventati professionisti molto giovani».

Gabriel Berg, francese della Soudal-Quick Step Devo Team, ha alzato bandiera bianca (foto Wout Beel)
Gabriel Berg, francese della Soudal-Quick Step Devo Team, ha alzato bandiera bianca (foto Wout Beel)

La catena di montaggio

Quello che va bene per uno non funziona necessariamente per gli altri, invece è diventato regola. L’orologio biologico che un tempo era riferito quasi unicamente alla maternità oggi investe i corridori con ripercussioni che non tutti siamo in grado di immaginare. Da un lato è giusto capire per tempo di non essere tagliati per un certo lavoro. Va bene che nel frattempo si finisca la scuola, in modo da non arrivare a 23 anni sul mercato senza arte né parte. Dall’altro è semplicemente assurdo che non ci sia una via di mezzo per chi a 18 anni vorrebbe avere il tempo di capire e si ritrova invece in un frullatore.

«I miei compagni di squadra sono colleghi – racconta ancora Berg – facciamo il nostro lavoro. Veniamo pagati circa 450 euro al mese. Vogliamo andare tutti nel WorldTour. Tutto è fatto in modo perché tu debba soltanto pedalare. La mia preparazione è molto più avanzata e più scientifica che negli juniores, ad Argenteuil. Faccio dei test. Prendono i livelli di lattato, i livelli di CO2… E’ un altro mondo. Sono in contatto con il mio allenatore e i direttori sportivi. Vedo un nutrizionista e un medico se ne ho bisogno».

A 22 anni, Verre ha già corso due Giri d’Italia. Si tutela così un giovane di valore?
A 22 anni, Verre ha già corso due Giri d’Italia. Si tutela così un giovane di valore?

Il mondo di adesso

Montoli ha smesso perché nessuno l’ha cercato e a 22 anni si è sentito vecchio. Leo Hayter ha smesso per fragilità psicologiche troppo grandi che il WorldTour ha reso più evidenti. E poi ci sono coloro che son sospesi. Come Alessandro Verre, mandato troppo giovane alla Arkea senza che ne avesse l’urgenza e la solidità. Dopo tre anni e calendari cambiati senza una logica che vedesse lui al centro del ragionamento, si ritrova alla ricerca di un contratto. Non avrebbero meritato di crescere, fare il loro percorso negli under 23 e poi tentare il grande salto quando fossero stati pronti?

In questa società così diversa, di famiglie spesso disintegrate e valori dispersi, lo sport giovanile è un momento educativo e aggregativo e non un’agenzia di avviamento al lavoro. I ragazzi di oggi hanno mille fragilità che sarebbe indecente non considerare. Occorre quindi un accordo fra le parti per stabilire che 18 anni sono spesso pochi per l’accesso ai vertici. Occorre garantire un’attività di livello anche senza finire necessariamente all’estero. Se vengono a prenderli da noi a 19 anni, vuol dire che sono forti e che fino agli juniores s’è lavorato bene. Non è possibile che avere la struttura giusta in tempi più lunghi sia necessariamente una condanna al fallimento.

Il nuovo Milan sulla strada dei giganti. Parla coach Reck

28.10.2024
7 min
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Quanto vale Jonathan Milan? A quale livello atletico e tecnico è arrivato e sin dove potrà spingersi? Abbiamo letto il racconto di Bragato sul record del mondo dell’inseguimento e poi abbiamo letto le raccomandazioni che al friulano ha fatto Viviani per il seguito della carriera. Il 2025 sarà un anno dedicato interamente alla strada. Questo significa che la preparazione della pista, fatta di lavori specifici e palestra, sarà sostituita da altri protocolli. E’ un delicato equilibrio che la Lidl-Trek dovrà trovare e mantenere. Il Milan vittorioso degli ultimi due anni era figlio dell’asfalto e del parquet. In che modo si lavorerà?

