Dmt e RCS rinnovano: è la scarpa ufficiale del grande ciclismo

12.03.2022
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Squadra che vince non si cambia… e fedele a questa arcinota (e verissima) affermazione, Dmt ha rinnovato anche per questa stagione la propria partnership di sponsorizzazione e collaborazione con le gare targate RCS Sport. Dalle Strade Bianche, andata in scena appena una settimana fa e stravinta da Tadej Pogacar (che di Dmt è il primo testimonial) fino al Giro di Lombardia, passando per Milano-Sanremo, Giro d’Italia e Tirreno-Adriatico, il brand produttore di calzature per ciclismo di proprietà del Gruppo Zecchetto affianca la propria immagine e i propri prodotti alle corse più storiche, iconiche e seguite del nostro paese.

Strategia e pianificazione

Ma il rapporto tra Dmt e RCS Sport non si esaurisce esclusivamente in un semplice accordo di sponsorizzazione. Va oltre, ma molto oltre. E per capirlo fino in fondo, o meglio per comprendere quanto sia strategica ed organizzata questa iniziativa Dmt, abbiamo colto lo spunto della Tirreno Adriatico per scambiare qualche battuta con Mauro Scovenna, che dello stesso brand calzaturiero è Marketing e Events Manager.

Allora Mauro, raccontaci qualcosa in più di questo vostro impegno con RCS Sport…

Siamo partiti l’anno scorso proprio con la Tirreno-Adriatico. Una partenza in corsa, come si suol dire, considerando che decidemmo di chiudere l’accordo con RCS appena qualche giorno prima del via della Corsa dei due Mari. Quest’anno abbiamo rinnovato. Convinti e sospinti dagli ottimi risultati commerciali delle nostre linee di calzature per il ciclismo. Un accordo che a tutti gli effetti ci qualifica come la scarpa ufficiale di tutte le più grandi manifestazioni ciclistiche in Italia, e non solo.

Quanto è importante questa vostra presenza itinerante?

Moltissimo. Seguiamo tutte le corse con un nostro mezzo. Siamo sempre presenti in zona arrivo. Ma soprattutto ogni giorno organizziamo esposizione e test, per chiunque lo desideri, mettendo a disposizione tutta la collezione Dmt in tutte le misure disponibili. Questo è un aspetto che merita di essere messo in evidenza. Chi ci raggiunge sul truck Dmt può provare la scarpa che desidera nel numero che vuole (abbiamo anche le cosiddette mezze misure…) per così essere certo di poter poi acquistare presso il proprio negoziante di fiducia esattamente la scarpa Dmt desiderata e soprattutto nella misura più corretta. Tutte le scarpe in prova sono naturalmente igenizzate nel pieno rispetto delle normative vigenti in materia di Codid-19, e per ciascun test regaliamo come gadget un esclusivo paio di calzini firmati Dmt.

Il vostro rapporto con i professionisti è trasferibile verso i cicli amatori?

L’impegno di Dmt con i corridori professionisti, e più in generale con il mondo delle corse professionistiche, ha origini lontane. Fa parte della nostra tradizione, è nel nostro Dna aziendale. Oggi Dmt è ai piedi di corridori del calibro di Tadej Pogacar, Elia Viviani e del giovanissimo fenomeno spagnolo Juan Ayuso. Come team forniamo la Eolo Kometa e la Intermarché Wanty Gobert. Tutta la nostra tecnologia, tutto il nostro know-how e i feedback preziosissimi dei corridori sono costantemente messi a disposizione per realizzare le scarpe migliori per la nostra clientela. E la nostra clientela sono i ciclo amatori. Iniziative come quelle che organizziamo alle corse RCS sono proprio mirate sia a fidelizzare la nostra clientela quanto a fornire un servizio concreto a quelli che decideranno di sceglierci in futuro per poter… pedalare assieme.

Mauro Scovenna, Marketing & Events Manager Dmt
Mauro Scovenna, Marketing & Events Manager Dmt
Che riscontro stanno avendo nello specifico i modelli KR0 e KRSL?

Molto, molto positivo. Viviani è il testimonial perfetto per il modello KR0, lanciato l’anno scorso  in occasione della rassegna expo Eurobike in settembre e caratterizzato dal sistema di chiusura con il doppio Boa. Elia è un grande amico di Dmt e lo sviluppo della nostra tecnologia lo ha sempre visto attivo protagonista, sia su strada quanto su pista. Le KRSL invece sono semplicemente le scarpe di Tadej… quelle con i lacci, con già due Tour de France sulle spalle ed una Strade Bianche che a ricordarla mi viene ancora la pelle d’oca!

Dmt

Il ritorno di Barguil grazie all’erroraccio dei più forti

11.03.2022
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Barguil finì quel Tour con una luce selvaggia negli occhi, dopo una stagione di sfortuna nera che veniva da un altro anno particolare. Nel 2016 c’era anche lui – vincitore di due tappe alla Vuelta del 2013 quando aveva ancora 22 anni – nel gruppo di corridori travolti a Calpe da un’auto contromano. Incidente che costò a lui lo scafoide e a Degenkolb la perdita di un dito e la carriera.

Al Tour del 2017, Barguil vinse la sua seconda tappa sull’Izoard
Al Tour del 2017, Barguil vinse la sua seconda tappa sull’Izoard

Dalla Sunweb alla Arkea

Classe 1991, un anno meno di Pinot e Bardet, disse sin da subito di non avere le gambe e la testa per giocarsi il Tour. Eppure il Tour lo chiamava e il Team Sunweb credeva in lui, perciò fu una mazzata la caduta al Giro di Romandia dell’anno successivo in cui si ruppe il bacino. Rientrò malamente al Delfinato. Soffrì al Tour, ma ne uscì con due tappe vinte e la maglia a pois. Poi sposò il progetto di una piccola squadra – la Fortuneo-Samsic – fece uscire dai gangheri il management della Sunweb e da quel momento iniziò il blackout, interrotto oggi sul traguardo di Fermo alla Tirreno-Adriatico.

«E’ una lunga storia – sorride – quella piccola squadra ha avuto bisogno di crescere. Venivo da grandi team e ho messo il mio tempo e la mia energia nel far sviluppare il team che ora si chiama Arkea-Samsic. Nel frattempo però sono arrivati corridori fortissimi, che fanno sembrare i miei 6,5 watt per chilo una piccola potenza. E io che non ho certo i loro numeri, ho capito di non poter fare corsa di testa e preferisco sfruttare la tattica di tappe in fuga».

