Influenze tecniche della Mtb sulla strada. Parola a Casagrande

28.03.2022
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Il reggisella telescopico di Mohoric ha fatto molto parlare. Si potrà davvero utilizzare con frequenza in futuro? I costruttori ci investiranno per ridurne il peso? Quel che è certo è che per il momento un’altra soluzione tecnica di derivazione Mtb ha influito sulla strada. Francesco Casagrande ha primeggiato in entrambe le discipline. 

A “Nando” chiediamo quali sono, a suo dire, le soluzioni offroad, che più hanno lasciato il segno anche sulla strada. E che sono ormai imprescindibili.

Freni a disco

«Senza dubbio partirei dai freni a disco – afferma Casagrande – è l’elemento numero uno. La frenata è molto migliorata. Sul bagnato si frena come sull’asciutto. Aumenta la sicurezza e non si hanno più problemi coi cerchi in carbonio. Certo, si ha un po’ l’handicap del peso, ma credo che i vantaggi siano superiori».

«Per me il feeling è totalmente diverso guidando su strada coi dischi. Lo vedo anche quando esco con gente brava che però ha ancora i freni tradizionali. Io stacco ai 30 metri, loro ai 50. In mountain di solito uso dischi da 160 all’anteriore e 140 al posteriore, su strada entrambi da 140 millimetri, ma bastano e avanzano (il sistema non si affatica, né si surriscalda, ndr). Cambiando però la posizione delle leve, orizzontali sulla Mtb, verticali su quella da strada, cambia la forza che s’imprime».

«La frenata in Mtb è molto più potente e infatti si frena solo con due dita, su strada con tutta la mano. E’ questione di abitudine. Ma i vantaggi ci sono. E sì che mi capitò di fare dei tapponi dolomitici e di arrivare in fondo alle discese con i pattini finiti. Da sempre io ho sostenuto il disco».

Oggi, soprattutto si vedono delle scalette molto grandi. Vedere un pignone da 30 è ormai la normalità
Oggi, soprattutto si vedono delle scalette molto grandi. Vedere un pignone da 30 è ormai la normalità

Rapporti corti

«Il secondo elemento che più ha inciso sono stati i rapporti». E qui il toscano un po’ ci sorprende a dire il vero. Ma la sua analisi non è sbagliata.

«E’ con la Mtb – continua Casagrande – che si sono iniziati ad usare i rapporti sempre più corti, sia davanti che dietro. Si è visto che rendevano di più, si andava più agili. L’idea dei primi 34-36 viene da lì. Io che pratico tutt’ora entrambe le discipline ho notato che quando in Mtb hanno iniziato ad accorciarsi i rapporti, poi è accaduta la stessa cosa anche sulla bici da strada».

Di certo l’avvento di Sram nel panorama della strada ha avuto il suo bel peso. La casa americana ha un Dna fortemente legato alla Mtb ed è stata lei a proporre i primi rapporti davvero corti anche sulla strada. Ricordiamo per esempio Contador, che utilizzava il 32 posteriore nelle tappe più estreme con Angliru o Mortirolo. E per farlo doveva montare un bilanciere di un gruppo (il Rival) di media-bassa gamma dello stesso brand. Un gruppo pensato per bici dalla vocazione più turistica che agonistica. Sempre Sram, negli anni ha lanciato il monocorona e il pignone posteriore “Eagle” da 50 denti.

Oggi forse c’è un’inversione di tendenza, almeno su strada con le corone, ma non coi pignoni posteriori. Lo sviluppo metrico medio dei rapporti più agili è certamente più corto rispetto a 10 anni fa.

Gomme più larghe e tubeless, altra soluzione della Mtb. Con il liquido sigillante le forature su strada sono calate drasticamente
Gomme più larghe e tubeless, altra soluzione della Mtb. Con il liquido sigillante le forature su strada sono calate drasticamente

Sezioni maggiorate

«Per me, poi vengono le misure delle gomme. Che sia un qualcosa di diretta derivazione dalla Mtb non lo so, ma certo vanno di pari passo: sia su strada che in mountain, le gomme sono diventate più larghe. E credo che qualche influenza ci sia. Ricordo che quando salii in Mtb c’erano le gomme da 1.9”, poi 2.0”, 2.1”… adesso siamo a 2.3”. Contano molto e si sente parecchio la differenza su strada».

Il discorso di Casgarande regge, ma regge ancora di più nella misura in cui si considera tutta la ruota e non solo la gomma. Ci sentiamo infatti di aggiungere che di pari passo con l’aumentare della sezione delle gomme è aumentata anche quella del cerchio. E questo sì che è un elemento della Mtb. Così come l’utilizzo del tubeless e del suo liquido sigillante che oggi vanno per la maggiore anche nel gruppo dei pro’.

Si è visto come con cerchio più largo, la gomma più larga spanci meno, lavori meglio in quanto a tenuta (grip) e si riduce il rischio di stallonamento. I cerchi moderni sono più larghi rispetto a qualche anno fa. Il tutto ha anche mostrato vantaggi in termini aerodinamici.

Il perno passante al posto dell’asse dello sgangio rapido è molto più scorrevole. Si è passati da un diametro di 2,5-3 millimetri a uno di 12
Il perno passante al posto dell’asse dello sgangio rapido è molto più scorrevole. Si è passati da un diametro di 2,5-3 millimetri a uno di 12

Telescopico e perno passante

Tutto qui? Neanche per sogno. A Casagrande il discorso tecnico sta a cuore, eccome. E rilancia.

«Riguardo al telescopico sulla strada sinceramente non credo possa dare chissà quali vantaggi. Almeno per me. La vera differenza la si fa in Mtb quando ci sono davvero discese ripide, superiori al 25%, e tecniche. In quel caso lo fai scendere tutto, ti “siedi” sulla ruota posteriore e abbassi il baricentro. Però serve in alcuni casi appunto. Senza contare che pesa e che per sfruttarlo davvero bisogna essere abituati. Perché si ha la sensazione di non avere nulla tra le gambe (cambiano un po’ gli equilibri, ndr) quando si guida.

«Su strada, quello di Mohoric è stato un colpo, ma non credo sia stato quello a fare la differenza. Ripeto, questa è una mia opinione».