L’uomo giusto per parlare di tutto questo è Mattias Reck, svedese che compirà a breve 54 anni, che dopo una breve carriera da corridore dal 2016 è diventato allenatore. E’ lui il preparatore di Milan, come pure di Mads Pedersen. A ben vedere i due corridori si somigliano quantomeno nell’attitudine ed è con grande curiosità che gli abbiamo rivolto alcune domande da cui emergerà che, nonostante un palmares a dir poco speciale, Jonathan Milan è ancora lontano dall’aver raggiunto il suo massimo.

Mattias Reck, svedese classe 1970, è dal 2017 allenatore nel gruppo Trek
Mattias Reck, svedese classe 1970, è dal 2017 allenatore nel gruppo Trek
Ci dica, Mattias, che idea si era fatto di Milan e in che modo lo ha approcciato? Avevate dei test precedenti oppure siete partiti da zero nel primo ritiro?

Io e la squadra seguivamo le prestazioni e lo sviluppo di Jonny già molto prima di ingaggiarlo. Avevo un’idea chiara su che tipo di corridore fosse e di come avrei voluto allenarlo, ancora prima di iniziare. Poi nel primo ritiro, il 23 dicembre del 2023, abbiamo fatto dei test. Prima uno step test indoor poi di resistenza su strada: ricordo che sono rimasto molto colpito dai suoi valori e da diverse aree. Ad esempio, un Vo2Max elevato per essere un velocista e una resistenza già molto buona nonostante si allenasse solo da 3-4 settimane.

Qual è la principale qualità atletica di Milan?

Ovviamente ha uno sprint incredibile. Ciò che lo rende ancora più speciale è che, pur essendo così alto e pesante per essere un ciclista, ha una spinta molto esplosiva e può mantenerla a lungo. Poiché ha un motore aerobico così potente, in combinazione con la sua elevata potenza anaerobica, può sostenere un ritmo molto intenso per molto tempo prima dello sprint. Se chi lo lancia non ha un’azione regolare, Milan ha la capacità di sopravvivere anche se deve uscire nel vento un paio di volte di troppo o troppo presto. Questa combinazione fra capacità anaerobica e aerobica molto elevata fa sì che Jonathan possa essere competitivo anche nelle classiche più dure, come abbiamo già potuto vedere quest’anno alla Gand-Wevelgem.

Con Van der Poel e Pedersen, alla Gand 2024 Milan ha dimostrato di avere i mezzi per le corse del Nord
Con Van der Poel e Pedersen, alla Gand 2024 Milan ha dimostrato di avere i mezzi per le corse del Nord
Durante lo scorso inverno e poi durante la stagione avete lavorato sulla crescita generale o principalmente su ciò di cui ha bisogno per gli sprint? 

Principalmente sulla crescita generale, che in questo caso significa molta resistenza di base. I velocisti hanno sempre bisogno di molte ore, in combinazione con alcuni brevi intervalli ad alta intensità e sprint: quello che si definisce un allenamento piuttosto polarizzato. Questo è il punto di partenza. Poi, man mano che si procede, si vedrà quanto lavoro a media intensità (zon3/4, FatMax e soglia) proporgli perché possa diventare ancora più forte. La gente potrebbe pensare che un velocista faccia un sacco di allenamento per lo sprint, ma l’80-90% è un lavoro aerobico di base, il che significa praticamente un sacco di lavoro di resistenza. Poi si aggiungono alcuni interval training e forse 2 sessioni a settimana con allenamenti specifici per lo sprint, ma in percentuale è ancora molto poco.

Pensa che abbia davvero caratteristiche simili a Pedersen?

Sì, entrambi hanno un’elevata capacità anaerobica e aerobica. Sono uguali, ma comunque diversi all’interno della stessa area.

La sua struttura fisica gli consente di essere competitivo anche in gare più impegnative come il Fiandre?

