Da Nibali a Bettiol, con Franceschi nel cuore di Mastromarco

29.06.2024
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MASTROMARCO – La casa di Carlo Franceschi la trovi perché lo sai, perché te lo dice il navigatore o solo perché davanti alla porta c’è parcheggiata l’ammiraglia della Mastromarco. Il direttore sportivo che fu di Capecchi, Nibali, Damiano Caruso, Valerio Conti e poi di Bettiol sta per compiere ottant’anni, eppure ha ancora i modi decisi. Siamo qui perché la vittoria tricolore di Bettiol ha riacceso la luce sulla piccola squadra toscana e quel senso di famiglia che l’ha sempre resa una bottega di ottimo artigianato, per il quale oggi c’è sempre meno spazio.

Quando siamo arrivati, Carlo stava preparando il pranzo assieme a sua figlia, fuori il caldo inizia a picchiare. Un corridore con la divisa della squadra locale passa avanti e indietro: scherzando diciamo a Franceschi che magari vuole farsi vedere impegnato. Lui sorride bonariamente e poi invita a sederci. Ha voglia di parlarci dei suoi… figli di Mastromarco: quelli che ce l’hanno fatta e quelli che alla fine si sono arresi. Ma si parte dall’ultimo, da Bettiol e da quegli abbracci a Sesto Fiorentino, dopo la vittoria.

«Balducci lo seguiva negli allenamenti – ricorda – e mi diceva che Alberto era forte, lui lo conosce bene. Solo che con quella caduta al Giro di Svizzera si era… pelato tanto e per questo eravamo un po’ titubanti. E lui allora lo curava anche durante gli allenamenti, affinché le piaghe non si espandessero e si riassorbissero quanto prima. Lo seguiva con il motorino e la bottiglia del disinfettante. Ogni mezz’ora bagnava le ferite finché finalmente il giovedì è stato contento. In due giorni le bruciature erano quasi guarite. E così siamo andati a Sesto Fiorentino, tutti noi del gruppo sportivo. Ci siamo messi sul percorso per fare i rifornimenti, perché lui era da solo. Io ero sulla salita di Monte Morello e l’ho sempre visto pedalare tranquillo. E alla fine abbiamo visto come è andata a finire…».

Il 2 marzo del 2013, Bettiol vince la Firenze-Empoli, prima corsa in maglia Mastromarco (photors.it)
Il 2 marzo del 2013, Bettiol vince la Firenze-Empoli, prima corsa in maglia Mastromarco (photors.it)
Bettiol e Nibali hanno due storie diverse…

Con Enzo è un rapporto più familiare, si può dire più quasi da figlio a padre. Ad Alberto siamo affezionati, ha fatto un anno a Mastromarco. E’ un ragazzo che si fa ben volere e allora ci siamo attaccati anche a lui, perché si dà anche delle belle soddisfazioni. Penso anche che in futuro non avrà più quei continui alti e bassi che lo hanno caratterizzato finora. Ha risolto i problemi che li causavano e già si è visto un primo miglioramento nel suo rendimento, che nel tempo sarà anche più evidente.

Che posto è Mastromarco?

E’ una famiglia. Questi ragazzi li teniamo qui, specialmente quelli che vengono da lontano. C’è il nostro ritiro e alla fine ci affezioniamo perché sono ragazzi seri, volonterosi, con la voglia di faticare e fare tanti sacrifici. Il ciclismo è uno sport duro, richiede tanti sacrifici, anche se alla fine non tutti ce la fanno. Purtroppo non tutti hanno i buoni motori e la mentalità per fare tutti questi sacrifici. Qualcuno si perde, penso a Paolo Baccio, che era un grandissimo talento e alla fine ha smesso di correre. Aveva vinto Mercatale, il Trofeo Piva e il tricolore crono. Aveva firmato un contratto da professionista e poi si è come spento. Per contro ci sono tanti altri ragazzi passati dalla Mastromarco che stanno correndo attualmente nel professionismo. Sono corridori giovani, magari non diventeranno campioni, ma sono buoni corridori.

Paolo Baccio, anche lui messinese come Nibali, era un talento purtroppo sfiorito (photors.it)
Paolo Baccio, anche lui messinese come Nibali, era un talento purtroppo sfiorito (photors.it)
Di qui è passato anche Capecchi…

E’ stato un buon corridore e anche lui ci ha dato tante soddisfazioni. E’ molto attaccato e tutte le volte che ci vediamo, ci abbracciamo e ci facciamo festa. Lui rimase qui un solo anno e poi è passato subito al professionismo…

Come Bettiol, del resto.

Lui abitava qui vicino, prima di trasferirsi in Svizzera, e ogni volta che torna a casa, viene ad allenarsi con noi. Anche con Caruso i rapporti sono meno stretti, perché lui abita in Sicilia. Ma ogni volta che viene alle gare e ci si vede, è una festa. Sono corridori che in un modo o nell’altro sono rimasti qua. Hanno sempre avuto un buon motore e la capacità di faticare e riuscire a concentrarsi come serve.

Nel 2008 Damiano Caruso vince il tricolore in maglia Mastromarco-Grassi-Sensi
Nel 2008 Damiano Caruso vince il tricolore in maglia Mastromarco-Grassi-Sensi
Hai parlato di Bettiol che vive in Svizzera, eppure fra i motivi della sua vittoria ai tricolori ha messo l’essere stato seguito come quando era dilettante. Non sarà che l’Italia gli manca?

Credo che gli faccia piacere sentirsi abbracciato dalla sua gente, perché sono abbracci sinceri. Purtroppo in Italia sono tartassati dalle tasse, mentre in Svizzera pagano meno e per questo vogliono andare via. Se questo Governo aiutasse di più lo sport e facesse le cose come tutti gli altri Stati, sicuramente tanti atleti non andrebbero fuori dall’Italia.

Mastromarco era un laboratorio artigianale, oggi quel ciclismo sembra lontanissimo…

Sta andando alla deriva, è vero. Però noi cerchiamo di fare il possibile, perché comunque i ragazzi devono crescere ed essere seguirli con amore. Devi insegnargli il mestiere del corridore, come devono mangiare e anche dormire. Cerchiamo di insegnargli a fare il ciclismo vero. Oggi li vedi più emancipati anche a rispetto a 5-6 anni fa. Certamente qualcuno si può montare la testa. Vince due o tre gare da under 23 e pensa di essere un campione vero, invece si è appena seduto a tavola e non ha ancora iniziato a mangiare. Alcuni lo capiscono e vanno avanti, gli altri probabilmente si perderanno.

Nibali e Franceschi: qui al Giro d’Italia del 2019
Nibali e Franceschi: qui al Giro d’Italia del 2019
C’è una vittoria che ti è rimasta nel cuore?

Le vittorie di Enzo sono tutte nel cuore. Il Giro d’Italia, il Tour e la Vuelta. Ho avuto la fortuna di essere presente sempre nel momento giusto, ma credo che la soddisfazione più grande l’ho provata alla Milano-Sanremo. Era una gara che non gli si addiceva tanto e ha fatto un numero strabiliante. Nessuno se l’aspettava e quella secondo me è stata la ciliegina sulla torta.

Come si combattono i devo team?

Non si combattono, si tenta di sopravvivere. Se non avessi Balducci come direttore sportivo, non riuscirei ad andare avanti. Lui adesso lavora con il cambio ruote Shimano, perché è giusto che possa guadagnare più del poco che possiamo dargli noi. Davvero qui si lavora con passione. Finché ne abbiamo, ci sarà ancora il Mastromarco.