In avvio di tappa, attacco di Alaphilippe: il campione del mondo è in cerca della condizione
In avvio di tappa, attacco di Alaphilippe: il campione del mondo è in cerca della condizione

L’errore di Pogacar

La tappa di Fermo, quella dei cosiddetti Muri fermani, ha detto soprattutto che il UAE Team Emirates ha mal considerato la fuga. E quando nell’ammiraglia si sono resi conto che davanti Benjamin Thomas pedalava da chilometri con la maglia di leader virtualmente sulle spalle, hanno preso la squadra e l’hanno spremuta. Formolo, Majka e Soler hanno fatto egregiamente il loro dovere. La fuga è stata quasi tutta riassorbita, ma complice un incredibile errore di percorso di Pogacar, Evenepoel e Vingegaard, Barguil ha conservato il margine che gli ha permesso di vincere.

«Eravamo in discesa – ha raccontato Pogacar – la strada principale si vedeva benissimo, la curva no. C’era una piccola freccia sulla destra, era impossibile a quella velocità vederla. Penso che senza quell’errore sarebbe cambiato tutto. Evenepoel e Vingegaard stavano andando forte e io con loro. Volevamo vincere la tappa, probabilmente ci saremmo riusciti».

Formolo, poi Majka e Soler hanno fatto il lavoro duro per tenere la fuga nel mirino
Formolo, poi Majka e Soler hanno fatto il lavoro duro per tenere la fuga nel mirino

L’errore di Remco

Il rammarico ovviamente è stato superiore per Evenepoel, che ha attaccato forte e poteva finalmente giocarsi la tappa.

«Oggi mi sentivo bene – ha detto il belga – e avevo una squadra fantastica intorno a me, che ha lavorato duramente per proteggermi. Quando la UAE ha preso il controllo del ritmo, la velocità è aumentata e ho capito che era arrivato il momento giusto per attaccare. Sono stato raggiunto solo da Pogacar e Vingegaard e siamo andati a tutto gas. In quella discesa non c’era quasi niente o nessuno a indicarci che dovevamo andare a destra, quindi invece di girare abbiamo continuato dritti e il nostro attacco si è concluso lì. Per fortuna ho avuto le gambe per recuperare il gap e con l’aiuto di Ballerini sono riuscito a rientrare nel gruppo, ma è un peccato come sono andate le cose in un momento in cui sembravano così belle».

Buon terzo posto per Simone Velasco, al primo podio in maglia Astana
Buon terzo posto per Simone Velasco, al primo podio in maglia Astana

Al Giro nel 2023

Barguil ringrazia e ride senza ritegno, come quando ti scrolli di dosso una maledizione. Va bene che la squadra dovesse crescere, ma era tempo di trasformare in vittoria la lunga fila di piazzamenti degli ultimi anni.

«Non ero mai stato alla Tirreno-Adriatico – racconta – e la trovo più dura della Parigi-Nizza, ma molto meno stressante. Non ci sono ventagli tutto il giorno. Ho scoperto di trovarmi molto bene con queste strade e mi dispiace davvero molto che la squadra non farà il Giro. Vincere una tappa sarebbe stato l’obiettivo della stagione. Ma la mia carriera non finisce qui, perciò ci tornerò l’anno prossimo. Io non ho vissuto sulla mia pelle le pressioni di Pinot e Bardet, cui hanno sempre chiesto di vincere il Tour. Io ho detto subito di non averne le qualità, perché conosco le mie possibilità. Ci alleniamo sempre duramente. Facciamo i nostri training camp. Stiamo per mesi lontani dalle nostre famiglie. I risultati possono venire come no, ma non si possono fare commenti in base a questo».

Era stato in fuga anche ieri, come sentendo nelle gambe che la forza giusta fosse in arrivo. Chissà se domani sulla salita che chiamerà in prima fila gli scalatori vorrà mettersi nuovamente alla prova. Di sicuro, con Evenepoel che insegue Pogacar ad appena 9 secondi, qualcosa su e giù dal Cippo succederà.

Tadej a mani basse. Ma zitto, zitto Ciccone…

10.03.2022
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La vera notizia che arriva da Bellante, quarta tappa della Tirreno-Adriatico, non è la vittoria di Tadej Pogacar, a quella ci siamo ormai “abituati” è il crudele destino che spetta ai super numero uno. Per loro c’è solo la vittoria. E lo sloveno non ha tradito le attese, ciò che molti danno appunto per scontato, ma che scontato non è.

Prima parte di gara tra l’Appennino reatino. Si è pedalato tra il Terminillo e il Monte Gorzano
Prima parte di gara tra l’Appennino reatino. Si è pedalato tra il Terminillo e il Monte Gorzano

Destini incrociati

Ma quindi qual è la notizia di giornata? La news del giorno è Giulio Ciccone. Finalmente si è rivisto l’abruzzese. Saranno state le strade di casa, sarà che le cose stanno finalmente girando per il verso giusto, ma Cicco si è incollato alla ruota di Pogacar e l’ha tenuta finché ha potuto.

Si vedeva proprio. Lo marcava stretto. Aveva battezzato la sua ruota, come di solito si vede fare tra i velocisti. Per i suoi (tanti) tifosi questa è musica.

Destini incrociati tra i due: uno condannato a vincere, l’altro che ha una voglia di riscatto incredibile. Un quinto posto che vale tanto. per certi aspetti più della vittoria di Tadej. Bisogna pensare anche che Cicco ha fatto molta base e pochissimi lavori esplosivi. I fuorigiri li ha fatti quasi solo in gara (oggi era il 10° giorno di corsa della stagione).

La lucidità di Tadej

I tre chilometri di salita finale verso Bellante sono stati poco meno di 8′ intensi. Quasi come un Poggio a San Remo. Pogacar il re che controllava, tutti gli altri erano coloro che cercavano di spodestarlo. Lui aspettava solo il momento dell’attacco. Ed è incredibile la descrizione che fa e la lucidità con cuoi la fa.

«Ci sono stati chilometri veloci nell ‘approccio all’ultima salita – spiega il capitano del UAE Team Emirates – ma Soler ed io abbiamo sempre risposto bene. Ho sempre controllato tutto. C’erano molti corridori che nel finale mi preoccupavano. L’ultima, era un tipo di salita che non lasciava spazio a distrazioni e se io non avessi seguito chi tirava, quello sarebbe potuto andare via.