Lo sviluppo futuro dovrà valutare con esattezza quanto Jonny sia in grado di affrontare le gare classiche più dure. Il Giro delle Fiandre degli ultimi anni ha avuto un livello di scalata estremamente alto, quindi non oso fare previsioni. Tuttavia, in gare come Sanremo, Gand-Wevelgem e Roubaix, Jonathan può essere presente. 

In ricognizione sui muri: riuscire a reggere il ritmo in salita è la versa sfida di Milan
In ricognizione sui muri: riuscire a reggere il ritmo in salita è la versa sfida di Milan
Può avere nelle gambe i 3-4 minuti del Poggio e mantenere la freschezza necessaria per la volata di Sanremo?

Sì, può. Dipende da quanto si faranno forte Capo Berta e Cipressa, dal meteo (il vento contrario o a favore sul Poggio fa una grande differenza) e ci vuole anche un po’ di fortuna, naturalmente. E’ una scommessa che si può accettare.

Partendo da quanto visto nel 2024, la preparazione per il 2025 subirà dei cambiamenti?

In realtà non cambierò nulla, sarà sempre la stessa cosa. Correrà meno in pista e questo di per sé farà la differenza perché significa che quest’anno potremo aggiungere più resistenza specifica su strada.

Il lavoro in palestra sarà una parte importante?

Come stradista, con uno sprint già molto buono, di solito non mi concentro molto sul lavoro in palestra. Facciamo qualche esercizio in palestra alla fine delle uscite per lavorare sulla resistenza, ma per lo sprint puro Johnny secondo me non ne trarrebbe grossi vantaggi.

Quarto al campionato italiano crono, dietro Ganna, Affini e Baroncini: una specialità che gli si addice
Quarto al campionato italiano crono, dietro Ganna, Affini e Baroncini: una specialità che gli si addice
Lavorerete sulla gestione dello sforzo durante lo sprint, quindi anche sui rapporti da usare?

Sì, insieme a Johnny e al nostro reparto di ricerca e sviluppo abbiamo analizzato il suo sprint già lo scorso inverno. Con il suo scatto e l’elevata cadenza, ero curioso di vedere se potevamo andare ancora più in là con i rapporti o intervenire sulla lunghezza delle pedivelle. Alla fine abbiamo scoperto che poteva usare un rapporto superiore e mantenere comunque il suo giusto range di cadenza nello sprint. L’allenamento è una questione di fiducia. Abbiamo una buona collaborazione, lui si fida di me, io mi fido di lui ed è andata bene fin dall’inizio. Se il corridore non si fida più dell’allenatore, di solito è finita.

La sua predisposizione per lo sforzo solitario potrebbe renderlo competitivo nelle crono più lunghe dei semplici prologhi?

Sono sicuro che potrà avere un futuro anche facendo delle belle cronometro più lunghe, ma non è nulla su cui al momento dobbiamo concentrarci in modo specifico. Migliorerà in ogni caso, abbiamo dell’ottimo materiale, facciamo test aerodinamici, ha un motore forte e si allenerà molto nei prossimi anni. L’obiettivo deve essere quello di migliorare ancora di più i suoi punti di forza e non concentrarsi troppo su cose che non sono la massima priorità. Poi, naturalmente, arriverà il momento in cui un crono sarà ancora più interessante e potremo farne un obiettivo extra. A quel punto vedremo cosa sarà in grado di fare. Tuttavia, le crono più brevi, come quelle di 10-12 chilometri, possono già essere fatte ad un livello molto alto e si adattano al suo carattere! Il punto è che non possiamo concentrarci anche su prove di 35-40 km. Se lo facessimo, potremmo perdere troppo su altri fronti.

Jonathan Milan, friulano classe 2000, è alto 1,93 e pesa 84 chili. E’ pro’ dal 2021
Jonathan Milan, friulano classe 2000, è alto 1,93 e pesa 84 chili. E’ pro’ dal 2021
Che rapporto si è creato tra voi: insegnante-allievo o anche lui è in grado di dare un feedback che vi permette di calibrare il lavoro?