Gregarius Pro Nibali Ocean: la maglia approvata dallo “Squalo”

15.05.2024
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L’estate alle porte ci regala i primi giorni di grande caldo e le prime uscite con il sole che scotta la pelle. Pedalare con questo clima è piacevole, ma bisogna comunque munirsi dei capi tecnici giusti, per questo Q36.5 propone la maglia Gregarius Pro, nella nuova versione Nibali Ocean. Un capo che è pensato per sconfiggere il grande caldo, ma con grandi prestazioni aerodinamiche. “Lo Squalo” Vincenzo Nibali, con il suo mitico soprannome che campeggia sulla maglia Gregarius Pro, è l’ambassador d’eccezione.

Nibali è il volto della collazione con al centro la maglia Gregarius Pro Nibali Ocean
Nibali è il volto della collazione con al centro la maglia Gregarius Pro Nibali Ocean

Nel nome di Nibali

Q36.5 è un’azienda leader nel settore dell’abbigliamento tecnico da ciclismo, fattore che è andato via via crescendo grazie anche alla collaborazione con il team professional che porta il nome del marchio. L’azienda bolzanina però affianca la sua qualità anche al nome e all’esperienza di Vincenzo Nibali che firma una linea a lui dedicata: la Collezione Nibali SS2024. 

Al centro di questa collezione c’è la maglia Gregarius Pro Nibali Ocean, da abbinare al pantaloncino Gregarius Pro Nibali Shark e tutta una serie di accessori come gilet, guantini e calze. Capi realizzati per garantire il massimo comfort in sella, una grande aerodinamicità ed una perfetta termoregolazione.

La maglia Gregarius Pro

I dettagli tecnici da sottolineare appartengono alla maglia Gregarius Pro Nibali Ocean, vera protagonista della collezione. Si tratta di un prodotto realizzato con un taglio reglan, moderno e che porta ad avere ottime prestazioni aerodinamiche. Il tessuto scelto ha una struttura a navetta tridimensionale, integrato con filo d’argento. Nella parte posteriore la struttura della maglia è a nido d’ape, questo porta ad avere una sensazione di fresco e asciutto durante tutta la pedalata. 

Q36.5 ha curato in particolar modo anche la vestibilità, con un taglio che segue la mappatura del corpo, per non perdere mai il giusto comfort. Il peso della maglia Gregarius Pro Nibali Ocean è di soli 112 grammi. Le tre tasche posteriori hanno una rete elastica che si espande quando necessario e aderisce alla schiena quando non utilizzata.

La grafica evoca le sfumature blu e nere che caratterizzano le acque in cui nuotano gli squali, il logo “Shark” e la firma di Vincenzo Nibali rendono questo capo unico.

Q36.5

Nibali, Pogacar, il Giro e i ricordi di un altro Grappa

02.05.2024
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Vincenzo Nibali sta guidando. Provando a seguire i puntini dei suoi tragitti, si capisce perfettamente che il siciliano sia davvero a tutta. Gli ultimi tempi poi sono particolarmente convulsi, fra il Giro d’Italia che inizia, i 100 giorni alla partenza del Tour, varie inaugurazioni e probabilmente la prima del docufilm sui suoi inizi, girato a Messina fra gli amici della sua infanzia.

Al Giro con Vegni

Il Giro d’Italia di quest’anno si deciderà o probabilmente appenderà il cartello fine sulla salita che per lui fu l’inizio: il Monte Grappa. Scollinò per primo e si lanciò come una furia nella discesa verso Asolo. Era il 2010, il Giro doveva ancora affrontare lo Zoncolan e il Mortirolo, ma per Vincenzo arrivò la prima vittoria di tappa. Ed è così che dopo qualche passo nel presente, è semplice e fantastico scivolare nel passato, ricordando quel ragazzo di 25 anni, che si affacciava sulla porta dei grandi e ne reggeva lo sguardo e il passo.

«Vediamo un po’ cosa combina Pogacar al Giro – dice – i primi giorni non sono proprio robetta semplice. Bisogna essere belli pronti e poi avere una condizione da portare avanti sino alla fine. Io vi seguirò a puntate. Ho rinnovato la collaborazione con RCS, per cui in alcune occasioni sarò accanto a Vegni e anche ad altri. Il ruolo di direttore di Mauro è molto importante e forse per certi versi sottovalutato da chi è fuori. Ho avuto modo di seguire qualche tappa con lui e ti rendi conto del lavoro che c’è. Il suo e di tutto il gruppo che lavora per la sicurezza. La prima volta che l’ho visto, ho ammesso che non mi aspettavo ci fosse dietro tanto impegno.

«L’atleta pensa a correre e vincere, di tutto il resto non ha un’idea. Ho proposto di fare una riunione solo con i corridori, per spiegare come si muovono le staffette. Si potrebbe fare quando vengono per la presentazione delle squadre. Magari perdi un’ora in più, però a livello di sicurezza gli daresti delle informazioni molto preziose. Sono andato in auto con Longo Borghini a vedere i primi pezzi della strada, a mettere a posto dettagli in apparenza banali: le strisce, le transenne, i cartelli. A segnare cose che magari durante le prime ricognizioni non erano state annotate e che si vedono meglio quando la strada è chiusa e senza macchine. Oppure i finali d’arrivo più pericolosi».

22 maggio 2010: il Grappa è iniziato, la selezione è stata dura: restano Scarponi, Basso, Nibali ed Evans
22 maggio 2010: il Grappa è iniziato: restano Scarponi, Basso, Nibali ed Evans
A proposito di finali ad alta tensione, si torna sul Monte Grappa e alla picchiata su Bassano del Grappa. Tu arrivasti più avanti, ad Asolo, ma il versante è lo stesso…

La mia prima vittoria al Giro d’Italia. Era una tappa che puntavo. Il giorno prima, anche a tavola, l’avevo dichiarata. Ridendo e scherzando, dissi a Ivan: «Domani, quando si scollina lassù in cima, in discesa scansati perché attacco!». Un po’ se la prese, non era spiritoso al riguardo, ma devo essere sincero al di là delle battute: mi diede una bella mano a vincere quella tappa. Ero un giovane che voleva mettere subito “i puntini sulle i”, ma da lui ho appreso molto.

Era il famoso Giro della fuga dell’Aquila, per cui vi toccò tirare ogni santo giorno…

Ero andato forte in quel Giro d’Italia. Sostanzialmente avevo fatto lo stesso percorso di avvicinamento di Ivan Basso, con l’eccezione del Romandia. Non dovevo farlo il Giro, toccava a Pellizotti. Dopo la Liegi ero andato in Sicilia e avevo, come dire, le orecchie basse perché in Belgio non ero andato benissimo. Soffrivo di allergia e mi ricordo che facevo fatica a respirare. Mi sentivo strano, un po’ debole. Ricordo che un giorno mi arrivò la chiamata, ero giù da neanche una settimana. Mi chiamò Zanatta e mi disse che avevano pensato di portarmi al Giro d’Italia. Aveva parlato con Slongo (il preparatore che lo ha seguito per quasi tutta la carriera, ndr) e avendo fatto lo stesso programma di Basso, erano certi che avessi le carte in regola.

E tu?

Io ero onestamente un po’ dubbioso. Il Giro del 2010 partiva dall’Olanda e lassù piovve per tutto il tempo e questo mi cambiò la vita. Iniziai a sentirmi un’altra persona. Con la pioggia si erano abbassati tutti i polini e giorno dopo giorno iniziai a stare meglio. Infatti andai subito bene, forte già dalle prime tappe. E’ lo stesso Giro in cui presi la maglia rosa nella cronosquadre di Cuneo, sotto un bel diluvio, e la persi nel fango di Montalcino. Quando arrivammo al Monte Grappa, la maglia rosa ce l’aveva Arroyo e l’aveva presa appunto all’Aquila. Dovevamo ancora recuperargli sette minuti.

