Medie sempre più alte? Risponde Slongo

31.01.2023
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Partiamo subito togliendo ogni dubbio. Una risposta chiara e secca a questa domanda non esiste. Dal 2001 ad oggi le medie si sono alzate in maniera costante in tutte le corse. Per approfondire questo argomento che fa balzare subito all’occhio l’interrogativo, Paolo Slongo preparatore della Trek-Segafredo, ci ha dato una mano per trovare una chiave di lettura. 

Forse una risposta semplice c’è. Ed è racchiusa in un pugno di variabili che paradossalmente ampliano il discorso su innumerevoli settori. A partire dallo sviluppo della tecnologia e dei materiali, fino all’aerodinamica dell’abbigliamento. E ancora, l’interpretazione delle corse e i percorsi in sé.

Banalizziamo il concetto, perché si va più forte?

Le considerazioni principali che faccio sono due. La prima, riguarda i materiali sempre più innovativi e performanti compreso l’abbigliamento che fino a qualche tempo fa non si curava. L’aerodinamica la si guardava solo sulle bici da crono, mentre adesso viene curata anche nel vestiario da strada, nel suo pacchetto completo. 

La seconda motivazione?

Negli ultimi anni il ciclismo è cambiato anche a livello di strategie di gara. Una volta quando andava via la fuga, il gruppo era più tranquillo e si organizzava con più calma. Adesso invece con i corridori sempre più preparati, si parte quasi come nei dilettanti. Quindi, medie alte fin da subito che poi vengono mantenute per tutta la corsa. 

C’era più tranquillità nella gestione della corsa…

La prima parte era sempre tranquilla, poi nella seconda parte ci si organizzava per aumentare il ritmo e vivacizzare la corsa. Nel ciclismo moderno, tante volte si fa fatica ad andare a chiudere sulla fuga. Se non ci si organizza per tempo e non la si tiene dentro i tre minuti si fa fatica a colmare il gap. 

Mads Pedersen in Norvegia durante una fase di test (@tyler wiles Trek)
Mads Pedersen in Norvegia durante una fase di test (@tyler Wiles Trek)
Le medie hanno cambiato anche il modo di prepararsi o è viceversa?

Per quanto riguarda la preparazione se io guardo neanche a troppi anni fa, ne bastano dieci, magari le squadre davano un po’ più di privilegio ai capitani. Lasciavano anche un po’ più tranquilli i gregari di fiducia per dare un’ulteriore copertura agli uomini di punta. Invece adesso è quasi uguale per tutti. Si va con l’intero roster a tutti i ritiri. Il livello generale si è alzato. Tutti curano l’alimentazione. Il gap tra gregari e capitani si è ridotto molto ma rimangono alcune differenze. Questo è un altro motivo che spinge le dinamiche di corsa ad essere sempre più competitive. Tante ore in fila indiana con i fuggitivi che non mollano un centimetro. 

Poi ci sono i velocisti che non si lasciano più scappare certe occasioni…

C’è molta attenzione da parte loro e delle rispettive squadre. Nei grandi Giri le volate si contano sulle dita di una mano e non se le fanno più scappare. Si cerca di controllare la corsa con medie alte e arrivare allo sprint compatti per concretizzare tutto il lavoro di giornata. 

Torniamo ai materiali, quali sono le svolte tecniche più incisive?

Le aziende in passato avevano un modello di bici. Altamente performante ma con caratteristiche ben definite e orientate. Adesso si ha la bici specifica per la pianura e quella progettata per la salita. Tutte le squadre vantano questo tipo di possibilità. Noi abbiamo la Madone, più filante, e l’Emonda, per le salite. Vengono quindi esaltate le caratteristiche in base al percorso. Ne beneficia tutto quello che abbiamo detto, riassumibile in velocità più alte. 

Il tubeless sta venendo sempre più utilizzato dai pro’ per scorrevolezza e affidabilità
Il tubeless sta venendo sempre più utilizzato dai pro’ per scorrevolezza e affidabilità
Per quanto riguarda le coperture?

Si studia tanto la scorrevolezza. I tubeless sono più performanti, affidabili e hanno una resistenza al rotolamento molto bassa. Una volta invece il concetto era contrario, tubolari con sezioni più strette. 

Hai citato l’abbigliamento, in che modo agevolano le alte velocità?

Fino a qualche anno fa l’abbigliamento era classico, pantaloncino e maglietta. Abbiamo tutti negli occhi le immagini di atleti con pieghe e piccole alette di tessuto causate da vestibilità non ancora estremizzate. Oggi si parte quasi tutti con il body, numero integrato e tessuti ingegnerizzati per avere un Rx basso. Il concetto della cronometro è quasi normalizzato anche per le corse in linea. Questo aiuta senza ombra di dubbio. 

Anche i caschi rientrano in questo discorso?

Certo, i caschi sono un altro dettaglio. Una volta c’era casco da strada e casco da crono. Adesso si ha quello da prova contro il tempo, poi uno per gli sprint più chiuso e aerodinamico e quello per le salite, più areato e leggero. Ulteriori dettagli che portano ai tanto nominati marginal gains. Due watt di là, due watt di qua, la somma finale porta ad avere un’ulteriore differenza. 

I test in galleria del vento sono sempre più ricorrenti per: bici, abbigliamento e materiali
I test in galleria del vento sono sempre più ricorrenti per: bici, abbigliamento e materiali
Anche la posizione in sella è un altro fattore?

La posizione in sella è forse ciò che riassume l’aspetto biomeccanico generale. Dalla posizione negli sprint alla continua ricerca della linea più aerodinamica. Questo incremento delle medie rappresenta la somma di tutto questo e dell’innalzamento del livello generale dove è sempre più difficile emergere con costanza. 

I percorsi sembra paradossale ma non incidono così tanto visto che ultimamente si parla di grandi Giri sempre più duri…

E’ normale che un Giro sia più facile e uno più duro. In quello che vinse Nibali nel 2013 dove pioveva e nevicava spesso si avevano medie più basse, ma l’aumento complessivo è stato così costante da escludere un’incidenza determinante da parte dei percorsi. 

Insomma, un insieme di variabili che portano tutte all’innalzamento delle medie?

La ricerca della performance in un ciclismo come quello che stiamo vivendo oggi, deriva dalla ricerca del dettaglio. Si cura l’allenamento e l’alimentazione e poi ci si dedica anche agli aspetti più meccanici. La media è un dato che conferma il lavoro e l’impegno rivolto al miglioramento di questa disciplina.

Si parte da Australia e Argentina: come cambia la preparazione?

08.01.2023
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Tra pochi giorni si riparte, la stagione 2023 inizierà, come non succedeva da due anni, dall’Australia e l’Argentina. Con il calendario che torna nuovamente a dimensioni pre-Covid cambiano, o meglio tornano, i vecchi sistemi di preparazione. Arrivare pronti a gennaio non è semplice, ce lo ha spiegato anche Ulissi presentandoci il Santos Tour Down Under. Come organizzano la preparazione le varie squadre, in che modo gli allenatori lavorano per ottimizzare i carichi di lavoro? Paolo Slongo, tecnico della Trek-Segafredo ci aiuta a comporre questo puzzle.

Al ritiro di Calpe a dicembre, Slongo con Elisa Longo Borghini, che segue da parecchi anni
Al ritiro di Calpe a dicembre, Slongo con Elisa Longo Borghini, che segue da parecchi anni

Obiettivi diversi

Ormai nel ciclismo si lavora per programmi, gettare delle basi fin dall’inverno è molto importante. D’altronde le case si costruiscono da fondamenta solide. 

«Il discorso ruota intorno a due punti – esordisce Paolo Slongo – il primo è capire gli obiettivi della squadra. Il Tour Down Under e la Vuelta a San Juan sono corse importanti, iniziano a dare i primi punti. In secondo luogo i team devono fare i conti anche con i corridori a disposizione. C’è chi punta a fare bene in quelle corse, come Porte quando era con noi. Ci sono anche corridori che non hanno obiettivi di classifica ma ripartono per fare chilometri e giorni di gara. Se si guarda ai dati che Porte registrava al Down Under si capisce come fosse già estremamente competitivo. Sono numeri che altri corridori facevano solo da marzo in poi».

