VDP Roubaix 2021

Van Der Poel prepara il ritorno e punta a tre mondiali nel 2022

04.12.2021
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Che fine ha fatto Mathieu Van Der Poel? Dall’olandese non si hanno notizie dirette da un bel po’ di tempo e non è un caso. Prima di parlare dei suoi programmi futuri e delle sue ambizioni per il 2022 (che sono altissime) bisogna partire dal recente passato e da quel capitombolo accadutogli nella gara olimpica di Mtb, perché ha contraddistinto tutto il suo finale di stagione, contrassegnato sì da un male fisico, quella schiena che non gli ha lasciato tregua portandolo ad affrontare i Mondiali di Leuven in maniera evidentemente condizionata, ma soprattutto un male morale.

A rivelarlo è stato Christoph Roodhooft, team manager della Alpecin-Fenix, che al quotidiano De Telegraaf. «Quell’incidente a Tokyo – ha affermato – è stato un’enorme delusione per Mathieu perché era un obiettivo su cui aveva lavorato per molti anni, lasciandogli una ferita mentale difficile da rimarginare. Poi in aggiunta è arrivato anche il mal di schiena, che ha tolto tutto il divertimento alla sua guida perché era una battaglia costante contro il dolore. Ma non lo sento più parlare della sua schiena, il che è un buon segno».

VDP Tokyo 2021
L’ormai famosa caduta di Van Der Poel a Tokyo: tanto si è discusso del suo errore di guida in un passaggio tra i più tecnici
VDP Tokyo 2021
L’ormai famosa caduta di Van Der Poel a Tokyo

A Benicasim per la caccia all’iride

Van Der Poel non rilascia interviste e questo è un altro buon segno, perché quando entra nel pieno della sua preparazione, la concentrazione è massima. In questi giorni l’olandese è a Benicasim, in Spagna, per prepararsi specificamente per il suo ritorno al ciclocross.

Mentre i suoi acerrimi rivali Wout Van Aert e Tom Pidcock sono ormai pronti per l’esordio, che sarebbe dovuto avvenire per entrambi ad Anversa nella tappa domenicale di Coppa del mondo, alla fine però annullata per la recrudescenza del Covid, VDP si è preso tempi più lunghi, ma ha stabilito il suo ritorno in gara per il 18 dicembre a Rucphen, nella tappa di casa della challenge Uci.

Sarebbe stato bello vedere anche lui a Vermiglio, in un primo atto ufficiale dei “tre tenori”: il 12 dicembre bisognerà invece… accontentarsi degli altri due. VDP d’altronde ha cercato un ritorno un pochino più morbido (per quanto la Coppa lo possa essere…) su un percorso che conosce a menadito. Il giorno dopo replica a Namur (BEL), poi il 26 dicembre, nel giorno di Santo Stefano, ci sarà il vero “match of the year” a Dendermonde.

Vdp Van Aert 2021
Van Der Poel e Van Aert: il 26 dicembre si ritroveranno quasi 11 mesi dopo la sfida iridata di Ostenda
Vdp Van Aert 2021
Van Der Poel e Van Aert: il 26 dicembre si ritroveranno quasi 11 mesi dopo la sfida iridata di Ostenda

Intanto si guarda al Tour, obiettivo… verde

Rispetto alla scorsa stagione, alle continue schermaglie nel ciclocross fra Van Aert e Van Der Poel con il belga proiettatosi alla grande verso i mondiali ma poi sonoramente battuto e Pidcock a fare da terzo incomodo, le cose sono cambiate. Il britannico si è preso l’oro olimpico nella Mtb, Van Aert ha collezionato medaglie dal sapore amaro fra Tokyo e Leuven, di VDP abbiamo detto, ma forse è quello che affronta la nuova stagione con più incognite.

Tutti si chiedono che cosa abbia intenzione di fare su strada, soprattutto ora che la Alpecin Fenix, pur rimanendo al di fuori del WorldTour, continua a potenziarsi, non solo come corridori ma anche e soprattutto come assetto economico al punto da essersi associata alla Deceuninck, finora sponsor del team di Patrick Lefevere. Acclarato che le classiche restano un obiettivo primario, fra i grandi Giri Van Der Poel punta a tornare al Tour, questa volta non a mezzo servizio come quest’anno, ma pensando di poter collezionare tappe e puntare alla maglia verde della classifica a punti. Guarda caso, lo stesso obiettivo di Van Aert…

Van Der Poel Brno 2018
VDP non ha abbandonato la Mtb, per aggiungere altre medaglie all’oro europeo 2018 a Brno
Van Der Poel Brno 2018
VDP non ha abbandonato la Mtb, per aggiungere altre medaglie all’oro europeo 2018 a Brno

Il sogno del tris mondiale

Attenzione però perché nel corso dell’intervista con il principale quotidiano olandese, Roodhooft si è lasciato sfuggire un’altra indiscrezione.

«Mathieu – ha detto – non ha nessuna intenzione di lasciare la Mtb, anzi. Possiamo dire di poter vincere un titolo mondiale in mountain bike. Nessun’altra squadra oltre al Team Ineos con Tom Pidcock può dirlo».

In realtà il progetto va ben oltre: VDP vorrebbe catalizzare il suo 2022 sulle gare titolate, puntando al clamoroso tris di maglie iridate nello stesso anno (ciclocross, Mtb e strada) assolutamente inedito in campo maschile e riuscito solamente alla francese Pauline Ferrand Prevot, ma nell’arco di due anni solari, 2014 e 2015. Sarebbe qualcosa di storico, che nessuno potrebbe più togliergli elevandolo a dio del ciclismo multidisciplinare. Il primo atto sarà il 30 gennaio a Fayetteville, per questo se la sta prendendo comoda, perché le energie gli serviranno tutte…

Cervélo R5-CX, la bici di Wout Van Aert

02.12.2021
4 min
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Questa di Cervélo non è la prima bicicletta specifica per il ciclocross, perché già nel 2007 l’azienda ha prodotto due modelli R3 Cross. Da quel periodo molto è cambiato, tecnologie, tendenze e gli stessi atleti con le loro richieste. La R5-CX nasce dalla collaborazione con gli atleti del Team Jumbo-Visma, Wout Van Aert e Marianne Vos. C’é un fil rouge con la versione R5 road utilizzata da WVA, ma la piattaforma CX ha dei concept di sviluppo tutti suoi. Ma vediamo insieme i dettagli principali.