Infine prima di congedarci, Casagrande ha chiamato in causa un altro elemento, affatto secondario che ha inciso sullo sviluppo tecnico della bici da strada: il perno passante.

«Quasi dimenticavo – conclude Casagrande – il perno passante ha inciso e non poco. La bici è più rigida, scorre meglio, flette davvero molto meno e si ha molta meno dispersione di forza. E’ un dettaglio molto importante».

Poca crono, investimenti enormi. Cattai, ne vale la pena?

27.12.2021
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I chilometri a crono nei grandi Giri diminuiscono sempre di più. E’ una tendenza accertata. Vi diamo dei numeri. Nel prossimo Giro d’Italia i chilometri contro il tempo in totale saranno 26,3, vale a dire lo 0,77% dell’intero percorso. Percentuale “appena” più alta (appena in senso assoluto, perché è più del doppio) alla Vuelta: 1,6%, ma quasi la metà sono a squadre. Quella spagnola è pressoché la stessa percentuale di chilometri a cronometro del Tour de France. Di contro i marchi di bici, e le squadre, ci investono sempre di più. Tutto questo ha un senso? Ne abbiamo voluto parlare con Stefano Cattai, di BMC.

Stefano fa da ponte tra l’azienda e i team, non a caso la sua posizione è definita “technical liaison”, pertanto può darci ottime indicazioni in merito.

Cattai, technical liaison di Bmc. Stefano è stato professionista dal 1990 al 2001
Cattai, technical liaison di Bmc. Stefano è stato professionista dal 1990 al 2001

Investire e crederci

«Ognuno – dice Cattai – ha le proprie necessità, le proprie idee e le proprie strategie aziendali. E soprattutto ha i propri team di riferimento. In base a questo sa quanto valga la pena investire.

«Alla domanda se convenga o no investire a fronte di percentuali così piccole di cronometro, io comunque rispondo di sì. Ne vale il prestigio dell’azienda. E comunque sia un investimento del genere porta sempre ad un ritorno, pensando anche ai prodotti da mettere poi in commercio».

«Chiaramente ci sono dei distinguo da fare. Tu puoi investire, e anche tanto, sui materiali ma al tempo stesso devi avere un team che investa e creda nello sviluppo. Quando dico investa intendo non solo a livello economico, ma che dedichi del tempo a lavorare su quegli sviluppi.

«Per farla breve, io posso anche creare un telaio aerodinamico, ma poi serve il team che lavori sulla posizione del corridore. La sola “immagine” non basta a giustificare l’investimento per l’azienda».

A volte i progetti vanno a buon fine, altre volte sono lasciati morire. Anche questo è un costo marginale della ricerca e dello sviluppo
A volte i progetti vanno a buon fine, altre volte sono lasciati morire. Anche questo è un costo marginale della ricerca e dello sviluppo

I binari morti…

Certo però che investire, fare sviluppi e nuovi progetti ha un costo. E immaginiamo sia anche piuttosto elevato. Per esempio quanto costa l’evoluzione di un modello di bici esistente?

«Non posso dare una risposta precisa sul costo di uno sviluppo o di un nuovo progetto – riprende Cattai – E’ difficile da quantificare. Non si tratta solo di fare dei test, si tratta di prendere 2-3 ingegneri e farli lavorare solo su quello. E se lavorano solo su quello non portano avanti altro lavoro. Poi ci sono i passaggi in galleria del vento, l’acquisto di eventuali nuovi materiali… Non si può quantificare. Però, ripeto, ne vale la pena. A volte investo dieci e ottengo uno, a volte investo dieci ed ottengo cinque. Ma se si avessero risorse illimitate si investirebbe in continuazione. Quindi serve.

«E ancora: bisogna valutare su cosa stiamo investendo. Su un progetto specifico per le vendite o che mira alla prestazione?».

In effetti il discorso è molto complesso. A volte non ci rendiamo conto, ma lo stesso Cattai ci dice che per ogni nuovo progetto ci sono alle spalle non meno di 18-24 mesi di lavoro e se si tratta di progetti ex novo può capitare anche che vadano a morire.

Magari si parte con una determinata idea e poi strada facendo ci si rende conto che non è fattibile. In questo caso si sono “gettate” risorse economiche e temporali, ma in qualche modo in effetti ne è valsa la pena perché si è capito che non bisogna insistere su quella determinata via.

Miglioramenti “su carta” e reali

Ma se il Cattai tecnico e uomo di azienda la pensa in un modo, l’ex corridore cosa dice? Oggi parliamo spesso di dettagli, di preparazioni molto curate, ma tornando al discorso delle minime percentuali a cronometro nei grandi Giri, viene anche da chiedersi perché in allenamento un uomo di classifica debba stare tante ore su una bici da cronometro. Non sarebbe più redditizio per lui fare qualche salita in più o lavorare su qualche lacuna?

«Va vista in un’ottica diversa – spiega Cattai – Oggi quando cerchiamo di migliorare, in generale, parliamo sempre di piccole percentuali. Per esempio in azienda possiamo migliorare una ruota del 2%, ma questo non significa che poi la prestazione dell’atleta aumenterà del 2%. C’è un “pacchetto” da tenere in considerazione: le ruote, il telaio, la posizione del corridore, la scelta delle gomme… E magari a conti fatti quel miglioramento delle ruote si traduce in un miglioramento reale dello 0,1%, dico a caso. Però si è visto, soprattutto nel ciclismo di oggi, che si può vincere anche per pochi secondi».

Alla fine conta la testa

«Ma da ex corridore – conclude Cattai – dico che c’è una cosa da valutare ed è la mente. Nella testa dell’atleta conta molto sapere che c’è chi crede in lui, chi ci investe e soprattutto che sa di avere a disposizione i materiali migliori. Conta moltissimo, credetemi. L’atleta deve avere la consapevolezza che ciò che sta usando è il massimo».

«Cadel Evans per questo era un vero maniaco. Era molto interessato, non si stancava mai. Ed era anche “facile” spiegargli le nostre volontà. Anche se qualche volta aveva qualcosa da obiettare. In quel caso il nostro era quasi un lavoro da psicologi per convincerlo che quel materiale era buono (questo per dire quanto conti la testa, ndr). Marco Pinotti addirittura aveva un punto di vista da ingegnere. Anche Rohan Dennis era un grande lavoratore, molto metodico.

