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Le Pinarello Dogma F Disc 2023 di Ganna e Bernal

27.01.2023
5 min
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La Pinarello Dogma F rimane il punto di riferimento per i corridori del Team Ineos-Grenadiers, una bicicletta che si è sviluppa quasi completamente proprio sotto l’egida del team britannico.

Alla Vuelta San Juan in Argentina abbiamo curiosato e documentato quelle di Bernal e di Filippo Ganna. E spuntano anche i nuovi dischi freno Shimano Dura Ace e la nuova sella Fizik Antares Vento Open usata dal corridore colombiano, con una larghezza posteriore di 140 millimetri. Abbiamo chiesto anche al meccanico Matteo Cornacchione.

Le Pinarello del team presentano delle differenze rispetto a quelle del 2022?

No, dopo aver iniziato ad usare le Dogma F Disc nel 2022, queste stesse versioni sono state confermate anche per la stagione che è appena iniziata. Cambia la livrea cromatica, che si è adeguata alla colorazione delle maglie. Qualche variazione invece è stata fatta sui componenti.

Ci puoi dare qualche dritta?

Shimano ci ha fornito i nuovi dischi dei freni, che abbiamo iniziato a provare in questo periodo e useremo con maggiore frequenza al ritorno in Europa. Abbiamo avuto un aggiornamento su diversi modelli delle selle Fizik e ad esempio quella che usa Bernal è da considerare un aggiornamento della Antares Open. Nel periodo invernale, proprio in collaborazione con Fizik abbiamo effettuato diverse prove con tutti i corridori. Trasmissioni Shimano a 12 velocità e tubeless Continental per tutti, montati su ruote Dura-Ace con profili compresi tra 60 e 50 millimetri.

Tubeless per tutti, anche per gli scalatori?

Si, è una scelta condivisa con i corridori e una linea presa dal team. Stiamo provando una soluzione che prevede la sezione differenziata tra anteriore e posteriore, rispettivamente 25 e 28 millimetri del tubeless, con adeguamento delle pressioni. Stiamo ultimando alcune analisi di questa combinazione eseguite anche in galleria del vento. La configurazione per il tubolare è quasi sparita.

Tubeless Continental da 25 per l’anteriore
Tubeless Continental da 25 per l’anteriore
Non vedremo più i tubolari?

Difficile, magari per qualche arrivo in salita particolarmente duro e complicato. E’ anche una questione di feeling dei corridori stessi, che utilizzando sempre i tubeless, a casa e in gara, nei test e nella corse di preparazione, si adattano a quel sistema. E poi i dati a nostra disposizione parlano chiaro, i tubeless sono veloci ovunque.

Selle nuova e post incidente. Bernal ha cambiato la posizione in bici?

Non ha cambiato posizione, è rimasto, o meglio è tornato ad usare quella che aveva nel periodo pre-incidente. E’ stato fatto qualche cambiamento sugli equipaggiamenti, come ad esempio le scarpe e la posizione delle tacchette, ma si tratta di dettagli. Il suo è stato comunque un percorso progressivo e di ritorno alla forma e mobilità ottimale. Lo stesso discorso è valido anche per la bici da crono.

Che taglia di telaio usano Bernal e Ganna?

Ganna ha una Pinarello Dogma F 59,5. Bernal ha una 53 con reggisella dritto zero off-set.

Tosatto: «Rodriguez sa cosa vuole, è tosto e migliora»

23.10.2022
6 min
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Primo grande Giro concluso al settimo posto. Una caduta tremenda. Tante buone prestazioni e una tenuta psicofisica da veterano nell’arco delle tre settimane e dell’intera stagione. Vogliamo tornare a parlare di Carlos Rodriguez. E lo facciamo con chi in quella Vuelta lo ha guidato dall’ammiraglia e gli è stato vicino da Utrecht a Madrid, vale a dire il diesse Matteo Tosatto.

Il gioiellino spagnolo della Ineos Grenadiers è un campione che, a nostro avviso, dovremmo imparare a conoscere. E bene. Meno appariscente del suo “storico” rivale Juan Ayuso e di un Remco Evenepoel, non ha però meno sostanza di loro. Anzi…

Matteo Tosatto (classe 1974) è sull’ammiraglia dal 2017
Matteo Tosatto (classe 1974) è sull’ammiraglia dal 2017
Matteo, Carlos Rodriguez: cosa dici di questo atleta?

E’ un bravissimo ragazzo, molto giovane. Ha già fatto vedere belle cose. E’ arrivato da noi che era uno juniores. E la cosa più importante è che anno dopo anno si è sempre migliorato e lo ha fatto su ogni terreno: salita, crono, sprint… Quest’anno avevamo in programma di fargli fare il primo grande Giro ed è arrivato alla Vuelta consapevole di poter far bene. Aveva vinto il campionato spagnolo, una tappa ai Paesi Baschi e avendo fatto altre belle performance era fiducioso. Poi noi gli abbiamo lasciato carta bianca.

Poteva quindi attaccare, essere libero?

Poteva fare classifica o aiutare Carapaz nel caso Richard fosse stato in lotta per la Vuelta. Poi Richard è uscito quasi subito dai giochi e Carlos è stato più libero. Unico rammarico: la caduta terribile. Questa non gli ha permesso di lottare per il podio o arrivare quarto. Nei primi cinque ci sarebbe stato di sicuro. E’ arrivato settimo, ma per noi è come se fosse stato tra i primi cinque. Un altro sarebbe andato a casa.

Una brutta caduta in effetti, almeno da quel che si è visto dalle immagini…

Bruttissima. Ha mostrato una solidità impressionante. Vi dico solo che al Lombardia aveva ancora le ferite della Vuelta. Dopo la caduta è ripartito subito. Ma avendo rotto il casco lo abbiamo fermato. Ci sono dei protocolli da rispettare. Gli dicevo di fermarsi, di aspettare un attimo. E lui: “Sto bene, sto bene. Vado avanti”. “No – ribattevo io – hai rotto il casco, hai sbattuto la testa dobbiamo essere sicuri che puoi continuare”. 

Coriaceo…

Io dalla macchina gli chiedevo: “Come ti chiami?”. Lui mi guardava un po’ così, ma rispondeva bene, quasi con ironia. “Mi chiamo Carlos Rodriguez, Matteo Tosatto. E sono nato ad Almunécar il 2 febbraio 2001. Sto bene e voglio andare avanti”. Dopo una decina di chilometri, visto che si andava piano, lo abbiamo fermato. Ha parlato con il dottore. Ha fatto i suoi test per una trentina di secondi ed è ripartito.

