Malori: «La Jumbo-Visma ha corso in modo rivoluzionario»

29.07.2022
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Quando squilla il telefono ed è Adriano Malori, si può stare certi che le considerazioni che ha in “canna” non sono banali. E infatti il discorso sulle tattiche di squadra che fa il parmense ha riscontri più che fondati.

E non c’è niente da fare, quando a parlare è il corridore, il corridore moderno, magicamente tutto appare più chiaro. Tutto ha un senso. Perché va detto: anche se Malori non corre più, resta un corridore dentro!

Negli anni d’oro la Sky metteva tutti in fila e specie nelle tappe di salita, imponeva ritmi infernali per bloccare gli attacchi
Negli anni d’oro, Sky metteva tutti in fila e specie nelle tappe di salita, imponeva ritmi infernali per bloccare gli attacchi

Nuove tattiche

Il tema riguarda le squadre, come detto. E a conti fatti si è assistito ad una corsa, il Tour de France, parecchio diversa dal solito. Con corridori importanti in fuga, più sparpaglìo e andamenti meno lineari.

«Per la prima volta – dice Malori – abbiamo visto una squadra dominare e comportarsi in maniera diversa rispetto a chi vinceva. Mi spiego.

«Venti anni fa c’era la Us Postal di Armstrong che tirava tutto il giorno, metteva tutti in fila e quando c’era la salita finale a 5-6 chilometri dall’arrivo l’americano se ne andava.

«Poi è venuta la Sky (oggi Ineos, ndr) che ha corso sulla falsariga della Us Postal. Metteva quella sfilza di gregari a tirare a 6-6.2 watt/chilo, finché non ne restavano pochissimi, due o tre corridori, e ad un chilometro e mezzo dalla fine scattava il leader. Questo è stato lo schema adottato per Wiggins, Froome, Thomas e se vogliamo anche per Bernal, solo che in quel Tour Egan ne ha fatto uno di attacco.

«La Jumbo-Visma invece ha corso in modo palesemente diverso, nonostante avesse più frecce al proprio arco, almeno inizialmente. Ne mandava sempre uno in fuga. E’ stato così con Van Aert, Laporte, Benoot, Van Hooydonck… persino Roglic sul Galibier. Hanno scelto di non far lavorare tutti gli uomini e io sposo questa tattica».

Laporte ha vinto a Cahors su via libera della sua squadra
Laporte ha vinto a Cahors su via libera della sua squadra

Gregario felice

E qui esce il corridore che è in Malori. Adriano è stato un leader e anche un gregario. Ha corso i grandi Giri con chi lottava per la generale e sa come funzionano le cose.

«Sposo questo modo di correre – spiega Malori – perché per i gregari è meno frustrante. Io gregario so che se servo, faccio il mio lavoro, altrimenti posso anche risparmiare un po’ e il giorno dopo posso andare in fuga. Magari posso anche giocarmi la tappa. E credetemi, questa cosa conta moltissimo.

«Io ho corso un Tour con Quintana e ricordo che eravamo tutti bloccati. Si doveva entrare in fuga solo se queste erano composte da più di venti corridori. A livello mentale è pesante. Tu magari quel giorno avresti avuto anche la gamba per fare qualcosa e invece dovevi restare fermo in gruppo».

«Non limitare un gregario è tanta roba. Pensiamo a Laporte. Dopo la sua vittoria ha dichiarato: “Oggi Van Aert mi ha detto che sarebbe stata la mia tappa”. Ebbene, pensate che cosa avrebbe potuto fare Laporte il giorno dopo. Se gli dicevano: “Prendi un cannone e spara sugli avversari”, lo avrebbe fatto!».

Sepp Kuss è stato l’unico della Jumbo a non muoversi in quanto doveva stare vicino a Vingegaard in salita
Sepp Kuss è stato l’unico della Jumbo a non muoversi in quanto doveva stare vicino a Vingegaard in salita

Si risparmia…

Non solo testa. Questa tattica riesce anche a far risparmiare qualcosa in termini di energia agli uomini del team, magari a rotazione. Anche se poi c’è l’eccezione Van Aert, ma quello è un altro conto, mica parliamo di un corridore qualsiasi.

«Loro – riprende Malori – i Jumbo, venivano da due Tour persi in malo modo e così hanno provato a fare diversamente. Mandando sempre un uomo in fuga anche nelle tappe di salita, erano certi di avere sempre qualcuno davanti. Magari quello in fuga tirava poco e poteva affrontare le salite con il suo passo anziché stare in gruppo e farle a tutta per non staccarsi. L’atleta si può gestire.

«Così facendo, se a fine tappa vedi che hai ancora l’uomo davanti e che il capitano ne ha uno vicino, ti puoi permettere di far staccare altri uomini del gruppo sulla salita finale e quindi di farli risparmiare. Pensiamo a Kuss. Dopo che se ne è andato via Roglic ha dovuto lavorare di più. E infatti nel giorno di Peyragudes non è stato super. Quello è stato il solo caso in cui Vingegaard non aveva davanti un uomo che lo aspettava».

La tappa del Galibier è stato forse l’emblema di questo modo di correre della Jumbo-Visma. Come Van Aert ad Hautacam in apertura
La tappa del Galibier è stato forse l’emblema di questo modo di correre della Jumbo-Visma. Come Van Aert ad Hautacam in apertura

Verissimo. Quel giorno il super lavoro di McNulty aveva isolato i Jumbo-Visma, guarda caso nell’unica volta che erano rimasti compatti. E infatti nella tappa successiva sono ritornati immediatamente sulla tattica dell’uomo in fuga.

Ma si rischia

Però questo modo più “garibaldino” di correre è anche più rischioso. E Malori infatti lo ammette. E’ più rischioso perché la corsa resta inevitabilmente più aperta. E’ più rischioso perché se il capitano resta solo e in difficoltà perde del tempo prima di ritrovare il suo compagno davanti. E poi servono i corridori per farlo. Corridori che devono stare bene.

Ma in questo caso la Jumbo proprio non aveva problemi, nonostante la perdita di alti portacolori del calibro di Roglic e Kruijswijk.

Peyragudes: nell’unico giorno in cui la Jumbo-Visma è rimasta compatta, Pogacar li ha battuti in volata
Peyragudes: nell’unico giorno in cui la Jumbo-Visma è rimasta compatta, Pogacar li ha battuti in volata

Lavoro mirato

Ma non è tutto. E pensando proprio a questo Tour e ai valori in campo delle squadre con la UAE Emirates incerottata e una Jumbo-Visma esplosiva, se i gialloneri si fossero messi a tirare tutti in fila in stile Sky avrebbero lavorato anche per lo stesso Pogacar.

«E qui – dice Malori – mi riallaccio in parte al discorso dei Tour persi. Con un Pogacar in agguato, la squadra olandese è stata costretta a rivoluzionare la sua tattica. Se tiri costantemente, Pogacar non lo metti in difficoltà. Anzi, con i suoi finali ti batteva in volata. Come succedeva con Roglic nel 2020».

A bocce ferme, con Matxin il punto su Pogacar

29.07.2022
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Il secondo posto di Tadej Pogacar continua a far rumore. Non c’è niente da fare: è il destino dei campioni. Ma a noi più del rumore interessa la sostanza. Interessa capire cosa non abbia funzionato. Interessa sapere come ha reagito lo sloveno. E chi se non Joxean Fernandez Matxin poteva aiutarci in questo cammino?

Lo spagnolo è una delle menti tecniche, ma anche psicologiche della UAE Emirates. Nessuno come lui conosce gli atleti, Pogacar incluso. A distanza di una manciata di giorni dalla fine del Tour de France e con la mente appena più fredda, si possono fare le prime considerazioni.

Matxin con Tadej Pogacar (foto Instagram – Fizza)
Matxin con Tadej Pogacar (foto Instagram – Fizza)
Matxin, che idea ti sei fatto dunque del Tour di Pogacar?