Manca poco allo scollinamento, Evans si appesantisce: è l’occasione che Nibali aspetta
Manca poco allo scollinamento, Evans si appesantisce: è l’occasione che Nibali aspetta
Il Grappa lo conoscevi? Ci avevi messo mai le ruote sopra?

No, era la prima volta. Ne avevo fatto qualche pezzettino negli anni precedenti quando ero in quelle zone ad allenarmi, però in cima non ero mai arrivato e in gara ovviamente era tutt’altra cosa.

Cosa ricordi di quel giorno?

La presero forte quelli del Team Sky, che erano al primo anno: mi ricordo che c’era anche Wiggins. Subito dopo però calarono un po’ l’andatura e così dalla metà in poi prendemmo in mano noi le redini della corsa. Iniziammo a tirare con il solito protocollo di azione per la salita. Per cui c’era prima Kieserlowski, poi Agnoli, quindi Sylvester Szmyd che era l’ultimo. Quando finì lui, vidi che eravamo rimasti in pochi. Finché nell’ultimo pezzettino, quando eravamo proprio in cima, ci accorgemmo che Cadel Evans (uno degli avversari più pericolosi di Basso, ndr) aveva scollinato leggermente staccato. Così una volta in cima, scollinai insieme a Basso, presi la discesa e andai via.

Era quello lo schema di cui avevate parlato a cena la sera prima?

Esatto, anche se a metà discesa mi arrivarono un po’ di crampi. C’era un pezzettino in cui dovevi pedalare di nuovo (da Ponte San Lorenzo a Il Pianaro, ndr) e le gambe picchiavano. Però fu il modo per farle ripartire gradualmente e a farle girare piano piano, i crampi mi passarono. Feci l’ultima parte della discesa e poi gli ultimi 7-8 chilometri per andare all’arrivo. Arrivai con 23 secondi di vantaggio, mi sembra.

Planata dal Grappa e arrivo solitario ad Asolo. Per Nibali la prima tappa vinta al Giro
Planata dal Grappa e arrivo solitario ad Asolo. Per Nibali la prima tappa vinta al Giro
Se ci pensi adesso con tutta la carriera che hai avuto dopo, quel giorno resta un po’ importante?

E’ stato importante, perché io ero andato al Giro pensando di provare a vincere qualche tappa, non avevo obiettivi di fare la classifica. Per quella c’era Ivan Basso, io già qualche Giro l’avevo fatto e quell’anno avrei dovuto fare il Tour de France, ma lo scambiai con il Giro d’Italia. Venne stravolta tutta la mia stagione. Arrivai terzo al Giro e poi andai alla Vuelta, che vinsi: il mio primo grande Giro. Quindi il giorno di Asolo è stato un passaggio importante, la prima vittoria, la svolta della carriera. Quell’anno mi ero messo in testa di avere l’asticella sempre più alta…

Una salita come il Grappa nel gruppo di oggi come la vedi?

E’ sempre una salita che si fa rispettare e se viene fatta forte, fa parecchio male. Anche la prima parte della discesa è bella impegnativa. Quando l’ho fatta io, era pure bagnata. E’ stretta, in cima l’asfalto era viscido. E’ una tappa che se qualcuno decide di farla forte da sotto fino a sopra, fa dei danni. Ovviamente con l’aiuto della squadra, non da soli…

Cosa ricordi degli ultimi metri: quando sei lì senti lo speaker che urla il tuo nome? Ti viene la pelle d’oca?

Senti il boato della gente, quello sì. La pelle d’oca, quella vera, ti viene però quando pedali in cima ai passi di montagna in mezzo a quelle due ali di folla, sperando che tutto vada bene. C’è la gente che ti incita e che ti urla, quello per me è sempre stato il massimo dell’adrenalina. Quel giorno là in cima non c’era tanta gente, forse anche perché pioveva, ma all’arrivo di Asolo c’era un mare di tifosi: questo me lo ricordo veramente, ad Asolo c’è sempre gente. Il giorno dopo provai a entrare nel villaggio, ma non riuscii perché venni… asfaltato dai tifosi (ride, ndr). Io poi io con quella città ho sempre avuto un buon rapporto.

Nibali ha ancora 25 anni, la prima tappa al Giro inaugura il 2010 della vittoria alla Vuelta
Nibali ha ancora 25 anni, la prima tappa al Giro inaugura il 2010 della vittoria alla Vuelta
Come mai?

Perché ci vinsi anche un campionato italiano juniores. Le persone si ricordavano anche di quel ragazzino in maglia tricolore. In Veneto ho avuto dei bei trascorsi, da quando andai a correre con la Fassa Bortolo e poi con la Liquigas.

Ci vediamo al Giro, quindi?

Certo. Faccio le prime tre tappe, poi vado a Genova perché intitolano una ciclabile a Michele Scarponi. Poi rientrerò più avanti , magari in qualche tappa vicina e poi per il gran finale. A Livigno non ci sono, però penso che salirò il giorno dopo, per il riposo. Nel frattempo esce anche il mio docufilm e non so se vogliono fare una prima visione proprio quel giorno.

E’ vero che l’avetre girato tutto in Sicilia?

Tutto giù, esatto. L’ha girato Marco Spagnoli, che ha fatto docufilm anche su Franco Battiato, Pino Daniele, Sofia Loren e Dino Zoff. Il mio sarà concentrato sulle origini, il luoghi da dove sono partito. Ci sono un po’ di racconti della famiglia, siamo andati a vedere il paese dove sono cresciuti i miei genitori. Ci sono un po’ di miei amici, qualche racconto di mio cugino Cosimo e quelli che sono riusciti a venire. Carlo Franceschi non ha potuto per la distanza, invece Malucchi ha tirato fuori ricordi che riguardavano suo papà. Non so ancora dove sarà trasmesso, ma la produzione un po’ è della Regione Sicilia e un po’ di RAI. Vediamo quando ci sarà la prima. Intanto ci si vede a Torino…

Discesa: materiali e traiettorie diverse. Cosa dice Nibali?

15.03.2024
4 min
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Discesa, bagnata, verso Nizza. Remco Evenepoel entra in curva più largo ed esce più stretto. Matteo Jorgenson più di qualche volta fa il contrario: entra stretto ed esce largo. In teoria è giusta la traiettoria del belga, ma a volte nella fase d’uscita era più veloce l’americano.

Questa differenza di traiettorie vista alla Parigi-Nizza ci sembra in generale un po’ più marcata che in passato. Perché? Quanto contano i materiali, specie gomme e freni a disco in tutto ciò? 

Vincenzo Nibali, ci aiuta a capire meglio. Lo Squalo era, e resta, un discesista formidabile e anche un ottimo collaudatore. Vincenzo ha “l’orecchio fino” quando si tratta di guida e materiali.

Vincenzo Nibali (classe 1984) è stato, tra le altre cose, un grande discesista
Vincenzo Nibali (classe 1984) è stato, tra le altre cose, un grande discesista
Dicevamo, Vincenzo, traiettorie diverse quelle fra Remco e Jorgenson…

Traiettorie diverse, ma dietro queste differenze più che i materiali credo ci siano soprattutto due tipologie di guida differenti. Bisogna anche considerare che erano in due e in queste circostanze, o quando si viaggia in un drappello ridotto, capita spesso che non si replichi la traiettoria di quello davanti: magari per avere più visuale, perché si ha più libertà di scendere come si vuole, perché ci si lascia un piccolo margine di sicurezza. Cose che in gruppo, specie se scende allungato in fila indiana, non si può fare in quanto la scia e la traiettoria è “obbligata”.

Le coperture moderne sono più larghe. Può essere questa una spiegazione alle traiettorie diverse?