Durante il ritiro di dicembre la Trek-Segafredo ha diviso i propri corridori in quattro gruppi, a cui si aggiunge il quinto delle donne
Nel ritiro di dicembre la Trek ha diviso i corridori in quattro gruppi, a cui si aggiunge il quinto delle donne

Programmazione da lontano

Lo stesso Diego Ulissi, nel corso della nostra precedente intervista, ci aveva raccontato come la sua presenza in Australia fosse programmata già da ottobre, prima ancora di chiudere la stagione. 

«E’ vero – riprende Slongo – anche noi in Trek dopo il Giro di Lombardia facciamo una riunione per decidere le prime gare della stagione che verrà. Si sentono prima i ragazzi e si cerca di capire chi è motivato per partire fin da subito e chi no. Noi membri dello staff possiamo dare un parere su chi debba iniziare a correre prima, ma se il corridore non è convinto si rischia di fare un lavoro controproducente. Solitamente si mandano a queste corse i corridori che, per un motivo o per l’altro, hanno terminato la stagione anzitempo».

Chi come Baroncini ha interrotto prima la stagione riparte a correre da subito, Filippo sarà in Australia
Chi come Baroncini ha interrotto prima la stagione riparte a correre da subito, Filippo sarà in Australia

Gruppi differenti

Da qui nascono le esigenze di squadra, lo staff programma il primo ritiro, ed il precedente lavoro a casa, in base al calendario dell’atleta. 

«Quando si parte a correre da gennaio – spiega il preparatore della Trek – si gettano le basi fin dai primi giorni di novembre. L’atleta è chiamato a fare tanta base fin da subito per poi accelerare quando si va in ritiro a dicembre. Chi, al contrario, inizia a correre a febbraio riprende la bici praticamente un mese dopo e lavora molto meno a casa. Questa differenziazione è dovuta al fatto che il mondo del ciclismo è cambiato, dieci anni fa si arrivava alle prime corse meno preparati e si costruiva la condizione in corsa».

I corridori come Ciccone che faranno il Giro avranno un inizio più soft e cominceranno a correre più avanti
I corridori come Ciccone che faranno il Giro avranno un inizio più soft e cominceranno a correre più avanti

Gestione del ritiro

Quando si prende l’aereo per volare al caldo nei primi ritiri in terra spagnola il lavoro è ormai già ben avviato, o meglio programmato. Gli atleti, a seconda delle esigenze delle squadre, vengono divisi in gruppi. Nicola Conci ci aveva spiegato che la Alpecin divide i corridori in tre gruppi: velocisti, uomini delle Classiche e scalatori. 

«In Trek – ci racconta Slongo – i gruppi di lavoro sono quattro: velocisti, corridori delle classiche, chi fa il Giro ed infine i giovani o convalescenti da vari infortuni. Un altro esempio che posso fare è legato anche alle nazionalità: da noi in Trek ci sono tanti danesi, da loro fa molto freddo e fanno fatica ad allenarsi, quindi mandarli a correre in Australia o Argentina è utile per lavorare meglio».

Tiberi segue il percorso di crescita e per la prima volta andrà a correre fuori dall’Europa
Tiberi segue il percorso di crescita e per la prima volta andrà a correre fuori dall’Europa

Gli allenamenti

Cerchiamo di capire, infine, come si differenziano quindi i vari giorni di allenamento. 

«Chi corre in Australia ed Argentina – conclude Slongo – arriva al ritiro di dicembre con un livello di preparazione più alto. Loro fanno un tipo di lavoro più mirato, di maggiore intensità: soglia, fuori soglia ed anche piccole gare da 4-5 chilometri in salita. Insomma li si abitua al ritmo gara. Il gruppo delle classiche, che iniziano a febbraio, lavora anche lui sulla qualità ma per molte meno ore, questi inizieranno a “spingere” nel ritiro di gennaio. I corridori più difficili da gestire sono quelli che corrono al Giro d’Italia. Non possono spingere forte fin da subito per non entrare in condizione troppo presto. Diciamo che il loro primo obiettivo è la Tirreno-Adriatico.

«I ragazzi con in programma il Tour de France, invece, sono più semplici da gestire, loro si “autogestiscono”. Chi vuole partire forte fin da subito può correre in Australia o Argentina, anche perché avrà il tempo di riposarsi e recuperare energie successivamente. Altri corridori con in programma il Tour preferiscono correre nelle Ardenne e riposarsi nel periodo di maggio».

Mosca gregario, con orgoglio e gratitudine

27.12.2022
6 min
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Professione gregario e grato alla squadra per la possibilità di farlo. Jacopo Mosca è approdato alla Trek-Segafredo nell’agosto 2019, mettendosi subito a disposizione dei compagni. Nel 2020, nel folle anno dopo il lockdown, riuscì a portarsi a casa qualche piazzamento, ma la sua vocazione non è mai venuta meno.

Mosca ha chiuso la stagione alla Japan Cup, lavorando per Ciccone: settimo
Mosca ha chiuso la stagione alla Japan Cup, lavorando per Ciccone: settimo

Ritorno al 2021

Lo abbiamo incontrato al primo ritiro della Trek-Segafredo, prima del rompete le righe che ha rispedito i corridori a casa, alla vigilia della nuova stagione. Il 2022 non è andato come si aspettava, per cui il Mosca che racconta le proprie ambizioni, è carico come una molla.

«Ho visto che anche in un anno difficile come quello appena terminato – dice – in cui per mille problemi sono andato piano, il mio supporto alla squadra non è mancato. Ho trovato il mio ruolo, che sia per supportare il giovane di turno oppure Mads Pedersen o “Cicco”, chiunque ci sia. Spero che nel 2023 tornerò a essere me stesso e sarò in grado di supportarli non solo all’inizio della corsa, ma quando serve. Il mio contributo non è quello del 2022, ma quello che si è visto fino al Giro del 2021».

Il pieno di gel e barrette per Mosca prima dell’allenamento e si parte
Il pieno di gel e barrette per Mosca prima dell’allenamento e si parte
Che cosa ti è successo?

Ho avuto problemi fisici, la testa è stata sempre a posto, anche se a fine stagione ero demoralizzato. Diciamo che mi hanno mandato una fattura da pagare. Non voglio parlare di sfortune, perché le sfortune sono altre, però certo le ho prese proprio tutte…

Mentre ora?

Va tutto bene. Siamo tornati dalle vacanze il 14 novembre, sono salito in bici e stavo meglio che a febbraio 2022, dopo un mese che non la toccavo. Perché comunque il fisico era poco allenato, ma sano. Ogni giorno che mi alleno, ci sono dei miglioramenti. Sono partito con una base, poi ho iniziato a incrementare i lavori. Non ti inventi niente. Da quest’anno mi segue Slongo, quindi con Elisa (la sua compagna Longo Borghini, ndr) abbiamo in comune anche l’allenatore ed è tutto più facile. Sono contento di avere questa possibilità. Sono partito tranquillo, lavorando tanto sulla base.

Passaggio alla Tre Valli Varesine Donne, vinta da Elisa
Passaggio alla Tre Valli Varesine Donne, vinta da Elisa
Il gregario deve saper fare tutto?

Nel 2019, pensavo di cavarmela in salita, invece ho scoperto di non essere un granché. In compenso ho scoperto di essere molto… stupido (sorride, ndr) e quindi mi butto bene nelle volate e so tenere le posizioni quando serve. Non sono veloce, ma a fine gara posso supportare quelli veloci. Diciamo che sono un corridore completo, quindi mi viene da dire che vado piano dappertutto. Non eccello da nessuna parte, ma non sono nemmeno da buttare.

Si va davvero così forte?

Sicuramente si vede che ogni anno si cresce. Se prima una salita la passavi in 50, adesso ce ne sono 80. Nelle gare WorldTour è peggio, perché il livello è altissimo. E’ sempre bello vedere di essere rimasti in un gruppo piccolo, perché pensi di poter fare qualcosa. Invece adesso siamo tutti a blocco, ma siamo rimasti in cento. La cosa migliore da fare è raggiungere il proprio massimo, poi vedere quello che si può fare. Se io sono al massimo e gli altri vanno forte, puoi giocare d’astuzia o provare delle tattiche, ma le gambe poi parlano.