Jonny ha solo 24 anni, ma è già molto bravo nella comunicazione, è intelligente, sa cosa vuole e cosa serve. E’ concentrato e organizzato, questo è molto importante. Il ciclismo di oggi è esigente, se vuoi essere un grande campione devi essere in grado di pianificare e organizzare molte cose e costruire una buona squadra intorno a te. Lui ha già questa maturità, quindi sono sicuro che ha le carte in regola, non solo dal punto di vista fisico. Allo stesso tempo ha capito che non può essere coinvolto in tutto ciò che riguarda l’allenamento. A un certo punto, pur interessandosi, è bene potersi fidare dell’allenatore e fare quello che dice. E questo è il nostro modo di procedere. Lui si fida di me e può rilassarsi, fare il suo lavoro e concentrarsi su altre cose.

Bouwman lascia la Visma e parla di Roglic e dell’anno nero

28.10.2024
7 min
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La maglia azzurra messa sulle spalle nel 2022, quella rosa conquistata dal suo capitano Roglic nel 2023 e quella giallonera riposta quest’autunno definitivamente nell’armadio dopo un decennio in casa Visma. Koen Bouwman guarda con curiosità al 2025 che lo vedrà vestire un nuovo completo, quello della Jayco-AlUla, la formazione australiana che l’anno prossimo punterà fortissimo su Ben O’Connor nei Grandi Giri.

Le corse di tre settimane sono il pane quotidiano per il trentenne olandese, che vuole tornare a disputarle dopo averle viste da spettatore nel 2024. Il successo alla Settimana Internazionale Coppi e Bartali in primavera, infatti, non ha poi portato fortuna per il resto dell’annata e la voglia di rivalsa è tanta per il corridore oranje che compirà 31 anni il prossimo 2 dicembre.

Finalmente in vacanza?

In realtà non proprio, perché ho appena comprato casa con la mia fidanzata e ci hanno consegnato le chiavi da poco, per cui ho un po’ di appuntamenti e lavori da fare. Abbiamo deciso di prenderla nella città in cui sono nato e cresciuto: Ulft, nella parte orientale dei Paesi Bassi, vicino al confine con la Germania. Avevo pensato di trasferirmi in Andorra, a Girona o da qualche altra parte, ma essendo spesso in ritiro, quando sono a casa preferisco essere davvero a casa e in questo posto mi sento così.

Il tuo 2024 si è chiuso col Tour di Guangxi: qual è il tuo bilancio?

Direi che è stato un mix di sensazioni contrastanti. Era cominciato in Australia, quasi inaspettatamente, ma mi sentivo già bene pur senza troppi allenamenti ed è stato positivo direi fino al Romandia. Alla Parigi-Nizza, così come alla Coppi e Bartali, ho raggiunto il livello più alto della stagione. Era dall’inverno che puntavo a vincere almeno una corsa e direi che con quest’ultima ho centrato l’obiettivo, poi sono andato ad allenarmi in altura. Non dovevo fare Grandi Giri, ma ero riserva per il Giro d’Italia, per cui volevo farmi trovare pronto in caso di rinunce o infortuni. Sono andato al Romandia e lì purtroppo mi sono ammalato. Ho avuto la febbre quasi a 40 per una settimana e così, pur essendo arrivata la chiamata per il Giro, ho dovuto rinunciare. Dal Tour of Norway in poi, non ho più ritrovato le sensazioni giuste. In Polonia non è stato niente di eccezionale, poi ho fatto qualche gara di un giorno e ad Amburgo sono caduto male, incrinandomi qualche costola con annessi problemi a un rene. Ho fatto di tutto per esserci al Guangxi per dare il mio ultimo supporto alla squadra e finire in sella la mia lunga avventura in giallonero e non con una caduta.

Com’è andata?