Sì e no, anche io sto utilizzando proprio in questi giorni gomme da 30 millimetri e certamente tengono di più. Non so ancora come vadano di preciso sul bagnato, perché è davvero da pochi giorni che le sto testando. Di certo si ha una sensibilità diversa. Faccio un esempio…

Vai…

Ora sto utilizzando delle Continental, il cui battistrada è una sorta di “slick”. Prima avevo Vittoria, che invece era intagliata. Nell’ultimo anno all’Astana-Qazaqstan avevo giusto Vittoria, ma spesso utilizzavo il caro “vecchio tubolare”. Perché? Perché quello di Vittoria era un filo più largo rispetto a molti altri, era un 26 millimetri, quindi avevo una buona superficie, ma al tempo stesso una copertura leggera. E soprattutto questa copertura mi trasmetteva una certa sensibilità nelle guida, una sensibilità più grande, più profonda. Sentivo meglio la strada, ecco.

Gomme da 30 millimetri, sempre più usate
Gomme da 30 millimetri, sempre più usate
E col tubeless?

Con il tubeless largo, senza dubbio la bici è più veloce, confortevole… ma in salita si “muove” di più. E poi c’è un po’ di peso in più. Senza far nomi, ma alcuni corridori quando arrivano le grandi salite utilizzano coperture più strette.

E il freno a disco quanto conta nelle traiettorie?

Di certo è una frenata differente. Col disco è subito forte, poi si stabilizza ed è meno intensa, pertanto devi modulare diversamente. Può succedere però che l’impianto del freno a disco, l’olio o il disco  stesso, si surriscaldino e quindi la frenata cambi ancora.

Cioè?

Diventa “spugnosa”, meno pronta.  Con i freni tradizionali invece era il contrario, all’inizio quasi non rallentavano e poi la frenata arriva a di colpo, specie con le ruote in carbonio e ancora di più in caso di pioggia. Lì avevi 2” di panico e poi la bici iniziava a rallentare. Adesso questo problema non c’è più.

A tutto vantaggio dei meno bravi?

Dei più pesanti, direi… Il discorso per me non riguarda solo gomme e freni a disco, ma un po’ tutto: l’aerodinamica, i canali delle ruote più grandi, le campanature dei raggi migliore che in passato, la gomma che con la “ruota giusta” dà una superficie e un disegno di appoggio migliore… Tutto questo consente anche traiettorie diverse, più ampie, o più strette.

Nell’ordine, Jorgenson, McNulty e Skjelmose: piccole differenze di traiettoria e anche di frenata (notate le dita di ciascuno)
Nell’ordine, Jorgenson, McNulty e Skjelmose: piccole differenze di traiettoria e anche di frenata (notate le dita di ciascuno)
Quindi i nuovi materiali in discesa concedono qualche margine d’errore in più? Come appunto abbiamo visto fra Remco e Jorgenson…

Torno al disco che magari chi sta dietro non si fida di chi sta davanti. Van der Poel è un grande in discesa. Remco forse qualche gap ce l’ha, qualcosa da migliorare. Jorgenson ammetto che non lo conosco. Oggi gomme, freni a disco, cerchi larghi… ti consentono di osare di più e da fuori di vedere qualche linea differente.

Chiaro…

Io stesso vedo che con la copertura da 30 mm posso stringere di più la curva e piegare di più, ma questo è dovuto soprattutto alle pressioni più basse rispetto al passato. Prima se si scendeva forte il margine di errore era quasi zero, il discesista era quasi un artista, adesso è un po’ più ne hai.

Quindi una mano ai meno bravi i nuovi materiali la danno…

Un po’ sì, soprattutto sull’acqua. Poi bisogna considerare però che si va anche più forte, che le bici è più rigida, più veloce… e alla fine la gomma è molto importante, perché è il punto di contatto fra la bici (e il ciclista, ndr) e l’asfalto.

Maurizio Fondriest entra nella squadra Q36.5

12.02.2024
3 min
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Un nuovo campione del ciclismo si aggiunge alla squadra di Q36.5. Si tratta di Maurizio Fondriest. L’ex iridato di Renaix 1988 è diventato di recente nuovo Ambassador del marchio bolzanino, andando ad affiancare in questo ruolo Vincenzo Nibali.

Il benvenuto di Luigi Bergamo

Ad accogliere Fondriest nel simbolico ruolo di “padrone di casa” non poteva che essere Luigi Bergamo, CEO e Responsabile Ricerca e Sviluppo Q36.5 (in apertura a destra, insieme a Maurizio Fondriest).

«Un altro grande atleta si unisce al gruppo di Ambassador di Q36.5 – ha dichiarato Luigi Bergamo – Conosco Maurizio da quarant’anni. Quando da ragazzo ho iniziato a pedalare, mi allenavo insieme a lui sulle strade della Val di Non, successivamente l’ho seguito con grande ammirazione durante tutta la sua carriera. Sono onorato di poter oggi intraprendere questa nuova collaborazione. Maurizio rimane, oggi come allora, oltre che un grande campione, un grande appassionato di ciclismo. Attento e meticoloso ad ogni aspetto tecnico legato allo sport che più ama. Leggendaria risulta la sua cura per la posizione in sella, alla ricerca della geometria perfetta. Su questo argomento siamo in grande sinergia. Sarà un piacere poter ricevere da Fondriest feedback preziosi per sviluppare e rendere ancora più innovativi i nostri capi e i nostri prodotti».

Maurizio Fondriest è entrato a far parte della famiglia di Q36.5
Maurizio Fondriest è entrato a far parte della famiglia di Q36.5

I consigli del campione

Come anticipato dallo stesso Luigi Bergamo, Maurizio Fondriest non sarà solo Ambassador del brand, ma con i suoi consigli potrà contribuire a sviluppare nuovi prodotti. Il primo passo della collaborazione fra Fondriest e Q36.5 prevede la prova dei capi della nuova stagione primavera/estate 2024. Tra i prodotti di punta della nuova collezione i nuovissimi pantaloncini da ciclismo Dottore Pro e le innovative scarpe Dottore Clima. Si tratta di prodotti che saranno lanciati sul mercato nella seconda metà del mese di febbraio.

Tre Punti di Contatto

Q36.5 ha studiato un sistema di prodotti che permette di supportare i “Tre Punti di Contatto” più sensibili e importanti del corpo del ciclista con la bicicletta: sella, manubrio e pedali. Durante gli studi compiuti dall’azienda è stata analizzata la profonda correlazione tra questi tre punti e tutte le variabili che possono influenzare la posizione del ciclista sulla sella, e quindi il comfort e le prestazioni. Tra le variabili prese in esame i diversi tipi di selle, di scarpe o pedali, così come l’anatomia del corpo e la posizione di pedalata dell’atleta. La ricerca ha dimostrato la necessità di una soluzione adattiva che possa ridurre al minimo la differenza di comfort con tutte queste variabili. Lo studio e la sperimentazione hanno portato Q36.5 allo sviluppo di una nuova tecnologia di fondelli proprietaria chiamata Q36.5 Chamois Adaptive Technology, applicata a tutti i nuovi pantaloncini da ciclismo della prossima stagione estiva.

L’ex professionista trentino sarà un ambassador del brand bolzanino
L’ex professionista trentino sarà un ambassador del brand bolzanino

Il parere del campione

Sentita l’azienda attraverso le parole di Luigi Bergamo non potevamo non riportare le prime dichiarazione di Maurizio Fondriest, neo Ambassador Q36.5.