La nuova Cervélo R5-CX (immagini Cervélo)
La nuova Cervélo R5-CX (immagini Cervélo)

Cervélo R5-CX, ora solo per il team

L’ufficializzazione di questa versione della Cervélo R5, anticipa l’esordio di WVA nel ciclocross e per ora sarà utilizzata solo da alcuni corridori del sodalizio olandese. Ci piace definirlo come una sorta di ultimo banco di prova per la piattaforma da cross, in vista della disponibilità effettiva, prevista a fine agosto 2022.

Marianne Vos con la Cervélo R5-CX (immagini Cervélo)
Marianne Vos con la Cervélo R5-CX (immagini Cervélo)

Una bici compatta

Partiamo dal presupposto che la Cervélo R5-CX ha un framekit full carbon monoscocca. Il suo sviluppo si basa sul modello della R5 road (disc brakes), ma con alcune differenze molto importanti. Concettualmente non si tratta “solo” di una bici in carbonio molto leggera, ma di uno “strumento racing” che trova nel segmento R5 la sua massima espressione. L’avantreno ha una forcella con steli dritti, arrotondati frontalmente e con un ampio arco nella sezione superiore e con una luce abbondante per il passaggio della ruota. Qui c’è anche una sorta di protuberanza che s’innesta nella tubazione obliqua. La ricerca aerodinamica è presente, pur non ricoprendo un ruolo primario. Sempre in merito alla forcella, essa ha un rake di 51 millimetri per le taglie 51-54 e 56, che si riduce a 48 per la misura più grande, ovvero la 58: cifre che collimano con un angolo dello sterzo da 71,5° (72° per la taglia 58). Tutto questo si traduce in un comparto molto corto, maneggevole ed estremamente pronto ai cambi di direzione.

Il collegamento dell’orizzontale con i foderi obliqui è ben visibile, tanto che dà l’impressione di abbracciare il piantone (immagini Cervélo)
Il collegamento dell’orizzontale con i foderi sembra abbracciare il piantone (immagini Cervélo)

L’head tube si adatta alla serie sterzo FSA ACR e questo permette di integrare fili e guaine, azzerando eventuali problemi di strozzature. La Cervélo R5-CX è compatibile solo con le trasmissioni elettroniche. Numeri ridotti anche per il tubo sterzo, ma comunque in linea con gli sviluppi più moderni: 97, 118, 139 e 157 millimetri, rispettivamente per le taglie 51, 54, 56 e 58.

Muscolosa e sfinata, DNA Cervélo

Il profilato orizzontale è più voluminoso davanti, per schiacciarsi verso il retro. Il suo collegamento con i foderi obliqui è ben visibile, tanto che dà l’impressione di abbracciare il piantone. Si nota un prolungamento verso l’alto e il reggisella ha una forma a D, con profilo posteriore tronco. Verso il basso si notano i cambiamenti di shape dei tubi orizzontali del carro, sfinati vicino al perno passante, massicci verso la scatola del movimento centrale. Per gli amanti delle cifre: il retrotreno è corto, solo 42,5 centimetri (cifra comune a tutte le taglie).

Altra particolarità molto interessante

La scatola del movimento centrale non è BBright come vuole la tradizione Cervélo, ma ha delle calotte filettate T47, al tempo stesso viene mantenuta l’asimmetria del comparto. Questione di praticità legata al ciclocross. Un mezzo del genere viene smontato, lavato ed è soggetto ad una manutenzione di gran lunga maggiore, rispetto ad una bici da strada. Confrontandola con la sorella road, la R5-CX è più alta da terra: più 11 millimetri.

«Tom, Wout e Mathieu puntano sul mondiale», parola di Fruet

07.11.2021
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Rieccoli: Tom Pidcock, Wout Van Aert e Mathieu Van der Poel. La stagione del cross entra sempre più nel vivo (oggi pomeriggio si corre l’europeo elite) e cresce l’attesa per il loro ritorno. Come affronteranno questa stagione del cross i “tre tenori”? Cosa ci dovremo attendere? Per dare delle riposte a queste domande ci affidiamo all’occhio lungo di Martino Fruet, che oltre ad essere un grande biker è anche un eccellente crossista.

Martino Fruet, 44 anni, ancora in attività: l’offroad è il suo regno
Martino Fruet, 44 anni, ancora in attività: l’offroad è il suo regno

Un lungo stacco

E Martino coglie subito nel segno. 

«Prima che mi chiediate qualsiasi cosa – parte come un treno Fruet – la cosa che mi balza agli occhi è che tutti e tre si sono resi conto che forse in questo 2021 hanno un po’ esagerato per quello che hanno fatto, fra strada e altre discipline. E per questo hanno aggiunto un bel po’ di recupero a quanto sono soliti fare. Il che denota anche una grande intelligenza da parte loro. Alla fine rimaranno lontani dalle gare per due mesi, quasi tre. Cosa che non avevano mai fatto».

«Non ci sono certezze sul loro rientro. C’è chi dice che li vedremo tutti insieme il 7 dicembre e chi solo a ridosso di Natale. Ho sentito che VdP dovrebbe iniziare il 20 addirittura. Io credo che arriverà molto in là questo momento. Tutti e tre sono usciti provati dalla stagione su strada e nel finale hanno reso un po’ meno di quello che potevano.

«Forse Van Aert è quello che, risultati alla mano, ne è uscito meglio, ma era stanco e si dice sia andato in overtraining. Van der Poel anche di sicuro aveva qualcosa che non era al top. Con tutto il rispetto per Colbrelli, ma Mathieu una volata così non la perderebbe mai. E Pidcock alla Vuelta ha fatto una fatica pazzesca, poi si è un po’ ripreso e ha fatto un buon mondiale, ma era col collo tirato».

Il mondiale di ciclocross si terrà a fine gennaio a Fayetteville (Arkansas, Stati Uniti) dove si è già disputata una prova di Coppa 2021-22
Il mondiale di ciclocross si terrà a fine gennaio a Fayetteville (Arkansas, Stati Uniti)

In rotta verso il mondiale

Il campione trentino, che quest’anno festeggia il trentesimo anno di attività e che in questo weekend è impegnato nel ciclocross di Nalles, va subito al sodo. Per Martino però ci sono Van Aert e Van der Poel da una parte e Pidcock da un’altra.