Sono arrivato in Cina con appena 25/30 ore di allenamento ed è stata una corsa durissima. Negli ultimi giorni ero davvero al limite, ma alla fine sono felice di esserci stato e di aver chiuso così il capitolo con la Visma. 

Com’è stata l’ultima stagione dopo la partenza di Roglic e cosa ti porti dietro di questo decennio?

Il 2023 è stato un anno pazzesco perché ci è mancata soltanto una Monumento, ma per il resto è stato tutto incredibile. Il 2024 è stato tutto il contrario perché, dopo una stagione come quella, non siamo riusciti a raggiungere nessuno degli obiettivi prefissati in inverno, anche a causa di diversi episodi sfortunati. Salverei Matteo Jorgenson, che ha avuto una grande stagione e ha mostrato quello di cui è capace, ma per il resto tutte le cadute dei leader hanno mandato in frantumi i sogni di gloria. Forse un’annata così può comunque far bene alla squadra, per far capire che quello che abbiamo ottenuto nel 2023 è stato qualcosa di fuori dal normale e che sedersi sugli allori non basta. Nel complesso, non è stata una stagione pessima perché tutti abbiamo lottato finché abbiamo potuto, ma al tempo stesso non è stata facile. Lo si è visto anche in Cina dove eravamo soltanto in 6 a causa dei vari acciacchi. Alla fine però, bisogna accettarla per quello che è stata. 

Che cosa ti ha portato a cambiare squadra?

Il punto di svolta è stato già lo scorso inverno, quando abbiamo cominciato a pianificare il 2024 con lo staff. In quel momento, conosci il tuo calendario per la prima parte di stagione e anche un pezzo della seconda. Per me è stata una grande sorpresa non essere nelle liste per un Grande Giro ed ero molto contrariato sul programma che mi avevano assegnato e la preparazione era totalmente differente rispetto al 2023. Lì ho capito che era il momento di cambiare. Abbiamo parlato un po’ con la squadra, ma ho cominciato a guardarmi attorno. Verso metà aprile, sono cominciati i dialoghi con la Jayco-AlUla e in breve tempo abbiamo trovato un accordo.

Che cosa ti aspetti dalla nuova sfida?

Sono molto felice di questa scelta e sono certo che così potrò di nuovo focalizzarmi sui Grandi Giri e avere qualche occasione di vincere gare di un giorno. Non so ancora se supporterò Ben (O’Connor, ndr) per la classifica generale in un Grande Giro o se aiuterò Dylan (Groenewegen, ndr) per gli sprint, perché è ancora tutto da decidere. A dicembre ne capirò qualcosa di più, ma non vedo l’ora, soprattutto di tornare ad avere libertà in alcune corse.

Al Polonia ha aiutato per l’ultima volta un leader della Visma a vincere: qui l’abbraccio con Vingegaard
Al Polonia ha aiutato per l’ultima volta un leader della Visma a vincere: qui l’abbraccio con Vingegaard
Quali sogni di vincere, se potessi scegliere?

Domanda difficile, ma forse direi un’altra tappa al Giro o alla Vuelta: sarebbe un sogno arrivare a braccia alzate.

Se avessi tu in mano il pallino, che Grande Giro vorresti fare?

Beh, un giorno mi piacerebbe andare al Tour de France. Ma anche l’accoppiata Giro e Vuelta mi stuzzica, per cui davvero non saprei scegliere. So solo che le corse di tre settimane si addicono alle mie caratteristiche e adoro anche tutta la fase di preparazione per arrivarci. Mi auguro di mostrare una buona forma sin dall’inizio e poi vedremo che sarà.

Hai aiutato Roglic a vincere un Giro: che suggerimento daresti a O’Connor per ripetere un’impresa simile?

Ben forse non è del livello di Vingegaard, Roglic e Pogacar, ma senza dubbio gli è molto vicino e quest’anno ha dimostrato di essere uno dei contendenti quando si parla di Grandi Giri. A parlare saranno le gambe, ma sono sicuro che con la nostra squadra potremmo aiutarlo in questa sfida.