La mia idea è che Tadej fosse ad un buon livello. Un livello molto, molto simile a quello di quando ha vinto. Jonas Vingegaard non ha sbagliato neanche un attimo, Tadej non è stato al massimo per un solo giorno e ha commesso un “errore” che ha segnato tutto il Tour.

I suoi valori quindi erano buoni?

Sì, ripeto, molto simili a quando ha vinto. Dobbiamo dare atto a Vingegaard che è stato più forte. Il suo trionfo è meritatissimo.

Per te dunque un solo giorno, quello del Granon, ha inciso per tutto il Tour?

Quel giorno ha perso 3′, se ci pensiamo è un po’ come quando Pogacar battè Roglic nella famosa crono. Lui quel giorno tirò fuori una super prestazione e l’altro ebbe un momento negativo. Poi è anche vero che nel giorno del pavè se non c’era Van Aert, Vingegaard perdeva 3′ e sarebbe stata un’altra corsa ancora. Ma ripeto, Jonas ha meritato.

Tu che lo conosci, adesso Tadej si rimboccherà le maniche, lavorerà ancora di più? Magari l’anno prossimo lo vedremo super magro per andare più forte in salita?

Certo che lavorerà. E’ ovvio. Uno come Tadej deve pensare che può vincere il Tour de France. Quello che non capisco è che sino ad ora era un fenomeno che non doveva toccare nulla e adesso deve cambiare qualcosa. Io dico no. Io dico che va bene così in salita, in pianura, nell’atteggiamento nei confronti della sconfitta e dei compagni. Ci metterà più rabbia per vincere, ancora più voglia. Come poi fanno i veri campioni. Ma questo corridore è speciale così.

Nella tappa del pavè un mega lavoro di Van Aert per Vingegaard, che avrebbe potuto perdere moltissimo
Nella tappa del pavè un mega lavoro di Van Aert per Vingegaard, che avrebbe potuto perdere moltissimo
Voi di certo avrete analizzato la debacle del Granon: si è parlato di problemi di alimentazione, del fatto che Tadej sudasse più degli altri…

Teniamo sempre tutto sott’occhio e controlliamo ogni aspetto del corridore e della corsa sin dal chilometro zero. Per quanto riguarda la parte dell’alimentazione abbiamo Gorka Prieto-Bellver, che a mio avviso è il più bravo in assoluto, in questo settore. Lui ha la nostra fiducia e i ragazzi si fidano di lui. Poi ci sta che durante la corsa, in momenti di grande impegno e tensione come quelli che ha vissuto sul Galibier, Pogacar possa non essersi alimentato alla perfezione, non abbia assunto i carboidrati sufficienti.

La tensione c’era, quello è inevitabile. Ma come ha detto Gianetti la sera stessa del Granon, per crescere si passa anche da questi momenti…

Pogacar ha fatto otto volate, otto scatti per chiudere, ma anche gli altri che lo hanno attaccato hanno fatto degli scatti, non ha sprecato energie solo Tadej. Semplicemente Pogacar è umano. Lo era anche prima, solo che non aveva avuto “giorni no” in certi momenti e, come ripeto, ha trovato un grande avversario. Io non sono mica così convinto che il secondo posto sia da buttare. E neanche che fosse così scontato. Tanto più al termine di un Tour così combattuto che tanto piace alla gente.

Beh sì, se le sono date…

Van Aert, che per me è stato il miglior corridore del Tour, è stato super. Anche in questo caso però Tadej scatta in maglia gialla come Wout, vero. Solo che Pogacar lotta anche per la generale, Van Aert no. E gli scatti in giallo di Tadej hanno un altro significato.

Con Bennett e Majka (e un Soler in salute), Pogacar avrebbe avuto le spalle coperte in salita
Con Bennett e Majka (e un Soler in salute), Pogacar avrebbe avuto le spalle coperte in salita
Secondo te quanto ha inciso davvero il fatto di ritrovarsi con una UAE Emirates incerottata già prima del via?

Tanto, tantissimo. Avevamo uno squadrone. Avevamo la forza per lottare con tutti e su tutti i terreni in tutti i momenti. Nel giorno che ha vinto Jungels, George Bennet ha dimostrato di essere uno dei top scalatori del Tour. Erano rimasti in 15 quando tirava lui e aveva margine. Perdere uno così credo che conti, no? Majka: sul Granon prima che scattasse Vingegaard erano rimasti in quattro. Uno era lui, uno Tadej, uno Jonas e uno Thomas. Soler, poteva chiudere in almeno tre delle azioni che hanno cambiato il Tour, ma stava male. E poi Trentin. Ecco, non aver avuto un corridore capace, forte, che vede la corsa come Matteo è stata una grande perdita.

Di certo, e questo è un dato di fatto, le cose non si sono messe bene per voi…

Assolutamente no. Io sono convinto, anzi sono certo di quel che dico, che la UAE Emirates al massimo era più forte della Jumbo-Visma. Credo nei miei corridori, conosco perfettamente le loro capacità. E poi ho i dati per dirlo. E li difenderò fino alla morte.

Sembra che Pogacar abbia digerito bene la sconfitta, ma adesso? Cercherà il riscatto sin dalla Vuelta o è ufficiale che non sarà in Spagna?

Non ci sarà, lo abbiamo detto e lo ribadisco. Da qui a fine stagione Tadej farà solo corse di un giorno, a cominciare da San Sebastian domani, poi correrà a Plouay, farà le corse canadesi, il mondiale e le classiche italiane di fine stagione.

Meintjes, terza top 10 al Tour e ora sotto con la Vuelta

28.07.2022
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Se n’è parlato poco, molto poco, eppure al Tour de France Louis Meintjes è andato forte. Molto forte. Il sudafricano è arrivato ottavo (è la terza volta dopo il 2016 e 2017). E’ stato autore di un paio di fughe buone grazie alle quali ha recuperato il tempo perso nella prima settimana del Tour tra pianura, pavé, problemi al cambio… E poi ha lottato col coltello fra i denti per restare nella top 10.

Il corridore della Intermarché-Wanty-Gobert è una vecchia conoscenza, anche del ciclismo italiano se vogliamo. Ha corso molto da noi. E’ stato alla Lampre. Sempre da noi ha ottenuto i primi buoni risultati, come la medaglia d’argento ai mondiali di Firenze U23 e uno dei suoi tecnici è Valerio Piva. 

Un problema al cambio ha costretto Meintjes a tagliare a piedi il traguardo alla Planche des Belles Filles
Per un problema al cambio, Meintjes ha tagliato a piedi il traguardo alla Planche des Belles Filles

Frenato dalle attese

L’impronta di Piva in questa squadra si nota sempre di più e se c’è stata questa buona crescita, una fetta del merito è proprio del direttore sportivo lombardo. Per la prima volta infatti, il team belga ha piazzato uno suo corridore nella top 10 della Grande Boucle.

«Beh – commenta Piva – Meintjes non è uno sconosciuto. Fece già ottavo al Tour e si piazzò bene in una Vuelta. Quando arrivò al grande ciclismo si parlava di lui come il paladino del ciclismo africano e questo forse gli ha messo quella pressione addosso per la quale si è un po’ perso».

Il tempo però è passato inesorabile e il “bimbo” si è ritrovato a trent’anni, con una buona carriera, ma senza aver riempito la bacheca di “mille” trofei.

«Noi lo abbiamo ripreso proprio con l’intento di recuperarlo. In Intermarché ha trovato un ambiente che crede in lui e che non gli mette pressione».

A inizio giugno il sudafricano aveva vinto il Giro dell’Appennino
A inizio giugno il sudafricano aveva vinto il Giro dell’Appennino

Un Tour all’attacco

Un po’ come il suo collega Pozzovivo, tra l’altro i due tecnicamente si somigliano moltissimo, Meintjes aveva in testa la classifica sin dal via della Grande Boucle. La tattica, se di tattica si può parlare, era chiaramente quella di correre di rimessa: stare coperti e tenere il più possibile in salita.