«Tutti e tre nascono dal ciclocross, ma poi ognuno ha preso una strada un po’ differente. Solo che Pidocok, e lo ha detto anche apertamente, si sente più biker, mentre gli altri due il cross ce lo hanno nel Dna. Non solo ma per loro due si tratta anche di una sfida fra popoli, fra olandesi e belgi».

«Col fatto che tutti e tre iniziano così tardi, i due circuiti maggiori, la Coppa del mondo e il Superprestige, non sono più alla loro portata. Quindi non dovendo pensare a nessuna classifica generale, possono concentrarsi su un solo obiettivo e quale se non il mondiale? E aggiungerei il titolo nazionale. Che poi viene anche da ridere a parlare di titolo nazionale per corridori di questo calibro, ma in Belgio e in Olanda conta un bel po’! Sostanzialmente però quello che conta è il mondiale.

Thomas Pidcock, Eli Iserbyt, Wout Va Aert, Mathieu Van der Poel, Grote Prijs Sven Nijs 2021 - Cyclocross X2O Badkamers
Pidcock, Iserbyt, Van Aert e Van der Poel allo Sven Nijs 2021
Thomas Pidcock, Eli Iserbyt, Wout Va Aert, Mathieu Van der Poel, Grote Prijs Sven Nijs 2021 - Cyclocross X2O Badkamers
Pidcock, Iserbyt, Van Aert e Van der Poel allo Sven Nijs 2021

Le previsioni di Fruet

E allora cosa ci si può attendere dai tre tenori? 

«Vedremo grandi sfide – riprende Fruet – ma credo da gennaio. Van der Poel, okay, lo sappiamo: lui arriva ed è subito vincente. Se non lo è, neanche si presenta. Ha questa capacità innata. Lo vediamo anche in Mtb, salta da una bici all’altra senza problemi. A Van Aert invece 2-3 gare servono. Io credo che Wout sarà al top per il campionato nazionale. Pidcock invece lo vedo meno “cattivo” per il cross. Mentre per quei due è una vera sfida, per Tom quest’anno più che mai credo che il cross sia propedeutico alla strada».

Pidcock precede Van Aert alla Freccia del Brabante
Pidcock precede Van Aert alla Freccia del Brabante

Incognita Pidcock

A questo punto facciamo notare a Fruet che Dario David Cioni però ci aveva detto che sarebbe stato curioso di vedere il suo Tom nel ciclocross proprio contro quei due, per vedere quanto fosse cresciuto il suo motore dopo il primo anno da professionista e dopo un grande Giro, la Vuelta.

«Io però non sono convintissimo di questa cosa – replica Fruet – nel cross si parla di un’ora di sforzo. Un’ora in cui si va a tutta e non credo possa incidere più di tanto questo discorso. Tanto più che Pidcock ha già dimostrato di andare forte alla distanza. Se non ricordo male, ha vinto in volata la Freccia del Brabante proprio davanti a Van Aert e perso l’Amstel di un niente sempre nei suoi confronti. Poi okay, il ciclocross è potenza pura e lui ne ha meno rispetto a quei due. Però è anche vero che potenzialmente Tom un giorno potrebbe vincere il Tour e loro due no. Ha altre caratteristiche.

«Pidcock è bravissimo a guidare. Nei cross più lenti e in cui si corre di più vedo favorito Van Aert, in quelli più guidati vedo Van der Poel. Pidcock è nel mezzo. Tutto sta a capire quanto lui tiene al cross. Quanto vuole investirci».

Van Aert, Pidcock e Van der Poel saranno protagonisti anche alla prossima Strade Bianche?
Van Aert, Pidcock e Van der Poel saranno protagonisti anche alla prossima Strade Bianche?

Che rimonte!

Insomma Pidcock mina vagante. Però ci sono due cose che accumunano ancora i tre tenori, il fatto di aver staccato di più e che entreranno in gara più tardi.

«Tutto ciò – dice Fruet – quest’anno più che mai farà sì che il cross per loro tre sarà il primo blocco di lavoro dell’anno. Arriveranno al top al mondiale, poi faranno quel tanto di recupero di cui hanno bisogno, andranno ad allenarsi al caldo con una gamba supersonica e a primavera “faranno le buche”!».

«Una cosa che mi stuzzica è vedere come andrà col fatto che partiranno dietro. I punteggi si azzerano e gli altri nel frattempo vanno avanti. Okay che sono forti, ma non è scontato neanche per loro tre vincere sin dalle prime gare. Perché è facile risalire dall’ultima posizione a metà gruppo. E’ mediamente complicato risalire da metà gruppo alle prime posizioni. Ma è molto complicato passare da metà gruppo alla vittoria».

E se queste sono le parole di Martino Fruet, aggiungiamo con una certa sicurezza, che ci sono tutti i presupposti per divertirsi. Pensate che spettacolo vederli rimontare da dietro.

Wout sfinito? Viaggio tra i preparatori per studiare il suo stacco

06.10.2021
6 min
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«Ho bisogno di tre settimane di stacco». Wout Van Aert ha apertamente reclamato il suo riposo al termine della classica delle pietre. L’asso belga tra il mondiale e la Roubaix è sembrato stanco. O quantomeno non brillantissimo.

Anche un fenomeno quindi ha bisogno di riposo? E cosa succede a non fermarsi mai e a tirare costantemente la carretta? E con il ciclocross che lo aspetta come farà? Quanto è importante riposarsi? Tutte queste domande le abbiamo poste a quattro preparatori, anche di generazioni differenti, del panorama italiano ma dal richiamo internazionale: Paolo Slongo, Michele Bartoli, Pino Toni e Paolo Artuso.

Secondo Slongo, Van Aert ha toccato l’ultimo picco di forma durante la crono iridata
Secondo Slongo, Van Aert ha toccato l’ultimo picco di forma durante la crono iridata

Slongo: il picco contro Ganna

«E’ fondamentale staccare e recuperare – dice il preparatore della Trek Segafredo – Van Aert, per parlare del caso specifico, era uscito dal Tour, ha puntato poi alle Olimpiadi e al mondiale… quindi dopo questo lungo tour de force è giusto che stacchi tre settimane. Ma anche quattro direi. Ci stanno tutte.