E quella sera?

Già sul bus, poverino, era martoriato. In hotel, poi, mi diceva che gli faceva male tutto, ma anche che sarebbe potuta andare peggio. Lì ho davvero capito che non voleva mollare di un centimetro. Il giorno dopo ancora, ancora. Ma due giorni dopo ha sofferto tantissimo. Bisogna solo fargli un monumento per ciò che ha fatto. Ha mostrato un grande carattere.

E si è anche guadagnato il rispetto dei compagni?

Quello già ce lo aveva. E’ un ragazzo che si fa voler bene. Ma ho visto che dallo staff, dai meccanici ai massaggiatori, tutti hanno detto e capito quanto grande sia stato a portare a termine la Vuelta in quelle condizioni. Nelle ultime tappe gli ho detto: “Noi proviamo, ma se ti stacchi anche nei primi dieci minuti di corsa la tua Vuelta l’hai già vinta prima della caduta”. E lui: “No, la mia Vuelta finisce domenica”. Questo ti fa capire tante cose e quanto sia determinato.

Un punto forte di questo ragazzo è la testa dunque?

Assolutamente sì. Non ha mollato. Ma allo stesso tempo, a mio parere, non sente la pressione. Si concentra e s’innamora delle corse che gli piacciono. Alla sua età sa già cosa vuole. Prima di quest’anno per esempio ci ha detto: “Voglio fare la Strade Bianche perché una corsa che mi piace”. Era la prima volta che la faceva è stato l’unico che ha risposto agli attacchi di Pogacar. Idem il Lombardia e la Vuelta. Vuole migliorare ogni anno… E’ questo il piano nella sua testa ed è un piano chiaro.

Nella crono di Alicante Rodriguez è stato quarto a 1’22” da Evenepoel
Nella crono di Alicante Rodriguez è stato quarto a 1’22” da Evenepoel
In salita è un po’ al limite o per te ha dei margini ulteriori?

Per me ha dei margini. Non ha lo scatto secco o il cambio di ritmo netto, ma preferisce andare di passo e con le sue doti da cronoman e la sua giovane eta, ricordo che ha 21 anni, può fare ancora molto. Abbiamo visto i suoi dati e i suoi step di stagione in stagione e per me anche fisicamente non è del tutto maturo.

Il fatto che Carlos non abbia la “botta secca” è una limitazione nel ciclismo moderno?

Non penso. Ognuno ha il suo modo di correre, ma rispetto ad altri va più forte a crono. E sulla bici da crono ci lavora tanto e questo è di certo un punto favorevole.

Ti ricorda qualcuno? Tu sia da corridore che da diesse nei hai visti tanti…

Mah – ci pensa un po’ Tosatto – forse un Ivan Basso, uno regolare. Ha le caratteristiche di un passistone ma che va forte in salita. Non è lui che ti fa dieci scatti in salita. Però ha la capacità di essere al limite per tanto e si sa gestire in quei momenti. Ed è una cosa a dir poco importante.

Che programmi di lavoro avete previsto? 

Per ora non lo sappiamo. Nel ritiro degli scorsi giorni abbiamo stilato il programma di gare che faremo come squadra ma ancora non siamo scesi nello specifico. A dicembre, con i feedback dei coach e con gli incontri tra gli atleti e i direttori, vedremo cosa fare. E di conseguenza decideremo, soprattutto per i grandi Giri e per le classiche maggiori.

Il duello tra Carlos Rodriguez e Juan Ayuso ha infiammato la Vuelta e gli spagnoli
Il duello tra Carlos Rodriguez e Juan Ayuso ha infiammato la Vuelta e gli spagnoli
C’è la possibilità di vederlo al Giro d’Italia?

Può avere delle possibilità. Ma dipende da molte cose. Per esempio se vuol fare bene la primavera con le classiche e la Strade Bianche, o più avanti con il Catalunya e i Baschi. Inoltre dovremmo vedere chi sarà il capitano. Di certo dopo la Vuelta può provare a fare altro. L’Italia gli piace. Ama le nostre corse e magari questo inciderà. Ma essendo così solido magari dirà alla squadra: “Voglio andare al Tour”. O non mi stupirei se volesse fare la Vuelta da leader. Ma sono idee mie.

In Spagna hanno messo su un dualismo con Ayuso…

Fanno i paragoni con Ayuso perché entrambi sono vincenti, forti, giovani e lottano già dalle categorie minori. Carlos ha un anno di più… Poi dopo che anche Valverde ha smesso i media vogliono creare un po’ rivalità, fare notizia. In più sono molto diversi, come persone e come corridori.

Lo scorso anno all’Avenir, sul Piccolo San Bernardo abbiamo la sua immagine mentre attendeva il verdetto: si giocava la maglia gialla finale per una questione di secondi. Ha mostrato il suo essere ingegnere in tutto e per tutto: una sfinge. Ma è davvero così chiuso e serio o a “telecamere spente” è più aperto?

E’ professionale al 110%, ma quando si stacca il numero è altrettanto professionale… a fare festa! I genitori lo hanno educato bene. Ha grande rispetto per ogni membro dello staff. Sa cosa vuol dire fare fatica e rispetto. Ha le basi solide per una lunga e ottima carriera.

Ganna vs Evenepoel, la sfida iridata delle bici

13.09.2022
5 min
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La prossima rassegna mondiale vedrà diversi protagonisti, ma i riflettori sono puntati su due corridori. Non ci sarà Van Aert ed Evenepoel ha dimostrato di avere una gran gamba. Per noi ci saranno Filippo Ganna che lotterà per un’altra maglia iridata e con lui Affini e Sobrero.

Abbiamo chiesto a Giampaolo Mondini, uomo di collegamento tra Specialized e i team e Matteo Cornacchione, meccanico del Team Ineos (con un intervento di Federico Sbrissa di Pinarello) di fare il punto sulle bici dei due campioni. Cerchiamo di interpretare alcune scelte tecniche possibili e le curiosità legate ai mezzi meccanici per la crono mondiale.

Rispetto al passato, ci sono delle variazioni della posizione in sella, sulla bici da crono e su quella tradizionale?

MONDINI: «Remco ha cambiato la posizione in sella solo dopo il Lombardia, quello dell’incidente. Il setting è stato cambiato su entrambe le bici. Ci potrebbero essere delle variazioni in futuro sulle bici da crono, non tanto legate al corridore, quanto a nuovi parametri UCI che dovrebbero arrivare per la prossima stagione. Vedremo, ma in tal caso abbiamo già pronta la soluzione più adatta per Evenepoel».