Mosca sicuro: la Vuelta ha fatto bene a Tiberi. Se sale lo scalino, prende il volo
Mosca sicuro: la Vuelta ha fatto bene a Tiberi. Se sale lo scalino, prende il volo
Il gregario dà consigli?

Con Ciccone abbiamo la stessa età, ma lui ha la sua testa e la sua visione, sicuramente un po’ difficile da gestire. Lui ti dice che in salita fa meno fatica, mentre noi siamo a tutta. Oppure lui fa più fatica in pianura e noi al contrario, quindi si fatica a trovare un punto di incontro. Sicuramente mi trovo meglio a dare dritte al Tiberi di turno oppure a Baroncini, quando li vedi fare degli errori che in futuro dovrebbero evitare. Sono in camera con Baroncini e a volte, giusto per ricordargli che è giovane, alzo la voce. Tiberi l’ho visto dal 2020 quando ha fatto lo stagista e il ragazzo si sta accendendo. La Vuelta gli ha fatto bene. Ha un motore così importante che prima o poi uscirà. Chiaro che sta a lui fare quel saltino, ma secondo me c’è da dire una cosa: è passato a vent’anni e ha fatto il dilettante nel tempo del Covid. Secondo me viene fuori. Lo dicono tutti, ma basta vederlo pedalare: è forte.

Perché sei passato con Slongo?

Ero seguito dalla Mapei sin dagli anni in Viris. Con Matteo Azzolini, che era il mio allenatore, avevamo addirittura corso nello stesso periodo, perché ha due anni più di me. Mi trovavo bene, ma dopo tanti anni e l’ultima stagione che ho avuto, nel 2023 ho pensato di cambiare. Ne ho parlato con lui e ne ho parlato con la squadra e per loro ovviamente non c’era problema che passassi con Paolo. E’ una persona con un’esperienza storica. Segue Elisa da anni e secondo me sono in buone mani. In più siamo in squadra insieme dal 2020 e mi aveva già seguito nei ritiri che avevamo fatto in preparazione al Giro di quell’anno. Nel 2021 siamo stati sul Teide, quindi bene o male sapeva già come sono. Vedo i lavori che fa, poi c’è da dire una cosa: come la mischi la mischi, non è che passi dall’acqua dolce all’acqua salata. Devi inquadrare le giuste linee, poi sei a posto.

Mosca e Longo Borghini si sono allenati spesso insieme, a volte sfidandosi (foto Instagram)
Mosca e Longo Borghini si sono allenati spesso insieme, a volte sfidandosi (foto Instagram)
Come vanno gli allenamenti con Elisa?

Fino ad ora abbiamo sempre lavorato assieme. Chiaro che le velocità di crociera in pianura sono diverse. Un professionista che si allena, va in giro facile sopra i 35-38 all’ora in pianura. Direi 40, ma non vorrei sembrare esagerato. Metti il 54 e parti, è questione di wattaggi. Loro fortunatamente, essendo anche leggere, fanno più fatica in pianura, però Elisa mi fa penare in salita. Se facciamo il medio, arrivo in cima un attimo prima, ma sinceramente non ho neanche il tempo di mettere la mantellina

Non vi sfidate mai?

Non avrebbe senso, ognuno ha i suoi lavori. Ma in alcuni momenti dell’anno, tipo l’anno scorso prima del Tour, abbiamo fatto qualche allenamento insieme in cui lei aveva bisogno di fare un po’ di ritmo. E allora abbiamo fatto degli allenamenti in cui cercavo di tirarle il collo e ci sono riuscito. Sono arrivato a casa morto ed era morta anche lei, almeno questo è divertente. Sicuramente fino ad ora ci siamo allenati assieme, ma mi aspetto che io ora aumenterò i volumi di lavoro, però per l’atleta che è lei e per l’atleta che sono io, secondo me riusciremo a uscire qualche volta insieme. Poi c’è da dire che dal ritiro di gennaio in poi, ci vedremo veramente poco. Perciò sarà bene incastrare gli allenamenti. Ognuno coi suoi lavori da fare, però almeno ci si vede…

Longo Borghini, salite e progetti sulla strada del Tour

19.12.2022
6 min
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Elisa Longo Borghini sfoggia buon umore e argomenti concreti. La leggerezza scoperta negli ultimi due anni le ha portato, fra le altre, la vittoria inattesa della Roubaix. In questo giorno che conduce alla fine del ritiro di dicembre a Calpe, la piemontese è appena rientrata dall’allenamento ed è andata a confrontarsi con Paolo Slongo, da anni suo allenatore

«Delle buone atlete – sorride – c’erano anche prima, ma ora la squadra si è rafforzata molto. Questa cosa mi fa piacere, perché oltre ad offrirci grandi opportunità di vittoria con diverse pedine, ci permette anche di fare la gara. Ho tanta voglia di cominciare la stagione. Non sarò più su tutte le corse, questo è vero. Anche se quando verrò chiamata, dovrò vincere».

Prima del ritiro in Spagna, per Longo Borghini allenamento sulle strade di casa (foto Instagram)
Prima del ritiro in Spagna, per Longo Borghini allenamento sulle strade di casa (foto Instagram)

Nel mezzo della corsa

La Trek-Segafredo è lo squadrone numero uno del WorldTour femminile. Certo la Movistar ha vinto Liegi, Giro, Tour e mondiale con Annemiek Van Vleuten. Allo stesso modo, la FDJ-Suez ha vinto Amstel, Freccia Vallone e Ventoux Denivele con Marta Cavalli, ma il senso di collettivo dello squadrone americano non si batte. Nel 2023 fra i nomi da cerchiare in rosso, oltre a quello della piemontese, ci saranno Balsamo e Van Dijk, Spratt, Deignan e Lucinda Brand e le nuove arrivate Realini e Yaya Sanguineti.

«Magari – riprende Longo Borghini – non dovrò essere leader quando non sarà strettamente necessario, anche se poi a me piace sempre essere nel mezzo della corsa. Quindi mi fa molto piacere che ci siano stati nuovi inserimenti per le corse più dure, perché ci permette di giocarci diverse carte».

Sul traguardo di Black Mountain, quinta tappa del Women’s Tour, bel successo allo sprint
Sul traguardo di Black Mountain, quinta tappa del Women’s Tour, bel successo allo sprint
Quale sarà il tuo spazio? Ti senti ancora un atleta in evoluzione?

Vedendo i dati, c’è la possibilità di migliorare ancora. Mi piacerebbe essere un po’ più performante in salita per giocarmi bene le mie carte anche nelle corse a tappe. Si è visto che ci sono abbastanza, però se riesco a migliorare, posso davvero pensare a qualcosa di più. Ci sono ragazze fortissime, per carità, però posso essere anch’io della partita.

Anche fra voi arrivano le nuove leve…

Vedo delle giovani che stanno crescendo in maniera esponenziale. Basta solo guardare Silvia Persico, Eleonora Gasparrini o Marta Cavalli, che è esplosa nell’ultimo anno e mezzo. C’è una nidiata di ragazze che va molto forte. Personalmente mi fa piacere, perché anche come nazionale, questo ci rende più forti. E’ la conseguenza della diversa gestione delle corse. Della professionalizzazione di tutte le squadre e la nascita di WorldTour femminili collegate a team maschili. Il loro know-how alza il livello delle ragazze e questo fa tanto. Negli ultimi 5 anni, secondo me c’è stata un’evoluzione incredibile e io ne sono contenta.

Cosa ci sarà nel tuo 2023?

Personalmente punterei più sul Tour, perché l’anno scorso quel risultato mi ha lasciato un po’ l’amaro in bocca (Longo Borghini si piazzò al sesto posto a 8’26” da Van Vleuten, ndr). Stava andando bene, perché andavo forte, poi ho fatto qualche piccolo errore e le cose sono andate male. Si impara dagli errori e quindi mi piacerebbe ripresentarmi al Tour nelle mie migliori condizioni per riprovarci.

Elisa è all’inizio del quinto anno alla Trek-Segafrdo
Elisa è all’inizio del quinto anno alla Trek-Segafrdo
Con quale obiettivo?