«Se stacchi in stagione, può andare bene anche una settimana, ma d’inverno no. Poi lui ha il cross. Riprenderà soffrendo nelle prime corse e visto che il mondiale sarà a fine gennaio, sarà pronto per quel periodo, quindi se si ferma subito è in tabella per farsi trovare pronto. E poi bisogna vedere come stacchi. Stare fermo, fermo è una cosa, se invece si va a camminare, nuotare o in Mtb… è tutt’altra. 

«Van Aert non si ferma mai? Ma alla lunga tutto ciò logora. Logora chiunque, anche un campione come lui. Se tu programmi bene i tuoi impegni puoi fare tutto, ma se non stacchi mai e sei sempre sul pezzo alla fine salti. E soprattutto ti accorci la vita come atleta. Non credo che lui sia andato in overtraining, ma che sia in calando di forma sì. Per me il picco lo ha raggiunto nella crono iridata. Per stare a pochissimi secondi da Ganna ha sviluppato wattaggi enormi. Ha provato a dare il tutto e per tutto, ma da lì in poi il calo è stato evidente».

Durante la Roubaix Van Aert si è fatto trovare spesso dietro: un chiaro segno di scarsa lucidità per un atleta del suo calibro
Durante la Roubaix Van Aert si è fatto trovare spesso dietro: un chiaro segno di scarsa lucidità per un atleta del suo calibro

Toni: staccherà di meno

«Stacco tre settimane: queste parole dette dopo una Roubaix ci stanno – dice Toni – Una gara del genere ti resta addosso per giorni. Pensiamo solo alle mani. Per un po’ neanche riesci ad appoggiarti al manubrio. Io per esempio temevo per le donne, invece la Bastianelli ne è uscita alla grande.

«L’entità dello stacco dipende anche da che atleta si ha di fronte. C’è chi corre e chi rincorre (o deve lavorare per altri) e non tutti fanno la stessa fatica. Quindi si arriva in certi momenti della stagione con un livello di fatica differente. Poi un campione come lui in teoria ha un’altra capacità di recupero ed ha necessità di staccare meno».

«Lo stacco è importantissimo, ma sinceramente tre settimane mi sembrano tante. Con dieci giorni un atleta del genere torna come nuovo. Se pensiamo che dopo un Tour con 5-6 giorni di riposo vanno fortissimo e vincono le Olimpiadi… Bisognerebbe avere il calendario alla mano per sapere le sue gare. Ci sono due tipi di stop: quello nel bel mezzo della stagione e quello alla fine, in cui è importante staccare anche di testa. Anche perché, non dimentichiamolo, lui ogni volta ha corso per vincere e questo conta tanto». 

Al Tour de France il belga ha spinto forte: ha vinto in salita, in volata e a crono
Al Tour de France il belga ha spinto forte: ha vinto in salita, in volata e a crono

Artuso: tanti “sforzoni” al Tour

«Una gara come la Roubaix la senti anche per dieci giorni a livello muscolare – spiega Artuso – magari sul piano metabolico la smaltisci in un giorno o due come un tappone, ma su quello fisico i piccoli danni muscolari che vai a creare non sono pochi, quindi ci sta che fosse molto stanco in quel momento.

«Per dire se 3-4 settimane sia tanto o poco bisognerebbe conoscere i suoi impegni a venire. Di certo lui è a tutta da tanto tempo: la primavera, il Tour, le Olimpiadi, il mondiale… e non ha mai corso al risparmio. Anche al Tour, dopo il ritiro di Roglic soprattutto, la squadra ha corso in modo diverso ed è stato chiamato a dei super “sforzoni”. La fatica si è accumulata nei mesi e la Roubaix è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Non so che carichi di lavoro abbia fatto: sarebbe interessante per capire.

«Ci sono due tipi di stacco: quello nella stagione, che serve per assimilare il lavoro fatto (over reaching). E poi c’è quello più profondo, in cui devi perdere la condizione per ritrovare poi altri picchi. E quest’ultimo è importante per ristabilirsi anche a livello ematico e mentale».

Van Aert (27 anni) da sempre alterna il ciclocross e la strada
Van Aert (27 anni) da sempre alterna il ciclocross e la strada

Bartoli: deve scegliere

E partendo da quest’ultima frase ci si può collegare a Michele Bartoli, per il quale ripristinare le scorte è fondamentale.

«Vero, Van Aert era stanco e secondo me anno dopo anno si troverà sempre più in difficoltà – dice secco l’ex grande corridore toscano – e come lui anche Van der Poel. Sono due campioni, ma sono due umani, non due macchine e le energie fisiche non sono infinite. Se pensate che io dico ai miei atleti, che non fanno il cross, di staccare 3-4 settimane, figuriamoci lui. Dico ai miei ragazzi di non pensare di essere ciclisti in quel periodo. Certo, un po’ di vita la devono fare, ma devono staccare soprattutto a livello mentale. Se ne dovrebbero andare ai tropici!

«Per Van Aert che ha il cross, staccare è più difficile. Io non credo che lui starà tre settimane senza bici, altrimenti comprometterebbe la sua stagione del ciclocross. Potrebbe aver detto quella frase sulla base di uno sconforto momentaneo».

«Avesse 34 anni okay: fai 2-3 anni a tutta, cross e strada, e via… ma è ancora giovane. Cosa succede a non staccare? Che non reintegri mai le riserve della stagione precedente. Chi non riposa bene recupera al 99%. Se ogni anno togli l’1% al tuo motore dopo dieci anni hai perso il 10%. E per ripristinare le scorte e azzerare le fatiche fisiche e mentali c’è solo una cosa: il riposo. Altro che corsa, Mtb, piscina… a cosa serve fare queste cose ai fini della prestazione di tanti mesi più in là per atleti di questo livello? Non si riposano bene e basta. Se Wout dovrà scegliere? Glielo auguro presto. Ho sempre detto che mi piace più di tutti e non vorrei perdesse la sua supremazia».

Corridori al limite, ma le squadre spingono…

02.10.2021
4 min
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E’ tutto un casino. I corridori sono stanchi, fisicamente e mentalmente, che poi è la parte peggiore. Le squadre hanno ancora il calendario da riempire e premono perché siano tirati a lucido. I preparatori nel mezzo a tirare una coperta che a fine stagione è sempre più corta. Se poteste ficcare il naso senza essere visti, siate pur certi che la scena sarebbe la stessa in ogni team WorldTour e figurarsi nei più piccoli.