Che emozione è stata la cavalcata rosa con Primoz?

Il momento più bello è stato al Monte Lussari. Sin dal primo camp in altura, Primoz parlava soltanto del Monte Lussari e ci era già andato a piedi in inverno, durante una passeggiata con sua moglie. Era certo che il Giro si sarebbe deciso lì. Non è stato facile perché durante le tre settimane ha avuto momenti in cui non stava benissimo ed è stato speciale vivere tutti quei momenti da così vicino, sia quelli positivi sia quelli negativi. È stato incredibile, poi persino col salto di catena. Quando ha tagliato il traguardo e abbiamo capito che aveva vinto, è stato un momento che non mi scorderò mai, un’esplosione di emozioni.

Bouwman in azione sul Monte Lussari al Giro del 2023: è il giorno in cui Roglic prenderà la maglia rosa a Thomas
In azione sul Monte Lussari al Giro del 2023: è il giorno in cui Roglic prenderà la maglia rosa a Thomas
Che ne pensi della sua dichiarazione recente in cui afferma che correrà dove non ci sarà Pogacar al via?

Conosco Roglic abbastanza bene per i nove anni fatti insieme e per il grande rapporto che ci lega. Posso affermare che il 90% di quello che dice è solo per divertimento. So che lui vuole vincere il Tour più di ogni altra cosa, per quanto anche un altro successo al Giro o alla Vuelta sarebbero davvero grandiosi, per cui non mi stupirei di vederlo di nuovo in Francia.  

Come sei arrivato al ciclismo da bambino?

Giocavo a badminton e calcio, ma già da piccino avevo chiesto a mamma e papà di regalarmi una bici e se non ricordo male, la prima è arrivata quando avevo 4 anni. Giocavo abbastanza bene a calcio a livello regionale, ma quando ho iniziato ad allenarmi tre volte a settimana sul rettangolo verde oltre alla bici, ho capito che era arrivato il momento di scegliere.

De Vylder, è tutto vero: l’oro scaccia il fantasma di Parigi

27.10.2024
5 min
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Lindsay De Vylder non ha mai vinto una corsa su strada. Ha 29 anni e dopo le categorie giovanili nella Quick Step continental, ha indossato e non ha più dismesso la maglia del Team Flanders-Baloise. Eppure per lui la strada non è mai stato un obiettivo e tantomeno un cruccio. Questo perché il corridore belga di Wetteren, comune belga subito fuori Gand, ha sempre ribadito il fatto di essere un pistard. E forse per questo, quando ai mondiali di Ballerup ha conquistato la maglia iridata dell’omnium davanti a Consonni, è parso prima incredulo e poi è scoppiato in lacrime.

Gli ultimi mesi non erano stati facili per lui. Era andato alle Olimpiadi per una medaglia e ne era uscito con un malinconico undicesimo posto. Non si sa se per il carico mediatico crescente o altro, le ultime Olimpiadi sono state un boccone più faticoso del solito da masticare, mandare giù e poi digerire. Tutti, ma proprio tutti, hanno avuto un complicato periodo di decompressione. Per De Vylder è stato ancora più difficile perché vissuto con il senso di aver fallito.

«Quel giorno è andato tutto storto – ha raccontato dopo la vittoria iridata – nonostante mi fossi impegnato tanto per raggiungere l’obiettivo. Avevo persino lavorato con uno psicologo dello sport per gestire meglio lo stress. Ci si è messa anche l’allergia ai pollini di cui soffro sempre ad agosto, per la quale ho cercato per anni tutti i medici possibili. Ma non voglio trovare responsabilità al di fuori di me stesso. Ho fallito e, ancora una volta, la mia autostima ha subito una gigantesca ammaccatura. Ora quella fiducia l’ho recuperata».