«La ricerca della perfezione in sella – ha dichiarato Fondriest – è sempre stata una priorità per me. Il corretto assetto in bici permette di sentirsi bene, concentrarsi sulla performance o semplicemente godersi la pedalata. L’abbigliamento e le scarpe che si indossano sono in tal senso un elemento chiave, anche se spesso sottovalutato. Q36.5 è un marchio che seguo da diversi anni ed ammiro per l’alta qualità e tecnicità dei suoi capi ed in particolar modo per l’attenzione che il marchio dedica al sostegno di un concetto unico: quello dei Tre Punti di Contatto, che ha come obiettivo il comfort complessivo del ciclista».

Q36.5

Da Nibali e Pellizotti a Caruso e Tiberi. Quali analogie?

11.02.2024
6 min
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L’esperto e il giovane: è un leit motiv del ciclismo. Vincenzo Nibali ci ha raccontato di quando da neopro’ si ispirava a Franco Pellizotti o Ivan Basso. Di come in allenamento fosse in perenne battaglia con Danilo Di Luca… Oggi anche questo aspetto si è evoluto e la famosa chioccia si fa in altro modo. Tuttavia certe basi sono le stesse e permettono ai giovani che crescono accanto a grandi campioni di imparare più in fretta e di acquisire in breve sicurezze che per gli altri arrivano col contagocce.

Proprio Franco Pellizotti è l’anello di congiunzione del tema che stiamo per affrontare. Il friulano fu, come detto, un riferimento per Nibali e oggi alla Bahrain-Victorious si ritrova a dirigere la coppia italiana più rappresentativa in fatto di chioccia e allievo, vale a dire Damiano Caruso e Antonio Tiberi.

Franco, partiamo da quel Nibali di un tempo. Com’era?

Vincenzo era molto giovane. Ricordo quei primi ritiri sul Teide in cui per esempio a tavola mangiava esattamente come era abituato da ragazzino a casa. La pasta, il secondo, il dolce… Poi mi guardava e mi chiedeva perché magari non avessi mangiato il dolce. Faceva di testa sua, ma guardava. Rubava con gli occhi.

E in allenamento?

Tante volte quando facevamo la salita per ritornare in quota, lui andava via a tutta. Mentre noi salivamo del nostro passo o facevamo i lavori specifici. Allora gli dicevamo: «Vince, siamo qui per costruire, non per fare le gare. Siamo qui per fare una base». Col tempo anche lui ha capito. Ha seguito quest’onda e ha messo tutto in pratica.

Ma con i suoi tempi…

Esatto. Con quel pizzico di orgoglio… da vero siciliano! Capiva che magari non aveva ragione, ma non voleva ammetterlo sul momento. Però poi ci rifletteva su, si vedeva.

Chioccia e allievo oggi. Pochi giorni fa Covi, che vecchio non è, raccontava di come i giovani passino e già sappiano tutto su alimentazione e allenamenti…

In effetti è cambiato molto. I giovani, che spesso sono degli juniores, sono già mentalizzati e impostati con la vita del ciclista moderno. E anche per questo riescono subito a mostrare il loro valore. Tutto ciò li agevola in qualche modo. Io ricordo gli ultimi anni da professionista quando arrivò il nutrizionista. Okay, io ero sempre sul pezzo e mi piaceva ascoltare nuovi parerei, ma cambiare certi abitudini mi risultava difficile. Sembrava di rompere equilibri che davano certezze.

Caruso e Tiberi in ritiro in Spagna. Rispetto al passato in allenamento il giovane è meno esuberante e più ligio alle tabelle che in passato (foto @charlylopez)
Caruso e Tiberi in ritiro in Spagna. Rispetto al passato in allenamento il giovane è meno esuberante e più ligio alle tabelle che in passato (foto @charlylopez)
Era come se ci fosse un barriera?

Sì. Mi ricordo di Caruso al primo anno in cui anche lui ebbe a che fare col nutrizionista. Diceva: «No, io ho le mie modalità. So che la pasta in questo preciso momento mi fa bene…». Poi però, facendo delle prove, vedeva che in effetti c’erano dei miglioramenti. Si faceva delle domande e si dava delle risposte. Per un giovane questo scalino non c’è. Però magari peccano in altro, ma per quanto riguarda regole di vita da atleti e aspetti scientifici sono avvantaggiati.

Da Nibali e Pellizotti a Caruso e Tiberi: quali analogie ci sono?

Appena Tiberi è arrivato in Bahrain, lo abbiamo affiancato a Caruso, perché il ciclista non è solo mangiare e allenarsi bene. Ci sono tante altre cose. Magari prima di addormentarsi è meglio usare meno il cellulare e stare un po’ più su un libro. Saper recuperare meglio dopo una corsa. O il modo di stare in gruppo… 

Insomma quando prima dicevi che magari sbagliano altre cose…

Esatto. Magari in gruppo sprecano più energie perché sono nella posizione sbagliata, perché risalgono nel momento meno opportuno o non sfruttano gli altri corridori. Sono meno conservativi. E oggi questo serve ancora di più visto che, come detto, i ragazzi vengono direttamente dagli juniores o hanno un solo anno di under 23 sulle spalle, categorie dove comunque il modo di correre e di fare il ciclista è diverso.

Cosa intendi?

Che in quelle categorie corri due, tre, volte a settimana. Tra i pro’, specie per uno come Tiberi che predilige le corse a tappe, la cosa è differente. Va alla Ruta del Sol, poi sta a casa tre settimane e va alla Tirreno. E’ in quei periodi che deve imparare a gestirsi. Il recupero dopo la gara. La fase di allenamento, quella di avvicinamento alla corsa successiva. E anche se oggi sono seguiti a stretto giro dai coach, gli può mancare qualcosa in questo intermezzo. Ecco dunque che il vecchio in camera è fondamentale. Per un Tiberi avere un Caruso o un Poels come riferimento vuol dire molto, anche in allenamento. Ti fanno alzare l’asticella.

Damiano Caruso oggi può aiutare Tiberi, mostrando la sua esperienza e il modo di vivere con calma anche i momenti di maggior stress
Damiano Caruso oggi può aiutare Tiberi, mostrando la sua esperienza e il modo di vivere con calma anche i momenti di maggior stress
Asticella. A anche di questo abbiamo parlato. Nella pista italiana si crea un circolo virtuoso per esempio. Ganna fa da punto di riferimento a Milan. Milan a Moro… Che poi è Nibali che si confronta con Pellizotti. Serve dunque l’asticella in allenamento?

Serve l’asticella alta. Serve nella vita normale anche per chi va in ufficio. Se tu vuoi diventare il migliore o vuoi restare il migliore, quando qualcuno ti arriva vicino cerchi di fare di più e questo ti porta a crescere. Poi se sei in un ambiente il cui livello è medio, sarai un leader medio. Il confronto con i più forti ce l’hai, ma alle corse e a quel punto la frittata è fatta. Per questo è importante avere gente forte intorno, gente che tiene l’asticella alta. Il bello delle corse e dell’agonismo è questo: non è tanto la corsa in sé, ma prepararla giorno dopo giorno.

Però, Franco, è anche vero che per le chiocce non è facile tenere l’asticella alta. Oggi, e lo abbiamo detto, i ragazzini vanno forte come e più degli esperti. Tu all’inizio andavi più forte di Nibali, oggi Caruso come fa a mettere Tiberi alle corde?

Vero, età e recupero sono dalla parte di Antonio che magari su una salita secca è anche più forte di Damiano, ma poi c’è tutta la gestione dell’insieme e della corsa, specie se è a tappe. E capita spesso che il giovane non ottenga i risultati che potrebbe. Questo perché corre in modo più esuberante, risale il gruppo quando non dovrebbe, è più teso… Col passare dei giorni spreca energie, anche nervose, che poi magari non ha nel finale, mentre l’esperto sì.