«E poi invece c’era anche chi era “artista”, come Gilbert, che viveva questa parte in modo molto più distaccato».

Nibali? Sempre sul pezzo anche con le bici, parola di “Toso”

11.12.2021
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Dopo cinque stagioni Gabriele Tosello ritrova Vincenzo Nibali. Con il meccanico dell’Astana avevamo parlato di cambiamenti tecnici riguardanti lo Squalo durante questo arco temporale, adesso invece vogliamo sapere quanto (e se) il siciliano è cambiato dal punto di vista “umano”, cioè per quel che concerne fissazioni varie o richieste particolari.

Lo Squalo sembra apprezzare molto il nuovo Shimano
Lo Squalo sembra apprezzare molto il nuovo Shimano

Vecchi “vizi” (o virtù?)

«No, no… Vincenzo è sempre lo stesso – esordisce Tosello – E questa cosa mi ha stupito! Credevo che dopo tanti anni, tante vittorie, avesse perso un po’ il suo piglio. Non dico che mi aspettassi di trovare un ragazzo a cui non gliene fregasse più niente, ma magari che fosse meno concentrato. Invece è il solito pignolo!».

Chi lo conosce, sa che Nibali è un vero appassionato della tecnica a tal punto da essere un buon meccanico. Una volta eravamo al Passo San Pellegrino, lui era in ritiro lassù proprio con l’Astana. Finite le interviste (quella volta toccò a Kangert) ne approfittammo per pedalare tra le Dolomiti anche noi e prima di saltare in sella lui stesso ci regolò il cambio. Fu Agnoli a suggerirci di chiedere a Nibali.

«Vincenzo è il curioso di sempre – riprende Tosello – Osserva ovunque, prende in mano le chiavi, scruta ogni tipo di ruota, esprime la sua su questo o quel cambio».

Gabriele Tosello vede un Nibali sereno, merito anche di un ambiente familiare che evoca grandi imprese
Gabriele Tosello vede un Nibali sereno, merito anche di un ambiente familiare che evoca grandi imprese

Salottino dai meccanici

«Si vede – continua il “Toso” – che è contento di ritrovare quell’ambiente che aveva lasciato e nel quale si era trovato bene. Io lo vedo molto sereno, molto rilassato. Anche qui in Spagna, una volta presi i materiali e avergli sistemato le bici è saltato in sella e non ha avuto nulla da dire. Solo il primo giorno ha abbassato la sella di un paio di millimetri.

«Poi da marzo, con l’avvicinarsi delle sue gare e tutte le altre cose più importanti magari sarà più serio, ma per ora che siamo in ritiro è davvero tranquillo. C’è un buon feeling. Pensate, magari fa quattro ore, rientra e si mette a parlare con noi meccanici. Pochi altri corridori lo fanno».

Tosello parla di un Nibali che chiede. Che dice la sua…

«Abbiamo parlato del nuovo gruppo di Shimano. Mi ha detto che quello nuovo gli piace molto, che lo ha trovato più veloce rispetto a quello dell’anno scorso. Abbiamo discusso delle rotelline di questo cambio».

Filante o 0 SLR?

In questi giorni di ritiro in Spagna Nibali sta provando le diverse bici che Wilier mette a disposizione dell’Astana.

«I ragazzi – continua Tosello – hanno tutti a disposizione una sola bici. Alcuni hanno la Filante, altri hanno la 0 SLR, ma i leader, Moscon, Lutsenko e appunto Nibali, le hanno a disposizione entrambe. Non solo, ma a gennaio, materiali permettendo, loro tre dovrebbero avere anche la versione gravel, la Rave SLR.

«Vincenzo in questi giorni sta cambiando bici a circa metà uscita. Dopo un paio d’ore si ferma e prende la Filante, se è partito con la 0 SLR e viceversa.

«Quale gli piace di più? Credo la 0 SLR, per guida e leggerezza. La sento bene, mi ha detto. Ma ha detto anche che la Filante è meglio per le gare un po’ più veloci. Le misure sono identiche su entrambe.

«Tranquilli, Nibali è sempre sul pezzo!».

Con i “vecchi” rapporti ci sarebbero più differenze in salita?

27.11.2021
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Oggi le differenze fra scalatori e passisti tendono ad assottigliarsi sempre di più, almeno pensando alle classifiche dei grandi Giri. E forse uno dei motivi dipende anche dall’evoluzione tecnica dei mezzi, a cominciare dai rapporti. Basta pensare ai primi passaggi sul Mortirolo o sullo Zoncolan. Chi andava agile aveva un 39×25 (sviluppo di 3,29 metri) a metà degli anni ’90, e 39×29 (sviluppo 2,94 metri) una decina di anni dopo. E per tutti più o meno era così. Invece il 34×32 con i suoi 2,39 metri cambia un bel po’ le cose.

Ma questo implicava una bella differenza tra Pantani e Indurain. O tra Simoni e i suoi rivali. In qualche modo queste soluzioni tecniche esaltavano le caratteristiche dei corridori. In salita lo scalatore poteva fare… lo scalatore. E a crono il passista poteva dare sfogo ai suoi watt con i rapportoni.

La sfida fra Pantani e Tonkov nel 1998. Il russo con rapporti più corti avrebbe tenuto le ruote del Pirata?
La sfida fra Pantani e Tonkov nel 1998. Il russo con rapporti più corti avrebbe tenuto le ruote del Pirata?

Rapporti più corti

Con l’arrivo delle corone compatte e dei rapporti sempre più corti, anche i corridori più pesanti si sono potuti salvare sulle pendenze più arcigne. In qualche modo sono riusciti a “annullare” il gap dovuto dal peso maggiore e sono riusciti ad esprimere la loro forza. Oggi Pantani avrebbe staccato Ullrich e Tonkov se avessero avuto una compatta?

E allora ci si chiede: perché non porre un limite allo sviluppo minimo dei rapporti in gara? Avrebbe un senso? In fin dei conti esiste il limite al peso (i fatidici 6,8 chili), il limite all’aerodinamica (carenature bandite) e persino il limite sul alcune misure (i 5 centimetri di arretramento). Perché quindi non può esserci un limite ai rapporti, tanto più se questi possono agevolare lo spettacolo?