«Aspettavo questo attaccato e quando ai 600 metri c’è stata un’accelerazione importante ho attaccato. In quel momento ho visto la possibilità di vincere e ho colto l’occasione». 

Pogacar che vince ovunque. Qualcuno inizia a rimproverargli di essere cannibale.

«Se la squadra ha lavorato durante il giorno – ed è vero – non posso lasciare andare la vittoria e vanificare il loro lavoro».

«E poi non tutti giorni le gambe rispondo allo stesso modo. Bisogna sempre valutare se attaccare o meno, se poter tirare il fiato».

La voglia di Giulio

E poi c’è Ciccone. Il corridore della Trek-Segafredo ha potuto beneficiare dell’attacco di Quinn Simmons. Il suo barbuto compagno è stato fuori tutto il giorno. Ed è stato anche l’ultimo a mollare nella fuga del mattino. Cicco ha corso se vogliamo un po’ come Pogacar: controllando, attendendo, ma facendo il tutto sulle ruote dello stesso sloveno.

Lo ha copiato per filo e per segno. E in questo caso il copiare non è una brutta cosa come a scuola. E’ segno hai forza, hai coraggio, hai voglia… se poi copi da uno come Tadej. Ciccone era concentratissimo.

«Speravo avesse una giornata no – dice Ciccone quasi ridendo sotto i baffi – ma in realtà sapevo già che aveva due marce in più. Siamo saliti entrambi con la moltiplica grande (si andava davvero forte e le pendenze non erano impossibili, ndr). Io forse ero un po’ più agile di lui.

«Il piano era chiaro: volevo fare il finale e la squadra ha corso al meglio con la fuga di Simmons, mentre dietro la squadra mi ha tenuto sempre in posizione perfetta».

«Sapevo però che Tadej stava bene. L’avevo capito subito, poi ha anche una grande squadra. Forse nel finale è calato un po’ anche lui, la volata praticamente è stata di 600 metri: è umano anche lui!

«Stare dietro a Pogacar e come andare in apnea per provare a resistergli. Tiene un ritmo a tratti irresistibile e dalla fatica che fai, non ti rendi quasi conto di essere alla sua ruota. Ti porta al limite e ti tiene lì, fino a quando non sei costretto a cedere».

«Domani e dopodomani saranno ancora più dure di oggi – conclude Ciccone – Spero di star bene come oggi e sicuramente mi inventerò qualcosa. Se conosco il Carpegna? Era la salita del Panta. Volevo andare, ma c’era la neve, era troppo freddo e quindi ho girato prima».

Evenepoel contro Pogacar: per Bennati serve l’impresa

08.03.2022
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Sarà la suggestione o la voglia di tenere alta l’attenzione, dopo la sfida iniziale della Tirreno-Adriatico e visto l’esito della crono, nei commenti in tivù si è cominciato a proiettare i primi nomi sulla classifica finale. Saranno Pogacar ed Evenepoel i soli sfidanti per la vittoria? Qualcun altro riuscirà a inserirsi?

Avere davanti un Pogacar così non stimola la fantasia, almeno non quella dei suoi sfidanti, diverso certamente per i suoi tifosi. In ogni caso gli uomini di classifica propriamente detti hanno già un bel passivo sulle spalle e l’ambizione di Remco è tale che certamente ci proverà. Noi ne abbiamo parlato con il cittì azzurro Daniele Bennati, che fino a stamattina sarà ancora in carovana per poi farvi ritorno a San Benedetto del Tronto domenica prossima.

«Sicuramente Pogacar è superiore – dice subito il tecnico della nazionale – ma ogni gara ha la sua storia. Il vento, una foratura, un attacco. Si potrebbe pensare che il giorno decisivo sarà quello di Carpegna, non una salita banale. Credo che a Tadej sarebbe andato bene anche con l’arrivo in cima. Ma forse, viste le sue caratteristiche di guida, anche l’arrivo in basso potrebbe rivelarsi un vantaggio».

Non è passato inosservato il punto in cui ha attaccato alla Strade Bianche, insomma…

Forse pensava di portare via un gruppetto, ma secondo me quell’attacco era studiato e preparato. Nessuno poteva aspettarselo, sapeva che avrebbe sorpreso tutti. Era un tratto brutto, una discesa pericolosa e ha pensato che a farlo davanti avrebbe rischiato di meno.

Visto il tuo amico Valverde subito dietro?

Certo che l’ho visto e sono certo che più di qualcuno abbia tifato per lui. Ho parlato a lungo con Eusebio (Unzue, ndr) l’altro giorno. E mi diceva: «Proprio quest’anno che va di nuovo forte, ha deciso di smettere!». Dopo la Strade Bianche, Alejandro si era messo a dire di voler fare la Tirreno, ma alla fine lo hanno convinto ad aspettare il Catalunya. E’ un fenomeno, dopo gli ultimi due anni un po’ storti, penso che avrebbe potuto fare la sua bella classifica e prendersi una tappa, con tutti quei muri che li aspettano…

Agli europei di Trento andò meglio a Evenepoel, 2°. Pogacar fu 5° dopo aver vinto il Tour e il bronzo olimpico
Agli europei di Trento andò meglio a Evenepoel, 2°. Pogacar fu 5° dopo aver vinto il Tour e il bronzo olimpico
Possono essere quelle le tappe favorevoli a Evenepoel?

La Quick Step-Alpha Vinyl è una bella squadra e qualcosa proveranno, ma anche l’altro ha intorno dei bei compagni. E credo che Pogacar sia superiore anche su quel tipo di dislivelli. Attualmente Remco lo vedo più regolarista, capace magari di mettere Pogacar in difficoltà su una salita molto lunga.

Insomma, c’è un modo per batterlo?

Se arriva secondo, può essere contento (ride, ndr). Scherzi a parte, mi ricorda quando si facevano le volate a ruota di Cipollini, che era già una vittoria essere lì. Perché se non ci riuscivi o peggio ancora facevi la volata in seconda ruota, eri spacciato. In ogni caso, la Tirreno non è mai una corsa scontata, bisogna tenere alta l’attenzione. Anche oggi ci sono zone aperte, se non ci fosse il circuito alla fine, con tutto questo vento si potrebbe studiare qualcosa.