La madison di Parigi è stata amara per De Vylder e Van den Bossche: solo l’11° posto
La madison di Parigi è stata amara per De Vylder e Van den Bossche: solo l’11° posto

Le grandi promesse

La pista, si diceva. Quasi tutti i protagonisti dei velodromi hanno una doppia vita: su strada e su pista. Alcuni riescono a brillare in entrambe, come Viviani, Ganna, Milan o Consonni. Come Morkov e anche Oliveira. Altri invece su strada si allenano e allenandosi mettono insieme anche una carriera da stradisti. De Vylder non lo ha mai contemplato ed è anche difficile capire come mai, dato che in Belgio la pista è importante, ma la strada è una religione. Per lui non è mai stato così, forse perché le vittorie da giovane in pista inducevano a sperare in una carriera differente.

Prima il titolo europeo dell’omnium juniores ad Anadia 2013. Poi quello della madison U23 nel 2017, ugualmente in Portogallo. Qualche successo in tappe della Nations’ Cup. L’argento della madison agli europei di Grenchen del 2023, ma tutto sommato il senso del nuovo talento in arrivo si è andato affievolendo con il passare degli anni. Nulla sembrava funzionare per come sembrava scritto. Tanto che dopo un po’ e sommando le varie osservazioni, si è diffusa la convinzione che il problema non siano mai state le sue gambe, quanto la testa. Era scritto che De Vylder avesse i mezzi per un mondiale, non era così scontato che riuscisse a gestire le attese. E questo a Parigi lo ha fatto sprofondare al punto più basso della carriera.

Al via della 4ª tappa del Giro del Belgio, con Waerenskjold, Philipsen e Vacek c’è anche De Vylder
Al via della 4ª tappa del Giro del Belgio, con Waerenskjold, Philipsen e Vacek c’è anche De Vylder

La svolta di Ballerup

A Ballerup qualcosa è cambiato. Nella prima parte dell’omnium, De Vylder è parso ancora esitante. Poi come in una lenta risalita, il belga è arrivato all’ultima corsa a punti con il morale, le gambe e la convinzione di poter riaprire e subito chiudere il discorso.

«Domenica ho corso anche la madison – ha raccontato – che era il mio obiettivo principale ed è arrivato l’argento. Sapevo che mi aspettava in fondo ai mondiali, così per l’omnium sono riuscito a non far salire troppo la tensione. L’obiettivo era un altro, prima si trattava di fare bene, ma senza il peso di troppe attese. E alla fine ha funzionato e con mia grande sorpresa, ce l’ho fatta. Ho iniziato la corsa a punti in una buona posizione di partenza, il quinto posto. Con molti corridori vicino a me e piccole differenze. Sapevo che era impossibile per il leader tenere d’occhio tutti. Quindi ho attaccato: il mio allenatore mi ha detto di provarci e gli ho dato ascolto. Ci credete che non osavo fidarmi del tabellone? Mi sorprendo di aver vinto e ci sono riuscito perché per una volta tanto ho avuto il coraggio di osare. Dopo Parigi, non avevo più fiducia in me stesso. Chiamatela paura di fallire, vergogna, tutto. Mi sentivo quasi in colpa perché avrei dovuto correre io questo omnium e avrei fallito di nuovo. Invece guardate come è andata a finire…».

La ferita guarita

Per questo ha abbracciato a lungo il cittì De Ketele e chissà che ora la sua carriera non abbia trovato la svolta in cui ha sempre sperato. Mentre lo speaker di Ballerup continuava a chiamare il suo nome, De Vylder continuava a guardarsi intorno incredulo, mentre nel box azzurro Consonni probabilmente avrebbe preferito che il suo risveglio non fosse venuto quel giorno. E’ una delle tante storie del ciclismo. Quelle da cui si capisce che le gambe contano, ma la vera differenza si fa con la testa.

«Naturalmente ho di nuovo fiducia in me stesso – dice – ma resta un peccato il modo in cui sono finite le Olimpiadi. Questo oro guarirà la mia ferita».