Di questo parliamo con tre esperti: un preparatore, Pino Toni, un corridore, Mattia Cattaneo, e un tecnico, Giampaolo Mondini.

E’ sempre più raro vedere un 39 nelle tappe di montagna
E’ sempre più raro vedere un 39 nelle tappe di montagna

Parola al preparatore

«Una limitazione la vedo un po’ come una forzatura – dice Pino Toni – l’evoluzione tecnica ha permesso di tornare a registrare dei tempi sulle salite che si realizzavano in periodi di grande sospetto. Anni fa c’era un solo grande produttore di rapporti, adesso ce ne sono tre. E questo ha portato ad un regime di concorrenza, di spinta verso la ricerca. Una volta c’era il 23… e con quello dovevi andare su! Però per me le differenze sempre minori dipendono da un discorso più in generale di preparazione. Adesso tutti sono ben allenati, tutti sanno cosa devono fare e come arrivare ai propri limiti».

«Semmai uno dei motivi per cui tra scalatori e passisti c’è meno differenza non è tanto da ricercare in salita quanto in pianura. Adesso sul piano si va fortissimo e lo scalatore arriva sotto la salita più stanco. E infatti quando ci sono le cronoscalate le differenze tornano ad esserci eccome. E lì lo scalatore resta scalatore e il passista resta passista».

«Un Tom Dumoulin col 39×27 sul Mortirolo? Perderebbe ugualmente terreno. E’ fisica. Pesa di più rispetto ai rivali scalatori. Una cadenza più elevata lo avvantaggerebbe? Sì, forse su un muro al 20% ma per il resto delle salite no. E poi ripeto, le preparazioni sono migliorate e anche la biomeccanica si è evoluta. Gli atleti spingono meglio. E’ un discorso molto ampio che non si può legare solo ai rapporti».

Mattia Cattaneo in salita. Il lombardo va molto forte anche a crono
Mattia Cattaneo in salita. Il lombardo va molto forte anche a crono

Parola al corridore

Mattia Cattaneo forse meglio di tutti può entrare nel merito. Primo perché è un corridore forte e in piena carriera, secondo perché è la tipologia di ciclista moderno: forte in salita, fortissimo a crono.

«Con i percorsi attuali – dice il corridore della Deceuninck-Quick Step – è molto difficile attuare questa ipotesi del limite dei rapporti. Si potrebbe forse fare nelle corse di un giorno, ma non nei grandi Giri dove vengono inseriti sempre più spesso passaggi particolari, salite super ripide… E con certi rapporti “vecchio stile” la vedo dura. Per me poi non ci sarebbero grandi differenze».

Poniamo un’ipotesi a Cattaneo. Se sullo Zoncolan lui e Bernal, scalatore puro (o quasi), si trovassero spalla a spalla entrambi col 39×29 avrebbe meno chances di resistergli se invece avesse a disposizione un 34×30?

«Magari con un 34×30 resisto a Bernal un po’ di più – replica Cattaneo – ma le differenze sarebbero minime. Anche perché sapendo che si ha disposizione un limite di rapporto cambierebbe anche la preparazione. Tutti si allenerebbero in base a quello sviluppo metrico minimo e il gap resterebbe tale.

«Io lo vedo: quando facciamo le salite abbiamo sempre tutti lo stesso rapporto più o meno. Può esserci un dente di differenza. Quello che forse potrebbe cambiare un po’ nell’economia della corsa, ma mi riferisco ad un grande Giro, è che un rapporto più lungo può incidere sul recupero e ad un passista-scalatore resterebbe meno nelle gambe».

Il discorso appassiona Cattaneo che rilancia: «E poi se dovesse esserci un limite di rapporto minimo, immagino dovrebbe essercene anche uno sui rapporti lunghi per compensare. A crono per esempio non si potrebbe andare oltre al 55 e per me che uso il 58 sarebbe un problema, mentre per Bernal che usa il 55 normalmente non cambierebbe nulla».

Dumoulin e Froome gli ultimi “giganti” a vincere un grande Giro
Dumoulin e Froome gli ultimi “passisti” a vincere un grande Giro

Parola al tecnico

Infine, ecco l’opinione del tecnico. Giampaolo Mondini cura i rapporti tra Specialized e le squadre che il marchio americano supporta. “Mondo” più di altri tasta il polso degli atleti e conosce l’evoluzione tecnica, tanto più se si considera il marchio per cui lavora che spesso traccia la via.

«Non credo si possano creare queste grosse differenze – dice Mondini – io non sono per le limitazioni, che tra l’altro, abbiamo visto, hanno sempre funzionato poco nel ciclismo. E’ invece un’occasione per lo sviluppo tecnico. Penso per esempio al monocorona che potrebbe aiutare a ridurre il gap di peso dovuto ai freni a disco. Poi, si sa, l’UCI può decidere quel che vuole.

«Parliamo di scalatori e grandi Giri, ma chi sono i vincitori dei grandi Giri? Non sono forse scalatori? Piuttosto più che sui rapporti parlerei dei percorsi delle crono. Oggi vedi un prologo piatto magari di 10-12 chilometri in cui un Bernal può perdere 30” e poi delle crono più lunghe ma con 700-800 metri di dislivello che sono più per scalatori, o atleti completi. E spesso queste crono arrivano alla fine delle tre settimane e più che esaltare le qualità dei cronoman contano le energie. Va meglio chi ha maggior recupero. Ricordiamo Pantani: anche se c’erano crono piatte arrivava davanti. Le differenze minime dipendono anche dai percorsi quindi».

«Vero – riprende Mondini – secondo la fisica chi ha una leva più lunga ha bisogno di un rapporto più agile per spostare il peso (in questo caso i pedali, ndr). La pedivella più lunga spinge di più, ma ha anche un punto morto maggiore. E quando cala la velocità (e di conseguenza la cadenza) questo punto morto diventa così ampio che interrompe l’impulso, crea un problema e il passistone ha bisogno di un rapporto più agile. Solo che mi chiedo: oggi chi trae vantaggio da tutto ciò? Gli Ullrich e gli Indurain non ci sono più. Credo che gli ultimi vincitori di un grande Giro al di sopra dei 68 chili siano stati Dumoulin e Froome, ma l’ultimissima generazione ha alzato ancora l’asticella».