Ad essere onesti, potrei puntare a una top 5 oppure al massimo a un terzo posto. Dire che voglio vincere il Tour sarebbe peccare di superbia. Io voglio andare lì per esprimermi al massimo delle mie capacità. Poi vediamo…

Perché hai scelto di lasciare la Polizia di Stato?

Perché con la professionalizzazione dello sport e con i contratti che arrivano, bisogna scegliere una cosa o l’altra. Parlo per me, beninteso. A un certo punto mi sono trovata di fronte a una situazione in cui le due cose andavano veramente a collidere. Ringrazio tantissimo le Fiamme Oro per quello che hanno fatto. Mi hanno preso sotto la loro ala e in quel momento sono stati fondamentali. Se ho potuto continuare, se io sono arrivata fin qua è anche grazie a loro. Per Nicola Assuntore e Lucio Paravano, che ne sono i due responsabili, io ho immensa gratitudine.

Qual è l’utilità dei gruppi militari ora che il WorldTour dilaga?

I corpi militari sono preziosi per la realtà della pista, che è molto diversa rispetto a quella della strada, a livello maschile e per le ragazze giovani. Se penso a com’ero, sono sicura che senza di loro, sarei stata un po’ persa. Per questo spero che loro possano continuare, magari in una maniera diversa, magari puntando più sulle giovani. Mi è dispiaciuto, devo dire la verità, perché comunque in futuro mi sarebbe piaciuto essere utile alla società. Mi sarebbe piaciuto stare con i cinofili, magari diventare istruttrice di tiro. Insomma, aiutare le persone, non tanto mettermi agli incroci con la paletta in mano.

Decima al mondiale: la corsa di Wollongong è stata l’ultima di Longo Borghini con il casco della Polizia di Stato
Decima al mondiale: la corsa di Wollongong è stata l’ultima di Longo Borghini con il casco della Polizia di Stato
Tre figure chiave per te: Slongo, tua madre e Jacopo Mosca. Da dove cominciamo?

A Slongo devo molto, i miei risultati sono frutto del nostro lavoro. Per me non c’è miglior allenatore. Mi piace molto il suo approccio, anche con la mia mentalità. Lui è uno molto tranquillo, mentre io a volte sono più un po’ più sanguigna. Me la prendo molto, vorrei sempre fare. Invece Paolo mi tranquillizza e mi calma. Lui è uno preciso, ha le sue idee. Ha una visione molto lunga delle cose. Non partiamo mai con degli allenamenti che non siano mirati in prospettiva. Siamo sempre con gli occhi puntati oltre e questa cosa mi piace. Mi piace chi guarda in là, chi è ambizioso, chi cerca sempre qualcosa in più.

La mamma?

All’inizio era la persona che più si opponeva al fatto che io e mio fratello facessimo sport, ma non per motivi particolari. Se non altro perché sapeva benissimo di quanti sacrifici abbia bisogno lo sport. Quando abbiamo cominciato e abbiamo iniziato a girare il mondo, è diventata la nostra prima fan. Mia mamma (Guidina Dal Sasso, azzurra di sci di fondo, ndr), farebbe un po’ di tutto per me. Oltre a seguirmi alle corse, a volte quando sono a casa e fa molto freddo, magari le chiedo se mi raggiunge in cima alla salita su cui sono arrivata. E allora lei prende la macchina, viene e mi porta la mantellina o qualcosa di caldo. Avendo fatto l’Isef ed essendo stata un’atleta, sa come funzionano le cose. Ovviamente adesso sono anni che mi lascia andare, però da donna capisce certe dinamiche da atleta.

L’accoppiata Balsamo-Longo Borghini è una delle colonne portanti della Trek-Segafredo
L’accoppiata Balsamo-Longo Borghini è una delle colonne portanti della Trek-Segafredo
E Jacopo?

Ho trovato la mia tranquillità, la mia serenità. Parlavo con lui mentre stavamo andando a fare il test del lattato con Slongo e ci dicevamo che alla fine è bello essere qui in Trek. Essere in ritiro insieme, essere professionali. Magari non ci incrociamo tutto il giorno, ma comunque sapere che c’è è un bel modo di vivere. Ci sono poi anche momenti e mesi in cui non ci vediamo, però quando siamo insieme siamo effettivamente insieme. So che se dimentico qualcosa, c’è sempre lui.

Forti in salita, forti a crono? Slongo convinto a metà

31.10.2022
5 min
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«Chi va forte in salita, va forte anche a crono», parole di Ivan Basso che a sua volta le aveva riprese da Bjarne Riis. Alcuni giorni fa avevamo avuto il piacere di fare qualche pedalata al fianco di Davide Piganzoli. E ci aveva colpito che un atleta così longilineo potesse andare tanto bene anche nelle cronometro.

Oggi i giovani sembrano tutti andare forte in entrambi i terreni: Evenepoel, Pogacar, Vingegaard, Almeida, Ayuso, Vlasov (nella foto di apertura), Carlos Rodriguez… Però quanti di questi sono scalatori puri? Eppure “Piga”, che il prossimo anno passerà alla professional della Eolo-Kometa, sembra essere parecchio scalatore, ciò nonostante è campione nazionale a crono U23.

Paolo Slongo è stato uno dei preparatori che in carriera ha seguito Basso, ma soprattutto ha gestito diversi scalatori chiamati ad andare forte contro il tempo. A lui abbiamo posto alcune domande su questo tema, per capire se poi è effettivamente così e perché. 

Paolo Slongo è oggi uno dei tecnici della Trek-Segafredo ma in passato ha avuto anche Nibali e Basso
Paolo Slongo è oggi uno dei tecnici della Trek-Segafredo ma in passato ha avuto anche Nibali e Basso
Paolo, “chi va forte in salita, va forte anche a crono”: è così dunque? Come si fa? 

Mi ricordo gli anni in Liquigas e Ivan già all’epoca diceva questa cosa. Però non è che sia proprio una regola fissa. Di base non è sbagliato: lui e Riis sostengono che se tu riesci a fare un certo sforzo, di 30′-40′ in salita, dovresti essere in grado di replicarlo a crono. Ma dove sta la differenza? A crono devi avere un atteggiamento diverso e una certa predisposizione.

Vai avanti…

A crono sei da solo. Magari quando sei in salita ci sono gli avversari e hai stimoli diversi. E poi devi avere la predisposizione vera e propria per la crono. Ti deve piacere e devi dare il 100% da solo: non tutti ci riescono. Chi riesce a sviluppare più watt ed è più leggero è avvantaggiato in salita. Ma il discorso del peso s’inverte in pianura per il cronoman. Diciamo però che i due mondi, scalatore e cronoman, si possono incontrare.

Davide Piganzoli in azione al tricolore crono U23, da lui vinto. Poi ha ottenuto ottime prestazioni anche in salita, come all’Avenir
Davide Piganzoli in azione al tricolore crono U23, da lui vinto. Poi ha ottenuto ottime prestazioni anche in salita, come all’Avenir
Come?

Con lo studio aerodinamico, con lo sviluppo dei materiali e della posizione. L’atleta più piccolo (in teoria lo scalatore, ndr) ha meno impatto con l’aria e può trasformarlo in un punto a suo vantaggio.

Il concetto di Evenepoel…

Esatto. Ti puoi avvicinare ad uno specialista da questa via.

Ma in una crono piatta non c’è la gravità che va incontro allo scalatore. Non è il rapporto potenza/peso, ma solo la potenza a incidere. Contano principalmente i watt…

La potenza non cambia: è quella. Torno a parlare della predisposizione del soggetto. Uno mingherlino può insistere molto sull’aerodinamica. E sui materiali, a partire dal body, dal casco.. altrimenti non ci sono vie di scampo. Il Ganna di turno lo batterà sempre. Uno di 80 chili è sempre avvantaggiato.

Stando alle misure antropometriche Mas dovrebbe essere il cronoman e Remco lo scalatore. Invece è il contrario
Stando alle misure antropometriche Mas dovrebbe essere il cronoman e Remco lo scalatore. Invece è il contrario
Come faccio a trasmettere quella forza che ho in salita, in quanto scalatore, in pianura?