CORNACCHIONE: «No, non ci sono state grandi variazioni e la posizione a crono di Filippo è quella ormai da tre anni, ovvero da quando ha cominciato ad usare il manubrio 3D. Una piccola differenza è presente solo nella parte alta delle appendici, tra la bici crono numero 1 e la numero 2. Ganna non ha cambiato neppure la posizione sulla bicicletta standard».

Al Giro di Germania Ganna ha usato la bici standard per la prova contro le lancette
Al Giro di Germania Ganna ha usato la bici standard per la prova contro le lancette
Quante ore sono state investite nella galleria del vento?

MONDINI: «Lo scorso inverno abbiamo fatto un giorno e mezzo, circa 15/16 ore totali di test. Le prove non consistono solo nella valutazione della posizione biomeccanica, ma si sviluppa anche con i materiali in dotazione; ad esempio i nuovi caschi».

SBRISSA: «L’attuale posizione in sella di Ganna è stata studiata/elaborata insieme al Team Ineos. Sì, è stata utilizzata la galleria del vento per creare il matching perfetto tra atleta e mezzo meccanico, senza dimenticare gli studi condotti direttamente all’interno di PinaLab. Il lavoro nel wind tunnel è stato eseguito qualche mese prima di produrre il nuovo telaio e le appendici. Ovviamente le analisi ci hanno permesso di fare dei confronti con la versione Bolide precedente.

«E’ difficile quantificare le ore spese in galleria – continua Sbrissa – ma comunque si tratta di un lavoro lungo e complesso, sicuramente necessario a questi livelli. La posizione in sella di atleti di questa caratura non si cambia praticamente mai, una volta studiata e trovata quella ottimale. Le simulazioni sui miglioramenti aerodinamici di telaio/componenti possono essere fatti tranquillamente a CFD, perché sulla base del medesimo setting del corridore, si analizzano in modo approfondito le variabili legate ai materiali».

Anche la posizione sulla bici da strada di Evenepoel non ha subito variazioni
Anche la posizione sulla bici da strada di Evenepoel non ha subito variazioni
Qual’è il range di rapporti utilizzato sulla bici da crono?

MONDINI: «Prima della Vuelta 2022 Evenepoel ha sempre utilizzato il 56, oppure il 58 come corona più grande. Alla Vuelta ha esordito con il 60 e una scala 11/30 posteriore. Non è da considerare solo la preferenza dell’atleta, quanto gli studi fatti per migliorare la linea della catena e la riduzione degli attriti. In passato erano valori difficilmente quantificabili, oggi è possibile farlo. In occasione della crono mondiale è prevista una ricognizione per vedere se utilizzerà il 60 ma, non è escluso un ulteriore aumento dei denti».

CORNACCHIONE: «Per la corona più grande le opzioni sono 58 e 60, ma la valutazione verrà fatta anche dopo la prova del percorso. L’ultima parola sarà del corridore. Il tracciato della crono mondiale non dovrebbe essere troppo complicato, ma con diversi rilanci e oltre 20 curve. La scelta del plateau anteriore verrà fatta anche in base a questo fattore, perché 20 variazioni della direzione significano rilanciare la bici in continuazione. In casi come questo è fondamentale non perdere il feeling con la velocità. Filippo per i rapporti dietro usa 11-30. Al momento opportuno verranno fatte anche delle importanti valutazioni sulle ruote, comunque tutte tubeless».

Per gli specialisti come Ganna ormai le corone grandi da 58-60 sono uno standard
Per gli specialisti come Ganna ormai le corone grandi da 58-60 sono uno standard
Corone sempre più grandi, enormi. Sono necessarie delle modifiche sul telaio?

MONDINI: «Sì, il supporto del deragliatore viene modificato ad hoc».

CORNACCHIONE: «Sulla nuova Bolide F non dobbiamo fare nessuna modifica, perché il telaio è già predisposto con un paio di soluzioni. Una supporta la corona fino a 56 denti, la seconda arriva fino alla corona da 62 denti, entrambi sono facili da gestire anche per noi meccanici».

Invece, per quanto riguarda la lunghezza delle pedivelle? Cambia rispetto alla bici standard?

MONDINI: «Si, Evenepoel utilizza pedivelle diverse: 172,5 sulla bici normale e 170 sulla crono».

CORNACCHIONE: «Ganna utilizza le stesse pedivelle, comuni alla bici normale e quella da crono. La lunghezza è di 175 millimetri».

Una delle bici Quick Step, con la “vecchia” guarnitura Dura Ace, ma con le corone 54-40
Una delle bici Quick Step, con la “vecchia” guarnitura Dura Ace, ma con le corone 54-40
Avete fatto delle sovrapposizioni tecniche tra il corridore ed eventuali avversari?

MONDINI: «Sono lavori che fa il team, legati anche ad una strategia ottimale di corsa e di come interpretare il tracciato. Il fattore principale è comunque legato a focalizzarsi sull’atleta, soluzione che permette di gestire le variabili eventuali».

CORNACCHIONE: «E’ un lavoro riservato al team, ma è ovvio che anche noi siamo sempre curiosi e cerchiamo di carpire anche i segreti degli altri. Talvolta le scelte fatte da altri corridori di altre squadre, vengono provate anche dai nostri, ma il tutto è concordato all’interno del team. A prescindere, le differenze si vedono con il tempo e con lo sviluppo dei materiali, fatto tra il team, aziende e corridori».

La nuova Ineos d’assalto che piace tanto al capo Brailsford

18.04.2022
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Si cominciava a pensare che fossero passati di moda, con Uae Team Emirates e Jumbo Visma che si stavano facendo largo con milioni e campioni e la Ineos Grenadiers verso la fine di un ciclo. L’incidente di Bernal è piombato sulla squadra come una maledizione. Non avere un potenziale vincitore di Tour dopo averne portati a casa 7 in 10 anni pareva il segno della resa. Invece i corridori di sir David Brailsford hanno cambiato passo e registro. E con aprile sono venute le vittorie di Martinez e Rodriguez ai Paesi Baschi, poi l’Amstel di Kwiatkowski, la Freccia del Brabante con Sheffield e ieri infine la Parigi-Roubaix di Van Baarle.

Da un olandese all’altro: il diesse Knaven primo a Roubaix nel 2001 e ieri Van Baarle
Da un olandese all’altro: il diesse Knaven primo a Roubaix nel 2001 e ieri Van Baarle

Ellingworth decisivo

Per questo ieri il capo è stato il primo ad andare incontro all’olandese, abbracciandolo come fece con i suoi campioni della maglia gialla. Se ne è stato per un po’ al centro del prato rimirando da lontano il podio, poi non poteva più fingere di non vedere i gesti e ci ha raggiunto alla transenna. 