Anche in pianura, Pogacar si avvicina… pericolosamente al livello di Ganna
Anche in pianura, Pogacar si avvicina… pericolosamente al livello di Ganna
Ti ha stupito ieri la crono di Pogacar?

E’ fortissimo e la cosa sbalorditiva è che in pianura va come Ganna. Ieri sera eravamo a cena qui a Sovicille, dopo il convegno sull’Italia e il Nuovo Ciclismo. E si ragionava se Pippo potrebbe mai vincere un Tour con tanta crono e nessuna salita. Sappiamo che a lui non interessa e che comunque non ha mai lavorato per la salita, ma osservandolo, si vede che può reggerne una al massimo. E soprattutto, se anche fossero tre settimane di pianura, nella terza Pogacar sarebbe più fresco, perché avrebbe da portare in giro meno chili.

Quindi Tirreno chiusa?

Ma no, ci sta che si voglia tenere vivo l’interesse. Ed è certo che se tutto va come deve e senza imprevisto, il solo modo di Remco per battere Pogacar è fare qualcosa di immenso. E di questo il ciclismo sarebbe solo grato.

Il rientro in corsa di Formolo? Via libera dopo 8 settimane

07.03.2022
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Alla domanda sulle probabilità di vederlo alla partenza del Trofeo Laigueglia Formolo, in cima al Teide, ci aveva risposto così: «Il dottore ha parlato di un 20 per cento, la vedo complicata». Invece, un po’ a sorpresa, “Roccia” era al via della prima gara del calendario italiano. Corsa che ha dovuto concludere anticipatamente a causa di una caduta. 

Alla partenza, il corridore del UAE Team Emirates sfoggiava una vistosa fasciatura alla mano (foto di apertura), infortunata il 3 gennaio sulle strade del Principato di Monaco. Due mesi dopo è tornato in corsa ed anche molto bene, visto che era nel gruppo di testa pronto a giocarsi la vittoria. 

Con Maurizio Radi, Dottore Fisioterapista di Fisioradi Medical Center, abbiamo indagato come si cura e si recupera da un infortunio del genere. 

Quali sono e quante le ossa della mano (foto Chimica Online)
Quali sono e quante le ossa della mano (foto Chimica Online)

La diagnosi

Il referto medico dice che Formolo ha riportato la frattura del 5° metacarpo e del terzo medio dell’osso uncinato. Sono tutte fratture composte, infatti hanno dovuto attendere qualche settimana prima di riuscire a vederle. Se notate, sono state rilevate da una risonanza magnetica, non da una radiografia. La differenza è che la radiografia si fa in due proiezioni, mentre la risonanza è più accurata perché “seziona” l’osso e permette di esplorare tutti i dettagli.

Per le fratture a polso o mano di atleti professionisti non si ingessa più l’arto ma si usano tutori in termoplastica su misura (foto RC Therapy)
Per le fratture a polso o mano non si ingessa più, ma si usano tutori in termoplastica su misura (foto RC Therapy)

Essendo una frattura composta Formolo ha usato un tutore per immobilizzare la mano.

«Dal punto di vista medico – ci dice Maurizio – essendo una frattura composta è stato scelto un giusto trattamento conservativo. Si legge nel referto che hanno dato come convalescenza dalle 4 alle 6 settimane. Alla fine di questo periodo si ripete l’accertamento per controllare lo stato di consolidamento della frattura.

«Con questo genere di infortuni l’atleta viene tenuto fermo in via precauzionale. Anche perché allenarsi su strada non è consigliabile in questi casi. Il rischio è quello di stressare il polso e, nella peggiore delle ipotesi, scomporre la frattura, allungando i tempi di costruzione del callo osseo».

Altri casi simili

Ci sono stati dei casi nei quali alcuni corridori hanno forzato il rientro usando dei tutori appositi per poter guidare la bici. Un esempio è quello di Nibali prima del Giro d’Italia dello scorso anno, anche in quel caso si trattava di un infortunio al polso.

«In quel caso era doveroso tentare di recuperare – riprende Maurizio – perché si era nel pieno della stagione. Nel caso di Formolo non era necessario forzare le tappe visto il periodo della stagione in cui siamo. Dal punto di vista della preparazione ci sono valide alternative come i rulli».

Anche Nibali subì un infortunio simile prima del Giro d’Italia, nel suo caso si forzarono i tempi di recupero
Anche Nibali subì un infortunio simile prima del Giro d’Italia, nel suo caso si forzarono i tempi di recupero

La riabilitazione

Una volta verificato che il callo osseo si sta ricostruendo nel modo corretto può partire la riabilitazione. Come funziona questa fase? 

«Questi tipi di frattura si possono trattare da subito – spiega Radi – cominciando con della fisioterapia strumentale: tipo magnetoterapia, per creare degli stimoli che accelerano la formazioni di callo osseo. Una cosa che bisogna fare in questi casi è evitare che le articolazioni di mano e polso si irrigidiscano, quindi si può intervenire togliendo il tutore per eseguire delle mobilizzazioni passive delle dita e del polso.

«Passata la prima fase di riabilitazione, si inizia ad intervenire con degli esercizi attivi per la mano al fine di stimolare i muscoli per iniziare un rinforzo dell’avambraccio, degli estensori delle dita, del polso e dei flessori delle dita e del polso».

Una caduta ha frenato il suo rientro al Trofeo Laigueglia, per Maurizio Radi nessun pericolo di un ulteriore infortunio al polso
Una caduta ha frenato il suo rientro al Trofeo Laigueglia, per Maurizio Radi nessun pericolo di un ulteriore infortunio al polso

Il ritorno alle gare

Tornare in corsa dopo 8 settimane, è stato un rischio? Visto che Formolo è stato anche coinvolto in una caduta?

«No, un atleta di quel livello dopo un periodo di degenza così lungo – spiega – recupera pienamente. Non ha fatto una corsa stressante come una Roubaix o un Fiandre (ma per precauzione ha saltato la Strade Bianche, ndr). Una volta che viene dichiarata guarita la frattura vuol dire che c’è stato un completo consolidamento del callo osseo e quindi l’atleta si può considerare guarito».