E’ impossibile. Posso avvicinarmi con tutte le cose che ho detto, ma uno scalatore non può competere con uno specialista della crono.

E per migliorare, lo scalatore oltre ai materiali, deve insistere sull’agilità, oppure deve lavorare di più sulla forza e i rapporti più lunghi? 

E’ complicato. Bisogna trovare un equilibrio tra la sua prestazione e l’aerodinamica. Molti atleti non riescono a sviluppare a crono gli stessi watt che hanno sulla bici da strada proprio per la posizione estrema. Ma se fai un calcolo di “costi/ricavi” tra potenza e aerodinamica, meglio fare meno watt ed essere più aero. E’ la bellezza e al tempo stesso il dubbio delle crono. 

E invece allungare le pedivelle aiuta lo scalatore?

Dipende. Sia nel caso Basso che Nibali avevano 172,5 millimetri su strada e 175 a crono. Si cerca di sfruttare ogni cosa chiaramente. Con la leva più lunga si esprime più forza. E anche la posizione della sella più avanzata (che spesso veniva tagliata) aiuta… Ma anche in questo caso va fatta un’analisi. Se il corridore punta a una classifica generale, per fare certe scelte sulle posizioni estreme bisogna stare attenti. Perché se opti per una troppo forzata rischi che il giorno dopo gli possa creare dei problemi muscolari. E se è previsto un tappone dolomitico? Devi trovare il giusto mix. Magari perdi 10” ma il mattino dopo ti alzi senza mal di gambe. Sono test che si fanno di anno in anno.

Quintana è forse l’esempio migliore di scalatore puro che va bene a crono. Merito anche di femori lunghi per la sua statura?
Quintana è forse l’esempio migliore di scalatore puro che va bene a crono. Merito anche di femori lunghi per la sua statura?
Abbiamo spesso detto che ormai lo scalatore puro è in via di estinzione. Ma ne ricordi qualcuno che negli ultimi anni si sia difeso davvero bene a crono? 

Quintana, ma se andiamo più indietro, anche Pantani fece delle belle crono. Poi io credo che quando hai la forma fisica, magari indossi anche la maglia di leader, il rendimento aumenta.

A parità di statura incide la lunghezza del femore? Chi ce l’ha più lungo è avvantaggiato?

In teoria sì, poi però c’è la pratica. Se guardo i calcoli meccanici, le leve di forza, è così. Ma poi può succedere il contrario perché non è predisposto, anche mentalmente, per la crono. Guardiamo Dumoulin ed Evenepoel: i due hanno di certo un femore diverso ma chi va più forte? La matematica è una cosa, la bellezza del ciclismo è un’altra.

Ripensando alle parole di Slongo, che insiste molto sulla predisposizione anche mentale alla crono, e sulla posizione, è giusto allora che la nuova generazione cresca lavorando sin da subito su questa specialità. Dalle uscite settimanali in allenamento, ai test in galleria del vento. E forse questo spiega perché scalatori come Piganzoli, Ayuso o Pogacar vadano forte anche contro il tempo: non è (solo) questione di misure antropometriche.

Il diario di Pallini, viaggio nel Nibali mai visto

23.10.2022
8 min
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Non basterebbe un libro. E se uno l’hanno scritto su Nibali dopo il Tour, quello di Michele Pallini che racconta le stesse cose dal suo punto di vista sarebbe una lettura interessante. Così quella che voleva essere una telefonata per raccogliere gli aneddoti del massaggiatore si è trasformata nel viaggio di un’ora e mezza da sintetizzare per ragioni di spazio e perché certe cose dette in confidenza è bene non scriverle. Ma quando abbiamo chiuso, la sensazione è stata di aver appena iniziato il discorso.

Giro d’Italia 2022, Nibali si dirige al Processo alla Tappa, Pallini accanto a lui: sta per annunciare il ritiro
Giro d’Italia 2022, Nibali si dirige al Processo alla Tappa, Pallini accanto a lui: sta per annunciare il ritiro
Pallini-Nibali: dopo 14 anni, come definiresti il vostro rapporto?

Lo pensavo solo sotto il profilo professionale, invece ci ho dovuto mettere anche qualcos’altro. Nel senso che quando vivi a stretto contatto con un’altra persona, qualcosa nasce, un’amicizia un po’ più profonda. Mia moglie dice che abbiamo lo stesso carattere. Quindi anche se due segni uguali si respingono, tante volte essere simili ci ha aiutato. Siamo abbastanza taciturni, non ci piacciono le feste. Magari, vista la differenza di età, lui è un filo più festaiolo, ma tutto preso con le dovute proporzioni. Abbiamo fatto dei viaggi in cui non abbiamo parlato mai. Però a me andava bene così e a lui andava bene così.

Il successo ha cambiato le cose?

A un certo punto, Vincenzo è diventato Nibali. In quel momento, come dice Martino, ti tirano tutti per la giacchetta, nel senso che anche professionalmente si sono avvicinate tante persone e penso di aver attirato l’antipatia di qualcuno. Perché magari mi sono permesso di dargli dei consigli, anche se chiaramente Vincenzo ha sempre fatto di testa sua. Pesava quello che gli dicevo, però alla fine il dito ce lo voleva mettere. Ho sempre cercato di mettere lui al centro dell’attenzione e creare un team che lo aiutasse a dare il meglio. Il primo anno di Astana ero da solo, Slongo non c’era, il dottor Magni non c’era. E così mi sono trovato a gestire tante situazioni.

Pallini con Geoffrey Pizzorni al Tour del 2018, prima della caduta sull’Alpe d’Huez
Pallini con Geoffrey Pizzorni al Tour del 2018, prima della caduta sull’Alpe d’Huez
Cosa non facile…

In realtà Paolo nel 2013 c’era già, ma dietro le quinte. Il problema maggiore ce l’aveva lui, dato che lavorava ancora per la Liquigas. Se veniva fuori in modo troppo evidente, poteva avere dei problemi. Amadio lo voleva tenere, poi invece si trovò un accordo per il 2014 con Zani e passò con noi. A quel punto mancava una figura nello staff medico e venne fuori il nome di Emilio Magni, che si occupava anche della parte nutrizionale. Durante la tappa andavo sul bus della Liquigas e mi facevo dire cosa dovesse mangiare o la quantità. Ci mancava anche un addetto per voi giornalisti e arrivò Geoffrey Pizzorni (oggi nello stesso ruolo alla Bike Exchange, ndr).

I momenti belli coincidono con le vittorie?

Non per forza, perché quando si vince si soffre, non è tutto luccicante. Quel che pesa lavorando con un atleta come lui è il senso di responsabilità e la paura che succeda qualcosa. La responsabilità crea ansia, perciò se dovessi dire che al Tour vinto ho vissuto 21 giorni meravigliosi, sarei un bugiardo (sorride Pallini, ndr). Sei sempre con l’ansia che cada, la paura che succeda qualcosa. Lavori perché tutto vada bene, che la squadra si comporti bene. E poi succedono cose che da fuori non si vedono.

Pallini ha seguito Nibali in tutta la carriera, inclusa la vittoria del Tour 2014
Pallini ha seguito Nibali in tutta la carriera, inclusa la vittoria del Tour 2014
Ad esempio?

Nel 2012 quando ha fatto terzo al Tour, alla partenza di una tappa pirenaica arrivò e aveva un piccolo stiramento dal giorno prima, ma di cui non mi aveva parlato. Non ci si poteva fare niente, quindi applicai un piccolo bendaggio e a quel punto Basso giocò di esperienza. Praticamente hanno tirato tutto il giorno, facendo credere che Vincenzo facesse la tappa. In realtà tiravano perché stava male e facevano il passo che poteva sopportare. Due giorni dopo c’era la cronometro che vinse Wiggins.

Che ansia…

Sono tutte preoccupazioni. Alla fine te la godi, ma non è che durante la corsa vada sempre tutto liscio. I particolari da curare sono tantissimi. Vi dico una stupidata di quando abbiamo vinto il Tour. Dopo l’arrivo, Vincenzo beve acqua gassata, ma quando andavi nel backstage delle premiazioni, non potevi portare niente che non fosse sponsorizzato da Vittel. Neppure le borracce della squadra. Per cui io riempivo le bottiglie della Vittel con l’acqua gassata e gliela portavo. Seduti qua è tutto facile, sembrano cose strane. Però in un Tour, specialmente verso la 13ª-15ª tappa, quando magari la giornata è andata male e hai fatto più fatica del solito, anche al corridore più tranquillo viene un po’ di ansia. Quindi devi fare di tutto per tenerlo tranquillo. Magari da fuori non si vede niente…

Solo stress?