Michele Bartoli
Nel 2002 Bartoli vinse il Lombardia dopo 44 giorni di corsa. Vinse anche l’Amstel. Prima vittoria a febbraio. Per Van Aert nel 2021, 48 giorni
Michele Bartoli
Nel 2002 Bartoli vinse il Lombardia dopo 44 giorni di corsa. Vinse anche l’Amstel. Per Van Aert nel 2021, 48 giorni

E se ti ritrovi ai primi di ottobre con la Roubaix, il Lombardia, le classiche italiane, qualcuna in Francia e le nuove gare in Veneto, ti chiedi se ce la faranno ad essere forti come li vogliamo o se piuttosto qualcuno, anche i più grandi, non inizierà a perdere pezzi. E allora magari capisci che il Van Aert dei mondiali non è per caso…

La lettura di Bartoli

Michele Bartoli fa il preparatore trasversalmente alle squadre, preferisce non parlare degli atleti che segue per richiesta degli stessi team, ma ha chiaro il polso della situazione, perché probabilmente con la realtà descritta in avvio fa i conti anche lui.

Quest’anno Vdp ha corso per 33 giorni, ma dopo il Tour si è fermato per la Mtb. Prima vittoria a febbraio in UAE
Quest’anno Vdp ha corso per 33 giorni, ma dopo il Tour si è fermato per la Mtb. Prima vittoria a febbraio in UAE

«Ho smesso di correre alla Csc – dice – perché volevano fare troppi ritiri, figurarsi se avrei potuto farlo oggi, che non sono mai a casa. Poi è chiaro che a fine stagione siano sfiniti. In ogni caso anche negli anni 90-2000 era finito il tempo delle corse di allenamento e dovevi sempre essere pronto per vincere. Facevi i salti mortali, dosando giorni di carico e il poco recupero che riuscivi a trovare. Oggi però è peggio. Il picco di fine stagione è sempre stato più basso di quello di primavera, per cui è chiaro che il Van Aert di aprile fosse molto più forte di quello di ottobre. Ad aprile aveva cinque scatti vincenti, adesso ne ha due. E se gli servono per chiudere su Alaphilippe, ecco che gli equilibri cambiano».

Nel 2021 per Alaphilippe 61 giorni di corsa. Prima vittoria a marzo alla Tirreno-Adriatico
Nel 2021 per Alaphilippe 61 giorni di corsa. Prima vittoria a marzo alla Tirreno-Adriatico
Se non altro a fine stagione non c’è più l’assillo di andare in altura.

Non crediate, qualcuno è andato lo stesso. Secondo me l’altura va dosata, non funziona sempre. Chi punta a Giro, Tour e mondiale, è bene che vada per tre volte e poi basta. La mia teoria, che sarà pure solo mia però mi ha dato grandi soddisfazioni, è che in altura devi andarci con una buona condizione, altrimenti ottieni solo di mettere il fisico in difficoltà. E se ci devi andare che stai bene, lo fai a ridosso dell’appuntamento. Andarci a inizio stagione ha poco senso, se non per stare magari con la famiglia in un bel posto. Ma secondo me anche questo cambierà.

Che cosa cambierà?

Perché i corridori devono stare sempre in montagna? Che vita fanno? Torneremo indietro perché le squadre con dei buoni atleti dovranno imparare a gestire anche i ritiri. Ripetere ogni anno lo stesso percorso di preparazione funziona al massimo per 4-5 stagioni. Poi gli atleti saltano di testa e i risultati calano. Guardo alla Ineos, per fare un esempio. E allora bisognerà che i direttori sportivi comincino ad ascoltare i corridori, quando gli dicono che vogliono saltare qualche ritiro. Siamo al limite.

Trentin nel 2021 ha fatto (finora) 68 giorni di corsa. Prima vittoria a settembre, debutto a fine gennaio
Trentin nel 2021 ha fatto (finora) 68 giorni di corsa. Prima vittoria a settembre, debutto a fine gennaio
E in ogni caso, a fine stagione sarai sempre meno performante che all’inizio?

Per forza. Anche per un fatto di freschezza. Ad aprile arrivi da un mese di vacanze e da lavori ben fatti per costruire la condizione. A settembre-ottobre i corridori arrivano da una stagione piena, in cui i lavori li hanno un po’ messi da parte, sono meno freschi e il livello della prestazione per questo è più basso.

Ad esempio ha avuto senso che dopo il mondiale tanti siano andati a correre l’Eurometropole Tour invece di riposare?

No per chi ad esempio aveva in programma di fare la Roubaix. C’è anche bisogno di recupero, perciò magari qualcuno si è ritirato. Ma il calendario è ancora pieno, guardate quanto è pieno…

Alaphilippe, il giorno dopo: il figlio e la morte del padre

29.09.2021
5 min
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«Farei vacanze più lunghe – diceva Alaphilippe – mi piace accontentare tutti, ma questa volta vorrei più tempo per me, perché ti rendi conto che un anno passa in fretta. Soprattutto, vorrei essere come prima. Ma quando hai la maglia, non è facile. Il telefono squilla sempre. Fin dal primo ritiro le richieste sono tante. Eppure, con questa pandemia, molti obblighi sono caduti nel dimenticatoio. Quello che mi ha reso più orgoglioso è aver dato felicità alle persone, ma questo mi ha tolto molta energia. Quindi se Van Aert o qualcun altro vince, gli dirò: divertiti! Divertiti!».

Al via del mondiale da Anversa, parlava già al passato come se avesse perso la maglia
Al via del mondiale da Anversa, parlava già al passato come se avesse perso la maglia

Ancora incredulo

Con queste parole alla vigilia del mondiale, Julian Alaphilippe rispondeva alla domanda su cosa avrebbe fatto qualora avesse rivinto il mondiale. E ora che la profezia si è avverata e che tutto ricomincia da capo, dal telefono che squilla alle richieste di media e sponsor, che cosa sta facendo il campione del mondo?

«Ancora non me ne rendo conto – ha detto a L’Equipeho letto i giornali il lunedì mattina ho pianto. La fatica, l’emozione. Questo sogno l’ho tenuto nella parte posteriore della mia testa, ero quasi sollevato di lasciare la maglia. Questo è molto strano…».