«E invece – riprende Piva – mi ha stupito questo suo atteggiamento. Louis è un difensivo, invece è andato spesso all’attacco. E alla fine si è ritrovato a lottare con i grandi nomi. E quando sei lì tiri fuori anche quello che non hai. A mio avviso ha fatto proprio un bel Tour, il più bello della sua carriera».

Piva ha toccato subito un tema centrale: la pressione. Le aspettative che c’erano attorno a Meintjes sono ciò che hanno bloccato questo ragazzo, ciò che non gli hanno consentito di esprimersi al meglio. Il motore, anche se non gigantesco o al pari di quello di Pogacar o Vingegaard (ma chi ce l’ha?), è comunque buono.

Dopo gli ottimi risultati internazionali come il titolo di campione africano in linea, l’ottavo posto al Tour, in Sud Africa lo davano come il prossimo vincitore della corsa francese. Ma come detto non è facile per un ragazzo giovane supportare questo fardello.

«Louis – spiega Piva – è uno di quei corridori che “funziona” se tu lo lasci tranquillo. Allora vedi che alla sua maniera raggiunge gli obiettivi che si è prefissato. Ma per fare questo gli serve l’ambiente giusto».

E a Parigi Meintjes ha detto: «Ancora ottavo, non male!». Ha poi ringraziato molto la sua squadra (foto Twitter)
E a Parigi Meintjes ha detto: «Ancora ottavo, non male!». Ha poi ringraziato molto la sua squadra (foto Twitter)

Vamos a la Vuelta

E la stagione del corridore di Pretoria non finisce qui. Adesso per lui c’è la Vuelta. E probabilmente la correrà sulla falsariga del Tour.

«Ma magari – sorride Piva – pensando in modo un po’ più concreto di portare a casa una tappa. Io non credo che lui voglia mollare la classifica in Spagna. E’ nelle sue corde questo modo di correre. Ma ha dimostrato che sa vincere».

Piva si riferisce al Giro dell’Appennino. Quel giorno il leader della Intermarché Wanty Gobert era Rota, ma poi lui non è riuscito ad essere dov’era e in corso d’opera è subentrato Louis… che ha vinto. «E quel successo gli ha dato parecchia fiducia. Anche per questo credo sia arrivato in Francia estremamente motivato». 

In tal senso la Vuelta potrebbe essere la corsa della “svolta”. Enormi pretendenti stavolta sembrano, il condizionale è d’obbligo, non esserci. Pogacar è dato verso il forfait, Roglic sembra non essere al massimo, Mas è uscito male dal Tour… E visto che Louis è sempre andato bene nella seconda parte di stagione chissà che non possa pensare a qualcosa di più della top 10 nella generale.

Il professor Garzelli assegna le pagelle: da 10 a 1 i voti del Tour

27.07.2022
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Come alla fine di un anno scolastico, anche per il Tour de France è tempo di pagelle. I voti li assegna Stefano Garzelli (in apertura foto Instagram). L’ex maglia rosa e commentatore tecnico Rai, ha avuto l’intera corsa sott’occhio e ha bene in mente la temperatura della situazione.

E’ uno scalare di voti: da dieci a uno. Voti a 360° che non riguardano solo i corridori. Ascoltiamo dunque Stefano Garzelli nella veste del… “professor Garzelli”!

Garzelli assegnerebbe un 10 sia a Wout Van Aert che a Jonas Vingegaard
Garzelli assegnerebbe un 10 sia a Wout Van Aert che a Jonas Vingegaard

10 a Vingegaard

«Il dieci va a Jonas Vingegaard chiaramente. Non posso non darlo al vincitore del Tour. È stato il più forte, il più calmo e più intelligente. Ha saputo sfruttare la squadra più forte. Mi è piaciuto come ha gestito le situazioni. L’unico momento di “panico” lo ha avuto nella tappa del pavè. Penso a quel cambio di bici frettoloso con Van Hooydonck che aveva la sella più alta di 20 centimetri!».

«Jonas avrebbe potuto staccare Pogacar in altre situazioni, ma io sono convinto che lui avesse in testa due punti specifici: il Col du Granon e Hautacam, che sono quelli che infatti ha sfruttato. Quando sui Pirenei ha vinto Pogacar, nel giorno super di McNulty, a mio avviso Jonas poteva andarsene, però è rimasto a ruota: la lucidità, oltre che le gambe, è stata la sua forza».

9 a Van Aert

«Nove a Van Aert solo perché non posso assegnare due dieci! Che spettacolo: un corridore che a memoria non ricordo aver mai visto. Impossibile dire tutto ciò che ha fatto, altrimenti staremmo qui a lungo. Nelle prime tre tappe è arrivato tre volte secondo, ha vinto la quarta e il suo Tour già poteva finire lì. Che bello vedere la maglia gialla davanti su quello strappo e con quell’attacco».

«Tutti i giorni è stato nel vivo della corsa. L’unica cosa che non mi è piaciuta molto è quando ha attaccato da lontano il giorno successivo alla caduta di Roglic. Non puoi fare una corsa così violenta con il tuo capitano che non è al massimo».

Pogacar mai domo, per il “prof Garzelli”ha sbagliato solo sul Galibier
Pogacar mai domo, per il “prof Garzelli”ha sbagliato solo sul Galibier

8 a Pogacar

«Il mio otto va a Tadej Pogacar. Non ha vinto, stavolta ha trovato uno più forte di lui, però non ha mai mollato. Ha sbagliato qualcosa, ma non quando faceva quegli scatti o quelle volatine, perché se fosse stato l’unico a farle okay, ma se gli andavano dietro tutti anche gli altri spendevano tanto. Per me l’errore lo ha fatto nel cadere nel tranello della Jumbo Visma sul Galibier. Lì, doveva lasciare andare Roglic. Doveva controllare solo Vingegaard.

«Ci sono da fare 15 chilometri oltre 2.000 metri, sei da solo, poi mettiamoci anche che ha sbagliato ad alimentarsi in discesa… Non è Robocop! E ha pagato».

«In quel momento è crollato e si è trovato di fronte alla sua prima crisi di sempre da gestire. Io, e ormai lo sapete, dico sempre che un grande Giro lo vinci quando riesci a gestire o a superare al meglio il giorno di crisi, ma Pogacar non sapeva cosa fare perché di fatto non aveva mai avuto una crisi».

7 a Thomas

«Seguo il podio e lo assegno a Geraint Thomas: un signore. Già quando mancava una settimana al termine del Tour aveva dichiarato che il suo obiettivo sarebbe stato il podio. Visto quanto andavano forte gli altri due sapeva che quello era il suo obiettivo massimo e si è gestito per raggiungerlo. Ha dosato le forze: si staccava, rientrava, si sfilava nuovamente… Bravo!».

«La sua corsa è stata noiosa? E cos’altro potevo fare… Ragionare dal divano e cosa facile, mentre si pedala è molto più difficile».

Un percorso bello e variegato quello del Tour 2022 sin dalle prime frazioni in Danimarca
Un percorso bello e variegato quello del Tour 2022 sin dalle prime frazioni in Danimarca

6 al percorso

«Il sei lo do al percorso del Tour. Sinceramente gli darei anche un 6,5-7: per come è stato disegnato aveva tutti gli elementi perché fosse spettacolare. C’erano il pavè, l’arrivo durissimo della Planche, tappe alpine stupende, due arrivi tecnici come quello di Losanna e di Mende, una crono lunga…

«Se abbiamo visto delle belle tappe il merito è stato anche del percorso».

5 a Bettiol

«Dico Alberto Bettiol, tanto più che ha mostrato di avere gamba. Ma tatticamente ha sbagliato. E per me ha sbagliato nel giorno in cui ha vinto Cort e non quando ha vinto Matthews. Non puoi partire a 40 chilometri dall’arrivo e portare avanti quell’azione».