Chiaramente ci sono anche i momenti belli. Penso che contento come quando ha vinto la Sanremo non l’ho mai visto. Continuava a dirmi: «Ma come ho fatto? Ho vinto la Sanremo, ma ti rendi conto?». Continuava a dirmi queste frasi. Sono cose che ti vengono d’improvviso, perché una Sanremo non ce la saremmo mai aspettata e meno ancora quella lì. Avevamo vissuto una vigilia tranquillissima, perché sapevamo di dover correre per Colbrelli. Sul bus la tensione c’era, perché la Sanremo ne crea sempre, però non era come quando sai che devi fare la corsa. Lui passa per quello tranquillo, che poi gli ultimi anni lo è sempre stato meno, ma comunque pensi che non vuoi sbagliare niente, l’alimentazione per non spegnerti troppo presto…

Champs Elysées 2014, Nibali ha vinto il Tour. Pallini lo aspetta al traguardo
Champs Elysées 2014, Nibali ha vinto il Tour. Pallini lo aspetta al traguardo
Credi che alla fine abbia sofferto il passare del tempo?

No, ma penso che abbia capito di non essere più competitivo e questo gli ha dato un po’ di insicurezza e di conseguenza anche un po’ di ansia e di nervosismo. Eppure per capire che si è ritirato dovranno passare due o tre anni, forse quando smetterà di fare anche qualche gara in mountain bike. Sono andato lunedì a pranzo da lui e non ha fatto altro che raccontarmi della gara all’Elba, che l’aveva sottovalutata, che ha mangiato poco e ha consumato tanto… Io credo che non esista l’interruttore che spegne l’agonismo, penso che in proporzione sia stato più cosciente Fabio (Aru, ndr).

Valverde ha detto più o meno le stesse cose.

La differenza tra Vincenzo e Alejandro è che Valverde è stato un po’ più costante. Forse è meno dotato in bici, però a guardarli sono praticamente uguali e dovrebbero avere lo stesso peso o comunque una differenza minima. Invece dalle foto si vede che Alejandro è stato più attento fino all’ultimo. Se Vincenzo fosse pesato come Valverde al Lombardia, sul Civiglio non lo staccavano. Al Giro ha fatto una gran fatica, perché ci sono anche gli anni. Però a un certo punto, quando si è ritirato Lopez, gli è scattato il fatto che toccasse a lui. Un po’ di condizione c’era, abbiamo parlato con Magni e gli abbiamo detto: «Guarda che se tu arrivi alle salite con questo peso, si riesce a restare là, poi vediamo dove si arriva». E nella seconda settimana lui ha fatto un sacrificio che non faceva già da un po’ ed è riuscito a calare durante il Giro. Siamo arrivati all’inizio dell’ultima tappa di montagna con il peso di metà Tour 2014 . Nella tappa di Risoul, pensava 63 chili, al Lombardia era forse a 67. Quei 4 chili a questi livelli sono tanti per tanti motivi.

Difficile scendere?

Quando abbiamo dovuto scegliere per tornare all’Astana l’anno scorso, c’era stata l’offerta della Quick Step che gli aveva fatto una mezza proposta per affiancare Evenepoel. Io gli dissi: «Ascoltami, se mi dici che vuoi fare una stagione dedicata solo al ciclismo, perché è l’ultima e non vuoi nessuna distrazione e vivrai solo per quello, sono con te. Ma basta che tu mi dica una mezza volta che ci vuoi pensare, allora dico che è meglio di no. Perché se non sei convinto al 100 per cento, alla prima difficoltà molli tutto». E’ stato anche bravo a riconoscerlo, perché poteva pure illudersi che ce l’avrebbe fatta e poi magari pigliava la porta in faccia. Aveva già provato ad allenarsi in maniera diversa quando ha discusso con Slongo, però anche lì le cose non sono andate bene…

Giuseppe Martinelli, Vincenzo Nibali, Paolo Slongo, Tour de France 2014
Martinelli, Nibali e Slongo. Il rapporto fra Vincenzo e il suo allenatore si è concluso nel secondo anno alla Trek
Giuseppe Martinelli, Vincenzo Nibali, Paolo Slongo, Tour de France 2014
Martinelli, Nibali e Slongo. Il rapporto fra Vincenzo e il suo allenatore si è concluso nel secondo anno alla Trek
I momenti brutti sono coincisi coi momenti difficili in corsa?

Forse sì, perché sono andati di pari passo con i problemi fisici, che creano ansia, depressione e paure. Conoscono tutti la caduta al Tour o la caduta alle Olimpiadi, ma nessuno immagina ad esempio quanto gli sia pesata la caduta al campionato italiano del 2011 in Sicilia, vinto da Visconti, dopo un Giro in cui sperava di fare molto meglio. Quello fu un colpo di cui nessuno ha mai parlato, ma che gli pesò molto.

Invece la caduta del Tour?

Il problema fu la coincidenza di un mondiale adatto a lui, cui voleva andare. Se fosse stato come quest’anno, non si sarebbe operato e quindi avrebbe avuto qualche problema in meno. L’operazione in se stessa non era tanto invasiva, ma per uno sportivo di quello spessore serviva del tempo per ritornare a un certo livello. Noi invece abbiamo dovuto stringere i tempi. Dopo 3-4 giorni siamo andati a casa. Il dottore gli aveva detto che poteva salire sui rulli dopo 5 giorni, invece lui è montato subito sulla bici e gli sembrava di non esserci mai andato in vita sua. Siamo ripartiti da lì. Con suo cugino Cosimo che lo staccava e lui che diceva: «Ma io come faccio a correre la Vuelta, se mi stacca Cosimo?». Lo dice sempre: «Tornassi indietro, non farei il mondiale e non mi opererei».

Tour 2018, la caduta sull’Alpe d’Huez: Nibali decise di operarsi alla vertebra rotta per rientrare ai mondiali di Innsbruck
Tour 2018, la sull’Alpe d’Huez: Nibali decise di operarsi alla schiena per rientrare ai mondiali di Innsbruck
Pallini come vede il Nibali dell’età matura?

Il Nibali adulto deve ancora crescere. Vincenzo è diventato adulto in bici e adesso è di nuovo bambino, perché questo è tutto un altro tipo di approccio e di lavoro. Quindi bisogna che si faccia le ossa, che cresca, che faccia le sue esperienze e dopo secondo me può anche essere un ottimo team manager. Perché ha le possibilità. Lui dice di no, però secondo me è un ottimo collante con gli sponsor e sa quello che serve all’interno di una squadra di ciclismo. E se riesce a capire quali sono le problematiche anche all’interno, le dinamiche tra staff, corridori, management e sponsor, secondo me lo può fare.

Pensi che lo massaggerai ancora?

Lo aspetto al varco, sicuramente sì. Infatti ho lasciato il lettino a casa sua. Gli ho detto di tenerlo, che può far comodo. Ne avevo una a casa sua, in una stanzina dove faceva i massaggi. Prima o poi si finirà per farlo ancora…

Tris nei grandi Giri: brava Van Vleuten, ma non fate paragoni

22.09.2022
5 min
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Annemiek Van Vleuten si lecca le ferite della spaventosa caduta nel Team Relay. Sabato l’aspetta la corsa mondiale ed è chiaro che anche se non è proprio un percorso per lei ideale, il sogno di conquistare l’ennesima maglia iridata c’è, perché sarebbe la ciliegina su una torta incredibile, formata dalla conquista delle tre grandi corse a tappe nello stesso anno: Giro, Tour e Vuelta.

Un’impresa alla quale nessun uomo si è neanche mai avvicinato, prima del 1995 perché Vuelta e Giro erano troppo vicine, poi perché il ciclismo è diventato talmente competitivo ad altissimi livelli che è diventato arduo anche provare a lottare per la vittoria in solo due di esse. Quale valore va attribuito allora all’impresa dell’olandese? Paolo Slongo, preparatore della Longo Borghini e profondo conoscitore di entrambi i mondi ha idee precise al riguardo.