Maledizione ed errori

Che la maglia iridata sia un peso lo aveva detto subito, nella conferenza stampa dopo la vittoria. Eppure rendersi conto che perderla sarebbe stato quasi un sollievo lo ha sconcertato. Quasi avesse a suo modo dato una definizione della celebre maledizione della maglia iridata.

«Ho fatto di tutto – dice – per vincere. Per me e per i miei compagni, ma se l’avessi persa sarebbe stato più un sollievo che una delusione. Per un anno sono stato così desideroso di onorarla in ogni gara, che ho aggiunto pressione a me stesso, inconsciamente. E questo mi ha fatto commettere piccoli errori. Sono convinto che quella stessa tappa del Tour of Britain (persa da Van Aert a Great Orme, ndr) senza la maglia l’avrei sicuramente vinta. Ci ho pensato, ho analizzato i miei errori, le mie sconfitte».

Van Aert scricchiolava

E intanto, come nel frullare dei pensieri, la ricostruzione della corsa si intreccia con la nuova quotidianità. E il pensiero torna a quel primo scatto, seguito subito da Colbrelli, ma non da Van Aert.

«Mi ero accorto che Van Aert non sembrava brillantissimo – dice – ma non ho voluto crederci subito. Voleva fare lui il ritmo, voleva attutire gli attacchi e sul primo scatto non è rientrato così facilmente. In quel momento tutti avevano le gambe doloranti, ma io dovevo attaccare. E mi sono davvero divertito, ho corso d’istinto come quando non indossavo la maglia iridata. Non ho corso come se fosse un mondiale, dove aspetti fino all’ultimo momento. Non era il mio ruolo, volevo attaccare, provare, renderlo più duro possibile in modo che Senechal arrivasse bene allo sprint. Ma quando ho visto che eravamo agli ultimi due giri, ci ho creduto sempre di più».

Il limite del dolore

Che cosa passa per la testa di un uomo che si spinge oltre il limite del dolore? E quelle smorfie in favore di telecamera sono l’insegnamento di Voeckler (celebre per le sue facce) oppure il segno del limite alle porte?

«In quel momento ero vicino al punto di rottura, è terribile, ma è così che costruiamo le grandi vittorie. Avevo già attaccato più volte, ma nell’ultima ho messo tutto. Ho affrontato le curve il più velocemente possibile, ho cercato di prendere velocità ad ogni ripartenza, ero concentrato per essere il più efficiente, ma mi facevano male le gambe. Queste sono gare in cui deve piacere farti del male, devi essere un po’ masochista. Ho avuto dubbi fino agli ultimi due chilometri, sapevo che non erano lontani. Ma non mi sono fatto domande, ero concentrato sul mio sforzo. Ho pensato molto al mio bambino, mi ha dato molta forza ed è stato un grande momento. E’ stata un’emozione completamente diversa dall’anno scorso».

Il figlio Nino è nato il 14 giugno ed è diventato la sua ispirazione (foto Instagram)
Il figlio Nino è nato il 14 giugno ed è diventato la sua ispirazione (foto Instagram)

Le prove della vita

Il discorso si fa intimo. Questa volta la nascita del figlio, l’anno scorso la morte del padre dopo una lunga malattia. Quasi che la vita si diverta a metterlo alla prova e lui risponda ogni volta con la bici: il suo vero modo di comunicare.

«Io sono così, non mi piace parlare della mia vita privata – ammette – ma ha spesso scandito la mia carriera, con tanti alti e bassi. Ho sempre saputo riprendermi, mi sono temprato, ho sempre avuto questa rabbia dentro. Farmi male sulla bici per dare il meglio di me. La rabbia l’anno scorso l’ho presa dalla tristezza e forse quest’anno l’ho presa dalla gioia. Devi saper usare tutto questo. Avevo fame, ero motivato, ero pronto».

Van Aert, sfinito e deluso: «Chiedo scusa al Belgio»

26.09.2021
5 min
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Ancora una volta Wout Van Aert si conferma un grande signore. Era l’uomo più atteso, è diventato il grande sconfitto. Nonostante tutto, nonostante fosse deluso (il suo volto parlava chiaro), è tra i primi a presentarsi ai giornalisti. E mentre attacca a parlare si sente in lontananza l’inno francese. A quel punto il campione della Jumbo-Visma si lascia andare ad una smorfia, tra le guance impolverate. Sorseggia di tanto in tanto una Coca e racconta…

Van Aert si concede ai microfoni a fine gara. La sua delusione è tanta
Van Aert si concede ai microfoni a fine gara. La sua delusione è tanta

Van Aert senza gambe

«Ho capito che le cose non erano al meglio sul primo attacco di Alaphilippe nel circuito grande – dice Van Aert – Ci ho messo un po’ a rispondere al suo affondo e soprattutto non me la sono sentita. E questo non era un buon segno. Però poi la corsa tutto sommato si era messa bene. Siamo andati via in 17 e in 3 eravamo del Belgio. Potevamo vincere. E ci abbiamo anche provato. Remco (Evenepoel, ndr) ha fatto un lavoro egregio. Andava talmente forte che mi ha permesso tutto sommato di essere tranquillo dal punto di vista tattico. Perché nessuno poteva scattare con quel ritmo.

«Piuttosto ci ha sorpreso l’attacco dei francesi al primo giro nel circuito esterno, quando hanno cercato metterci pressione con Cosnefroy. Io non me lo aspettavo. Lì si è rotta la corsa – come a dire che sia stato il momento chiave – mancavano 180 chilometri. Abbiamo fatto un’ora folle. Io l’attacco me lo aspettavo al secondo passaggio».

Stuyven, stanchissimo, ha perso il podio in volata
Stuyven, stanchissimo, ha perso il podio in volata

Quella voce a Stuyven

Van Aert però continua a difendere la squadra. E in effetti il Belgio il suo lavoro lo ha fatto.

«La tattica – riprende Wout – era giusta, non credo che abbiamo commesso errori. Nel finale eravamo in tre e con me e Jasper (Stuyven, ndr), cioè coloro che dovevano esserci. Il problema è che nessuno di noi aveva le gambe per le medaglie.

«Forse l’unico errore l’ho fatto io e me ne prendo la responsabilità: e cioè non avere detto un po’ prima a Stuyven che non ero al massimo, magari poteva fare qualcosa di diverso. Però è anche vero che in quella situazione eravamo ancora in tre. Più che altro se glielo avessi detto prima, al momento dello scatto decisivo di Alaphilippe poteva stargli dietro. Magari gli avrei dovuto dire proprio io: “vacci Jasper”. Non credo che avrebbe vinto, ma magari avrebbe preso una medaglia, cosa che sarebbe stata una ricompensa per lui, per la squadra, per la sua città…».