«Non ha invece sbagliato la seconda volta, a Mende. C’è qualcosa riguardo alla squadra che non mi convince. Erano in tre della EF Education-EasyPost in fuga quel giorno e inizialmente anche io pensavo che Alberto potesse tirare per Uran e Powless. Però quando ho visto che anche a ridosso dell’arrivo quei due non si sono mossi i conti non mi tornavano. Magari non stavano bene. E allora perché Uran, per esempio, non ha dato una menata per portare Bettiol davanti sotto lo strappo? Gli sarebbe bastato quello per vincere e risparmiare quel po’ di energie. Poi mettiamoci anche Matthews è stato bravissimo.

«Ad Alberto do un due per la tattica e un otto per la forza: la media fa cinque».

Bravo Dainese. Il classe 1998, al debutto al Tour, ha colto un 7° e un 3° posto (foto Instagram)
Bravo Dainese. Il classe 1998, al debutto al Tour, ha colto un 7° e un 3° posto (foto Instagram)

4 agli italiani

«Il quattro va agli italiani, ad esclusione di Alberto Dainese a cui do un sette: lui mi è piaciuto tantissimo. Però per il resto non posso che assegnare questo voto ai nostri. Quelle poche volte che sono andati in fuga si sono staccati».

«A posteriori mi rendo conto che poche volte abbiamo commentato le azioni degli italiani. Sì, ogni tanto Ciccone ma nulla di più.

«Male Caruso, specie per le ambizioni che aveva riposto in questo Tour. Speriamo si possano riprendere al più presto». 

3 a Mas

«Il tre va ad Enric Mas. Dopo la seconda settimana (la peggiore per lui, ndr) se ne esce con delle dichiarazioni forti del tipo: “Sui Pirenei recupero tutti, o quasi, guadagno terreno e al massimo faccio quinto”. Invece poi se ne va a casa».

«Non puoi fare quelle dichiarazioni tanto più visto come sei andato sulle Alpi. Poi magari adesso andrà alla Vuelta e farà bene, ma insomma…».

Mas si è ritirato dal Tour, non è partito alla 19ª tappa. In quel momento era undicesimo
Mas si è ritirato dal Tour, non è partito alla 19ª tappa. In quel momento era undicesimo

2 a Pancani

«Voto due a Francesco Pancani! Perché? Perché durante i trasferimenti in auto non era mai di compagnia. Dormiva sempre. In tre settimane di Tour de France, in giro per mezza Europa, avrà guidato per 17 o 18 chilometri».

1 alla discesa dall’Alpe

«Uno al trasferimento e alla discesa dall’Alpe d’Huez (e in questo non possiamo che confermare al 100%, ndr). Abbiamo impiegato due ore e mezza solo per scendere dalla montagna. Non avevano organizzato il deflusso dall’Alpe. Era tutto bloccato. Per fortuna che sui Pirenei è andata meglio».

«Quella sera ci siamo ritrovati con “mezzo Tour” a mangiare un tramezzino confezionato in autogrill a mezzanotte. Nella nostra condizione molti altri, tra cui Jalabert. A quel punto mancavano oltre 300 chilometri per l’hotel, dove siamo arrivati alle 2,30 di notte».

Non un voto ma un significato: la stretta di mano tra Pogacar e Vingegaard secondo Garzelli
Non un voto ma un significato: la stretta di mano tra Pogacar e Vingegaard secondo Garzelli

E il jolly?

A Garzelli concediamo un ulteriore giudizio che esula magari da un voto. Gli diamo carta bianca per un undicesimo commento.

«Il jolly per me è la stretta di mano tra Pogacar e Vingegaard. Non è un voto ma è un significato. Due grandi duellanti che si attaccano in salita, in discesa, su ogni traguardo e poi si scambiano quel gesto».

«Qualcuno sarà anche critico dicendo che questo non è ciclismo, non è alla base del duello, ma io rispondo che il ciclismo è anche questo.

«Alcune situazioni consentono tali gesti e in quel momento era quasi dovuto. Credo che lo avrebbero fatto anche altri. Poi è chiaro, se la maglia gialla cade a 6 chilometri dall’arrivo con il gruppo lanciato nessuno si ferma o può fermarsi. Ma la cosa bella è che loro due lo hanno fatto senza pensarci».

Ettore Giovannelli, occhi curiosi sulle strade del Tour

27.07.2022
7 min
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Alpe d’Huez, un caldo bestiale. La curva degli olandesi è alle spalle. Hanno battuto sugli sportelli e gridato frasi incomprensibili. Non hanno nemmeno offerto da bere, che sarebbe stato il solo pretesto per fermarsi. E mentre lentamente continuiamo la nostra scalata, dietro la curva riconosciamo Ettore Giovannelli della RAI. Ha fermato l’auto e sta tornando indietro al piccolo trotto, col solito sorriso e il suo microfono, per immergersi nella bolgia arancione e alcolica.

Questa è la celebre curva degli olandesi, che si aprono per i corridori e bloccano il resto del traffico
Questa è la celebre curva degli olandesi, che si aprono per i corridori e bloccano il resto del traffico

Il Tour di Ettore

Il Tour di Ettore è stato un racconto di strada. Nel viaggio attraverso la Francia, i suoi contributi nelle dirette della RAI hanno fatto la differenza. Interviste alla partenza e agli arrivi, ma soprattutto gli interventi in diretta per mostrare personaggi e luoghi che solo chi è al Tour può raccontare. Per questo ci è venuto in mente di sentire ancora la sua voce, che per anni ci ha raccontato le imprese di Michael Schumacher parlando con lui in tedesco e traducendolo da sé.

Giovannelli è un pescarese classe 1964 e nel ciclismo c’è arrivato quando la RAI non è più riuscita a riprendere i diritti della Formula Uno, in cui era una delle voci di riferimento. Dopo un po’ che ci parli, ti rendi conto di avere di fronte davvero una brava persona. Del resto certi servizi non verrebbero così bene senza avere addosso l’umanità necessaria.

«E così adesso – sorride – lavoro come gregario, per dare una mano a Rizzato, Pancani e Garzelli soprattutto con i corridori stranieri. Ho cominciato facendo un po’ di gare, poi qualche Giro e questo è stato il quarto Tour. Due li ho divisi con un collega, questo è il secondo che faccio per intero. Abbiamo cercato di dare qualche tocco di attualità e di vita vissuta. Questo almeno è quello che ho provato a fare io, che sono un giornalista di strada. E questo Tour con le prime riaperture dopo il Covid è stato decisamente un’altra cosa».

Con la collega Stella Bruno nell’autodromo di Abu Dhabi
Con la collega Stella Bruno nell’autodromo di Abu Dhabi
Cosa hai pensato quando hai capito che la Formula Uno avrebbe cambiato canale?

Eravamo tutti dispiaciuti, perché era qualcosa di prestigioso. Era molto seguita, faceva ottimi ascolti. Invece per vari motivi e per scelte soprattutto economiche, perché i diritti erano aumentati tantissimo, non l’hanno più presa. E quindi i miei vent’anni di Formula Uno sono rimasti lì. Era il mio mondo, avevo una rendita di posizione. Conoscevo tutti, invece mi sono dovuto rimettere in gioco. Ho fatto un po’ di sci d’inverno, sempre per il fatto che lì parlano quasi solo tedesco, e alla fine sono arrivato al ciclismo.

Tedesco nella Formula Uno fa pensare a Schumacher… 

Infatti ho cominciato nel 1999 con lui e ho seguito i 5 titoli mondiali e tutto quello che ha fatto. Ho avuto la fortuna di entrare al momento giusto, dopo anni in cui la Ferrari non vinceva più. Ho conosciuto bene Michael, ero praticamente la sua ombra. Stavo sempre con lui e a quel tempo facevamo davvero tantissimo, perché il prodotto tirava.

Altro ambiente rispetto al ciclismo?

Non c’erano solo i piloti, ma anche politici, cantanti, attori. Era una miniera ed era figo sentire di farne parte. Ma se proprio devo dire, la Formula Uno è una torre d’avorio, un mondo a sé. Invece il ciclismo è la vita vera, che va per strada e fra la gente.