«Un paragone per me non è proponibile – afferma con nettezza – basta solo guardare il totale delle tappe disputate: 10 per il Giro, 8 per il Tour, 5 per la Vuelta. Il totale è di 23, quanto una sola delle grandi corse a tappe al maschile. Inoltre c’è una profonda differenza per il periodo: al maschile le gare sono lontane fra loro e la programmazione al massimo può contemplarne due, fra le donne era tutto racchiuso in meno di due mesi e mezzo».

Quanto influisce anche il numero di atleti dei rispettivi ambiti?

Moltissimo, mettiamo a confronto team di 30 corridori con 14 cicliste quando va bene. E’ chiaro che il calendario così ricco impone alle squadre di schierare le ragazze quasi sempre, questo porta anche a un maggiore livellamento. Ciò non toglie che va dato merito all’olandese di essere almeno una spanna sopra tutte: in salita è troppo superiore alle altre, fa la differenza e su quella costruisce i suoi successi, quando attacca non le resiste nessuno.

Per Slongo parlare dei tre grandi Giri in relazione a uomini e donne è molto diverso
Per Slongo parlare dei tre grandi Giri in relazione a uomini e donne è molto diverso
Da che cosa nasce questa enorme superiorità?

E’ difficile dare una risposta non essendo nel suo entourage. Sicuramente la Van Vleuten ha una resistenza notevole unita a una grande attitudine per questo tipo di gare. Su di lei calza a pennello un ritornello che si sente spesso: un grande talento naturale affinato con l’allenamento…

Van Vleuten a parte, un’impresa del genere nel ciclismo femminile è ripetibile?

Il calendario lo permette: magari non ci sarà più una dominatrice così netta, ma quel che è certo è che tra una corsa e l’altra potremo assistere a confronti ripetuti. Se guardiamo le classifiche delle tre corse, ben 6 atlete oltre la Van Vleuten sono finite sempre nelle prime 13 posizioni (Longo Borghini, Ludwig, Labous, Persico, Garcia e Chabbey, ndr) il che significa che si può sicuramente fare con l’attuale struttura della stagione.

Tra le altre la migliore “stakanovista” è stata la Longo Borghini: quarta al Giro, sesta al Tour, seconda in Spagna
Tra le altre la migliore “stakanovista” è stata la Longo Borghini: quarta al Giro, sesta al Tour, seconda in Spagna
Parlavi prima della lunghezza delle corse, secondo te sono ampliabili?

Sì, ma senza esagerare. Credo che una dozzina di giorni sia una proporzione giusta, ma si dovrebbe mettere mano non solo alla lunghezza dei Giri, quanto anche alla loro struttura, renderli più vari ed equilibrati. Non dovrebbe mancare una cronometro individuale che quest’anno era solo al Giro, per dare possibilità anche a chi scalatore non è di competere per la classifica finale.

In campo maschile una simile impresa è inconcepibile. Negli ultimi anni qualcuno ha provato la semplice presenza, ultimo l’australiano Adam Hansen nel 2017. Secondo te non puntando alla classifica, si può pensare a effettuare tre corse di tre settimane nello stesso anno?

Dipende da che cosa ci si prefigge. Essere presenti per dare una mano in squadra è possibile, se vai come velocista anche e gli esempi di Baffi, Poblet e Petacchi che vinsero una tappa in tutti e tre i grandi Giri nello stesso anno lo dimostra. Pedersen ad esempio se quest’anno avesse provato il Giro, magari non facendolo tutto, magari centrava una vittoria. La classifica richiede attitudine e soprattutto una preparazione che non si adattano al ciclismo odierno. A meno che…

Adam Hansen, un caso a parte: ha disputato 20 grandi giri di seguito, dalla Vuelta 2011 al Giro 2018
Adam Hansen, un caso a parte: ha disputato 20 grandi giri di seguito, dalla Vuelta 2011 al Giro 2018
A meno che?

Anni fa Tinkoff lanciò una provocazione: una sfida nello stesso anno fra tutti i big delle corse a tappe nelle tre gare, preparando solo quelle. Forse potrebbe anche essere fattibile, ma bisognerebbe studiare bene la cosa, anche un regolamento ad hoc e adattare la preparazione affrontando comunque terreni sconosciuti. Per ora resta un’utopia…

Grandi Giri: è ancora possibile puntare alla doppietta?

08.09.2022
5 min
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La Vuelta, in questi giorni giocherà le battute finali, nel segno della maglia rossa di Remco Evenepoel. Avevamo già analizzato come il ciclismo moderno si stesse “specializzando” arrivando a fare sempre meno giorni di corsa, ma con l’obiettivo di essere sempre performanti. Questo dato risulta ancor di più dalla corsa a tappe spagnola, alla quale hanno preso il via i primi tre della classifica finale dell’ultimo Giro d’Italia: Hindley, Carapaz e Landa. I quali non sono riusciti ad essere mai performanti per entrare nella classifica generale della Vuelta. Il più attivo è risultato Carapaz, con due successi di tappa, al netto dei 18 minuti di ritardo che paga al momento dal leader Evenepoel. 

Per Carapaz dopo il secondo posto al Giro due tappe alla Vuelta, ma una classifica compromessa già alla fine della prima settimana
Carapaz Pandera
Per Carapaz dopo il secondo posto al Giro, due tappe alla Vuelta, ma classifica subito compromessa

Cambio di rotta

Paolo Slongo, preparatore e diesse di grande esperienza ha vissuto tante epoche. E’ stato lui che ha guidato Nibali quando, nel 2013, il siciliano ha colto la sua prima vittoria al Giro e, pochi mesi dopo, il secondo posto alla Vuelta (foto di apertura con Nibali in maglia rossa, che passò a Horner a tre giorni dalla fine, ndr). 

«Penso che programmando bene – inizia a parlare Slongo – avendo in testa di correre Giro e Vuelta sia più fattibile fare classifica. Ci sono tempi più larghi, si riesce ad avere un maggiore stacco e di conseguenza un periodo di preparazione più ampio. Sono dell’idea che accoppiare Giro e Tour o Tour e Vuelta sia troppo difficile per il ciclismo moderno, dove devi essere sempre al 100 per cento.

«E’ troppo difficile anche mentalmente cercare di prolungare un periodo di forma per così tanto tempo, anche perché nelle poche settimane che passano tra queste corse si avrebbe solamente il tempo di mantenere la condizione. Diverso è se, per un motivo o per un altro, non riesci a performare in un Grande Giro e di conseguenza punti a quello successivo. Com’è stato il caso di Mas quest’anno al Tour, ora lo vedete forte alla Vuelta».

Mas, ritirato dal Tour causa Covid, ha preparato la Vuelta prolungando la preparazione e ricalibrando gli obiettivi stagionali
Mas, ritirato dal Tour causa Covid, ha preparato la Vuelta ricalibrando gli obiettivi stagionali

Una grande diversificazione

I metodi di lavoro e di preparazione sono cambiati molto, concentrando gran parte del lavoro negli allenamenti specifici, non più nelle gare. La corsa diventa il palcoscenico dove mostrare la propria forza, non un laboratorio nel quale provare e fare esperimenti. 

«Questo dipende da tante cose – continua Slongo – soprattutto da quel che vuole la squadra e dai suoi obiettivi. Una cosa però è certa: fino a pochi anni fa i leader correvano facendo degli avvicinamenti simili, disputavano le stesse corse, ora nemmeno questo. Si va troppo ad esasperare lo specifico appuntamento e li trovi corridori sempre pronti negli appuntamenti che contano. Evenepoel, per esempio, ha concentrato gran parte della sua stagione, se non tutta, sulla Vuelta. E’ ovvio che arrivi con maggiore motivazione e preparazione rispetto a chi ha già corso il Giro d’Italia o il Tour de France. Ha più fame di successo, gli altri invece sono appagati da quanto mostrato negli appuntamenti precedenti».