La settimana inizia con la Tirreno: attesa per il Carpegna

06.03.2022
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Un giorno dopo la Parigi-Nizza, la Toscana saluta la partenza della Tirreno-Adriatico che quest’anno cambia pelle e distribuzione, con la conclusione di domenica, anziché il classico martedì. Non solo. Cronometro in partenza a Camaiore, volata finale a San Benedetto del Tronto e al sabato il doppio Carpegna. Non ci sarà l’arrivo in salita, ma la tappa farà comunque male. Non mancano neppure i muri fermani, che richiameranno il pubblico marchigiano nel venerdì che annuncia il gran finale. Eppure, nonostante tutto ciò, la sensazione è che sarà meno dura che in passato. Staremo a vedere…

Difficile dire se la nuova collocazione in calendario farà perdere alla Tirreno la palma di miglior avvicinamento alla Sanremo, che troverà un ultimo test nella Milano-Torino che si correrà di mercoledì.

Lo scorso anno Pogacar corse la crono finale in maglia di leader
Lo scorso anno Pogacar corse la crono finale in maglia di leader

Pogacar su tutti

L’elenco degli iscritti è come al solito sontuoso. E anche se la Parigi-Nizza può vantare quest’anno un parterre decisamente interessante, per caratteristiche del percorso la Tirreno richiama nuovamente gente tosta, con Pogacar a minacciare la doppietta e i soliti show.

Ci saranno uomini di classifica, capitanati appunto dallo sloveno, che arriverà a Camaiore fresco dell‘impresa alla Strade Bianche. Fra gli sfidanti il Mas rigenerato dal lavoro con Piepoli, Vingegaard, Ciccone, Richie Porte, Carapaz, Kelderman, Evenepoel, Mohoric, Caruso, Bardet, Wellens, Uran, Lopez, Fuglsang e Fortunato. Viene quasi male alle dita, scrivendoli tutti.

Poi ci sono i cacciatori di classiche, tirati da Alaphilippe, il solito Pogacar (che gioca da jolly come Van Aert in Francia), Sagan, Cosnefroy, Asgreen, Merlier, Van Avermaet e Kristoff.

E siccome la volata finale li attira di molto, ecco i velocisti: Cavendish, Merlier, Demare, Nizzolo, Viviani, Ackermann, Ewan, Bouhanni, Meus e Dainese.

Le sette tappe

Il percorso conta sette tappe, una meno della Parigi-Nizza, ma con un totale di 1.133,9: appena 62,5 chilometri meno della corsa francese. E a guardare il dettaglio giornaliero, è evidente come la media giornaliera della Tirreno sia di 161,98 mentre quella della Parigi-Nizza si attesti a quota 149,55.

TAPPAGIORNOPARTENZA-ARRIVOCHILOMETRI
1ª tappa7 marzocronometro individuale: Lido di Camaiore-Lido di Camaiore13,9
2ª tappa8 marzoCamaiore-Sovicille219
3ª tappa9 marzoMurlo-Terni170
4ª tappa10 marzoCascata delle Marmore-Bellante202
5ª tappa11 marzoSefro-Fermo155
6ª tappa12 marzoApecchio-Carpegna215
7ª tappa13 marzoSan Benedetto del Tronto-San Benedetto del Tronto159
La tappa dei muri marchigiani nel 2021 fu croce e delizia per Mathieu Van der Poel, quest’anno assente
La tappa dei muri marchigiani nel 2021 fu croce e delizia per Mathieu Van der Poel, quest’anno assente

Volate e muri

Andando nel dettaglio, la crono di apertura ricorda il percorso di quella a squadre a Camaiore, con la differenza del giro di boa collocato prima. Crono totalmente piatta e media stellare. Non a caso fra i cronman al via spiccano Ganna, Asgreen, Evenepoel, Pogacar, Affini e Vingegaard.

La seconda tappa potrebbe già essere occasione per velocisti. Ci sono saliscendi per tutto il giorno, ma è tale il livello dei velocisti al via che, se non va via una fuga, è assai probabile la prima volata della Tirreno 2022. E se così sarà, la rivincita verrà già l’indomani sul traguardo di Terni, prima che i velocisti cedano il posto ai cacciatori di tappe e agli uomini da classiche.

Il circuito finale di Bellante del giovedì, dopo la triste sfilata sulla Salaria del terremoto e della mancata ricostruzione, proporrà tre scalate della salita finale che, dopo 200 chilometri si farà rispettare: 4,7 chilometri con pendenze intorno al 7% e uno strappo all’11% nell’ultimo chilometro.

Il giorno di Fermo, un assaggio di Liegi. Monte Urano. Capodarco. Primo passaggio a Fermo. Madonna d’Ete e ancora Fermo, con quel passaggio al 21% (in tutto 800 metri al 12,6% di pendenza media) che dal fondovalle riporta il gruppo sulla strada principale verso l’arrivo.

Doppio Carpegna

La musica cambia l’indomani con la doppia scalata del Carpegna, salita che deve la sua fama agli allenamenti di Marco Pantani. Sarà affrontata per due volte negli ultimi 45 chilometri, in cui il termine pianura perde di ogni significato. La salita misura 6 chilometri, ha dislivello di 594 metri e pendenza media del 9,9%, con punte del 15% in avvio. A questo punto tutto sarà deciso, con l’ultimo chilometro in leggera ascesa a chiudere le danze.

L’indomani a San benedetto del Tronto, cinque passaggi sul traguardo e poi lo sprint, per un circuito che ricalca il classico e piattissimo percorso della crono. E a quel punto non resterà che sollevare il classico forcone di Nettuno e incoronare il nuovo Re dei Due Mari.

La solitudine del numero uno. Altra impresa di Pogacar

05.03.2022
6 min
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Cinquantuno chilometri all’arrivo. Tadej Pogacar è di nuovo solo, in fuga verso Siena stavolta. Alla Strade Bianche stupisce tutti, tranne se stesso. Persino Mauro Gianetti, il team manager della sua UAE Team Emirates si chiede: «Ma dove va? Manca tanto e in gruppo non sono 7-8. Sono tanti e certe squadre hanno anche tre, quattro atleti. Si possono organizzare».

Ma lui è Tadej Pogacar. Quando scatta neanche sembra faccia fatica. Cancellara, che qui ha vinto tre volte, quando attaccava si contorceva, faceva smorfie. Lui invece niente. Accelera quasi banalmente, eppure apre il vuoto

«E’ così scatta e sembra non fare fatica – dice Matxin tecnico della UAE che lo ha seguito in ammiraglia al fianco di Andrej Hauptman – Tadej è Tadej, non somiglia a nessuno».