Insomma, il ruolo di chioccia diventa ancora più “mistico”, più prezioso. E’ quasi un sapere nascosto?

E’ lo sporco lavoro che non si vede: sì, in qualche modo è così. Ma serve. E’ fondamentale. Pensiamo a Remco che spesso s’innervosisce, spreca energie e anche se è il più forte non vince.

Campioni e debuttanti, non è sempre facile. Nibali racconta

30.01.2024
6 min
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Qualche giorno fa Nibali è uscito in bici assieme a Ulissi sulle strade di Lugano. Sapendo che ci saremmo sentiti, lo Squalo ha approfondito il tema anche con l’amico. Lo spunto è quello dell’editoriale di ieri: i corridori giovani crescono prima se nella loro squadra ci sono campioni con cui confrontarsi? Il discorso si può prestare a una doppia interpretazione. Si può entrare nello spinoso terreno dei giovani che non ascoltano i consigli dei più esperti. Oppure si può restare nell’ambito descritto da Pellizzari ed Ellena, sugli stimoli derivanti dal semplice allenarsi assieme a loro.

«Quando passai alla Liquigas – racconta Nibali – il capitano era Di Luca e io anche in allenamento volevo staccarlo sempre e questo certamente mi ha fatto crescere. La mia svolta più grande c’è stata però dal 2008-2009 in poi. Danilo era andato via e noi del gruppo giovani abbiamo iniziato a fare i ritiri di squadra sul Teide. Il mio riferimento da quel momento in poi è diventato Pellizotti e solo dopo è arrivato Basso. Franco lo copiavo per come lavorava, come si preparava, per come strutturava l’allenamento. Guardavo quello che faceva lui, anche per lo stile di gara. Mi dava delle indicazioni perché io ero molto impulsivo e sbagliavo i tempi».

Sin dai primi mesi nella Liquigas, Nibali si è sempre voluto confrontare con capitan Di Luca
Sin dai primi mesi nella Liquigas, Nibali si è sempre voluto confrontare con capitan Di Luca
Che cosa vi siete detti con Ulissi a proposito di questo?

Che oggi lavorare con i giovani è molto più difficile, perché hanno le loro idee. A volte, anche quando gli spieghi delle cose, sembra che gli dici chissà cosa. Hanno già i numeri e vincono, quindi alla fine, tra virgolette, hanno ragione loro. Io ho vissuto un ciclismo diverso, in cui era bello che accanto al giovane ci fosse un uomo di esperienza. Oggi sembra sempre meno utile. Quello che una volta insegnavano gli anziani, oggi in base al budget delle squadre lo imparano dai preparatori e dai nutrizionisti.

Infatti il punto non è tanto quello che il campione può insegnare a parole, ma quello che si impara su se stessi allenandosi al suo fianco.

Ci può stare, comunque credo che andando alla VF Group-Bardiani, Pellizzari abbia scelto di crescere tranquillamente. Per cui in questo momento magari si può rimanere male perché quelli che hanno la stessa età e fino a ieri erano sullo stesso livello hanno già vinto, ma non è detto che questi exploit diventino la regola e che le differenze ci saranno per sempre. A fare le cose di fretta, si rischia che l’exploit duri 2-3-4 anni e poi però che la discesa sia rapida quanto la salita.

Prova a metterti nei panni di uno di questi ragazzi: non pensi che allenarsi con Pogacar gli dia maggior consapevolezza?

Sì, è così. Se nella tua squadra complessivamente hai atleti di un certo valore, chiaramente anche il tuo livello si porterà su un gradino leggermente più alto. Sai che stai competendo con della gente che è il gotha del ciclismo, perché nel UAE Team Emirates metti dentro Ayuso, Pogacar e tutti quelli che ci sono, uno si misura subito. Se però provi a parlargli, non funziona. Diego mi faceva l’esempio di corridori giovani che potrebbero anche avere vantaggio dal ricevere qualche consiglio e invece lo guardano come fosse di un altro pianeta. Eppure è serissimo, sa lavorare bene, tutti gli anni ha sempre vinto. E’ un professionista esemplare, quindi qualcosa da insegnare ce l’ha. In una squadra è sempre bene affiancare un uomo di esperienza ai più giovani. Ad esempio, nella Q36.5 di cui sono ambassador, Brambilla ricopre esattamente questo ruolo.

Ulissi è uno dei grandi corridori con cui i giovani del team si confrontano ogni giorno in allenamento (foto UAE Emirates)
Ulissi è uno dei grandi corridori con cui i giovani del team si confrontano ogni giorno in allenamento (foto UAE Emirates)
E’ sempre stato così?

Quando sono passato io, gli anziani non ti dicevano molto. Ricordo che alla Fassa Bortolo arrivai giovanissimo. Trovai dei corridori come Flecha oppure Kirchen e Codol che davano i consigli veri, quelli giusti. Se li ascoltavi, bene. Se non li ascoltavi, si voltavano dall’altra parte e continuavano la loro vita. Lo stesso negli anni successivi ho fatto io, provando a correggere chi eventualmente stava commettendo un errore.

Aru può aver guadagnato sicurezza in se stesso prendendo le misure su di te in allenamento?

Probabilmente sì, ma in quel periodo l’Astana era una squadra forte. C’era Fuglsang, poi è arrivato Scarponi. Andavamo a giocarci il Giro, il Tour e la Vuelta. Ci eravamo posizionati ai vertici delle classifiche, non solo con due atleti, ma con tutta la squadra (Nibali e Aru sono insieme nella foto di apertura al Giro del Trentino del 2013, ndr). Se un giovane si trova a vivere in certe squadre, per forza assorbe qualcosa in più. Sicuramente avere un veterano oppure un corridore con un bel palmares e che continua ad andar forte, può essere un bel riferimento. Se invece nella squadra il riferimento non c’è, chiaramente si fa più fatica perché a quel punto l’esperienza devi farla in gara. Ma Pellizzari potrebbe dire: l’ho staccato una volta, lo posso staccare ancora.

Al momento il confronto lo fanno su Strava, guardando i tempi di Evenepoel in allenamento…

Sì, ma certe osservazioni lasciano il tempo che trovano. Ero anche io a Calpe e si parlava di questo tempo stellare fatto da Remco sul Coll de Rates. Ho sentito Bramati, mi ha detto che sembravano non poggiasse le ruote per come andava. I suoi compagni dicono che bastava che la strada si alzasse leggermente e li lasciava lì. Quindi sta già andando forte, non ha ancora fatto grandi cose e ha battuto il KOM di Poels. Aver fatto dieci secondi di più a inizio stagione rispetto a uno che neanche è a tutta non è tanto indicativo.

Papà per la seconda volta a ottobre, ecco Nibali con Emma e la piccolissima Miriam (foto Instagram)
Papà per la seconda volta a ottobre, ecco Nibali con Emma e la piccolissima Miriam (foto Instagram)
E questo conferma che sarebbe stato meglio per lui, se fossero stati in squadra insieme, salire alla sua ruota e mettersi alla prova.

Sarebbe stato diverso, certo. Quando facevo dei test, non ero mai tra i migliori. Però poi in gara di fatto ero sempre davanti. Da dilettante, da junior, riuscivo a vincere 10-12 gare ed era normale, mentre ora si esaltano se ne vincono la metà. I confronti veri si fanno in gara, come Bettini che attaccava il numero e diventava un altro. I giovani forti ci sono sempre stati. Giorni fa mi sono scritto con Cunego su Instagram e anche lui parlava di questi ragazzi prodigiosi. E mi è toccato ricordargli che lui a 23 anni ha vinto il Giro e il Lombardia. Non è che andasse poi così piano. Rispetto ad allora, sono cambiati gli strumenti.

Certamente sono più accessibili.