«Io penso che ci siamo focalizzati sui Grandi Giri per tanto tempo – ha detto – ma ci sono due grandi corse in questo sport: il Tour de France e la Parigi-Roubaix. Abbiamo vinto il Tour un po’ di volte, ma non ci eravamo mai organizzati per domare il pavé. Perciò questo è come un sogno diventato realtà. Va dato grande merito a Rod Ellingworth (l’head coach dai capelli rossi passato per un anno al Team Bahrain, poi tornato alla base, ndr). Gli abbiamo dato tanta fiducia, lui è tornato nel team e sta lavorando davvero duramente. Per vincere qui eravamo consapevoli del fatto che si devono prendere dei rischi. Ebbene, non sono sorpreso, soprattutto dai giovani. Ad esempio Ben Turner ha fatto appena un paio di classiche sul pavé quest’anno ed è alla prima stagione: lo avete visto che grinta?».

Dopo 7 Tour negli ultimi 10 anni, Brailsford raggiante per la prima Roubaix
Dopo 7 Tour negli ultimi 10 anni, Brailsford raggiante per la prima Roubaix
Hai temuto che l’incidente di Bernal sarebbe stato un colpo fatale per voi?

E’ un grande danno, questo è certo. Questo sport si muove velocemente, non devi lamentarti e bisogna adattarsi velocemente. Spero che Egan torni presto nel team, ma nel frattempo mi godo i corridori che si prendono le proprie responsabilità, che si divertono alle gare. Devo dare merito a questo gruppo di ragazzi, perché hanno portato altro brio, il desiderio e il divertimento all’interno della squadra e tutti ne beneficiano. 

Ti aspettavi che Van Baarle potesse vincere la Roubaix?

Dylan era già stato vicino a vincere un paio di volte in modo importante. Un mondiale e il Fiandre. Corre bene ed è interessante osservare che per vincere questo tipo di gare serve gente con esperienza. Penso anche alle due settimane tra il Fiandre e la Roubaix. Penso che in questi giorni lui abbia capito come fare. E’ un ottimo corridore se mantiene la sua freschezza e credo che possa avere grosse possibilità. E’ sempre concentrato, ha imparato lungo la via. I suoi 10 anni di esperienza hanno dato frutto tutto in una volta, per un giorno speciale.

Ganna guida l’attacco della Ineos: Brailsford conquistato da tanta grinta
Ganna guida l’attacco della Ineos: Brailsford conquistato da tanta grinta
Ma intanto la Ineos… ingessata del Tour sta cambiando pelle…

Abbiamo parlato molto questo inverno a proposito del nostro modo di correre. Da quando abbiamo vinto il Giro con Tao (Geoghegan Hart, ndr) gareggiamo in maniera molto diversa. Dopo il 2020 ci siamo detti che sta bene a tutti se riusciamo ad essere un pochino più incisivi e aggressivi. Correre sempre tra i primi, assumerci più rischi. E piano piano questa mentalità sta arrivando nella squadra. La dinamica è cambiata.

Come mai?

Il merito è molto legato ai giovani che si sono scrollati di dosso i vecchi schemi. Hanno dato un forte impatto. Tom Pidcock è uno che vuole sempre attaccare. Ragazzi che prendono rischi e si fanno avanti quando vedono un’opportunità. Devo dire che Castroviejo e Thomas sono cresciuti con un’altra mentalità, ma non si tirano indietro. Devo dare merito a Geraint per la scelta di rimanere. Ha vinto il Tour, ha vinto le Olimpiadi, è uno tra i corridori più esperti nel gruppo eppure sta ancora imparando.

Wiggins distrutto dopo la Roubaix in moto con Eurosport, ha provato per anni a vincerla in bici
Wiggins distrutto dopo la Roubaix in moto con Eurosport, ha provato per anni a vincerla in bici
E’ finito il tempo del Team Sky tutto attorno a un solo capitano?

Sono passati dieci anni, credo che stiamo correndo con il collettivo. Oggi (ieri alla Roubaix, ndr) abbiamo creato il gap e poi lo abbiamo gestito vincendo la corsa. Questi ragazzi gareggiano più come gruppo unito con l’attitudine di correre rischi. Abbiamo passato gli ultimi 10 anni a organizzarci per vincere il Tour e oggi abbiamo bussato ad una porta che era chiusa fino all’anno scorso. Ero convinto che l’avremmo vinta nel 2021 con Gianni Moscon. Quando raggiungi un traguardo così, è bello poter dire che ogni singolo membro della squadra ha contribuito al successo.

La Roubaix di Van Baarle nata dall’argento di Leuven

17.04.2022
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«Dopo il secondo posto di Leuven – dice Van Baarle – mi è scattato il clic giusto nella testa. Quella medaglia d’argento è stata un momento per me importante. Ho parlato a lungo con il cittì Moerenhout. Mi ha ripetuto fino allo sfinimento che dovevo credere di più in me stesso. Ho ascoltato le sue parole. Ed ecco che cosa è successo».

Un’anca fratturata

C’è di più. Il vincitore della Roubaix, trent’anni il 21 maggio, racconta e intanto un collega olandese ci rivela un piccolo aneddoto che dà la misura della fiducia con cui Dylan Van Baarle ha sbranato gli ultimi chilometri della Roubaix.

Alla Vuelta dello scorso anno Dylan era caduto, riportando una piccola frattura dell’anca. Il mondiale per lui era finito prima ancora di cominciare, invece per qualche strano motivo, Moerenhout ha iniziato a dirgli di crederci. A due settimane dal mondiale, Van Baarle non riusciva neppure a camminare e alla fine quella medaglia d’argento si è trasformata nel lasciapassare per una nuova vita.

Van Baarle ha tagliato il traguardo con 1’47” su Van Aert. Nel 2021 era finito fuori tempo massimo
Van Baarle ha tagliato il traguardo con 1’47” su Van Aert. Nel 2021 era finito fuori tempo massimo

«Sto ancora realizzando quello che mi è successo – dice – quando sono entrato nel velodromo, mi sono voltato per controllare che fosse tutto vero. Gli ultimi metri sono stati super speciali, ma non sapevo se fidarmi della radio. Ti dicono i distacchi, ma non volevo festeggiare troppo presto. Io non ero mai entrato per primo in un velodromo, semmai per ultimo. L’anno scorso sono finito fuori tempo massimo. Poi ho visto Dave sulla riga (David Brailsford, general manager di Ineos Grenadiers, ndr) e ho capito che era vero. Non so descrivere quello che mi è successo. Quasi non so (sorride, ndr) cosa ci faccia questa pietra davanti alla mia faccia».