I tuoi interventi sulle strade del Tour erano programmati o improvvisati?

Entrambe le cose. Alcuni li devi programmare, come ad esempio l’incontro con Monsieur Route, che spazzolava la strada e buttava acqua per raffreddare l’asfalto. Il diavolo invece l’ho incontrato casualmente. Molte cose le abbiamo organizzate, per esempio il fatto del gilet di Thomas. Ho dovuto fargli la corte. Ho insistito, dicendo che poteva essere una cosa interessante e lui alla fine me l’ha dato (in apertura, Giovannelli, Pancani e il gilet). Sono andato a prenderlo da questi tifosi, ho fatto un po’ di scenette e l’ho portato all’arrivo. Poteva essere clamoroso, pensate se avesse perso il Tour per quei 20 secondi…

Si è capito a cosa porterà questa staffetta del gilet?

Ancora non so, ma sicuramente raggranellerà un po’ di soldini per la sua causa. A un certo punto ha capito di non poter tornare indietro e si è inventato questa attività interessante per i tifosi.

Questa l’intervista con André Bancala, il Monsieur Route del Tour (immagini Rai Sport)
Questa l’intervista con André Bancala, il Monsieur Route del Tour (immagini Rai Sport)
Come è andata con gli olandesi?

Mi sono fermato e abbiamo girato tutto il casino che c’era. Ho parlato con un po’ di gente. Mi hanno detto che in Olanda sanno che se al Tour c’è l’Alpe, si fa questa cosa qui. E quindi c’è gente che si sposta per andare in quel punto e ballare, cantare e bere birra. Quest’anno è stato di nuovo un Tour di quelli veri, di luglio. Con le famiglie e i bambini. E questo è stato davvero molto bello, perché ti rendi conto che per loro è un’istituzione. Il nostro Giro sarà sicuramente più suggestivo per i paesaggi e forse più duro, ma il Tour per loro è una cosa fondamentale.

Parliamo di corridori…

Mi ha colpito Rafal Maika. L’ho beccato una volta alla Planche des Belles Filles, quando Pogacar aveva vinto e ha fatto un’intervista davvero bella. Si vedeva che oltre al fatto di essere nella stessa squadra, c’era una grandissima intesa. Poi quando si è fatto male e non riusciva più a pedalare, l’ho ribeccato al pullman. E’ sceso e ha voluto parlare. E’ stato gentile. Un altro invece è Uran. Lui è una bomba, comunque vada. Abbiamo parlato dopo la tappa in cui aveva attaccato per poi essere staccato e mi ha detto che davanti o dietro lui comunque si diverte sempre. Al Tour si percepisce un’intensità che al Giro non c’è. La fuga sembra una questione di vita o morte. Sono tutti tiratissimi e questo è una cosa che ti colpisce la mattina. E’ stato bello anche che per i primi dieci giorni ci abbiano permesso l’accesso ai bus prima del via, mentre dopo l’arrivo è rimasto possibile sino a Parigi. 

Bettiol è uno dei corridori italiani che gli offrono più spunti
Bettiol è uno dei corridori italiani che gli offrono più spunti
Corridori e piloti…

Io mi muovevo benissimo, però la Formula Uno è diventata peggio del calcio. Per arrivare al pilota, anche se è un amico e lo conosci da 10 anni, devi passare dall’addetto stampa e i tempi si dilatano. Io restavo il pomeriggio fino a tardi e poi dietro ai camion… per caso incontravo quello che dovevo intervistare. Il ciclismo è meno strutturato e quindi il contatto è più facile. C’è sempre chi ama parlare e chi no. Ad esempio tra gli italiani c’è Bettiol che, poveretto, ha perso la tappa di Mende. Lui con me è sempre molto disponibile e molto acuto. Ti dà tutta ciccia (modo da giornalista per dire che offre materiale di buona sostanza, ndr) e ti permette di lavorare bene.

Altri?

Altri li ho conosciuti quest’anno, come Mozzato e Dainese e li vedi già con la testa giusta. Poi Caruso e Ciccone, ma si vedeva che non stavano bene. Invece chi è un gran figo è Van Aert. Lui oltre a essere fortissimo, ti ascolta e risponde sempre nel tema, non solo con belgi e olandesi anche con noi. Ti dà sempre la sua interpretazione.

Un salto al Giro: Giovannelli aspetta Pozovivo al Block Haus
Un salto al Giro: Giovannelli aspetta Pozovivo al Block Haus
E se la RAI dovesse riprendere la Formula Uno?

Ci dovrei pensare. Fino a un paio d’anni fa, mi sentivo in stand by. Adesso sono tanti anni che manco, ma se dovesse tornare ci farei un pensierino molto serio. Però questa cosa del contatto con la gente mi sta prendendo più di quanto immaginassi. Intanto siamo qua a portare le borracce. Gli altri ne sanno molto più di me. Perciò se c’è una cosa tecnica, cerco di farla al mio meglio. Qualcuno però dice che a forza di occuparmi di servizi di colore, non faccio più il giornalista, ma il pittore.

Gambe e calma interiore: così Philipsen si è preso Parigi

27.07.2022
4 min
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L’unico che avrebbe potuto batterlo era Van Aert, lo aveva già fatto l’anno scorso. Non certo Jakobsen, sfinito e disperso nelle retrovie, senza Morkov a pilotarlo. Non sappiamo se Philipsen sapesse che la maglia verde avesse rinunciato alla volata, ma di certo quando si è voltato a sinistra sui Campi Elisi, ha capito che Groenewegen e Kristoff lo avrebbero affiancato solo dopo la riga. E si è reso anche conto di aver realizzato uno dei sogni di bambino.

Un anno dopo la sconfitta, Philipsen è tornato a Parigi e ha vinto
Un anno dopo la sconfitta, Philipsen è tornato a Parigi e ha vinto

Il sogno di bambino

Il belga della Alpecin-Deceuninck lo ha raccontato ieri ad Aalst (in apertura, fra Thomas e Lampaert, foto @belga), a margine del criterium cui erano stati invitati anche Vingegaard, Van Aert e Pogacar, che però hanno declinato l’invito.

«Non voglio parlare di vendetta – ha raccontato – ma solo di contrasto totale rispetto al 2021. Un anno fa sui Campi Elisi ho pianto, invece domenica ero la persona più felice al mondo. Nell’ultimo anno, è successo tutto molto rapidamente. Vincere la tappa di Parigi significa aver realizzato un sogno d’infanzia e quello di qualsiasi corridore. Parigi rimarrà sempre una tappa speciale, soprattutto quando sei un velocista. E’ la vittoria più bella della mia carriera e finire il Tour così è straordinario».

L’esultanza dopo l’ultima volata del Tour gli resterà a lungo nei ricordi
L’esultanza dopo l’ultima volata del Tour gli resterà a lungo nei ricordi

Vittoria scaccia stress

Per Philipsen, il Tour è stato un viaggio dentro se stesso. Non può essere altrimenti per un atleta che nelle tappe di montagna, soprattutto con il grande caldo e il ritmo indiavolato dei primi, è in lotta perenne con la tentazione di mollare tutto. Per questo la vittoria di Carcassonne era già stata la svolta mentale per arrivare a Parigi senza troppa tensione negativa.

«Per certe corse – ha spiegato dopo quel primo successo – c’è davvero bisogno di pace mentale. Nelle prime due settimane, non l’ho avuta. Nelle tappe sulle Alpi ho vagato senza una meta, solo per fare numero. Ma anche questo è stressante, perché sei sempre lì ad aspettare che arrivi un’altra possibilità. La vittoria mi ha dato la calma. L’obiettivo principale di vincere una tappa al Tour è stato spuntato. La pressione si è spenta. Anche se non ho lasciato andare del tutto le emozioni represse, ho percepito chiaro quel rilascio. Tutto quello che verrà d’ora in avanti sarà un bonus. Certo, se non vinco a Parigi, rimarrò deluso. Ma non come un anno fa, quando Parigi era anche l’ultima spiaggia».