Resta quindi un po’ di scetticismo su un’eventuale limitazione dello sviluppo metrico minimo. Un po’ per il concetto di evoluzione e un po’ perché cambierebbero le preparazioni.

Tuttavia su pendenze estreme qualche differenza ulteriore potrebbe esserci. Meno marcata di quel che si può immaginare, ma con qualche pedalata in più il “bestione” sui muri può salvarsi.

Cronoman e tecnica: una curiosità mai doma, vero Affini?

23.09.2021
4 min
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I corridori, e i cronoman ancora di più, hanno sempre l’occhio lungo sui dettagli tecnici. Cosa c’è di nuovo e cosa potrebbe cambiare. E anche in questi mondiali è stato così. Ed Edoardo Affini, che uno specialista dalla A alla Z, più di un occhio ce lo ha buttato su quel che si è visto nelle crono di Flanders 2021.

La probabile scarpa che ha utilizzato Van Aert in questa seconda parte di stagione, con il Boa posteriore
La probabile scarpa che ha utilizzato Van Aert in questa seconda parte di stagione, con il Boa posteriore

Attenzione ai dettagli

«Non è facile poter scovare piccole differenze soprattutto a fine stagione – spiega Affini fresco di bronzo nel team relay – Si cerca sempre di stare attenti a quel che usano o fanno gli avversari, ma il più delle volte è difficile captare qualcosa a vista. Dietro ad una scelta tecnica, ad una posizione, ad un protocollo di riscaldamento… c’è tanto lavoro e i dettagli fai fatica a vederli sul momento. E fai fatica proprio perché sono dettagli.

«Certo la novità tecnica che ha fatto più rumore è quella di queste scarpe di Van Aert, ma sinceramente non so chi gliele produca, se sia Shimano o se Wout abbia trovato accordi con altri. Però posso dire che una scarpa simile l’avevo usata quando ero in Scott ed una scarpa che viene dal triathlon».

Le tendenze della stagione

«Per quanto riguarda le tendenze dell’ultimo anno, queste riguardano senza dubbio i manubri: tutto il manubrio o solo le  estensioni – riprende Affini – Si va verso una personalizzazione con lo stampo del tuo braccio. In questo modo sono più aderenti, più aerodinamiche ma anche più confortevoli. Si cerca di rendere comoda una posizione aero che poi di fatto comoda non è. E per questo c’è bisogno di allenarsi tanto e anche questo fa parte dell’evoluzione.

«So che il prossimo anno ci lavorerò anch’io su questo “settore”. Quest’anno in squadra tra chi doveva vincere Tour e Olimpiadi chiaramente c’erano delle precedenze. Il team aveva cambiato bici, è passata a Cervelo, e serviva del tempo per adattarsi e rivedere i componenti».

Il casco Poc Tempor ricorda molto quelli di “Guerre Stellari” e per questo è stato ribattezzato Ufo dai corridori
Il casco Poc Tempor ricorda molto quelli di “Guerre Stellari” e per questo è stato ribattezzato Ufo dai corridori

Gomme, caschi e guanti

Ieri proprio poco prima del via, un tecnico della Jumbo-Visma ha dato un paio di ruote (basse con tanto di tre camere d’aria ad Affini), ruote che avrebbe portato a casa per allenarsi. E anche il settore delle gomme è in evoluzione. Pensate che solo ieri i nostri tre cronoman avevano tre tipologie differenti di gomme: Sobrero il tubolare, Ganna il copertoncino e Affini il tubeless.

«La tendenza è il tubeless – dice Affini – Io uso quelli e mi trovo molto bene. Consentono di utilizzare meglio sezioni più larghe. Noi in Jumbo, usiamo il 25 millimetri. E anche questa scelta tecnica di preferire una sezione maggiorata è derivata da studi fatti in galleria».

E poi ci sono i particolari. I caschi, che secondo Affini, hanno code sempre più corte e tendono a somigliarsi di più. «Ad eccezione del Poc – conclude Edoardo – Noi lo chiamiamo il casco da Ufo! E’ più largo. Dicono vada molto bene, ma incide un po’ sulla posizione, che resta un po’ fissa».

Corridori “innamorati” del 54, perché?

10.04.2021
5 min
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Velocità medie sempre più alte, preparazioni più curate, materiali più veloci… Tra le cause, e le conseguenze, di questo insieme di elementi c’è l’utilizzo da parte dei corridori di rapporti sempre più lunghi. In queste prime corse dell’anno abbiamo visto davvero tanti 54 e anche qualche 55.

Se pensiamo che alla Sanremo nell’ultima ora si è corso a 52 chilometri di media oraria (con tanto di Cipressa e Poggio), che Davide Martinelli ha rimediato un’infiammazione ad una scapola per essere stato quasi 7 ore mani a basse e pancia a terra, che lo scorso anno nella tappa di Brindisi Demare ha vinto con 51,23 di media: si capisce quanto si sia alzato il livello.

Come da nostra abitudine ne parliamo con i protagonisti: un corridore, un meccanico e un preparatore del grande ciclismo.

Sonny Colbrelli, a tutta nel Tour 2020 dove ha usato anche il 56
Sonny Colbrelli, a tutta nel Tour 2020 dove ha usato anche il 56

Parola a Colbrelli

Sonny Colbrelli è una ruota veloce ed in qualche modo ci si può anche aspettare da lui l’utilizzo di rapporti più lunghi.

«E’ vero – dice il velocista della Bahrain Victoroius – si utilizza il 54 perché si va sempre più forte. Le velocità sono aumentate, bisogna spingere di più e se la corsa è molto piatta e il vento è a favore o anche laterale si monta persino il 55 o anche 56. E’ successo in alcune tappe del Tour de France dell’anno scorso. Certo, devi avere la gamba e accade due, forse tre volte, in un anno.

«La cadenza non cambia, ti regoli con i rapporti posteriori, però all’occorrenza sai che hai più spinta. E a mio avviso non c’entra neanche la preparazione, è proprio un fatto di velocità. Io ormai il 54 lo monto anche per le tappe con salita, tanto poi si usa il 39. Se poi c’è la tappa super dura, con due salite e l’arrivo sullo Zoncolan allora uso il classico 53 e magari una corona piccola… più piccola. Se sento differenza? Con il 54 no, sono sincero, con il 55 e il 56 un po’ sì».