Cavalcata solitaria

Ripercorriamo questi 50 chilometri in solitaria. Settore di Monte Sante Marie, uno dei più importanti. Pogacar forza e se ne va. Inizia la sua cavalcata. Ben presto prende vantaggio.

«L’attacco – riprende Matxin – non era stato programmato. Almeno non così… Sapevamo che quello era un punto decisivo e volevamo forzare. Ne avevamo parlato con Tadej, ma molto dipendeva dalla situazione della corsa. Poi si è ritrovato da solo. Tanto che ad un certo punto ci ha chiesto cosa doveva fare.

«Gli abbiamo detto: provaci, fidati di te. La corsa dipende da te, non da quello che fanno dietro. Se hai un minuto è perché dietro non sono brillanti. Ed è andato».

La fuga solitaria tutto sommato, da come racconta Matxin, è passata in fretta. «Andrej (Hauptman, ndr) lo ha gestito alla stragrande. Si parlavano in sloveno. Tutto è più facile così. Curva a destra, curva a sinistra, sterrato fra 300 metri, tratto al 3 per cento… gli fai compagnia, lo aiuti a far passare il tempo».

«Come si gestisce di testa una fuga del genere? Mi ricorda molto quella che fece nella sua prima Vuelta, quando partì a 46 chilometri dall’arrivo. Aveva già vinto due tappe, non aveva il podio, né la maglia bianca: gli dissi di “pensare solo avanti”, a sé stesso. Allora come adesso quindi non aveva nulla da perdere, doveva solo guardare avanti».

Al via 147 atleti. Giornata bella ma fredda. Solo in 90 sono arrivati a Siena, ma tre fuori tempo massimo
Al via 147 atleti. Giornata bella ma fredda. Solo in 90 sono arrivati a Siena, ma tre fuori tempo massimo

Pressione zero

Dalla Tv tutto sembra facile per Tadej. Ma tutti si chiedono se senta o meno la pressione. Se ha avuto almeno un dubbio quando Kasper Asgreen ha forzato e si è creato un drappello che aveva quasi dimezzato il suo vantaggio.

«Pressione? La pressione – dice Maxtin – ce l’ha chi sta in Ucraina. Chi deve arrivare a fine mese con 1.000 euro. Quella è pressione. Questo è un privilegio. Essere un ciclista professionista ed entrare in Piazza del Campo da solo e tutti che urlano il tuo nome: che pressione è? Questo deve essere orgoglio, prestigio».

A queste parole fa eco lo stesso Pogacar. «Avevo pressione zero stamattina – spiega lo sloveno – Se non me la mette il team, e in squadra nessuno me la mette, di quello che succede fuori, di quello che si aspettano gli altri non mi interesso».

Semmai un pizzico di nervosismo, Pogacar ce lo aveva prima di arrivare in Europa, visto che era rimasto tre giorni in più negli Emirati Arabi Uniti per determinati impegni. Non si era allenato come voleva (anche se ci dicono si sia “scornato” per bene con Joao Almeida nel deserto) e aveva ancora il fuso orario addosso. Ma come sempre lui guarda il bicchiere mezzo pieno.

«Alla fine – dice Tadej – mi sono riposato un po’ dopo il UAE Tour e non è stata una cattiva idea visto che la corsa è stata dispendiosa».

Anche Tadej soffre

La sua cavalcata continua. Passa uno sterrato, poi un’altro ancora. Pogacar alterna pedalate potenti in pianura ad altre più “agili” in salita (nel senso che gira velocemente rapporti duri per altri). Nel finale però mostra che è umano. Appena c’è una discesa, si stira la schiena, sgranchisce le gambe. Ha qualche dolore.

«Guardate – racconta lo sloveno – che ho sofferto molto anche io. E’ stata una volata di 50 chilometri. Già poco dopo che sono partito ero affaticato. Non ho potuto certo godermi i panorami. Però a quel punto ero fuori. Passavano i chilometri e io restavo concentrato su di me. Ero concentrato sul traguardo».

Matxin ci dice che Pogacar era sempre informato sui distacchi, che ha gestito questo sforzo da solo. La solitudine tipica del campione ciclista, dell’uomo solo al comando. «Ha la testa vincente», aggiunge Matxin.

L’ingresso in Piazza del Campo è un tripudio. Ci sono i suoi tifosi con le sue bandiere e c’è la folla comune. Ormai Pogacar inizia ad essere un nome anche oltre il mondo ciclistico. Tutti gli addetti ai lavori battono le mani. Lui si siede alle transenne. Ha faticato davvero.

E dire che era anche caduto. «Tadej – dice Covi – neanche lo devi aiutare. Fa tutto da solo!».

In realtà la squadra lo ha coperto e bene. Ed è stata anche rispettosa nel non infierire dopo la caduta di Alaphilippe. «Massimo rispetto – dice Matxin – oggi tocca a loro, domani a noi. Non è in questo caso che bisogna attaccare. Noi abbiamo solo coperto Tadej».

E gli altri?

Chissà cosa deve essere passato nella testa di Alejandro Valverde, secondo, che potrebbe quasi essere il papà di Tadej. Secondo come la sua compagna di squadra Van Vleuten. Al mattino il patron del Movistar Team, Eusebio Unzue, ce lo aveva detto: «Vedrete Annemieck e Alejandro come andranno. Sono sempre agguerriti. Alejandro non come Annemiek, perché lei è sempre “cattivissima”, ma andrà forte».

E non si sbagliava. Il murciano ha gestito lo sforzo alla perfezione. Probabilmente è stato colui che ha speso meno energie di tutti in gruppo. Come un gatto si è lanciato alla ruota di Asgreen nel contrattacco. E quello è stato l’unico momento in cui, per un istante, la corsa è sembrata riaprirsi. Contro Pogacar ci si deve accontentare di questo.

Attaccare Pogacar? Persino Chiappucci ha qualche dubbio, ma…

27.02.2022
5 min
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L’arrivo di Jebel Hafeet al UAE Tour non ha fatto altro che confermarci la pressoché inattaccabilità di Tadej Pogacar. Lo sloveno in questo momento è su un altro pianeta. Forse solo i bestioni alla Van Aert o un Ganna potrebbero metterlo in difficoltà su percorsi estremamente veloci. Forse… E quindi dove si potrebbe attaccare?

Una situazione del genere scoraggerebbe chiunque. Anche il lottatore più tosto, il samurai della situazione. Persino El Diablo, il mitico Claudio Chiappucci potrebbe avere le sue difficoltà.