La vittoria di Carcassonne (qui Philipsen rinfrescato da Pogacar) è servita per dissipare il nervosismo
La vittoria di Carcassonne (qui Philipsen rinfrescato da Pogacar) è servita per dissipare il nervosismo

Crono di recupero

Per questo in gruppo un po’ se lo aspettavano. La vittoria di Carcassonne aveva già dimostrato che Jasper avesse superato ottimamente la seconda settimana, con le Alpi e l’arrivo di Mende del giorno prima. C’era da capire come avrebbe digerito i Pirenei, tenendo conto che agli altri velocisti le cose non stessero andando probabilmente meglio. E che lui, per i 24 anni e i 75 chili (è alto 1,76), avesse doti di maggior recupero. Per questo la crono del giorno prima è stata un passaggio da affrontare con la giusta consapevolezza.

«Sulla bici da crono – ha detto la sera di Rocamadour – sei scomodo, quindi non sei molto rilassato. Per questo non si può dire che la crono sia un giorno di riposo. Dopo venti tappe, ogni sforzo sembra pesante. In più non volevo correre rischi. Non sono ancora caduto in questo Tour e volevo continuare così. Sono migliorato tappa dopo tappa e credo di avere ancora forza nelle gambe. Ho superato le tre settimane meglio degli ultimi anni e questo mi rassicura anche per il futuro».

Nella volata in leggera salita di Aalst, Philipsen ha preceduto Lampaert (@belga)
Nella volata in leggera salita di Aalst, Philipsen ha preceduto Lampaert (@belga)

«A Parigi – ha sorriso – conta solo la vittoria e non sarà certo facile. Ci sono molti corridori come Jakobsen, Ewan e Groenewegen che si sono trascinati attraverso le montagne e non vedono l’ora che arrivi domani. Anche se uno sprint dopo 21 giorni è ancora un’altra cosa. Nessuno sarà davvero molto fresco».

Il sogno è finito

E adesso che ha vinto a Parigi e il circuito di Alst su un fondo in ciottoli gli ha ricordato i Campi Elisi, Philipsen riparte ancor più convinto di poter salire al livello dei velocisti che ha sempre ammirato.

«Ho ricevuto tanti messaggi – dice – ma il più apprezzato è stato quello di Mark Cavendish, l’uomo che mi ha battuto a Carcassonne l’anno scorso. E’ bello sapere che qualcuno che ammiro può anche essere sinceramente felice per me. Mark è sempre stato un grande modello. Ed è ancora un grande gentiluomo. Vivo in un sogno da domenica. Tutto sembra magico. Peccato solo che il Tour de France sia finito».

Il Tour di Vingegaard, un piano ben riuscito

26.07.2022
6 min
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Sui Campi Elisi c’è ancora l’eco del vociare sfinito e festante di domenica sera, anche se la carovana del Tour si è dispersa in mille scintille, schizzate dalla fiamma di Parigi verso casa, verso i circuiti o la prossima corsa. Vingegaard invece continua a vivere nella sua bolla e a giudicare dalla sua espressione, ci rimarrà ancora parecchio. Il ritorno a casa ha il sapore di una festa in Olanda, poi una in Danimarca. Poi finalmente per la maglia gialla verrà il momento di trascorrere qualche giorno a casa. Il racconto dei suoi giorni da re lo ha fatto come di rito nell’ultimo incontro con la stampa, il momento in cui finalmente si abbassano le armi e ci si lascia un po’ andare. Anche se del suo essere riservatissimo abbiamo già detto.

Sulla sua Cervélo celebrativa, poche parole chiare: Jonas conquista il giallo
Sulla sua Cervélo celebrativa, poche parole chiare: Jonas conquista il giallo
Cosa ricorderai di questo Tour?

Abbiamo trascorso tre settimane incredibili. Personalmente, ricorderò per sempre le due vittorie al Col du Granon e ad Hautacam. Non è tanto il fatto di aver vinto che le rende così speciali. E’ stato più il modo in cui abbiamo corso in quei due giorni, dando tutto, applicando una strategia offensiva che preparavamo da mesi. E poi ovviamente, il giorno del pavé. A un certo punto ero davvero nei guai e mi hanno salvato i miei compagni. Se non avessero fatto tutto quel lavoro per riportarmi in gruppo, non credo che avrei vinto il Tour de France.

Ci sono stati momenti di dubbio?

Ovviamente. Sul pavé ho perso solo 13 secondi, ma Primoz (Roglic, ndr) è caduto. Quel giorno sembrava che il piano ci stesse sfuggendo di mano. Avevamo pianificato tutto attorno a due leader. Molti giornalisti sembravano dubitare che io e Primoz potessimo davvero convivere. Quella sera ci siamo imposti di continuare a crederci e a combattere come avevamo programmato. Ci siamo aggrappati al nostro desiderio di mostrare di cosa fosse capace il nostro team.

Nonostante Roglic già in ritardo, gli attacchi sul Galibier erano stati preparati così
Nonostante Roglic già in ritardo, gli attacchi sul Galibier erano stati preparati così
Senza nessun condizionamento?

Il fatto che Primoz abbia perso più di due minuti da Pogacar ci ha davvero disturbato, perché la nostra idea era di attaccare in montagna avendo entrambi lo stesso distacco da Tadej, ma abbiamo giocato le nostre carte come se fosse così. Penso che fossimo tatticamente superiori e che per il pubblico sia stato un Tour emozionante da guardare.

Come è stato veder andar via Roglic?

Primoz ha lottato tanto, per dieci tappe. Ogni giorno lo vedevamo soffrire e ci rattristava. Poi una sera ci ha detto che le cose andavano davvero male. E’ stato commovente perché, pur salutandoci, ha detto anche che era fiero di noi e che dovevamo continuare a lottare, che era orgoglioso di quello che avevo fatto e che credeva in me.

I rulli dopo la tappa, con addosso i segni della caduta sul pavé
I rulli dopo la tappa, con addosso i segni della caduta sul pavé
E’ stato un Tour di forti emozioni…

E’ raro vedere una tale emozione collettiva nel ciclismo. Le lacrime di Wout, le mie, sono come valvole che cedono dopo tre settimane di estrema tensione. Credo che questo parli della grandezza di ciò che abbiamo raggiunto collettivamente. Alla Jumbo Visma c’è un gruppo che va molto d’accordo, abbiamo costruito una solida amicizia tra di noi perché trascorriamo molto tempo insieme. Non è che ci vediamo tre o quattro volte l’anno. Da metà maggio viviamo in comunità, lavoriamo, ceniamo tutti insieme, ridiamo, ma ci prendiamo cura anche l’uno dell’altro. Ecco perché eravamo così commossi.

Immaginavi che la tua vittoria smuovesse anche certi sospetti?

I sospetti non mi danno fastidio, è giusto farci queste domande. Ma il nostro sport è cambiato. E se si tratta della mia squadra, metto la mano nel fuoco per ciascuno dei miei compagni di squadra. Siamo puliti al 100 per cento.

La squadra come una famiglia. Qui l’abbraccio con Kuss dopo la crono: il Tour è vinto
La squadra come una famiglia. Qui l’abbraccio con Kuss dopo la crono: il Tour è vinto
Credi fosse necessario avere due leader per battere Pogacar?

Non ne abbiamo la certezza, ma penso di sì. Senza il lavoro che ha fatto Primoz durante la tappa del Granon, tutti i suoi attacchi che hanno stancato Pogacar, non so se sarei riuscito a batterlo.

E’ stato facile accettare la coabitazione?

Tutti erano d’accordo su questa strategia. Successivamente, abbiamo concordato che se uno di noi avesse ottenuto un vantaggio, l’altro si sarebbe messo al suo servizio. Andiamo molto d’accordo, non è stato un problema accettarlo. Mi dispiace solo che Primoz sia stato eliminato nuovamente da un incidente, non lo meritava. Dopo il pavé, ci credeva ancora, ma era ferito in modo davvero serio.