Generalmente quando la catena sta sui pignoni centrali disperde meno la forza
Generalmente quando la catena sta sui pignoni centrali disperde meno la forza

Questione di meccanica

Secondo Pino Toni, preparatore di lungo corso ed estremamente competente di materiali, la scelta dei rapporti maggiori non è tanto legata alla nuove preparazioni, quanto piuttosto all’evoluzione tecnica.

«E’ qualcosa che si lega molto alle 12 velocità – dice Toni – la meccanica ha fatto passi da gigante. In questo modo la catena sta più “in linea” se anziché girare l’11 o il 12 dietro, si gira il 13 o il 14 e quindi si utilizza una corona più grande. In pratica s’incrocia meno. Senza contare che oggi la rigidità delle corone è migliorata ed è importantissima. Una volta flettevano molto soprattutto se erano grandi e la catena usciva. Oggi ci sono meno limiti meccanici. La trasmissione è più filante. Inoltre girando ingranaggi più grandi c’è meno inerzia.

«Un altro dettaglio che mi fa pensare a questa tendenza è che per esempio sullo sconnesso non bisognerebbe mai usare dietro l’ingranaggio più piccolo, l’11, 10 o 12 che sia. Perché basta un momento in cui non si pedala, che la catena “allenta” un po’, salta e va ad incastrarsi tra il pignone stesso e il forcellino. Con una corona più grande si usa meno il 10 che è un pignone un po’ al limite e ha molta inerzia».

Guarnitura Sram 39-52 Trek Segafredo
La guarnitura Sram 39-52 della Trek-Segafredo
Guarnitura Sram 39-52 Trek Segafredo
La guarnitura Sram 39-52 della Trek-Segafredo

Tendenza in atto

Infine ecco l’atteso intervento del meccanico, nello specifico Mauro Adobati della Trek-Segafredo. Il meccanico è a stretto contato con i corridori e, se è vero quel che dice il preparatore e cioè che è qualcosa legato più alla tecnologia, il suo parere diventa ancora più importante.

«Effettivamente questa tendenza è in atto – spiega Adobati mentre è sul Teide con Nibali e gli altri – è qualcosa che riguarda soprattutto i corridori più veloci e più robusti e meno gli scalatori. Noi che usiamo Sram abbiamo corone da 52 o 54 denti e questo ci obbliga ad utilizzare la seconda corona rispettivamente da 39 o 41 denti. Mentre chi ha Shimano può usare il 39 sia con il 53 che con il 54. E infatti anche qualche scalatore sceglie il 54. I nostri pesi leggeri per esempio usano il 52×39. I passisti quasi tutti ormai scelgono il 54.

«Avendo il 10 al posteriore anche in discesa con il 52 non ci sono problemi, ma la corona maggiore (come diceva anche Toni, ndr) fa girare rapporti un po’ più grandi anche dietro e diminuisce così l’attrito tra maglie e pignoni. Non solo, ma consente anche incroci minori, quindi altra dispersione di energia risparmiata».

Nelle cronometro la tendenza ad utilizzare corone più grandi è accentuata
Nelle cronometro la tendenza ad utilizzare corone più grandi è accentuata

Trasmissione più fluida

Il discorso dell’incrocio della catena ormai non è più un dettaglio in questo ciclismo. Se si pensa che i pro’ montano il 30 per la Sanremo, rapporto che non useranno mai, ma solo per avere la catena più dritta, va da sé che il risparmio non è marginale.

«Ormai – riprende Adobati – si sta attenti a tutto, poi a parlare di watt oggi sono tutti pronti, ma di certo è meglio per la catena. E questo discorso degli incroci vale ancora di più a crono: è per questo che sempre più spesso si utilizza il 56 o il 58, la catena lavora ancora più dritta andando a cercare magari il 13 o il 14 (si presuppone in pianura, ndr) anziché l’11.

«Se vengono cambiate a seconda del percorso? Quasi sempre, anche se devo dire che con le 12 velocità al posteriore si ha una vasta scala di scelta. Noi abbiamo cassette: 10-28, 10-30 e 10-33. Certo, in quella da 33 c’è un bel salto (5 denti) tra penultimo e ultimo pignone, ma i corridori infatti ragionano come se avessero un cambio ad 11 velocità. Il 33 è lì se proprio dovesse servire, un’ancora di salvataggio. E infatti la scaletta più usata è il 10-30, quella preferita da Nibali, proprio perché ha un salto un po’ più piccolo. Pensate che Sram l’ha messa in produzione su richiesta dei corridori e credo che presto sarà anche in vendita».

Saliamo “nell’ufficio” di diesse e meccanici

09.04.2021
4 min
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Non si viaggia certo comodi in ammiraglia! Le vetture che danno supporto ai corridori sono un’officina vagante per i meccanici e un ufficio per i diesse.

Da un paio di stagioni ormai, in virtù del Covid, si può stare solo in due almeno in certe corse. In Belgio era così. Mentre dietro, sul sedile destro siede il meccanico.

Bici sul tetto, ammiraglia pronta a partire
Bici sul tetto, ammiraglia pronta a partire

Il regno del meccanico

Sedile posteriore destro, dicevamo. Quella è la posizione strategica per poter intervenire sulle bici sporgendosi dal finestrino, o per saltare al volo giù dalla macchina e prenderne una dal tetto. A fianco del meccanico, quindi alla sua sinistra, ci sono ruote, non meno di due coppie, e gli attrezzi, almeno quelli di pronto intervento.

Qui la sistemazione è molto personale e a volte anche legata all’auto stessa. A volte si sfrutta il bracciolo posteriore per porre gli attrezzi di prima necessità: nastro isolante, brugole, olio… E, sotto alle ruote, si mette la cassetta degli attrezzi vera e propria. Altri invece preferiscono tenersi a portata di mano direttamente la cassetta. Anche una pompa o un “trapano”, come è definito in gergo il compressore portatile, non manca mai.