Scuse al Belgio

Waout “porta la croce” dunque. Forse si dà sin troppe colpe. Una cosa è certa: il pubblico era tutto per lui. Anche ieri sera le strade e le piazze di Leuven inneggiavano a lui. E chi lo conosce ci dice che non è questione di pressione. Ci è abituato. Ogni domenica nel cross, in ogni grande evento Wout è chiamato a vincere.

A questo punto ci si chiede perché, essendo Van Aert così veloce, il Belgio non abbia addormentato la corsa e puntato alla volata. Un po’ come hanno fatto le olandesi ieri.

«Perché non abbiamo aspettato il gruppo con i compagni dopo l’attacco di Alaphilippe? Perché meglio essere in 3 su 17 che in sei nel gruppo – ribatte lui – Tanto più che quei tre erano i nomi previsti. E poi una volta nel circuito la corsa si sarebbe rotta di nuovo. No, quella era la situazione giusta.

«Sono deluso chiaramente, per me e per la squadra. Chiedo scusa al Belgio. Ero preparato e non so perché non ero in forma. Però non ho rimpianti. Sarebbe stato peggio se avessi fatto secondo. O se avessi perso per aver commesso errori tattici. La verità è che alla fine ha vinto il corridore più forte».

Con i suoi attacchi, Evenepoel ha decimato le altre nazionali. Anche se la Francia ha tenuto botta, per sua stessa ammissione
Con i suoi attacchi, Evenepoel ha decimato le altre nazionali. Anche se la Francia ha tenuto botta, per sua stessa ammissione

Evenepoel uomo squadra

E a proposito di Evenepoel. Il folletto della Deceuninck-Quick Step dopo l’arrivo è stato molto chiaro. Si è lasciato andare anche a qualche sorriso distensivo. Prima del via era finito nel tritacarne mediatico di colui che non avrebbe corso per la squadra, ma solo per sé stesso. Invece…

«Stamattina prima del chilometro zero – racconta Remco – ho ripetuto a Wout che nel finale se ci fossero stati tutti e due avrei lavorato per loro. E’ successo che mi sia ritrovato davanti molto prima del previsto, ma a quel punto ho spinto per far lavorare gli altri. E infatti l’Italia soprattutto e anche l’Olanda hanno perso dei corridori.

«Io ho dato il massimo. E credo che abbiamo corso bene. Purtroppo c’è chi è andato più forte, ma noi siamo arrivati nel finale esattamente come volevamo e con chi volevamo».

Remco o Wout? Per chi fa il tifo il Belgio?

25.09.2021
5 min
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Remco Evenepoel o Wout Van Aert? Il tifo del Belgio ciclistico (e non solo) è letteralmente spaccato a metà. Tuttavia l’ago protende per uno dei due e, almeno per il momento, a spuntarla è Wout Van Aert. Vederlo in azione tra la sua gente è stato emozionante anche per noi. Il giorno della crono quando si stava scaldando davanti al bus del Belgio c’era davvero il mondo. Cori quando è arrivato Evenepoel, cori e applausi quando è arrivato Van Aert.

Per farci gli affari loro, abbiamo chiesto ai colleghi giornalisti belgi chi è il più amato tra i due? E perché?

Van Aert ed Evenepoel al campionato nazionale 2021. Con lo loro Theuns (nel mezzo)
Van Aert ed Evenepoel al campionato nazionale 2021. Con lo loro Theuns (nel mezzo)

Wout avvantaggiato dal cross 

«Sicuro che il più amato è Wout – dice Guy Van den Langenbergh dell’Het Nieuwsblad – ha maggiore visibilità da più tempo. Ha vinto tantissimo nel ciclocross e questo lo rende molto popolare. E resta molto aperto ai suoi fans, molto semplice. Non è cambiato. Remco invece deve ancora cercare il suo cammino, sta crescendo sia come corridore che come persona. Ma non è allo stesso livello di Wout. Lui c’è sempre: d’inverno, d’estate, in primavera… sempre al centro dei media, è spontaneo. Remco non è così spontaneo in tal senso. Wout ha un’altra immagine: è sposato, ha dei figli, non li nasconde al pubblico. E questo piace…

«Remco è molto conosciuto tra i supporter del ciclismo, Wout è conosciuto da tutti, anche da mia madre che ha 84 anni. E per lei Wout è una star, Remco è un ciclista. Sembra che Remco sia sul piedistallo? Beh, se tutti gli dicono che il più forte corridore del mondo, che vincerà il Tour… poi è normale che a 21 anni non abbia sempre i piedi per terra».

Merckx ha detto che Remco correrà per sé e non per la squadra: cosa ne pensa Guy? «Io non credo. A Tokyo si è detto che il suo attacco prima del Mikuni Pass fosse sbagliato, in realtà è perché non ce la faceva visto come è andata. Ha cercato di fare qualcosa. Piuttosto ricordiamoci che due anni fa ad Harrogate ha aiutato Gilbert a rientrare. Non può permettersi un errore del genere per ottenere il supporto di tutto il Belgio, per guadagnare credito verso il gruppo, verso il cittì, i compagni… Magari attaccherà perché dovrà “aprire il finale”».

Tante scritte sull’asfalto del circuito di Leuven per Wout…
Tante scritte sull’asfalto del circuito di Leuven per Wout…

Differenze e similitudini

«Sono due tipi differenti – ribatte Joeri De Knopp dell’Het Laaste Nieuws – Remco ha un carattere più impulsivo, il suo modo di fare, di reagire (come abbiamo visto anche a Trento con Colbrelli)… non tutti lo amano. E’ il carattere di un ragazzino. I tifosi che amano Van Aert sono di più. Ma chi ama Remco lo ama al 100%. Wout nella sua carriera ha già avuto tanti successi, mentre Evenepoel deve iniziare a costruire di fatto la sua carriera».

Ma forse in questa minor popolarità di Evenepoel c’è lo zampino della caduta al Lombardia dell’anno scorso, un incidente che di fatto ha bloccato la sua crescita. Remco sembrava lanciato alle stelle. Come se all’improvviso si fosse rotto l’entusiasmo intorno a lui.