Mentalità speciale

Le labbra sottili, lo sguardo fisso che in certi momenti trasogna. Un metro e 87 per 78 chili, il perfetto tipo da Roubaix. L’accenno di pizzetto e la calma nel raccontarsi. Ritirato dalla Vuelta per la caduta di cui abbiamo detto. Secondo al mondiale di Leuven. Fuori tempo nella Roubaix di Colbrelli. Quest’anno, secondo al Fiandre e primo alla Roubaix. Quando nella testa scatta l’interruttore giusto, davvero non ci sono limiti.

«Potrei scrivere un libro sulla mia mente – dice – quello che mi viene in mente di dire adesso è che su quello scatto di fiducia ho costruito il mio inverno. Serve una mentalità speciale per entrare bene nelle corse, il ciclismo è cambiato molto negli ultimi due anni. Ora si attacca da lontano per fare la corsa dura e mettere i rivali sulle ginocchia per quando si farà la vera selezione. E questo modo di fare è diventato il mio punto forte. Quando ho capito che avrei potuto attaccare, Ben Turner è venuto a dirmi che lui era completamente vuoto, mi ha passato un gel e ha fatto l’ultima tirata perché potessi tornare davanti».

Ganna ha ottenuto il 35° posto, con la sensazione che la squadra lo abbia un po’ abbandonato
Ganna ha ottenuto il 35° posto, con la sensazione che la squadra lo abbia un po’ abbandonato

Il setup vincente

Il Team Ineos ha fatto la corsa dura dal secondo settore di pavé. La vittoria ora fa passare tutto in secondo piano, ma certo vedere Ganna abbandonato dai compagni mentre era alle prese con una foratura e poi con un salto di catena sarebbe parsa una nota stonata, se Van Baarle non avesse vinto.

«Cercavamo la grande vittoria nelle corse del pavé – dice – Thomas ci era arrivato vicino, Moscon ce l’aveva quasi fatta. Quest’inverno abbiamo provato i materiali e ormai abbiamo un setup all’altezza dei team migliori e questo fa la differenza per competere al massimo. Abbiamo iniziato a crederci e questo è quello che è successo. Intendiamoci, se posso scegliere tra l’asfalto e il pavé, scelgo l’asfalto. Ma adesso so che posso muovermi bene anche sui sassi. Ho deciso di attaccare prima dell’Arbre, a capo di una giornata in cui non c’era qualcuno da guardare in particolare. In una Roubaix così veloce, era importante essere nel posto giusto, senza guardare nessuno».

Per tutta la durata della conferenza stampa, Van Baarle non ha mai neanche guardato il sasso della Roubaix
Per tutta la durata della conferenza stampa, Van Baarle non ha mai neanche guardato il sasso della Roubaix

Malinconia Van Aert

L’ultima battuta è per la pietra, che per tutto il tempo della conferenza stampa non ha mai guardato né toccato, quasi in segno di rispetto. Invece adesso si ferma. Ci poggia sopra una mano e fa un sorriso da bambino felice.

«Non ho ancora pensato a dove la metterò – ammette – ma visto che a Leven non mi hanno dato nessun trofeo, devo trovare il modo di sistemarla vicino alla mia medaglia d’argento. Forse dovrò comprare un tavolo apposta».

Mentre si alza, incrocia Van Aert che sopraggiunge. Un saluto fugace, una punta di malinconia e poi un sorriso nello sguardo del belga. Van Baarle ha vinto la Roubaix, ma nella conta dei secondi posti – lui non ne sarà certo contento – il belga è davvero imbattibile.

Kwiatkowski fa il bagno nella birra. E Van Aert rinvia ancora?

10.04.2022
5 min
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L’anno scorso la beffa fu cocente. E quando il fotofinish attribuì l’Amstel Gold Race a Wout Van Aert a scapito di Tom Pidcock, alla Ineos Grenadiers rimasero piuttosto male. Così questa volta Kwiatkowski è rimasto freddo, preferendo pensare di aver perso, mentre pochi metri più in là Cosnefroy festeggiava sicuro del fatto suo. Come Alaphilippe alla Liegi del 2020, ma senza l’ombra della squalifica.

«Ho imparato da Pidcock che bisogna sempre aspettare il fotofinish – ha detto il polacco – ma ammetto che è stato tutto molto confuso. Prima delusione, poi gioia. Soprattutto dopo una gara così dura».

Kwiatkowski ha giocato benissimo lo sprint e ha dato un colpo di reni magistrale
Kwiatkowski ha giocato benissimo lo sprint e ha dato un colpo di reni magistrale

Ritorno dal Covid

Kwiatkowski non è uno qualunque da portarsi fino a un arrivo ristretto. E se vinse il mondiale da giovanissimo arrivando da solo, quando si ritrovò allo sprint della Sanremo del 2017 con Alaphilippe e Sagan, la giocò da mago della pista e li lasciò a leccarsi le ferite. Invece all’Amstel del 2015, con la maglia iridata indosso, piegò in volata Valverde e Matthews. Però questa volta il polacco ha ammesso di aver finito davvero al limite.

«Gli ultimi quindici metri – ha detto – sono stati immensamente difficili. Ero fiducioso di vincere, ma è stata davvero dura. Mi ero reso conto che Cosnefroy aveva lavorato molto. Con Pidcock dietro di noi, non spettava a me fare il ritmo. Ad ogni modo, questa vittoria è molto gratificante. Ho avuto il Covid, ho avuto molta febbre, le persone intorno a me si sono ammalate. E’ stato un periodo difficile. Poter vincere questa gara che amo così tanto per la seconda volta è fantastico per me e per il team».

A ben vedere per il team Ineos Grenadiers il momento è d’oro, dopo gli squilli di Martinez e Rodriguez dai Paesi Baschi.

Vdp verso Roubaix

Chi invece ha mostrato il fianco a una condizione non ancora ottimale e senza troppe corse nelle gambe, è stato Mathieu Van der Poel, fresco vincitore del Fiandre e arrivato quarto a 20 secondi dal vincitore.

«Alla fine – ha commentato l’olandese, che proprio vincendo l’Amstel si presentò al grande ciclismo – ero dove dovevo essere in finale, ma in una gara del genere devi davvero essere super. Soprattutto quando sei nel gruppo di testa e devi reagire a ogni imprevisto. E io oggi non ero super. L’Amstel ha salite più lunghe dei muri del Fiandre. Sono stato bravo, ma non abbastanza».