Non solo la maglia gialla: alla fine Vingegaard ha portato a casa anche quella della montagna
Non solo la maglia gialla: alla fine Vingegaard ha portato a casa anche quella della montagna
La vittoria cambierà questi equilibri?

No, abbiamo messo in atto la soluzione giusta e non vedo perché dovremmo cambiare. In realtà non ne abbiamo ancora parlato e sta ai tecnici rispondere. Io continuo a pensare che essere in due resti un vantaggio.

Sogni di diventare un corridore completo come Pogacar?

No, rimarrò concentrato sulle gare a tappe. Quelle di un giorno mi vanno meno bene perché sono un corridore resistente, che aumenta lentamente di potenza. Ho sempre bisogno di due o tre giorni per raggiungere il mio livello.

Nel 2019, primo anno con la Jumbo Visma, Vingegaard era un talento ancora da sgrezzare
Nel 2019, primo anno con la Jumbo Visma, Vingegaard era un talento ancora da sgrezzare
SI è parlato dei tuoi pochi risultati nelle categorie giovanili…

Non è facile sfondare a 23 anni. Ci sono tanti fattori che determinano il successo di un corridore. Allenamento, vita, carattere. Prima dei vent’anni, io non avevo idea di poter essere un professionista, non brillavo su nessun terreno, l’unica cosa che parlava di buone potenzialità erano i miei test. Il mio allenatore alla Jumbo, Tim Heemskerk, mi disse subito che avevo progressi da fare in tutti i settori: recupero, alimentazione, allenamenti…

Cosa farai nei prossimi giorni?

Voglio solo andare a casa e riposarmi! Ma prima ci saranno due cerimonie, martedì (oggi, ndr) in Olanda e mercoledì in Danimarca. Tornerò a Tivoli, il luogo in cui si è svolta la presentazione delle squadre

Vingegaard commosso alla presentazione delle squadre a Copenhagen
Vingegaard commosso alla presentazione delle squadre a Copenhagen
Bei ricordi?

Quando seppi che il Tour si sarebbe svolto in Danimarca, mi dissi subito che avrei voluto esserci. Ebbene, a causa del Covid, è stato posticipato di un anno, ma per ogni corridore danese è stato pazzesco.

Quel giorno hai pianto.

Sì, sono un tipo emotivo. Ero così sconvolto, da non essermi accorto che mentre il pubblico gridava il mio nome, Primoz avesse preso il microfono per gridarlo anche lui

Il giorno dopo, a piccoli passi nel mondo di Jonas

25.07.2022
6 min
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Dalla Coppi e Bartali del 2021 al podio del Tour nello stesso anno e da lì alla maglia gialla, il percorso di Jonas Vingegaard potrebbe essere raccontato come una favola, perché della favola ha la partenza e il lieto fine.

Nel mezzo invece, la vita del danese della Jumbo Visma è un concentrato di dedizione e senso del dovere, come quando cresci sapendo che il pane prima di mangiarlo, devi sostanzialmente guadagnarlo. E come quando l’arrivo di una figlia ti suggerisce che c’è un motivo in più per rimboccarsi le maniche.

L’uomo del pesce

Fino ai 22 anni, quindi fino al 2018, Vingegaard correva infatti per la continental danese ColoQuick. E siccome questo non gli sarebbe bastato per vivere, univa alla bici il lavoro nel mercato del pesce, dove rimuoveva le interiora dal pesce dalle 5 del mattino a mezzogiorno. Solo allora poteva iniziare ad allenarsi. Di fatto, Jonas ha lasciato quel lavoro solo alla firma del contratto con la Jumbo Visma, ma nessuno in patria è più riuscito a togliergli di dosso il soprannome di “pescatore”.

Tutto di giallo per il gran finale, Vingegaard ha vissuto la celebrità con discrezione
Tutto di giallo per il gran finale, Jonas ha vissuto la celebrità con discrezione

Una bici in vacanza

I suoi genitori ricordano di quando una volta, durante una vacanza di famiglia, Jonas fosse sparito su per una salita, tornandone a tarda ora e con un sorriso grande così. Che a pensarci bene è il racconto che accomuna alcuni fra i più grandi campioni di questo sport.

La passione per il ciclismo viene dopo quella per il calcio, abbandonato per lasciare posto alla bicicletta, e venne scatenata il giorno in cui il Giro di Danimarca attraversò Hillerslev, la loro città natale.

Sua madre Karina, che è forse la sua tifosa più grande, ha raccontato in alcune interviste che il metodo danese di avviare i ragazzi al lavoro già al termine del percorso scolastico sia il modo migliore per farli maturare. Anche grazie a questo suo figlio è approdato al professionismo già formato al lavoro, conoscendo regole e strutture, e pronto per le difficoltà che esso comporta.

Karina e Claus, i genitori di Vingegaard: una piccola porta sul suo mondo (foto Norway Posts)
Karina e Claus, i suoi genitori: una piccola porta sul suo mondo (foto Norway Posts)

Da Strava al WorldTour

La storia racconta che Jonas fosse già tra gli osservati, ma la Jumbo Visma fosse in realtà più interessata a Mikkel Honoré (ora alla Quick-Step). Tuttavia i tecnici decisero alla fine di scommettere su Vingegaard, valutando che i suoi risultati fossero meno prestigiosi a causa del minor tempo per allenarsi, dovuto proprio al lavoro e a qualche infortunio.

Così, dopo aver riscontrato su Strava il celebre KOM sul Coll de Rates (salita usata dalle squadre per i test durante i ritiri nella zona di Alicante), lo convocarono in Olanda per una valutazione più approfondita. Da questa emerse una capacità cardiaca fuori dal comune, del 15 per cento superiore alla media dei corridori. E questo, visti i 58 chili di partenza, gli avrebbe consentito un rapporto potenza/peso piuttosto importante (anche se i numeri non sono mai stati diffusi).

In salita, già dal Granon, ha dimostrato di avere un passo vincente
In salita, già dal Granon, ha dimostrato di avere un passo vincente

Lacrime a Copenhagen

La partenza del Tour dalla Danimarca è stata la chiusura del cerchio. Le immagini della sua commozione hanno fatto il giro del mondo, travolto dall’affetto ricevuto dal pubblico di casa. I danesi amano gli sfavoriti e Vingegaard, con il suo aspetto infantile, era l’eroe perfetto all’ombra dell’imbattibile Pogacar.

Durante i racconti messi insieme nei giorni del Tour, Vingegaard ha ripetuto che quella partenza gli ha dato una motivazione speciale. Che il Tour è stato una serie di avventure indimenticabili, ma i giorni in Danimarca li ricorderà per sempre.

Grande stima per Pogacar, ma caratteri diversi
Grande stima per Pogacar, ma caratteri diversi

Vingegaard vs Pogacar

Il dualismo con Pogacar viene vissuto con garbo tutto nordico. Da quando ha capito di poterlo battere e dopo aver vissuto dall’interno il dramma del compagno Roglic al Tour del 2020, Vingegaard si è dedicato anima e corpo a migliorare nella cronometro. La chiave per aspirare alla maglia gialla e per scongiurare finali come quello di due anni fa.

I due sono profondamente diversi. La giovialità del primo si contrappone alla riservatezza del secondo. La loro capacità di relazione durante il Tour, la correttezza di Vingegaard nel non attaccare quando Pogacar è caduto e le congratulazioni dello sloveno dopo le tappe perse, hanno conquistato i tifosi, ma il rapporto fra i due resta strettamente professionale. Rispetto e stima reciproca, più che amicizia. Vingegaard ha raccontato di non avere il numero di telefono del rivale.

