Campioni e debuttanti, non è sempre facile. Nibali racconta

30.01.2024
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Qualche giorno fa Nibali è uscito in bici assieme a Ulissi sulle strade di Lugano. Sapendo che ci saremmo sentiti, lo Squalo ha approfondito il tema anche con l’amico. Lo spunto è quello dell’editoriale di ieri: i corridori giovani crescono prima se nella loro squadra ci sono campioni con cui confrontarsi? Il discorso si può prestare a una doppia interpretazione. Si può entrare nello spinoso terreno dei giovani che non ascoltano i consigli dei più esperti. Oppure si può restare nell’ambito descritto da Pellizzari ed Ellena, sugli stimoli derivanti dal semplice allenarsi assieme a loro.

«Quando passai alla Liquigas – racconta Nibali – il capitano era Di Luca e io anche in allenamento volevo staccarlo sempre e questo certamente mi ha fatto crescere. La mia svolta più grande c’è stata però dal 2008-2009 in poi. Danilo era andato via e noi del gruppo giovani abbiamo iniziato a fare i ritiri di squadra sul Teide. Il mio riferimento da quel momento in poi è diventato Pellizotti e solo dopo è arrivato Basso. Franco lo copiavo per come lavorava, come si preparava, per come strutturava l’allenamento. Guardavo quello che faceva lui, anche per lo stile di gara. Mi dava delle indicazioni perché io ero molto impulsivo e sbagliavo i tempi».

Sin dai primi mesi nella Liquigas, Nibali si è sempre voluto confrontare con capitan Di Luca
Sin dai primi mesi nella Liquigas, Nibali si è sempre voluto confrontare con capitan Di Luca
Che cosa vi siete detti con Ulissi a proposito di questo?

Che oggi lavorare con i giovani è molto più difficile, perché hanno le loro idee. A volte, anche quando gli spieghi delle cose, sembra che gli dici chissà cosa. Hanno già i numeri e vincono, quindi alla fine, tra virgolette, hanno ragione loro. Io ho vissuto un ciclismo diverso, in cui era bello che accanto al giovane ci fosse un uomo di esperienza. Oggi sembra sempre meno utile. Quello che una volta insegnavano gli anziani, oggi in base al budget delle squadre lo imparano dai preparatori e dai nutrizionisti.

Infatti il punto non è tanto quello che il campione può insegnare a parole, ma quello che si impara su se stessi allenandosi al suo fianco.

Ci può stare, comunque credo che andando alla VF Group-Bardiani, Pellizzari abbia scelto di crescere tranquillamente. Per cui in questo momento magari si può rimanere male perché quelli che hanno la stessa età e fino a ieri erano sullo stesso livello hanno già vinto, ma non è detto che questi exploit diventino la regola e che le differenze ci saranno per sempre. A fare le cose di fretta, si rischia che l’exploit duri 2-3-4 anni e poi però che la discesa sia rapida quanto la salita.

Prova a metterti nei panni di uno di questi ragazzi: non pensi che allenarsi con Pogacar gli dia maggior consapevolezza?

Sì, è così. Se nella tua squadra complessivamente hai atleti di un certo valore, chiaramente anche il tuo livello si porterà su un gradino leggermente più alto. Sai che stai competendo con della gente che è il gotha del ciclismo, perché nel UAE Team Emirates metti dentro Ayuso, Pogacar e tutti quelli che ci sono, uno si misura subito. Se però provi a parlargli, non funziona. Diego mi faceva l’esempio di corridori giovani che potrebbero anche avere vantaggio dal ricevere qualche consiglio e invece lo guardano come fosse di un altro pianeta. Eppure è serissimo, sa lavorare bene, tutti gli anni ha sempre vinto. E’ un professionista esemplare, quindi qualcosa da insegnare ce l’ha. In una squadra è sempre bene affiancare un uomo di esperienza ai più giovani. Ad esempio, nella Q36.5 di cui sono ambassador, Brambilla ricopre esattamente questo ruolo.

Ulissi è uno dei grandi corridori con cui i giovani del team si confrontano ogni giorno in allenamento (foto UAE Emirates)
Ulissi è uno dei grandi corridori con cui i giovani del team si confrontano ogni giorno in allenamento (foto UAE Emirates)
E’ sempre stato così?