Van der Poel sarà anche al via domenica prossima alla Parigi-Roubaix per provare a mettere per la prima volta nel suo palmares l’Inferno del Nord.

E Van Aert cosa fa?

«Un’altra triste domenica», ha scritto Wout van Aert su Instagram, costretto a saltare anche l’Amstel Gold Race dopo il Fiandre. E siccome da queste parti non si aspetta altro che il duello tra lui e Van der Poel, la Roubaix è parsa a lungo l’occasione giusta. Invece forse non sarà così.

«Ho letto da qualche parte – ha spiegato Richard Plugge, tecnico della Jumbo Visma – che le possibilità di partecipazione per Wout sono cinquanta e cinquanta, ma non si può dire così. Stiamo esaminando come si sviluppa ulteriormente la situazione e in base a ciò prenderemo una decisione. Preferirei che i miei corridori si prendessero altre due, tre o anche cinque settimane di riposo dopo il Covid, in modo da essere al top più tardi. E’ ancora molto difficile stimare l’impatto della malattia. Io stesso ho avuto il Covid due anni fa e mi ha infastidito molto. Quindi dobbiamo davvero essere sicuri che tutto sia a posto a tutti i livelli. Anche con il cuore».

Ganna, Viviani e Pidcock: le loro bici per la Sanremo

19.03.2022
6 min
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Abbiamo assistito alle operazioni preliminari per il set-up delle bici Pinarello Dogma F Disc del Team Ineos-Grenadiers, in vista della Milano-Sanremo 2022. Matteo Cornacchione e lo staff dei meccanici puliscono le bici, montano i componenti richiesti dai corridori ed eseguono gli ultimi controlli. Tutto deve essere perfetto.

Lavaggio, controllo e set-up dopo la sgambata del mattino
Lavaggio, controllo e set-up dopo la sgambata del mattino

Soluzioni in comune

Tutti gli atleti sono partiti con pneumatici tubeless Continental e la sezione scelta è quella da 28. La variabile è legata alle pressioni di esercizio, che dipende principalmente dal peso del corridore e dalle preferenze soggettive. Tutti gli atleti Ineos usano i manettini in linea alla piega manubrio, non curvati all’interno. Tutte le Pinarello Dogma F Disc hanno un chain-catcher per evitare la caduta della catena tra le corone e la scatola del movimento centrale. A questo si aggiunge una sorta di spessore nella parte bassa del telaio, una sorta di salva fodero basso, lato catena. Tutti gli atleti utilizzano la medesima scala pignoni, ovvero 11-30.

La Dogma F di Ganna

Ganna utilizza una taglia 59,5 e la bici configurata per la Milano-Sanremo 2022 è la numero 1 (tra quelle di TopGanna). Il campione del mondo a cronometro utilizza una sella Fizik Arione R1, con rails in carbonio. Il manubrio è full carbon Most, con stem da 130 millimetri e largo 40 centimetri. L’attacco manubrio è in battuta sullo sterzo

Ganna ha optato per le ruote C60 Shimano Dura-Ace, con cerchio tubeless. Gli pneumatici sono i Continental GrandPrix 5000S TR, con sezione da 28. La pressione di gonfiaggio varia tra le 5 e 5,5 atmosfere. Il doppio plateau anteriore 54-39, mentre i pignoni hanno la scala 11/30. La guarnitura è Shimano Dura-Ace, ma della versione ad 11v e comprende il power meter (vecchio modello). Le pedivelle sono lunghe 175 millimetri. Nel complesso la trasmissione è Shimano Dura-Ace 12v.

La bici di Viviani

Anche Elia Viviani usa una Dogma F Disc, nella misura 53. Un set-up molto simile a quello di Ganna, per cockpit, ruote e coperture. Il manubrio integrato è in battuta sullo sterzo, senza spessori. La sella è una Fizik Arione, ma nella versione 00, la più leggera e con un’imbottitura risicata.

E’ molto interessante la scelta dei rapporti, perché il corridore veneto userà i pignoni con scala 11-30 e le corone 52-36. Una scelta non usuale per un velocista e considerando le tendenze attuali. La lunghezza delle pedivelle è di 172,5 e la guarnitura, misuratore incluso, si riferisce all’ultima release Dura-Ace.

Il setting di Pidcock

Il corridore britannico utilizza una taglia 46,5, con la trasmissione Shimano Dura-Ace 12v (53-39 e 11-30). Le pedivelle sono lunghe 170 millimetri, con la guarnitura e il power meter della versione Dura-Ace precedente a quella 2022. Il manubrio integrato ed in carbonio è il Most Talon Ultra (110×40). La sella è una Antares R1 di Fizik ed è piuttosto scaricata verso il retrotreno, un setting che ricorda quello usato nel cross. Tra lo stem e lo sterzo, Pidcock preferisce far inserire uno spessore di 1 centimetro. Passando al comparto ruote, ci sono le nuove Dura-Ace C50 tubeless. Anche in questo caso abbiamo le coperture Continetal da 28 millimetri di sezione.

Kask Wasabi, quello con la cover integrata

23.12.2021
5 min
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Il Kask Wasabi è il primo casco della gamma con una cover che slitta dal basso verso l’alto e viceversa. E’ un meccanismo che identifica il prodotto ed ha una valenza tecnica ben precisa, ovvero personalizzare il flusso d’aria nella sezione frontale e cambiare la temperatura nella zona della nuca. Wasabi ha un design e un DNA propri. Lo abbiamo provato e questi sono i nostri feedback.

Il Kask Wasabi visto di lato e con la cover in modalità “aperta”
Il Kask Wasabi visto di lato e con la cover in modalità “aperta”

Difficilmente paragonabile

Non si tratta solo di argomentare un casco per la bici, ma di snocciolare le diverse particolarità di un casco tecnicamente molto interessante. Kask Wasabi fa collimare il design aerodinamico ad un concept protettivo che riduce e/o consente l’aumento della temperatura interna di 1,5°. Questo avviene con una soluzione meccanica e grazie alla calotta superiore. Quest’ultima scivola verso il retro (e verso l’anteriore basso) con un semplice gesto e con una pressione ridotta della mano. E poi ci sono le imbottiture, morbide e con uno spessore importante, con la superficie a contatto della pelle (o dei capelli) che è in Lana Merino. Questa soluzione garantisce una termoregolazione migliore, rispetto ai pads tutti sintetici. La cura dei dettagli e alcune soluzioni di alto livello, lo rendono vicino agli altri della gamma Kask, al Protone e all’Utopia, ma non accostabile in fatto di performances.