La coppia delle meraviglie: Vingegaard e Van Aert, il Tour sulle loro spalle
La coppia delle meraviglie: Vingegaard e Van Aert, il Tour sulle loro spalle

Affari di famiglia

Del resto, che ci sia un muro fra il danese e il mondo è abbastanza evidente. Jonas Vingegaard è una persona tranquilla, poco disposta a condividere la sua vita fuori dalla bici con degli estranei. Provate durante la prossima conferenza stampa a fargli dire qualcosa di diverso dalla gara: cambierà discorso. Ecco perché per conoscere i dettagli della sua vita è stato necessario rivolgersi a compagni di squadra, tifosi e anche ai suoi familiari. I suoi stessi profili social sono funzionali alla carriera di ciclista, altro non contengono.

L’unica eccezione alla privacy lo abbiamo visto nell’abbraccio con la sua compagna e la figlia quando l’hanno raggiunto al traguardo della crono. In quel nucleo così stretto c’era tutto il suo mondo. E gli altri, pur potendo osservare, hanno avuto la chiara sensazione di non essere invitati.

La famiglia è il centro di Vingegaard: dopo la crono, i tre sono stati un lampo di bellezza
La famiglia è il centro di Vingegaard: dopo la crono, i tre sono stati un lampo di bellezza

Doping, no grazie

Sempre garbato e mai oltre il limite, anche quando nella conferenza stampa di fine Tour gli è stato chiesto se sia giusto fidarsi di lui, con evidente riferimento al doping.

Intendiamoci, abbiamo sentito varie invettive di stampa nei confronti di chi ha posto la domanda e non le condividiamo. I giornalisti devono fare domande: per troppi anni in passato questa indignazione di maniera ha permesso di coprire scempi di cui paghiamo ancora il conto. E soprattutto la domanda ha permesso a Vingegaard di rispondere da campione.

«Non è più lo stesso ciclismo – ha detto – sono nato nel 1996, anno della vittoria al Tour di Bjarne Riis (che nel 2007 ammise di essersi dopato, ndr). So che la Danimarca ha una storia con il doping, come tanti altri Paesi del resto. Ma non è la mia storia. So come lavoro, come lavora la mia squadra ed è per questo che mi fido completamente dei miei compagni. Non ho assolutamente dubbi sul fatto che non stiano barando. Quando ho iniziato a considerare di diventare professionista, era a condizione che non facessi nulla di illegale. Non voglio usare il doping, non voglio essere così, è una convinzione profonda. Se per essere un corridore professionista e avere questo livello, la condizione fosse quella di dover prendere dei prodotti, sceglierei di non esserlo e di non prendere niente. Preferirei fare qualcos’altro, non so, un altro lavoro».

Una parata vale più di uno sprint. I Campi Elisi a Philipsen

24.07.2022
4 min
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Arc de Triomphe, Place de la Concorde, Campi Elisi… sembra una filastrocca. E’ il mitico circuito di Parigi, quello che decreta la fine del Tour de France. Un momento che tutti aspettano: corridori, pubblico, direttori sportivi.

La maglia gialla è entrata a Parigi dunque. E per questa volta, come succede spesso, prima delle spallate finali la stessa maglia e la sua squadra si sfilano. Ma di solito non hanno un potenziale vincitore di tappa. Alla faccia di chi crede che il ciclismo non sia uno sport di squadra, i corridori giallone-neri si radunano. In questo caso Jonas Vingegaard chiama a raccolta i suoi. Van Aert e compagni tagliano il traguardo abbracciati in parata… staccati.

Si passa anche davanti al Louvre, piano piano il gruppo inizia a fare sul serio. Ma Vingegaard è sempre guardingo
Si passa anche davanti al Louvre, Vingegaard è sempre guardingo

Scherzi e scatti

Ancora una volta quest’ultima frazione della Grande Boucle ha regalato emozioni. L’avvio tranquillo, le foto di rito, gli scherzi… Ad un certo punto, tanto per cambiare, sono scattati Van Aert, Pogacar… e Vingegaard, con quest’ultimo che non lo sapeva! Il danese è stato un gatto a rientrare. Quando è arrivato sulle ruote di quei due si è accorto che ridevano. Clima da ultimo giorno di scuola insomma. 

Poi quando si è entrati nella parte finale e s’iniziava a sentire l’odore del traguardo di questa tappa, che è praticamente un classica, ecco che il ritmo è salito.

E tra i vari attacchi chi c’è stato? Lui: Tadej Pogacar... ragazzi non fermatelo, non domate questo corridore, questo purosangue. Ha messo alla frusta in pianura nientemeno che Filippo Ganna. Un fuoco di paglia sì, ma che fiammata.

Il podio finale dei Campi Elisi: Vingegaard precede Pogacar e Thomas
Il podio finale dei Campi Elisi: Vingegaard precede Pogacar e Thomas

Parata sì, volata no 

Chi invece non c’era era il super favorito: Wout Van Aert. Ad un certo la maglia è verde è sparita, come detto. Quasi per incanto non si vedeva nessun Jumbo-Visma davanti. Dopo il ponte dell’Almat che introduceva nel chilometro finale non si vedevano i due mattatori del Tour.

Hanno fatto credere a tutti che volevano questa tappa, anche con le dichiarazioni del giorno precedente, e invece erano in coda a “godersi lo champagne”. Nessun rischio e un chilometro che valeva le fatiche fatte nei precedenti 3.349. Un chilometro da ricordare e per ricordare.

Giusto così. Hanno dominato. Hanno vinto. In qualche occasione hanno anche sbagliato e sprecato, ma nella seconda parte del Tour sono stati uniti più che mai.

Ed è più o meno ciò che ha sintetizzato Laporte: «Abbiamo vinto il Tour, la maglia verde, la maglia a pois, sei tappe, il premio del più combattivo (Van Aert, ndr)… oggi era giusto così. Questo arrivo vale molto di più».

Van Aert oggi ha deciso che bastava così. Tre tappe potevano andare bene. La soddisfazione dei Campi Elisi se l’era già presa lo scorso anno, stavolta preferiva l’arrivo in parata. Preferiva vivere una nuova emozione.

E come biasimarlo? Voleva scortare Jonas fino in fondo per il vecchio adagio che “non si sa mai”. «Per senso di responsabilità e di amicizia», come ha detto più volte.

L’urlo di Philipsen a Parigi, per il classe 1998 è la seconda vittoria in questo Tour
L’urlo di Philipsen a Parigi, per il classe 1998 è la seconda vittoria in questo Tour

Philipsen: le roi

Ma c’era pur sempre una corsa da portare a termine. E il fatto che non ci fossero davanti le maglie della Jumbo-Visma a dettare legge e a sistemare le gerarchie ha colto di sorpresa i team dei velocisti.

Un po’ perché le gambe e le energie erano quelle che erano, un po’ perché con gli uomini ridotti all’osso era impossibile mettere su un treno, i tre chilometri finali sono stati di anarchia pura.

Davanti c’erano persino gli Arkea-Samsic. Gli Alpecin-Deceuninck, proprio di Philipsen, erano in netto (troppo) anticipo, gli BikeExchange-Jayco forse erano messi meglio di tutti, ma hanno pasticciato nel rettilineo finale. E persino i Quick Step-Alpha Vinyl erano ai quattro cantoni. Jakobsen la sua volata l’aveva fatta a Peyragudes per restare nel tempo massimo.

E così in questo sprint “anni 70”, il più furbo e quello con più gamba è Jasper Philipsen. Il belga capisce che i due BikeExchange stanno pasticciando, li guarda e scatta sul lato opposto. Bravo. Va a riscattare il secondo posto dell’anno scorso. «Questa – ha detto Philipsen – è stata la ciliegina della torta. Sognavo da sempre questo arrivo e questa vittoria».

Adesso è festa. Adesso questa serata è tutta loro. Di Vingegaard, di Van Aert, ma anche di Pogacar e di tanti altri corridori. La “Ville Lumiere” è il posto ideale per festeggiare. Andranno in qualche lussuoso ristorante, prenotato per l’occasione. Qualcuno si sarà fatto raggiungere dalla compagna e insieme passeranno una bella serata. 

Ma già pensando alla prossima sfida. Come ha detto Pogacar…