Io sono passato professionista che quasi non sapevo usare il cardiofrequenzimetro. Adesso usano il powermeter da juniores, avendo pure i rapporti liberi. Hanno tutti i numeri disponibili, mentre una volta il direttore sportivo più bravo era quello che riusciva ad adattare le tabelle alla squadra. Ora è più scientifico, dalle ruote alle gomme, dalle bici al casco. Il casco col paraorecchie e anche il casco col paraocchi, visto che qualcuno ogni tanto sbatte (ridiamo di gusto, ndr). Vanno a cronometro e guardano la traccia sul computerino, tengono la testa giù e poi picchiano sulle transenne e si chiedono come mai.

Potere del computer…

Negli ultimi anni da professionista, c’erano quelli che facevano la discesa guardando il Garmin, perché avevano la traccia GPS. Io non l’ho mai fatto, io guardavo le curve e come dovevo prenderle per impostare la prima e, se c’era la seconda in sequenza, come impostare anche la seconda. La traccia la facevo io e non mi sembra che in discesa Nibali fosse scarso. Qualche errore di valutazione l’ho fatto, il più grave fu alle Olimpiadi di Rio, ma perché la strada era mezza asciutta e mezza bagnata. E questa comunque è un’altra storia. E le ruote, posso assicurarvelo, non c’entravano niente.

Anche Antonio Nibali se ne va. Con una valigia di ricordi

22.12.2023
5 min
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Le prestazioni al Tour de Kyushu non sono bastate ad Antonio Nibali per trovare un contratto per la prossima stagione. La sua storia di ciclista professionista si chiude qui, almeno con un risultato prestigioso come un secondo posto. Avrebbe scelto un epilogo diverso, avrebbe voluto essere padrone del proprio destino, ma la realtà ha deciso altrimenti.

Si sente dalla sua voce che la decisione non è stata semplice e gli strascichi dilaniano ancora il suo animo. «Non è facile lasciare questo mondo, anche se è evidente che è in atto un cambiamento enorme, è come se questo stia diventando un altro sport, per corridori sempre più giovani. Io mi ci ritrovavo sempre meno, ma questo non significa che lascerò le due ruote perché quando hai nel sangue questa passione non ti lascia più».

Gli ultimi due anni all’Astana sono stati difficili, in un team in profonda trasformazione
Gli ultimi due anni all’Astana sono stati difficili, in un team in profonda trasformazione
Una passione che ti è arrivata da dove?

Mio padre ha molto influenzato sia me che Vincenzo, insegnandoci soprattutto che ciclismo equivale a sacrificio. Quando ho iniziato nel “mondo dei grandi” era il 2014, ma già si andava forte, era già un ciclismo moderno e in evoluzione. Poi dopo il covid le cose hanno preso un’altra piega, si è andati sempre più veloce, è diventato come un frullatore dove i team cercano corridori sempre più giovani. E’ un’attività che richiede sempre di più e temo che questo avrà ripercussioni sulla durata delle carriere.

La tua carriera quanto è stata toccata dalla vicinanza di Vincenzo e delle sue vittorie?

Noi abbiamo fatto parte di una generazione diversa da quella odierna, dove ti veniva dato il tempo di maturare. Io ho vissuto da vicino la sua evoluzione, le sue vittorie come le sue sconfitte le ho sentite sulla mia pelle. Abbiamo vissuto insieme ritiri e quei sacrifici di cui parlavo prima. Anche nel finale, quando però la spinta cominciava a venire meno anche perché vedeva e vedevo che all’Astana le cose stavano cambiando e si prediligeva un’altra strada.

Antonio e Vincenzo Nibali hanno corso insieme dal 2017 al 2022, condividendo tanti momenti unici
Antonio e Vincenzo Nibali hanno corso insieme dal 2017 al 2022, condividendo tanti momenti unici
Tu nel 2021 hai lasciato la Trek Segafredo per seguirlo all’Astana. Quel momento ha rappresentato un po’ una svolta nella tua carriera: la Trek era disposta a tenerti anche senza Vincenzo. Ti sei mai pentito?

Non posso negare di averci pensato spesso in questi mesi. Non era una decisione facile: la Trek mi offriva un altro anno a stipendio ribassato, dall’altra parte c’era un contratto biennale e soprattutto vedevo nel team la voglia d’investire anche su di me. Certo, a cose fatte non so se prenderei la stessa decisione.

Non hai l’impressione che quella sia stata una “sliding door”, quella decisione che segna la tua vita?

Sicuramente, ma che cosa sarebbe successo se avessi deciso altrimenti? Non possiamo saperlo. In quel momento sembrava una scelta matura, in un team con persone con cui Vincenzo aveva già convissuto e vinto. Invece era una realtà che si stava evolvendo. Non è un caso se Martinelli al ritiro non c’era, l’Astana sta spostando il suo baricentro non solo dal punto di vista tecnico, non puntando più alle classifiche delle corse a tappe, ma anche oserei dire geopolitico, identificandosi sempre più in Vinokourov e nel suo Paese.

Il braccio in alto per festeggiare la vittoria di Vincenzo al Giro di Sicilia 2021
Il braccio in alto per festeggiare la vittoria di Vincenzo al Giro di Sicilia 2021
Quando pensi ai momenti belli sono più personali o legati alle vittorie di Vincenzo?

Sono tanti nel complesso, posso dire che in questi 9 anni ho vissuto tante emozioni. I Giri e le Vuelta con lui, lavorando per lui. Una cosa che mi è dispiaciuta e pesata molto nell’ultimo anno della sua carriera è stata il fatto che siamo stati divisi l’ultimo anno, facevamo attività diversa.

Qual è stato l’ambiente migliore dove ti sei trovato?

Ricordo con nostalgia gli anni alla Bahrain, soprattutto i primi due dove si vinceva e ci si divertiva insieme, era un agglomerato di grandi sensazioni. Già nel terzo le cose erano un po’ cambiate, ma vissi con grande partecipazione il Giro di Vincenzo contro Carapaz e Roglic, tirando per lui, condividendo ogni pensiero. Anche alla Trek comunque abbiamo vissuto due annate belle e in un bell’ambiente, molto competitivo e dove c’era voglia di faticare ed emergere.

L’unica vittoria da pro’ è arrivata al Giro d’Austria 2018, staccando tutti gli avversari (foto GDS)
L’unica vittoria da pro’ è arrivata al Giro d’Austria 2018, staccando tutti gli avversari (foto GDS)
Se pensi alla tua carriera quali sono i momenti più belli?

Sicuramente la mia vittoria nella tappa del Giro d’Austria nel 2018. Era una gara di livello, una 2.1, poi la ottenni con le mie forze, andando in fuga e contenendo il ritorno degli avversari. Poi ci sono stati tanti buoni risultati, tanti piazzamenti nei primi 10 in gare del calendario italiano e non solo e aver chiuso con un secondo posto in Giappone rappresenta comunque un bel modo per lasciare.

Vivere una carriera all’ombra di un mito come tuo fratello non è semplice, ma è anche una via preferenziale per capire quel che ha vissuto…

Non è facile raccontarlo a parole. Si sarebbe portati a pensare alle sue vittorie, ma quando a vivere quest’attività è il sangue del tuo sangue è diverso. Io penso a quando si è rotto la vertebra al Tour, a quei giorni così duri, spaventosi, dove convivevi con la paura per il suo futuro, non solo quello legato alla bici. Dove le incognite attanagliavano le nostre notti. Ci sono stati anche i momenti belli, ad esempio la sua vittoria alla Sanremo che pochi si aspettavano. Sì, posso dire di essere stato testimone diretto e protagonista di una grande storia, ma anch’io ho avuto la mia parte importante e i miei momenti.

