Parlando con la giovanissima Giorgia Pellizotti è quasi automatico che la mente vada indietro nel tempo, alle imprese di suo papà Franco. Per certi versi Giorgia ne è la conseguenza, perché dalle sue parole si percepisce forte una feroce determinazione, quella stessa che permise a Franco di vincere la maglia a pois al Tour, di diventare un personaggio fra i pro’ italiani pur senza essere un capitano e di essere un apprezzato e importante diesse alla Bahrain Victorious.
Giorgia sta crescendo in fretta. Il suo trainer Paludetti aveva spiegato come la ragazza stia maturando e candidandosi come uno dei principali prospetti del ciclocross azzurro con la particolarità, rispetto a tanti altri, di voler puntare con forza proprio sulla disciplina dei prati, quella che spesso è il “vaso di coccio” nella multidisciplina che caratterizza le nuove generazioni.
Paludetti aveva anche detto che Franco, come regalo di Natale aveva previsto una lunga trasferta in Belgio, per portare Giorgia a competere nella patria del ciclocross e sua figlia lo ha ripagato come meglio non poteva, aggiudicandosi la sua prima gara a Beernem. «E’ stato il più bel regalo che mi potesse fare – racconta Giorgia – sapeva bene quanto ci tenessi a mettermi alla prova in un contesto così diverso».
Perché era così importante per te?
Le gare italiane ormai le conosco quasi tutte e volevo provare qualcosa di diverso. Tracciati meno scontati, avversarie nuove perché quelle italiane ormai le conosco tutte, ci confrontiamo sempre fra le stesse. Inoltre gareggiare qui impone nuove tecniche, per affrontare il fango e la sabbia.
Avevi già avuto modo di gareggiare su questi elementi?
Nel fango sì, ma qui è tutto diverso. E’ davvero la patria del ciclocross, devi metterti alla prova al 100 per cento. E’ faticoso, ma bello. C’è tanto da spingere. E’ un modo di correre tutto nuovo per me. Oltretutto iniziare con una vittoria è stato il massimo, anche perché era una gara con tante atlete locali ma anche altre straniere oltre me, cicliste canadesi e francesi ad esempio.
Che cosa ha detto tuo padre della tua vittoria?
Non siamo partiti con tante pretese, avremmo preso qualsiasi cosa fosse arrivata, l’importante era fare esperienza a prescindere dal risultato. Lui non si esprime mai con particolare entusiasmo, ma sento sempre la sua presenza.
Hai avuto modo di vedere le sue gare?
Sono stata ad alcune corse quand’ero molto piccola, ma non ricordo molto. Ho però visto tutto quello che potevo su Youtube e le cassette. Il suo esempio ha influito su di me in maniera fortissima e so quant’è stato importante e quanta esperienza ha. Quando ho bisogno di un consiglio, chiedo innanzitutto al mio tecnico, ma anche a lui che cosa ne pensa, anche quando è lontano per lavoro.
Vedendo le sue gare, noti tanta differenza con il ciclismo che vivi tu?
Enorme, ma non tanto dal punto di vista tecnico, quanto proprio sul modo di interpretare le corse. Ai suoi tempi c’era spazio per l’inventiva, per la strategia personale, era un ciclismo fatto sì di muscoli e agilità, ma anche d’intelligenza personale. Oggi contano tantissimo i diesse e la squadra, è quasi tutto prestabilito e i cambiamenti in corso d’opera sono corali. La squadra è importante, ma si vede meno l’individuo e questo a me non piace tanto.
Franco ha provato a influenzarti per privilegiare la strada, sapendo anche che, in alternativa al ciclocross, preferisci la mountain bike?
Papà non mi ha mai influenzato in tal senso, mi lascia completamente libera. Quando ero piccola a dir la verità non era neanche troppo felice che facessi ciclismo, non voleva che affrontassi la stessa fatica che ha fatto lui per anni. Per lui quel che conta è che io sia felice e faccia liberamente le mie scelte.
Quest’anno stai rapidamente bruciando le tappe, secondo te da che cosa dipende?
Non saprei dirlo neanch’io, dipende sia dalla crescita fisica che da quella di esperienze. Io penso di essere migliorata soprattutto nella visione delle gare, nel capire come muovermi e nell’interpretare le prove delle avversarie a mio vantaggio. Ma è chiaramente un percorso in divenire.
Una curiosità che era emersa parlando con il tuo tecnico Paludetti è legata al vostro (tuo e dei tuoi coetanei del team) rapporto con i cellulari e i social. Marco dice che quando siete in gruppo chiede di non sostare sugli smartphone, tu che ne pensi?
A me non cambia molto perché per mia natura cerco di non usare moltissimo il telefono per messaggi o Instagram. Vedo però che molti miei compagni hanno più difficoltà a staccarsi, d’altronde è comune alla nostra generazione. Quando siamo insieme e non utilizziamo il telefono, ci accorgiamo che c’è un mondo al di là di quello schermo, un altro modo per comunicare e socializzare, infatti quando parliamo alla fine non ci ricordiamo più del telefono…
Ora che cosa ti proponi?
Innanzitutto vorrei riconfermare il titolo italiano di categoria e poi avere altre occasioni per vestire l’azzurro, magari in Coppa del mondo: so che significherebbe bruciare le tappe, ma io guardo sempre più avanti. Forse perché ho una natura competitiva in tutto e questo mi aiuta anche con la scuola. Voglio emergere anche lì…