Il protocollo Kask WG11

E’ un acronimo che identifica il sistema di valutazione dei test d’impatto, una procedura alla quale sono sottoposti i prodotti Kask. Si inizia proprio con l’assemblaggio che avviene con tre parti ben distinte e poi unite tra loro. Il mold interno è un blocco unico, compatto e ben protetto grazie alla calotta esterna e a quella inferiore perimetrale. Questa soluzione è favorevole anche alla longevità tecnica della zona interna. Nell’insieme si ha anche un casco ben rifinito ed estremamente curato nei dettagli. Il design arrotondato fa il resto, perché aumenta il potere di scivolamento e distribuisce le forze negative che si generano in caso d’impatto.

Le nostre impressioni

A nostro parere “relegarlo” al solo utilizzo stradistico è riduttivo, perché conferma la sua versatilità in diverse fasi.

  • Quando la slitta è abbassata, la testa è protetta dal freddo, dall’aria in entrata e non si ha quella sensazione di raffreddamento che passa dalla nuca al collo. Al tempo stesso sono rare le occasioni nelle quali il calore aumenta in modo esponenziale, perché le feritoie superiori e posteriori non bloccano lo scambio dell’aria. Questo è un fattore da considerare per un eventuale impiego in un contesto off-road, gravel e ciclocross. Si, lo abbiamo utilizzato anche nel cx, beneficiando del posteriore arrotondato, senza code e spigoli, che limitano le interferenze quando si corre con la bici in spalla. Anche la zona sopra le orecchie non crea compressioni, così come i due punti a ridosso della zona sfenoide.
  • Quando la cover è sollevata si apre un’ampia “bocca”, alla quale va aggiunta un’asola superiore. L’insieme sembra voler comprimere l’aria aumentando la velocità del flusso, rispettivamente verso la fronte e la nuca. In aggiunta ci sono le comode imbottiture (quella centrale più grande è impercettibile), che tengono la parte rigida del casco ben sollevata. A nostro parere mancano due “garage” per inserire le aste degli occhiali. Eccellente il sistema di regolazione della taglia, che si sviluppa grazie alle fibbie con la chiusura a buckle (il cinturino in eco-pelle è un valore aggiunto non da poco, perché oltre al resto non trattiene il sudore) e alla gabbia posteriore, regolabile su tre posizioni: altezza, orizzontale e perimetrale.

In conclusione

Scriviamo di un casco da 300 euro (prezzo di listino). Il prezzo non è di quelli popolari, ma è pur vero che la qualità del Kask Wasabi è superiore alla media della categoria. Il suo design “tuttotondo” è funzionale alla sicurezza e alla performance, ma deve piacere e deve essere capito. In parallelo abbiamo un casco che una volta indossato è compatto, perfettamente aderente, con quel fit che non ha punti di pressione ed è ampiamente regolabile. Uno dei vantaggi di questa sua forma è la capacità di “vestire” l’utilizzatore, che non è per forza e solo l’agonista e il professionista. Il comfort è quel valore aggiunto che, ti aspetti quando la ventilazione è completa, ti colpisce in maniera molto positiva quando la calotta è ribassata ed il casco è chiuso e non si tratta di limitare esclusivamente l’ingresso dell’aria fredda.

La storia di Thomas, gallese orgoglioso, all’assalto del Tour

23.06.2021
8 min
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La prima volta che Geraint Thomas andò al Tour de France aveva 21 anni, era campione del mondo nell’inseguimento a squadre e indossava la maglia della Barloworld in cui l’anno dopo sarebbe approdato Chris Froome. Sono passati 14 anni e il gallese che si accinge a correre per l’undicesima volta la corsa francese nel frattempo ha fatto strada e conquiste, anche se per qualche inspiegabile motivo qui da noi si tende a sottovalutarlo.

Nel 2008 e nel 2012, Geraint ha conquistato l’oro olimpico nell’inseguimento a squadre e al pari di Wiggins è poi riuscito a vincere il Tour. Solo al Giro gli è sempre andata male, non si capisce se per sfortuna o l’attitudine non spiccata alla guida sulle più nervose strade italiane. E ora che il Team Ineos Grenadiers lo schiera alla Grande Boucle come leader accanto a Carapaz (sembrando però preferirgli l’ecuadoriano) siamo andati a rileggerne la storia attraverso le sue parole.

Thomas debutta al Tour nel 2007: ha 21 anni, corre alla Barloworld
Thomas debutta al Tour nel 2007: ha 21 anni, corre alla Barloworld

La bici per caso

Thomas è nato a Cardiff il 25 maggio del 1986 ed è arrivato al ciclismo dopo aver giocato a calcio, rugby e aver fatto nuoto.

«Stavo nuotando nel Maindy Leisure Centre – racconta a People’s Collection Wales – e ho visto un annuncio pubblicitario per l’avvio di un club per bambini, il Maindy Flyers. Mi sono iscritto e intanto giocavo ancora a rugby e un po’ a calcio. Crescendo, i colpi nel rugby iniziavano a farmi male, così smisi. Ho iniziato a diventare abbastanza forte nel nuoto e mi proposero di andare la mattina prima della scuola, alle 5,30. Pensai che fosse folle e puntai tutto sul ciclismo. Me la cavavo, ma su scala locale. Quando poi sono diventato uno junior e ho vinto i mondiali nello scratch a Los Angeles, ho davvero pensato: “Posso guadagnarmici da vivere”. Fino a quel momento, c’erano solo delle persone che mi dicevano: “Hai talento”. Ma una cosa è crederci, un’altra è farlo davvero».

Nel 2008 a Pechino vince il primo oro nel quartetto con Clancy, Manning e Wiggins. Si ripeterà a Londra 2012
Nel 2008 a Pechino vince il primo oro nel quartetto. Si ripeterà a Londra 2012

La scoperta del mondo

La bicicletta è la chiave per conquistare il mondo, scoprendolo a piccoli passi. Prima i dintorni di casa, poi attraverso sfide sempre più lontane.

«Il Galles è decisamente buono per fare ciclismo – dice – ho corso e pedalato in tutto il mondo, ma è fantastico tornare a casa e allenarsi. I percorsi sono duri, va bene, ma bastano pochi chilometri e sei fuori Cardiff e puoi andare ovunque. Il bello di questo sport è nel fatto che sei libero di andare dove vuoi, soprattutto quando sei giovane. Puoi esplorare. E’ bello uscire e trovare strade nuove che non conosci. Che nevichi o piova, dobbiamo uscire e allenarci. Mi piace mantenere una buona routine. Esco sempre verso le 9-9,30 qualunque sia il tipo di lavoro che devo fare. Amo andare in bicicletta, anche se ovviamente alcuni allenamenti specifici, come le ripetute, non sono troppo divertenti. Sono difficili, ma ci sono lavori molto più pesanti, quindi sono abbastanza fortunato».