Gli inizi di Antonio tra i pro’, alla Nippo Vini Fantini nel 2015-16
Gli inizi di Antonio tra i pro’, alla Nippo Vini Fantini nel 2015-16
Ed ora?

Ora attendo che si concretizzi un progetto importante, nelle Marche, con ragazzi che vogliono investire nel ciclismo e che mi hanno proposto idee che mi piacciono molto. E’ ancora presto per parlarne ma quel che è certo è che mi vedrete ancora in giro…

Boaro: il tempo di dire addio, poi quella telefonata…

29.10.2023
6 min
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Neanche il tempo di appendere la bici al chiodo, di assimilare un totale cambio di vita che Manuele Boaro si è subito rituffato nel mondo del ciclismo. «Il giorno dopo la mia ultima corsa, la Veneto Classic, è squillato il telefono. Dall’altra parte c’era Alberto Volpi che mi ha chiesto se me la sentissi di affiancarlo nella guida del JCL Team Ukyo, il team giapponese del quale è diventato manager. Non ci ho pensato un attimo, gli ho detto subito sì. Mi sono tuffato in una nuova avventura con lo stesso entusiasmo di quando 13 anni fa ho iniziato il mio cammino fra i pro’».

Boaro ha chiuso a 36 anni con convinzione. Non perché il fisico gli dicesse di smettere, anche se le varie stagioni passate in giro per il mondo si facevano sentire. Questo ciclismo però non riusciva più a gestirlo dal di dentro.

«Sapendo che avevo il contratto in scadenza – spiega – ho provato a muovermi. Dopo anni i manager li conosco tutti, li ho contattati personalmente. Ma al di là di un po’ di “vediamo, ti faccio sapere” non avevo avuto nulla. Qualcosa magari sarebbe anche saltato fuori, ma mi sono chiesto se avrebbe avuto un senso. Poi ho saputo che la Veneto Classic passava proprio per il mio paese, davanti casa mia. Allora ho pensato che sarebbe stata la maniera migliore per chiudere».

La grande festa per il suo ritiro all’ultima Veneto Classic, con il fans club schierato al completo
La grande festa per il suo ritiro all’ultima Veneto Classic, con il fans club schierato al completo

L’ultimo dei veri gregari?

Una decisione presa proprio qualche giorno prima, ma il poco tempo è bastato per allestire una grande festa per salutarlo come si conveniva: «Sono venuti in tanti, il fans club si è mobilitato alla grande e quel giorno è stato un turbinio di emozioni. Posso dire di aver chiuso in bellezza, credevo che la mia storia ciclistica si sarebbe chiusa lì. Invece neanche poche ore dopo rieccomi coinvolto, ma in maniera completamente diversa».

L’addio di Boaro è anche l’addio di uno degli ultimi veri gregari. Il suo racconto della ricerca vana di un contratto non fa che confermare la sensazione che questa figura stia ormai sparendo: «In questo ciclismo, fatto di numeri, siamo noi quelli che vengono penalizzati. Le squadre chiedono corridori che portino punti, il principio del “siamo tutti capitani” è ormai imperante. Ma attenzione: chi lavora per la squadra nella prima parte di gara, quando non ci sono le telecamere, quando si gettano le basi della corsa e bisogna proteggere e stare vicino al capitano di turno?

«Il risultato è che le corse professionistiche stanno diventando come quelle dei dilettanti – prosegue Boaro – pronti via ed è subito bagarre. Ma a lungo andare questo modo di correre logora, bisognerà vedere come l’intero ambiente reagirà quando corridori come me o come Puccio non ci saranno più».

L’esempio di Rijs

Boaro è sempre stato molto convinto della sua scelta: «Non ero un campione quando sono passato professionista e ho capito presto che dovevo trovare una mia dimensione. Ho avuto la fortuna di correre insieme a grandi campioni come Contador, Nibali, Sagan e posso dire di aver contribuito ai loro successi. Il che mi ha permesso di vivere una carriera densa di bei momenti e di soddisfazioni, ma anche di contatti umani, il che è fondamentale».

Ripercorriamo allora la sua carriera, fatta di poche squadre perché quando Manuele era nel team, ne diventava una colonna: «Ho iniziato con la Saxo Bank diventata poi Tinkoff, ben 6 anni in quel gruppo. Avevo Bjarne Riis come manager ed è stato preziosissimo, mi ha insegnato tanto su come vivere questo ambiente, tutte nozioni che mi saranno ancora utili ora che passo dall’altra parte… Era davvero un numero 1 nel ciclismo, ma anche fuori sapeva far gruppo. Alla sera ad esempio, se si poteva ci faceva anche andare in discoteca, oggi quando mai? Mi dispiace che non sia più nell’ambiente. Poi le cose con la Tinkoff non sono cambiate: era un gruppo bellissimo, andare in ritiro era un piacere».

Nel 2017 Boaro approda alla Bahrain-Merida, per due anni, ma quella era una squadra ben diversa da quella di oggi: «Stava nascendo allora, dal niente. Mi ritrovai in una squadra tutta da impostare, non fu facile. Di quegli anni ricordo il primo Giro al fianco di Nibali: mamma mia quanta gente, quanto entusiasmo. Peccato che finimmo terzi e uso il plurale volutamente perché con Vincenzo era davvero un lavoro di gruppo e mi dispiacque tanto che non riuscì a cogliere il risultato pieno, la gente l’avrebbe meritato. Con lo Squalo siamo rimasti sempre in contatto, ritrovandoci all’Astana e ancora adesso ci sentiamo spesso».

Sul palco con le piccole Matilde e Sofia. Ora inizia la sua nuova carriera da diesse
Sul palco con le piccole Matilde e Sofia. Ora inizia la sua nuova carriera da diesse

Lopez, talento cristallino

Astana, un’avventura iniziata nel 2019 e portata avanti fino a qualche giorno fa: «E’ una squadra in forte cambiamento. Io arrivai che avevano Fuglsang che era uno dei grandi per le classiche e Lopez per le corse a tappe e a proposito del colombiano devo dire che è un corridore fortissimo. Abbiamo condiviso anche la camera insieme, io ho provato a consigliarlo, a stargli vicino, può ancora fare tanto. Purtroppo ha cambiato numero e ci siamo persi di vista, ma io non posso dirne che bene».

Torniamo però al cambiamento: «L’Astana è un team in cerca d’identità, era nato per i grandi Giri ma ora sta progressivamente diventando una squadra per le corse d’un giorno. Anche per questo non avevo più molto spazio. Io però le sono ancora molto legato».

Boaro ha sempre avuto grande predisposizione per le cronometro, finendo 2° ai tricolori 2012
Boaro ha sempre avuto grande predisposizione per le cronometro, finendo 2° ai tricolori 2012

In Giappone per imparare

Ora comincia una nuova avventura: «E’ la dimensione giusta, una squadra piccola, ma che ha una lunga storia alle spalle. Io devo imparare tutto, farlo in un team continental che ha però prestigio e ambizioni è la cosa giusta. Starò al fianco di Alberto per imparare ma lo farò in prima linea. Avrei potuto farlo anche all’Astana, ma sarei stato il nono diesse, in fondo alla gerarchia, non era giusto per loro e per me».

Chiudendo c’è qualche rammarico? «Se mi guardo indietro no, sono contento di come sono andate le cose. Forse l’unica che mi manca è una maglia tricolore nella cronometro, perché quando ho iniziato da pro’ andavo piuttosto bene, ma nel 2012 persi con Malori per soli 7”. Vestire il tricolore sarebbe stato bellissimo. Ma va bene così: molti mi dicono che nessuno farà più quello che ho fatto e forse, visto il ciclismo di oggi, sarà proprio così».