Sono iniziati ieri gli europei in Limburgo (in modo fantastico per l’Italia con l’oro di Affini e il bronzo di Cattaneo nella cronometro individuale) che la Vuelta sembra già lontana molto più dei quattro giorni che sono trascorsi dalla frazione conclusiva di Madrid. Questo non è altro che la conseguenza dell’effetto-lampo del ciclismo attuale, dove si va sempre più veloce in gruppo e pure nel passare con l’attenzione alla gara successiva.
Noi però abbiamo tirato i freni per un attimo andando a ripercorrere gli highlights della corsa spagnola vinta da Roglic in compagnia di Orlando Maini. Il tecnico bolognese è momentaneamente giù dall’ammiraglia, ma ovviamente resta un assetato di ciclismo. Non si è perso nemmeno una tappa della Vuelta, gara che gli è rimasta nel cuore da quando vinse la Saragozza-Soria nel 1984. Ecco la sua analisi.
Orlando da dove vuoi iniziare?
Partirei dall’ultima tappa solo per indicarvi un dato che mi ha impressionato. Hanno fatto la crono di Madrid a medie orarie folli, dopo una Vuelta molto dura. Kung l’ha vinta sopra i 55 chilometri orari. Solitamente l’ultima crono di un grande giro a tappe è l’indicatore della condizione. E molti stavano bene. Cattaneo e Baroncini sono andati molto forte, Affini appena dietro, ma lui era già andato bene in quella di apertura. Non mi stupisce che i primi tre della crono europea siano reduci dalla Spagna.
Qualcuno dice che è stata una Vuelta noiosa. Cosa rispondi?
Ci sta che il pubblico da casa voglia sempre che tutti i migliori dieci corridori al mondo si scontrino in ogni tappa. Per le volate, in salita o nelle frazioni ondulate. Ma non può essere così perché innanzitutto c’è un calendario molto fitto e le energie vanno dosate. Poi perché il livello medio è altissimo. Si va forte ogni giorno, basta guardare i dati dei computerini dei corridori. Anche nella penultima tappa, che aveva più di 5.000 metri di dislivello in 170 chilometri, sono andati molto forte (oltre 37 km/h di media, ndr). Le differenze sono minime in certi casi.
Alla fine secondo te ha vinto la Vuelta chi doveva vincerla?
Delle tre grandi corse a tappe, quella spagnola è quasi sempre quella col risultato più aperto, specialmente quest’anno. Senza fenomeni come Pogacar, Vingegaard e Evenepoel, il favorito principale era Roglic, anche perché i rivali diretti sulla carta non erano al top. Almeida si è ritirato all’inizio, Adam Yates è andato a corrente alternata, Landa era in buona condizione, ma non abbastanza e Mas è un regolarista cui manca sempre il guizzo decisivo. Tuttavia la vittoria di Roglic non era scontata, nonostante ne avesse già conquistate tre. Infatti abbiamo visto com’è andata. Ha dovuto rosicchiare il vantaggio di O’Connor fino alla fine. Per me è stata una Vuelta che è andata oltre le attese.
In che modo?
Sostanzialmente ogni giorno c’era una fuga numerosa e quindi si assisteva ad una gara nella gara. Una per la vittoria di tappa, l’altra per la generale. Abbiamo visto lampi che hanno reso interessante la corsa. Ad esempio in una di queste azioni da lontano, O’Connor è andato a prendersi un successo parziale, la maglia rossa e alla fine pure il secondo posto finale. Guardate che fare un podio nelle grandi corse a tappe non è facile, anche se non ci sono i soliti tre tenori che dicevo prima.
La fuga di O’Connor ha ricordato quella di Arroyo al Giro del 2010 che gli permise poi di chiudere secondo dietro Basso in classifica. Secondo te ha scombinato i piani di molti uomini?
Penso proprio di sì. Bisogna dire però che rispetto ad Arroyo, O’Connor alle spalle aveva un quarto posto al Tour del 2021 e al Giro di quest’anno, quindi era già abituato a certi piani alti. Però per me ha fatto un grande numero. Idealmente gli do un voto alto perché ha giocato molto bene le sue carte. E’ vero che gli hanno lasciato molto spazio e lui ha guadagnato molti minuti con quella fuga, però gli va dato atto che è stato bravo a crearsi quella occasione. E bravo successivamente a gestire gli sforzi. Tutti pensavano che saltasse prima, invece ha ceduto solo al terzultimo giorno.
Lato velocisti invece cosa ci dici?
Le tappe se le sono divise in due rispettando abbastanza i pronostici. Mi è dispiaciuto tantissimo per la caduta e il relativo abbandono di Van Aert. Peccato, stava andando fortissimo, mi ricordava quello del 2022 al Tour. Ha raccolto tre vittorie, era sempre in fuga, anche in montagna, aveva una condizione incredibile ed era al comando di due graduatorie. Non so se avrebbe vinto la classifica dei gpm, ma di sicuro quella a punti, che poi è andata a Groves, autore di tre successi nelle altrettante tappe per velocisti.
C’è qualcosa che ti ha colpito in particolare?
Sicuramente le vittorie delle formazioni professional. A parte quello di Woods della Israel, che è già stata nel WorldTour, i tre successi della Kern-Pharma con Castrillo e Berrade mi sono piaciuti. Penso che vadano a beneficio del nostro sport. Sono di certo vittorie figlie della Vuelta che si è creata come dicevo prima, ma sono importanti perché danno un segnale. Che anche le squadre più piccole possono riuscire a vincere nei grandi giri. Pensate al Giro d’Italia se una professional italiana vincesse tre tappe. Per gli sponsor sarebbe una manna e magari servirebbe per attirarne di nuovi.
Cosa ti ha deluso?
Devo dire con onestà che mi sarei aspettato di più da Landa. Non tanto in termini di generale, quanto più per una vittoria di tappa. Però per come stava andando ed è andata la Vuelta, la Soudal avrebbe dovuto cambiare tattica. Ovvero non lasciare andare via la fuga e poi inventarsi qualcosa nel finale. Oppure far uscire di classifica Landa subito e cercare la fuga come fanno spesso in tanti per avere più libertà d’azione. Certo, non è così semplice. Una conseguenza di tutto ciò però ha portato a fermare Cattaneo nella diciottesima tappa per aspettare ed aiutare Landa staccato. Mi è spiaciuto molto per Mattia che meritava di giocarsi la vittoria siccome aveva dimostrato di stare bene.
Orlando Maini come ha guardato la Vuelta?
Ho un debole per le gare spagnole e per questa in particolare. L’ho corsa da corridore e l’ho fatta tante volte da diesse. Ogni giorno appena mi collegavo alla televisione cercavo di capire com’era la situazione e mi immedesimavo nei direttori sportivi, sia degli atleti in fuga sia di quelli in lotta per la maglia rossa. Cercavo di interpretare le tattiche e magari vedere se i miei pensieri combaciavano con ciò che vedevo. D’altronde noi addetti ai lavori guardiamo le gare in questo modo, valutando aspetti che spesso la gente da casa non tiene in considerazione.