Chili in più, chili in meno

Lavoro duro e alimentazione corretta: correre nel team che ha riscritto la letteratura dell’allenamento significa avere un punto di vista privilegiato sul tema.

«La dieta è estremamente importante su strada – spiega – mentre se porti un chilo o due in più su pista, non importa perché è tutta una questione di potenza e di girare veloce nel velodromo, quindi il peso non è troppo importante. Ma, una volta che devi correre un Tour de France, il ruolo dell’alimentazione è enorme. Se porti uno o due chili in più per tutta la gara, allora spendi tanta energia in più. Nel team abbiamo da anni un nutrizionista con cui lavoriamo a stretto contatto. E sembra funzionare…».

Nel 2017 sta già cambiando pelle. Ha già vinto la Parigi-Nizza 2016, ora tocca alla Tirreno
Nel 2017 il gallese sta già cambiando pelle, vince la Tirreno

Dalla pista alla strada

Dalla pista alla strada, il passo non è niente affatto semplice. Hai voglia di tirare Ganna per la manica, se bastasse convincersi di poterlo fare, il gioco sarebbe fin troppo banale.

«La pista è dove sono cresciuto – dice Thomas – e ho vinto le mie medaglie d’oro olimpiche. E’ molto più veloce, il tempo è strettissimo. Quando passi alla strada e magari val al Tour, si tratta di passare tutto il giorno in bicicletta. Eppure si completano. La pista è veloce e nervosa, hai bisogno di una buona capacità di guida. Questa però aiuta molto quando si tratta di stare in gruppo al Tour. Al contrario, la strada ti dà la forza e la resistenza per la pista. L’allenamento in pista è scientifico e preciso. Su strada, è tutto più libero e tutto può succedere».

Nel 2017 vince il Tour of the Alps, punta al Giro, ma cade sul Block Haus
Nel 2017 vince il Tour of the Alps, punta al Giro, ma cade sul Block Haus

Il miracolo del Tour

Il primo Tour è stato pazzesco. Dice di non aver mai sofferto tanto e ben si comprende se l’abitudine è quella delle gare in pista appena descritte.

«Ogni giorno – racconta – tagliavo il traguardo e pensavo: “Non c’è modo che io possa partire domani. Non riesco assolutamente a salire sulla bici”. Poi andavo a letto, mi svegliavo la mattina dopo e dicevo: “Devo iniziare. Ci provo ancora”. Salivo in bici e non volevo più arrendermi. E alla fine ce l’ho fatta e mi ha dato tanto, mentalmente e fisicamente».

Quante cadute…

Thomas cade spesso. E’ caduto al Delfinato aspettando Porte e anche al Giro dello scorso anno nella tappa dell’Etna, perché si fece trovare a centro gruppo in un tratto di pavé dove le borracce iniziarono a saltare. Il limite di essere cresciuto senza un campione esperto accanto è proprio questo. Wiggins è stato un modello, ma cosa vuoi imparare se anche lui aveva gli stessi problemi?

«Ho avuto cadute – dice – più volte. Nel 2005, eravamo a Sydney, andando in pista. Sulla strada c’erano dei detriti metallici, uno è schizzato dalla bici del corridore davanti a me, è finito nella mia ruota anteriore e sono stato sbalzato. Cadendo ho colpito il manubrio, che mi ha rotto la milza. Hanno provato a salvarla, ma nella notte la asportarono. Ho una grande cicatrice lungo tutto il petto. All’epoca fu piuttosto spaventoso, soprattutto perché ero lontano dalla mia famiglia e dai miei amici. Per fortuna la federazione fece venire i miei genitori e mio fratello, che rimasero con me per la settimana in cui uscii dall’ospedale. Penso che mio fratello sperasse che rimanessi in ospedale un po’ più a lungo perché amava starsene in spiaggia».

Altro incidente al Giro del 2009, nella crono delle Cinque Terra vinta da Menchov. Thomas cadde in discesa e si ruppe il bacino e lo scafoide della mano destra. Altro Giro, altra caduta, ma questa non per colpa sua: era il 2017, finì contro una moto sulla salita del Block Haus, tenne duro per qualche giorno poi si ritirò. Quello stesso anno, ma al Tour, cadde con Porte e si ritirò nella discesa de Mont du Chat verso Chambery.

Nel 2019 scorta Bernal a Parigi, dopo essere stato a lungo leader Ineos
Nel 2019 scorta Bernal a Parigi, dopo essere stato a lungo leader Ineos

La bandiera del Galles

L’appartenenza gallese batte forte nel suo petto e racconta che il suo più grande rammarico fu non aver potuto avere la sua bandiera alle Olimpiadi di Pechino. La portò però sul podio di Parigi quando nel 2018 vinse il Tour (foto di apertura)

«Ricordo di essere gallese – dice –  soprattutto quando oltrepasso il confine con l’Inghilterra. Se entri in un pub e sei gallese, li senti fare battute sul rugby o sulle pecore. Penso che il solo partire dal Galles rafforzi la passione per il Galles. Te lo senti dentro che rappresenti il tuo Paese, come quando vai alle Olimpiadi. A Pechino, la prima volta, ero lì per la Gran Bretagna, ma anche per il Galles, perché non ci sono molti atleti gallesi che hanno avuto questo onore. Quando scoprii che non avrei potuto sventolare la mia bandiera, sono rimasto deluso, perché sarebbe stato bello fare un giro d’onore con la bandiera gallese, per mostrare alla gente da dove vengo».

Al Delfinato 2021, il gallese batte Sagan in volata a Saint Vallier, poi aiuta Porte
Al Delfinato 2021, il gallese batte Sagan in volata a Saint Vallier, poi aiuta Porte

La valigia già pronta

Da sabato questo ragazzo divertente di 35 anni sarà al via del Tour. Negli anni, oltre ad averlo vinto, ha scortato al successo Froome e Bernal. Vedremo quest’anno come finirà con Carapaz, scheggia di cultura latina nel blocco di sudditi della Regina, che oltre a Thomas vede anche Yates e Porte.

«Tre parole per descrivermi? Rilassato – sorride – felice per la maggior parte del tempo. Mi piace il cibo. Non so se c’è una parola per questo! Amante del cibo! Sì, un po’ più di tre parole, ma ci siamo. Questo sono io».