Quinto a Torino, ma Conci comincia col piede giusto

04.05.2024
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TORINO – Quando si è voltato a pochi metri dallo scollinamento di San Vito, Nicola Conci ha avuto la percezione del sogno che finiva. Quella sagoma bianca non lasciava spazio a dubbi, ma non ha cancellato la bellezza della sua azione. Il trentino ha attaccato, come pure Caruso e l’indomito Pellizzari. E per la prima volta da qualche anno ha sentito che tutto funziona come deve. La gamba spinge, il cuore la sostiene: a queste condizioni sognare non è più vietato.

Quella sagoma bianca

Prima tappa del Giro d’Italia, la sconfitta di Pogacar fa sembrare tutto più grande di quanto sia davvero. La UAE Emirates ha frantumato il gruppo e alla fine è lì a masticare sul terzo posto di Tadej. Lo sloveno non ce l’ha fatta a stare fermo e ha subito l’astuzia e la freddezza di Narvaez, ma quando ha preso e saltato Conci, la sensazione era che avrebbe fatto di tutti un sol boccone.

«E’ stata come ci si aspettava – dice Conci – una corsa dura nella seconda parte, soprattutto nel momento in cui la fuga cominciava ad avere un vantaggio discreto, considerata la lunghezza della tappa. Ho visto due ragazzi che si muovevano, uno era Honoré e l’altro Echachmann. Sono dei pedalatori, mi sono inserito ed è nata una bella azione. Stavo molto bene. Ho visto il momento in cui c’era un piccolo gap dietro di me. Ho accelerato un attimo e sono riuscito a prendere vantaggio. Fino a metà della salita finale ci ho creduto abbastanza, non nascondo che un pochino il sogno l’ho cullato.

«Poi mi sono girato. Ho visto una sagoma bianca con i colori della Slovenia e ho capito. Certo un po’ di rammarico c’è, perché sono esploso negli ultimi cento di metri di salita. Se non avessi fatto un fuorigiri così, magari sarei riuscito a rimanere con i primi tre. Anche se dubito che poi avrei avuto le gambe per fare una buona volata…».

Dopo l’arrivo, un po’ di delusione, ma soprattutto la sensazione di avere buone gambe
Dopo l’arrivo, un po’ di delusione, ma soprattutto la sensazione di avere buone gambe

Lo avevamo sentito ad aprile, deluso per non aver corso le Ardenne eppure motivato per arrivare bene al Giro. Vedendolo inquadrato durante la fuga, nel box dei giornalisti all’arrivo si ragionava su quanto sembrasse predestinato da junior e i mille intoppi degli ultimi anni. Finalmente però si comincia a vedere un bel Conci al Giro d’Italia…

Era ora?

Non nascondo che il Giro sia una corsa a cui tengo fin da bambino. L’ho detto più volte: i primi quattro anni da professionista sono stati difficili. Il quinto è stato travagliato con la storia della Gazprom e l’anno scorso non nascondo di aver preso una batosta a livello morale non indifferente, dovendomi ritirare dopo solo sei tappe. Quindi quest’anno ho mantenuto la calma, ho avuto qualche malanno di influenza. Sono caduto ai Baschi, quindi non sono riuscito a esprimermi al meglio, ma negli ultimi dieci giorni ho cominciato a stare veramente molto bene.

Quel che serve per arrivare giusti alla partenza?

Sapevo di aver lavorato bene, quindi arrivo a questo Giro fiducioso di poter far bene e con la voglia di godermelo fino in fondo. Non lo nascondo, ma uno dei miei primi obiettivi è quello di arrivare a Roma e godermi queste tre settimane. Finire un grande Giro sembra scontato, una volta che si è professionisti, ma è comunque un sogno. Nel momento in cui si arriva al traguardo finale ci si rende conto di aver fatto qualcosa di grande. Quindi ho la condizione, cercherò di far bene in diverse tappe, ma uno dei miei obiettivi rimane quello di vedere il Colosseo.

L’attacco di Conci è venuto nel tratto di pianura che precedeva l’ultima ascesa a San Vito
L’attacco di Conci è venuto nel tratto di pianura che precedeva l’ultima ascesa a San Vito
Eri partito per andare in fuga?

Sì. Ieri ho fatto un paio di lavoretti cosiddetti opener, azioni ad alti giri, e in certi momenti mi domandavo se il power meter funzionasse, perché veramente stavo bene. Oggi ero anche molto nervoso e un po’ lo sentivo nelle gambe. Poi ho visto il momento, stavo bene, ho capito che era un buon momento e sono andato. E alla fine è venuta fuori una bella prestazione.

Com’è la sensazione di quando si vede arrivare Pogacar? Probabilmente nelle prossime tre settimane la vivranno in tanti…

Sinceramente non è che fossi tanto sorpreso. Ho sentito che avevo 20 secondi sul gruppetto e 25 dal gruppo dietro. Fino a poco prima della salita avevamo un gap maggiore rispetto al grosso, quindi ho immaginato che avessero aperto il gas. Se c’era un corridore che mi aspettavo di vedere per primo era lui e così è stato.

E’ parso che per un po’ abbiate discusso in fuga…

C’era la sensazione che si andasse via con il freno non tirato, ma non al massimo. Ognuno sapeva che anche se fossimo arrivati insieme e ci fossimo giocati la tappa, avremmo dovuto combattere tra noi sulla salita, quindi ognuno giustamente ha cercato di risparmiarsi. Restano la bella sensazione e l’orgoglio di aver fatto una mossa intelligente.

Quindi è stata un’azione voluta?

Sinceramente era già qualche minuto che acceleravo, poi frenavo. Acceleravo e frenavo, perché alla fine tutti giustamente guardavano Tadej e lui ormai aveva solamente Maika a tirare. Sapevo che se ci fossero stati degli attacchi, alla fine sarebbe toccato a Rafal tirare contro gli elementi della fuga. E di conseguenza sapevo che c’era la possibilità di andare lontano. E così ci ho provato. Io e anche altri…