Quando sono passato io, gli anziani non ti dicevano molto. Ricordo che alla Fassa Bortolo arrivai giovanissimo. Trovai dei corridori come Flecha oppure Kirchen e Codol che davano i consigli veri, quelli giusti. Se li ascoltavi, bene. Se non li ascoltavi, si voltavano dall’altra parte e continuavano la loro vita. Lo stesso negli anni successivi ho fatto io, provando a correggere chi eventualmente stava commettendo un errore.

Aru può aver guadagnato sicurezza in se stesso prendendo le misure su di te in allenamento?

Probabilmente sì, ma in quel periodo l’Astana era una squadra forte. C’era Fuglsang, poi è arrivato Scarponi. Andavamo a giocarci il Giro, il Tour e la Vuelta. Ci eravamo posizionati ai vertici delle classifiche, non solo con due atleti, ma con tutta la squadra (Nibali e Aru sono insieme nella foto di apertura al Giro del Trentino del 2013, ndr). Se un giovane si trova a vivere in certe squadre, per forza assorbe qualcosa in più. Sicuramente avere un veterano oppure un corridore con un bel palmares e che continua ad andar forte, può essere un bel riferimento. Se invece nella squadra il riferimento non c’è, chiaramente si fa più fatica perché a quel punto l’esperienza devi farla in gara. Ma Pellizzari potrebbe dire: l’ho staccato una volta, lo posso staccare ancora.

Al momento il confronto lo fanno su Strava, guardando i tempi di Evenepoel in allenamento…

Sì, ma certe osservazioni lasciano il tempo che trovano. Ero anche io a Calpe e si parlava di questo tempo stellare fatto da Remco sul Coll de Rates. Ho sentito Bramati, mi ha detto che sembravano non poggiasse le ruote per come andava. I suoi compagni dicono che bastava che la strada si alzasse leggermente e li lasciava lì. Quindi sta già andando forte, non ha ancora fatto grandi cose e ha battuto il KOM di Poels. Aver fatto dieci secondi di più a inizio stagione rispetto a uno che neanche è a tutta non è tanto indicativo.

Papà per la seconda volta a ottobre, ecco Nibali con Emma e la piccolissima Miriam (foto Instagram)
Papà per la seconda volta a ottobre, ecco Nibali con Emma e la piccolissima Miriam (foto Instagram)
E questo conferma che sarebbe stato meglio per lui, se fossero stati in squadra insieme, salire alla sua ruota e mettersi alla prova.

Sarebbe stato diverso, certo. Quando facevo dei test, non ero mai tra i migliori. Però poi in gara di fatto ero sempre davanti. Da dilettante, da junior, riuscivo a vincere 10-12 gare ed era normale, mentre ora si esaltano se ne vincono la metà. I confronti veri si fanno in gara, come Bettini che attaccava il numero e diventava un altro. I giovani forti ci sono sempre stati. Giorni fa mi sono scritto con Cunego su Instagram e anche lui parlava di questi ragazzi prodigiosi. E mi è toccato ricordargli che lui a 23 anni ha vinto il Giro e il Lombardia. Non è che andasse poi così piano. Rispetto ad allora, sono cambiati gli strumenti.

Certamente sono più accessibili.

Io sono passato professionista che quasi non sapevo usare il cardiofrequenzimetro. Adesso usano il powermeter da juniores, avendo pure i rapporti liberi. Hanno tutti i numeri disponibili, mentre una volta il direttore sportivo più bravo era quello che riusciva ad adattare le tabelle alla squadra. Ora è più scientifico, dalle ruote alle gomme, dalle bici al casco. Il casco col paraorecchie e anche il casco col paraocchi, visto che qualcuno ogni tanto sbatte (ridiamo di gusto, ndr). Vanno a cronometro e guardano la traccia sul computerino, tengono la testa giù e poi picchiano sulle transenne e si chiedono come mai.

Potere del computer…

Negli ultimi anni da professionista, c’erano quelli che facevano la discesa guardando il Garmin, perché avevano la traccia GPS. Io non l’ho mai fatto, io guardavo le curve e come dovevo prenderle per impostare la prima e, se c’era la seconda in sequenza, come impostare anche la seconda. La traccia la facevo io e non mi sembra che in discesa Nibali fosse scarso. Qualche errore di valutazione l’ho fatto, il più grave fu alle Olimpiadi di Rio, ma perché la strada era mezza asciutta e mezza bagnata. E questa comunque è un’altra storia. E le ruote, posso assicurarvelo, non c’entravano niente.