Il meccanico ha il promemoria con la disposizione delle bici sul tetto dei rispettivi corridori
Il meccanico ha il promemoria con la disposizione delle bici sul tetto dei rispettivi corridori

Radiocorsa obbligatoria

Nella parte anteriore dell’auto, chiaramente al posto di guida, siede il direttore sportivo. Gli strumenti principali del suo “ufficio” sono le radio. Sì, sono al plurale: una è quella di radicorsa che le squadre sono obbligate a tenere e l’altra è la radiolina.

L’organizzazione fornisce in sede di riunione tecnica le frequenze di radiocorsa e il team si sintonizza. Da qui si conoscono distacchi, andamento della gara, situazioni di pericolo e soprattutto si è avvertiti se un proprio corridore richiede l’intervento in fondo al gruppo. In quel caso l’ammiraglia richiamata può risalire la colonna e andare verso il corridore stesso e anche le altre vetture sanno che l’auto di quel team risalirà la fila.

Tasche piene di barrette nello sportello del guidatore
Tasche piene di barrette nello sportello del guidatore

Le regole non scritte

«Con le radioline il corridore viene un po’ meno in ammiraglia – dice Giovanni Ellena, diesse dell’Androni Giocattoli – e tutto diventa più veloce. Lui ti chiama per dirti che vuole l’acqua e tu in macchina già ti muovi. Tuttavia per regolamento il corridore deve alzare il braccio altrimenti il giudice non chiama l’ammiraglia in coda al gruppo e le altre vetture non ti lasciano passare facilmente. C’è poi una regola non scritta, di fair play, secondo cui in caso di guasto meccanico e ancora di più di caduta, le altre ammiraglie agevolano il passaggio di quella interessata».

Ruote e attrezzi a fianco al meccanico
Ruote e attrezzi a fianco al meccanico

La radio del team

La seconda radio è, appunto, quella con cui il diesse comunica con i propri corridori. Anche questo strumento è ormai un must. 

In più spesso si monta un tablet (le auto più moderne hanno direttamente un video) per seguire le gare dalla tv, un ulteriore modo per essere costantemente aggiornati in tempo reale. A volte gli schermi possono essere due: in uno c’è la gara e in un altro l’altimetria o la planimetria del percorso collegata al Gps per avere sempre sotto controllo il punto in cui ci si trova e magari dare indicazioni ai corridori. Per esempio: fra cinque chilometri inizia la salita. Oppure: attenzione perché dopo quella svolta troviamo vento laterale.

Ma se il meccanico non se la passa benissimo al diesse non va meglio. Lui deve anche pensare ad un rifornimento di soccorso. Ormai tutti i team riempiono la tasca dello sportello sinistro di barrette e gel. Tra l’altro, in alcune gare è imposta la regola del separé: si tratta di una “tendina” di plastica trasparente che divide i sedili anteriori da quelli posteriori a causa del Covid.

Il bagagliao con il frigo portatile e le borse del freddo
Il bagagliao con il frigo portatile e le borse del freddo

Bagagliaio full

E poi c’è il bagagliaio. Nella parte a ridosso dello schienale, quindi “facilmente” raggiungibile dal meccanico, viene posto un frigo “stile campeggio” con acqua e borracce. Questo in alcuni casi si trova anche nel sedile anteriore del passeggero, nella parte dei piedi, se si viaggia solo in due. 

Ci sono poi tutte le borse del freddo dei corridori in gara. Borselli tipo portascarpe, ma un po’ più grandi, nei quali ogni corridore prepara del vestiario di emergenza in caso di pioggia, freddo, caduta, ritiro. E sopra alle borse del freddo ancora altre coppie di ruote.

Rapporti lunghi e profili aero verso Sanremo

20.03.2021
4 min
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Milano-Sanremo gara dal fascino imparagonabile. E questo fascino sta, lunghezza a parte, nella facilità che al tempo stesso è anche la sua difficoltà. E’ molto complicato infatti fare la differenza e per riuscirci spesso contano molto i particolari tecnici. Stamattina prima del via girando tra i bus abbiamo dato uno sguardo alle belve dei corridori. Bici tutte votate alla velocità. Ruote ad alto profilo, manubri aero e, soprattutto, rapporti più lunghi.

Quel 46 di Vdp

Partiamo proprio dai rapporti. La Sanremo non ha un dislivello eccessivo e comunque le sue scalate sono tutte molto pedalabili, senza contare che, nel finale, Cipressa e Poggio si faranno a tutta. Petacchi, quando vinse disse di aver toccato i 48 all’ora proprio sul Poggio…

Andrea Pasqualon è stato il primo a dirci di aver montato il 42-54 al posto del classico 39-53. Le condizioni meteo poi hanno anche influito su questa scelta. Bel tempo e vento laterale e leggermente a favore fin sotto la prima salita, il Colle del Giovo.

La curiosità maggiore in tal senso riguarda proprio la Canyon di Van der Poel. L’olandese è partito con il 39-53, ma sul tetto dell’ammiraglia, la sua prima bici di scorta aveva il 46-54 (quando Chiappucci vinse la Sanremo aveva il 44). Che sia previsto un cambio di bici? Che voglia attaccare sulla Cipressa e non dover spingere il 53? In Alpecin Fenix, ovviamente, sono rimasti in silenzio.

Pertanto il 54 dominava la scena, ma qualcuno è andato oltre. Sembra, non lo abbiamo pizzicato, che Nizzolo avesse il 56.

Le ruote

L’alto profilo ha dominato la scena. Con l’avvento dei freni a disco, che in pratica solo la Ineos Grenadiers non ha, sono spariti gli 80 o 70 millimetri, ma i 50 e i 45 sono i più usati.

In particolare sulla Colnago di Kristoff c’era il nuovo modello di Campagnolo Bora Wto One. Una ruota senza marchi, né adesivi con profilo da 50 millimetri e cerchio più largo.

Interessante anche la Zipp della Movistar, un profilo da 45 millimetri variabile, nel senso che sulla nipple era più alto e poi andava a degradare, per tornare a risalire sulla niplle successiva.

Un po’ controcorrente è andato Van Avermaet che aveva le Campagnolo Bora ma con profilo da 35 millimetri. Che voglia assicurarsi una buona guidabilità a scendere dalla Cipressa e dal Poggio?

Non solo rapporti…

E poi dominava in generale la pulizia delle bici, ma questa non è certo una novità: nessun cavo a vista e profili alari di tubi e manubri.