E sì che Chiappucci aveva a che fare con un certo... Miguel Indurain, che non era propriamente l’ultimo arrivato. Lo spagnolo dominava le crono e controllava in salita, dando la sensazione che, volendo, avrebbe potuto staccare tutti anche lì. E in qualche caso lo fece pure. Claudio lo attaccava sempre. Anche quando non ne aveva, anche quando sapeva che con grande probabilità si sarebbe schiantato contro un “muro”. A volte in quel muro aprì una crepa. Una crepa che in qualche occasione divenne crollo.

Claudio Chiappucci ha corso dal 1985 al 1999. Infiammava il pubblico con i suoi attacchi (spesso) folli
Claudio Chiappucci ha corso dal 1985 al 1999. Infiammava il pubblico con i suoi attacchi (spesso) folli
Claudio, come si attacca oggi Pogacar? Come lo attaccheresti tu?

E’ difficile dirlo adesso. Dovrei stargli di fianco, studiarlo, conoscerlo… Perché un conto è vederlo dalla tv e un conto dal vivo. Tadej dà l’impressione di poter fare quello che vuole. E anche tutta la squadra sembra ormai sulla sua rotta. Anche ieri ho visto che vanno forte tutti in UAE Team Emirates. Tirano, scattano e lavorano per lui. E quando è così non è facile.

Ci sono delle analogie tra Pogacar e Indurain?

Sono fortissimi entrambi! Scherzi a parte, è una situazione diversa. Miguel i numeri li aveva anche in salita, anche se non li mostrava. E aveva dalla sua le lunghe cronometro individuali che oggi non ci sono più. Mettetevi nei miei panni: due crono lunghe e un prologo, che era quasi come una crono attuale. Indurain partiva già con un bel distacco su tutti. Per me quindi era un istinto naturale dover attaccare. 

E quindi lo attaccavi comunque…

E cosa potevo fare? Come detto, partivo da “tre tappe in meno”. Quando scattavo facevo una fatica immane, ma pensavo che anche gli altri la facevano e tante volte riuscivo a prendere terreno. Ho sempre pensato che la miglior difesa fosse l’attacco. Mi dicevo: vediamo che succede. Preferivo anticipare, metterli in difficoltà e soprattutto creare confusione per rompere schemi e strapotere delle squadre.

Questa sarebbe un’ottima strategia d’attacco: rompere lo strapotere delle squadre, il loro controllo e “aprire” la corsa. Ma è ancora possibile?

Mmm – esclama scettico Chiappucci – c’è troppa, troppa tecnologia. Le radioline, le tv in ammiraglia (più auto di assistenza lungo il percorso, ndr), i computerini coi watt… Il corridore è un automa. Così si limita l’istinto e non c’è l’atleta che emerge. Il corridore emerge quando è solo, quando va al di là della tattica impostata dalla squadra. Quando durante la corsa si inventa una soluzione, anche se non fa in tempo a parlare con compagni e il diesse. E poi c’è un’altra cosa.

Per il Diablo Pogacar va isolato. Ciò accadde nel 2021 verso Le Gran Bornand ma lo sloveno per tutta risposta prese la maglia gialla
Per il Diablo Pogacar va isolato. Ciò accadde nel 2021 verso Le Gran Bornand ma lo sloveno per tutta risposta prese la maglia gialla
Cosa?

Oggi le corse sono più brevi. Corse più brevi e squadre più organizzate: è davvero difficile fare la differenza. E’ difficile dire dove attaccare. Oggi ci sono 5-6 fenomeni. Davvero non sai come fare. Prendiamo Van Aert. Vince dappertutto: a crono, in salita, in volata, nel cross. E lo stesso Pogacar va forte a crono, nelle classiche… e pure nel cross. Tra l’altro fanno tanto tutto l’anno. E a me – Chiappucci si toglie un sassolino – rompevano le scatole perché dicevano che facevo troppo, che d’inverno facevo “persino” il ciclocross…

Prima, Diablo, hai parlato di crono. Se tornassero ad essere più lunghe ci sarebbe più spettacolo? Magari anche un Van Aert davvero potrebbe lottare per un grande Giro e attaccarlo…

Non so se le crono più lunghe aumenterebbero lo spettacolo, di certo qualcosa andrebbe cambiato. Almeno a me non appassiona molto questo ciclismo così tecnologico. Più che le crono lunghe toglierei gli auricolari. Sarò fuori coro, ma sono completamente lontani da me. Guardiamo il mondiale come cambia.

Come cambia?

Per me cambia la corsa. I corridori sono meno preparati all’imprevisto. Emergono gli istinti sul momento. E tutto può nascere senza averlo programmato. Il famoso tranello come l’attacco al rifornimento, il ventaglio… Lo potresti fare. Ma oggi come fai se c’è chi vede la corsa in tv dall’ammiraglia? 

Pogacar quindi si attacca a sorpresa?

Esatto.

Chiappucci in fuga verso Sanremo nel 1991, con Marino Lejarreta al suo fianco
Chiappucci in fuga verso Sanremo nel 1991, con Marino Lejarreta al suo fianco
Il Diablo contro Pogacar farebbe un’imboscata quindi?

Potrebbe essere, sì. Di certo non aspetterei la salita per attaccare. Cercherei di farlo su percorsi mossi, vari, tortuosi. Anche perché quando attacchi lui, devi pensare di attaccare anche la sua squadra. La prima cosa sarebbe quella di isolarlo e magari incoraggiare anche altri ad attaccare. Insomma, devi fare qualcosa di diverso dal solito. Io ho sempre saputo con chi avevo a che fare e mi adattavo al suo modo correre, cercando di capire dove attaccare appunto. Per esempio in discesa, soprattutto se pioveva.

Il tuo attacco più pazzo?