«Può essere, ma attenzione – riprende De Knopp – Remco ha tantissimi supporter: dalle Fiandre Occidentali a quelle Orientali, nel Limburgo, in Vallonia… Piuttosto quell’incidente gli ha dato popolarità per tutto quello che ha dovuto fare successivamente per tornare al suo livello: il dolore, la fatica, la rinascita… Ma anche Wout ha vissuto qualcosa di simile, dopo la caduta al Tour de France due ani fa. No, io credo che la differenza tra i due la faccia il loro carattere. Wout è più grande, corre da più anni, ha già costruito la sua immagine. 

«Se Remco si rende conto di questa differenza di popolarità? Eh… lui è come è. Non credo che voglia essere il personaggio principale. Certo, ha un passato diverso. Ha giocato a calcio, è stato anche all’estero e ha tirato fuori spesso questa storia. Ma ripeto, la grande differenza, come ho detto, la fanno i due caratteri».

Il Fans Club di Evenepoel R.EV 1703, uno dei più grandi
Il Fans Club di Evenepoel R.EV 1703, uno dei più grandi

I club di Remco…

La differenza di età e soprattutto il ciclocross sono i motivi che anche secondo Ann Braeckman, freelance per diverse testate e sempre in prima linea nel ciclismo, segnano il solco fra Van Aert ed Evenepoel.

«E’ difficile comunque dire il perché di questa differenza di popolarità – dice la giornalista – Wout corre da più tempo e ha vinto tre mondiali nel ciclocross. Si batte sempre: in salita, nel cross, a crono e dà sempre tutto. Inoltre i suoi duelli con Van der Poel lo hanno aiutato. Remco, invece, è giovane. E’ la nuova star, pedala da neanche cinque anni. Non ha lo stesso carattere. Ha fatto delle cose per le quali in Belgio non c’è troppa abitudine, se sei un ciclista… Lui giocava a calcio in Olanda e nelle Fiandre hanno detto subito: che lì non erano modesti, non parlano bene in pubblico e quindi ha ripreso tutto ciò da lì. E’ chiaro che è meno popolare. Ma per me non è così grave che Remco abbia certe uscite. Alla fine ha 22 anni e già tanta attenzione mediatica».

Resta il fatto che domenica a Bruges quando è arrivato Evenepoel c’è stato un boato, ma quando è arrivato Van Aert è letteralmente esplosa la piazza.

«E’ anche vero però che Wout è arrivato dopo e si stava giocando l’oro. Inoltre consideriamo che da quelle parti, Fiandre Occidentali, il ciclocross è molto popolare e ci sta che abbia molti supporter. Ma Remco per esempio ha molti fans club. Ne ha uno grandissimo che è venuto a Trento con 42 persone. Ha un vero marchio, R.EV 1703: 1703 è il Cap di dove abita e R.EV 1703 è anche la targa della sua auto. Van Aert, invece, ha i tifosi, ovunque… magari anche lui ha dei club. Posso dire che nelle gare di cross si vede tanta gente che ha le sue maglie. 

Infine una considerazione sulla gara di domani e su come potrà correre il giovane rampante. «Non credo comunque che domenica Remco correrà a modo suo – conclude Ann – Se per qualche suo sbaglio il Belgio non dovesse vincere sarebbero guai: avrebbe molto da perdere».

Van Aert e il misterioso prototipo di scarpa “visto” ai mondiali

22.09.2021
4 min
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Hanno destato non poca curiosità le misteriose scarpe che Wout Van Aert ha utilizzato nella cronometro iridata di Flanders 2021. Ad accorgersene, come noi stessi abbiamo scritto, è stato proprio Filippo Ganna. Il campione del mondo aveva visto una sporgenza sui talloni del belga pochi istanti prima del via. Ma non si vedeva nulla di più, in quanto tutto era coperto dal copriscarpa. Che si trattasse di un prototipo?

Soluzione da triatleti

Cerchiamo di fare chiarezza. La scarpa per la cronometro che sta utilizzando Van Aert è una soluzione inedita per l’asso belga, ma non assoluta. E’ qualcosa che deriva dal triathlon. Tra i primi a proporla ci fu Lake, brand dell’Illinois, almeno cinque anni fa ed è poi stata ripresa anche da altri marchi, tra cui Specialized. Una sola motivazione: facilitare la calzata. In pratica con l’apertura posteriore era più agevole infilare il piede (per di più inumidito dalla prova del nuoto).. Nel caso di Van Aert invece la motivazione è principalmente aerodinamica. Ma non solo (forse).

Prototipo Shimano?

Il corridore della Jumbo-Visma aveva già utilizzato questa scarpa alle Olimpiadi di Tokyo, almeno così ci avevano detto. In realtà, abbiamo verificato, le ha usate anche prima. Ce le aveva già nella prima crono del Tour de France. In effetti ci sembrava strano che sperimentasse qualcosa di nuovo ai Giochi.

Wout utilizza scarpe Shimano e da quel che ci dicono i tecnici, a realizzare questa scarpa misteriosa è Shimano stessa. Solo che che non viene mostrata in quanto sarebbe un prototipo. Marco Cittadini, di Shimano Italia, ci ha confidato che non sarebbe la prima volta che il brand giapponese porta avanti dei progetti in gran segreto a stretto contato con gli atleti. Era già successo per esempio nella Mtb con Van der Poel, che utilizzava le ultime scarpe di Shimano (le S-Phyre) già da un anno.

Scarpa full carbon

La scarpa di Van Aert in ogni caso è una scarpa super performante, ma la cui calzata dovrebbe ricalcare quella da strada, almeno da una rapida analisi del posizionamento delle tacchette (non troppo arretrata come si usa fare a crono adesso). Dovrebbe essere tutta in carbonio, molto simile a quella in foto, che ci è arrivata dallo staff della Jumbo-Visma, ma ripetiamo sempre “made in Shimano”. Una scarpa “molto” da pista. E infatti l’hanno utilizzata diversi pistard anche a Tokyo.

Si tratta di una scarpa che massimizza la spinta, essendo super rigida, e che bada poco all’areazione, visto che al massimo l’atleta ci deve pedalare per 50′. Migliora anche l’aerodinamica, ma parliamo davvero di poco. Siamo in pieno “regno” dei marginal gains.