Riguardo ai manubri ormai sempre più corridori optano per quello aero ed integrato. Van Aert usa il Cs28, con l’attacco a “V”, ma due corridori della Trek-Segafredo hanno soluzioni alquanto “naif”. Skujins usa la Madone, la bici aero, con manubrio tradizionale, e Mullen us la più “classica” Emonda ma con manubrio aero. Segno che comunque certe scelte tecniche spettano ancora al corridore, che predilige il comfort o la guidabilità ai numeri di peso e aerodinamica.

Mentre visto il bel tempo, alla Cofidis che monta gomme Michelin, hanno optato per pressioni mediamente più alte rispetto agli standard attuali e quindi intorno alle 8 bar. Il meccanico le rivedeva a pochi minuti dal via.

Infine, un particolare che fa sorridere e che riguarda la Specialized del campione del mondo. Alaphilippe nonostante possa avere tutte le bici che vuole ha deciso di partire con quella usa abitualmente e con la quale deve anche essere scivolato o che comunque ha sbattuto. Nella parte bassa del carro infatti si notano i segni della vernice che manca. Come a dire: non datemi il muletto!

Gomme larghe e tubeless, la scelta delle WorldTour

07.11.2020
4 min
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Gomme: altro elemento che incide sulla prestazione in bici. Continua il nostro viaggio per capire cosa hanno di più i team WorldTour dal punto di vista tecnico.

Parlando delle gomme la prima cosa che possiamo dire è che già cinque anni fa alcuni brand, soprattutto quelli che hanno una certa esperienza nella Mtb, hanno iniziato a proporre coperture dalle sezioni maggiorate anche ai professionisti su strada.

Le nuove Continental GP5000 sulle bici della Sunweb
Le nuove Continental GP5000 sulle bici della Sunweb

Sezioni più larghe 

Come spesso accade, l’innovazione soprattutto di un componente così delicato, non è stata accolta in modo favorevole. Di fronte ai numeri però non c’è stato nulla da fare. Tra i primi a proporre il 25 millimetri c’è stato Continental. L’obiettivo era la scorrevolezza. Non solo, ma l’evoluzione delle videocamere con i super slow motion evidenziavano un “saltellamento” nettamente inferiore. E questo ha indotto anche a rivedere, e molto, le pressioni (oggi più basse).

Da quei primi 25 millimetri ne è stata fatta di strada. Contano le mescole, ma contano ancora di più le sezioni e, ancora una volta, l’aerodinamica.

Quest’ultimo discorso va a collegarsi al disegno dei nuovi cerchi, le cui sezioni sono più larghe, almeno quelle di alcuni marchi (che guarda caso utilizzano i top team). Girando tra le ammiraglie prima del via, spesso si ha la sensazione che alcune coperture, soprattutto se tubeless siano più larghe di 25 millimetri. E’ un’illusione: semplicemente la gomma è meno “costretta” nei canali. Spalla e battistrada sono più aperti. Questo comporta due vantaggi. Uno, la gomma lavora meglio in fase di assorbimento. Due, diminuisce la superficie di contatto con l’asfalto e quindi l’attrito. Volendo ci sarebbe anche un terzo punto a favore, ma è davvero minimal: la circonferenza reale aumenta di qualche millimetro, in quanto spanciando meno la gomma si estende di più verso l’esterno del cerchio. In pratica si guadagna qualcosina ad ogni giro di ruota. Ma non prendiamolo neanche in considerazione.

Ineos, si controllano le pressioni prima del via
Ineos, si controllano le pressioni prima del via

Oltre 25 millimetri

Con i carri e le forcelle più larghe in virtù del freno a disco, la frontiera si è spostata in avanti. Si vede spesso il 26 millimetri e, in alcuni casi, anche il 28. Questa scelta però oltre che soggettiva dell’atleta è stata favorita anche dal fatto che i materiali sono più leggeri. Il peso della gomma, essendo l’estremità della massa rotante, incide più di ogni altro elemento. E i corridori sono molto attenti a questo aspetto.

Le sensazioni di scorrevolezza, comfort e in ultima battuta di sicurezza hanno convinto i corridori ad utilizzare gomme più larghe. Ma ci è voluto del tempo. E spesso anche qualche imposizione. In Ineos-Grenadiers per esempio la pressione la decide uno schema preparato per ogni corridore in base alle condizioni del giorno e della gomma scelta. 

Particolari e mescole

Ci sono poi i disegni del battistrada. Quando non sono lisci un motivo c’è sempre e non è legato allo scarico dell’acqua, bensì all’aerodinamica. Quelle incisioni, tagli più o meno lunghi, servono per ridurre le turbolenze. Si parla di piccole percentuali, un paio di watt scarsi quando si viaggia oltre i 50 all’ora. Ma “lima” qua e lima là… tutto serve.

Al Giro e al Tour due gomme hanno tenuto banco. Le Continental Gp 5000 e le Vittoria Speed. Le prime sono l’evoluzione dello storico Gp 4000: hanno meno incisioni rispetto al precedente modello, un peso simile ma una mescola più scorrevole. E’ stata la gomma utilizzata dalla Ineos e dalla Sunweb.

Vittoria Speed nasce per le crono ma è sempre più usata anche nelle tappe in linea. Il perché è presto detto: è la gomma, numeri alla mano, che scorre meglio che disperde meno potenza: 7 watt a 40 all’ora ad una pressione di 8,3 bar, a fronte di una media superiore a 9 watt.

Il Vittoria Corsa Speed
Il Vittoria Corsa Speed

Futuro tubeless

Molti pro’ soprattutto quando vedono condizioni difficili, come tappe molto dure o bagnato, ancora si affidano ai tubolari. Ma la tendenza è sempre più quella di utilizzare il tubeless, soprattutto per un discorso di forature visto che la maggior parte di queste sono dei microfori che il liquido all’interno è in grado di riparare da solo. A spingere più di tutti in questa direzione sono ancora una volta Vittoria e Specialized. Sulle bici di Bora-Hansgrohe e Deceuninck-Quick Step si sono visti spesso, ma addirittura il brand californiano insiste spesso sulla camera d’aria. Secondo i test di “Specy” a 40 all’ora con un tubeless si risparmiano quasi 3 watt rispetto ad un tubolare.