Milano-Sanremo 1991 – risponde secco Chiappucci – Io quell’attacco non lo avevo programmato. Non sapevo come sarebbe andata. Vedete quel che dicevo prima? Quando ho visto che pioveva e tutti avevano paura della discesa bagnata mi è venuto in mente. Ho capito che avevano paura perché prima della galleria del Turchino avevano iniziato a fare le volate per prenderla davanti. Tutti sapevano che potevo creare problemi e io volevo proprio fare sconquasso. Però anche l’attacco del Sestriere al Tour è stato abbastanza folle. Attaccai pensando semplicemente: vediamo un po’ che succede…

Serve quindi uno spirito un po’ folle per tentare di mettere in difficoltà Pogacar. Il che può sembrare doppiamente folle, vista la tecnologia del ciclismo. Ma se non si esce dalle righe con Tadej che è più forte, a meno che lui non abbia una giornata no, non lo batti. Semmai la questione non è tanto attaccare Pogacar in un momento inaspettato, ma essere disposti a rischiare di saltare…

Yates scatta ma piega (ancora) la testa. UAE Tour a Pogacar

26.02.2022
4 min
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Un deja vu, un copia e incolla, una replica. Chiamatela come volete, ma dopo un anno si è ripetuta la stessa scena, sulla stessa salita, tra gli stessi interpreti. Adam Yates che attacca, Tadej Pogacar che risponde, soffre, e poi vince.

L’epilogo del UAE Tour è andato più o meno secondo i programmi. I due uomini più in forma e forse più adatti a questa scalata, quella di Jebel Hafeet, hanno tenuto fede alle attese. Ma forse alla fine tutto è racchiuso nelle parole proprio di Yates: «E’ difficile staccare un doppio vincitore del Tour de France».

Adam Yates attacca forte, screma il gruppo, ma non stacca lo sloveno. L’inglese fu 2° nel 2021 e 3° nel 2020, sempre dietro a Pogacar
Adam Yates attacca forte, screma il gruppo, ma non stacca lo sloveno. L’inglese fu 2° nel 2021 e 3° nel 2020, sempre dietro a Pogacar

Errore Yates?

Però qualche errore c’è eccome da parte sua. E se è vera quella sua frase, anche la disamina che fa non convince del tutto.

«Oggi abbiamo lavorato duramente – ha detto il portacolori della Ineos-Grenadiers – come per tutto il giro. Al primo attacco sono andato a tutto gas fino a non averne più (e già qui c’è forse un piccolo errore tattico, ndr). Mi sono guardato dietro e speravo che Pogacar non fosse attaccato alla mia ruota, ma era piuttosto difficile. 

«Ho riprovato proprio alla fine e ancora non riuscivo a liberarmi di lui. Su un traguardo come questo è abbastanza veloce in volata. Tutto sommato, penso che possiamo essere contenti di come abbiamo corso».

Quel che dice l’inglese non è del tutto sbagliato, ma ci sono dei ma… Tu sai chi è il tuo avversario, sai che in volata è più veloce, sai come va su quella specifica salita perché ci hai già perso e ripeti lo stesso errore? Come si dice: sbagliare è umano, perseverare è diabolico.

Inizia la scalata verso Jebel Hafeet, scalata di 10,9 chilometri al 6,7% e che arriva a quota 1.030 metri
Inizia la scalata verso Jebel Hafeet, scalata di 10,9 chilometri al 6,7% e che arriva a quota 1.030 metri

L’assoluzione di Garzelli

Stefano Garzelli, che ha commentato la gara per la Rai, però in qualche modo tende la mano ad Adam. Anzi, lo assolve proprio.

«E che cosa poteva fare di diverso Yates? Ha provato a vincere la corsa – dice – e al tempo stesso a difendere il podio perché c’era anche Almeida. Il UAE Team Emirates si è rinforzata tantissimo. Ha fatto tirare Bennett, poi Majka e anche Almeida… oltre a Pogacar. Se avesse aspettato l’ultimo chilometro avrebbe rischiato tantissimo. Sarebbero rimasti in cinque con due UAE (Pogacar e Almeida, ndr) e si sa che su un arrivo così Joao è pericolosissimo ai fini del podio».

Ma cosa avrebbe fatto il Garzelli corridore? Non avrebbe giocato un po’ d’astuzia? Forse qualcosa di più o quantomeno di diverso si poteva fare…

«Più che in Yates, per caratteristiche mie mi vedo più nella parte di Pogacar – dice Garzelli – in una situazione del genere avrei pensato a difendermi per vincere poi in volata. Se proprio devo imputare qualcosa all’inglese dico che questa volta poteva gestire meglio la volata. Quello sì. Doveva anticiparla lui e non farsi trovare davanti in quel punto. Doveva sapere che partendo da dietro, l’altro gli prende quei cinque metri difficili poi da chiudere. E che doveva arrivare davanti all’ingresso dell’ultima curva.

«Ripeto – dice – Yates ha giocato bene le sue carte. La salita la conosceva bene. Ha attaccato nel punto più duro, per di più in un momento in cui la UAE Team Emirates tirava forte, dando una dimostrazione di grande forza. E credo anche che allo “scollinamento” Pogacar abbia sofferto. Ma lui è forte anche in questo: ha una grande capacità di tenere duro e di essere lucido quando è sotto pressione e a tutta. Sapeva che se avesse tenuto fino a quel punto poi lo sprint sarebbe stato dalla sua».

Pogacar re della quarta edizione del UAE Tour
Pogacar re della quarta edizione del UAE Tour

Anche Pogacar soffre

Ed è vero, ha ragione Garzelli: anche Pogacar ha sofferto. «E’ sempre un piacere vincere a Jebel Hafeet», ha detto soddisfatto lo sloveno a fine gara.

«La squadra aveva lavorato molto – ha proseguito – e dovevo ripagare questo sforzo. Tutti i miei compagni hanno tirato forte, soprattutto Rafal Majka che aveva attaccato: sarei stato felice di lasciarlo andare per la vittoria di tappa, ma non ci è riuscito.

«Poi ad un certo punto, Adam è andato all’attacco ed è stato uno degli affondi più duri che abbia mai visto. E’ stata davvero dura ricucire. Ho sofferto molto.

«Ho aspettato che Joao Almeida e Rafal Majka rientrassero. Ci ha provato anche Joao e quando anche lui è stato ripreso a quel punto ho pensato solo alla volata. Il UAE Tour è per noi il primo traguardo della stagione. E’ la nostra gara di casa. È importante per i nostri sponsor».

E anche su questo ultimo punto Garzelli ha la sua teoria: «Staccare Pogacar di questi tempi è pressoché impossibile, ma poi valutiamo una cosa. Per la sua squadra questo è l’appuntamento più importante dopo il Tour. Vincere questa tappa con la maglia di leader, vincere l’intero Tour… è un bel colpo per loro. E si è visto anche da come hanno festeggiato dopo l’arrivo i corridori, ma anche lo staff, a partire dallo sceicco, Gianetti e Agostini».