Tempi e mentalità diversi

Dal periodo post pandemia, quindi stagione 2020 compresa, è diventato ancora più difficile proporsi ad alti livelli in due Grandi Giri. In precedenza, nel 2017 Froome vinse il Tour e poi la Vuelta, infilando a seguire anche il Giro del 2018. L’ultimo ad andarci vicino è stato Roglic nel 2019 e nel 2020 quando fece terzo al Giro e poi vinse la Vuelta, quindi secondo al Tour e primo alla Vuelta.

«Vi faccio un esempio – racconta Slongo nuovamente – di quel che è cambiato negli anni. Vincenzo alla Tirreno-Adriatico non arrivava mai al massimo della condizione, ma era sempre competitivo. Negli ultimi anni fai fatica ad entrare nei primi dieci se non sei al massimo. In Australia, al Tour Down Under, vedi certi valori in salita che ritrovi poi al Tour de France. Se punti ad una corsa, ormai arrivi super preparato, anche se è ad inizio stagione. Prima, invece, individuavi un periodo e riuscivi a correre mantenendo una buona condizione per più tempo. Il cambiamento principale è arrivato negli ultimi 7-8 anni, quando la Sky con Froome sdoganò questo metodo di lavoro sempre più specifico. Nibali, quando ha vinto il Tour, ha dovuto trascurare tutte le gare di inizio stagione. 

I primi a cambiare metodo di lavoro sono stati la Sky e Froome, lavorando specificamente tutti gli anni per dominare al Tour
I primi a cambiare metodo di lavoro sono stati la Sky e Froome, lavorando specificamente tutti gli anni per dominare al Tour

La visione del preparatore

Come ultimo passo bisogna capire se questi nuovi metodi di approccio alle gare abbiano cambiato il lavoro del preparatore

«A mio modo di vedere – dice Slongo – non è cambiato il modo di lavorare. Alla fine devo seguire il metodo migliore per gli obiettivi del team a seconda delle richieste e dei progetti. Ho i miei sistemi e devo solo capire quando e come applicarli. Quel che cambia sono lo spettacolo ed il rapporto del pubblico con il ciclismo. C’è chi è felice perché ogni volta che guardi una corsa di un corridore top lo vedi sempre al massimo della condizione e delle prestazioni. Al contrario, alcuni preferirebbero vedere i corridori impegnati in più corse ed affrontarsi in uno scenario più ampio».

Slongo e il rientro del campione dopo un infortunio

22.08.2022
6 min
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Egan Bernal è rientrato in corsa 345 giorni dopo la sua ultima gara. Un lasso di tempo davvero importante, di fatto è una stagione. Non è facile gestire uno stacco così, specialmente dopo un infortunio e ancora di più quando di mezzo c’è un super campione. Tutto diventa più delicato: più accortezze, più attenzioni mediatiche, più interesse da parte di team, sponsor, tifosi…

Premesso che il colombiano in Danimarca si è ritirato per una caduta (foto di apertura), ma per precauzione, da Paolo Slongo diesse e in questo caso ancora di più, preparatore di lungo corso, ci facciamo spiegare come si gestisca questa fase. Lui ci è passato più volte con Vincenzo Nibali, in particolare dopo la caduta nella quale riportò la frattura di una vertebra al Tour de France sulle rampe dell’Alpe d’Huez.

Slongo Nibali Dorelan
Slongo ha lavorato per anni con Nibali. Anche nel 2018, quando lo Squalo si ruppe la vertebra al Tour
Slongo Nibali Dorelan
Slongo ha lavorato per anni con Nibali. Anche nel 2018, quando lo Squalo si ruppe la vertebra al Tour
Paolo, appunto, come evolve una situazione simile?

I campioni, ma direi i corridori in generale, chiaramente sono dispiaciuti quando sono vittime di infortuni, ma restano campioni anche in quel momento poiché sanno che non ci possono fare nulla. A livello psicologico è qualcosa che pesa, ma riescono a prenderlo dal lato giusto. E soprattutto dopo poco tempo hanno voglia di tornare. E qui si rischia l’errore.

Quale?

Quello di affrettare i tempi. Un errore che si ripercuote sia nell’immediato che nel lungo periodo. Il campione ancora di più deve dare tempo al corpo di riassestarsi. Il ciclista poi è un “gladiatore” e a seconda di cosa abbia, dopo una settimana ti chiede se può fare i rulli, oppure fare questa o quella attività.

Bisogna tenerlo a freno, insomma…

Esatto, ho constatato che è così. Poi però dall’altra parte subentra il discorso del peso. Perché è vero che non deve fare nulla, ma neanche può ingrassare e così gli devi stare dietro e dirgli di stare attento a cosa e quanto mangiare. 

In Danimarca Bernal si è messo a disposizione del team. Nonostante l’altimetria easy prima del ritiro aveva oltre 20′ di ritardo
In Danimarca Bernal si è messo a disposizione del team. Nonostante l’altimetria easy prima del ritiro aveva oltre 20′ di ritardo
E poi c’è il rientro…

La prima parte del ritorno in sella è quella forse più difficile. Il campione ha in testa ciò che era e dopo un’ora che pedala ha il fiatone oppure vede l’amatore che lo passa e pensa: una vita a costruire, un attimo a perdere tutto. La sua testa vorrebbe una cosa, le sue gambe e il suo corpo no. Eppure già dopo 7-8 giorni ritrova un colpo di pedale dignitoso e da quel momento tutto è un po’ più facile e il campione torna a volare con la testa. Alla fine ci sono delle fasi per il rientro.

E quali sono?

Nella prima fase prende coscienza dell’infortunio sul momento dell’incidente e realizza quando inizia a pensare che ne può uscire al meglio che può. La seconda fase è quella prima di ripartire o quando è appena ripartito e si rischia di affrettare i tempi (è ancora una fase psicologica). La terza è la ripresa graduale e traumatica, quando testa e corpo ancora non vanno all’unisono, come dicevamo. La quarta fase, la più facile, quando capisce che può tornare ai suoi livelli. E in quel caso regna l’ottimismo.

Magari non è bellissimo da dire, ma per un campione che è “più prezioso” e caro rispetto ad un corridore normale ci sono delle accortezze?

Secondo la mia esperienza, il medico del team cerca sempre più pareri, il più possibile autorevoli, interroga vari settori interessati a quell’infortunio: non si può sbagliare. L’atleta deve continuare a produrre determinate prestazioni. Poi c’è il team che cerca di non affrettare i tempi e la prima cosa (come sta facendo la Ineos-Grenadiers con Bernal, ndr) che vuole è che l’atleta torni come era prima dell’incidente. Valuta le varie opzioni per il suo rientro perché c’è un patrimonio da recuperare ed eventuali scelte anche sul suo futuro.

La sfortunata caduta di Nibali verso l’Alpe d’Huez nel 2018 che gli costò una frattura vertebrale
La sfortunata caduta di Nibali verso l’Alpe d’Huez nel 2018 che gli costò una frattura vertebrale
Paolo, parlando di termini più tecnici, abbiamo visto che Bernal, scalatore, è tornato in corsa al Danimarca, dove la salita più grande è poco più di un cavalcavia. Giusto o sbagliato?

Direi che questa è la quinta fase: la scelta del rientro alle corse. E per me Bernal e la sua squadra hanno fatto bene. L’importante è correre e non dove. Anzi, se non è una corsa troppo adatta alle caratteristiche del corridore è quasi meglio. Poi bisogna valutare anche altri fattori, come la paura dell’atleta. Per esempio penso ad Evenepoel quando è caduto in discesa al Lombardia: lì c’è anche un problema psicologico. In quel caso, e vado forse un po’ contro a quanto ho detto, cerchi anche di affrettare il suo rientro.

E’ come quando si cade da cavallo. Si dice che bisogna risalire in sella subito…

Esatto. Certe risposte, fisiche e mentali, le trovi sono in corsa. Se c’è la paura del gruppo, della caduta solo ributtandolo nella mischia vedi se il trauma è stato cancellato. Tornando al caso Bernal per me ha scelto la corsa migliore per rientrare.

Perché?

Ha potuto riprendere a correre con gradualità, non c’erano salite, doveva “solo” stare nella mischia e fare ritmo. In questo modo non ha avuto neanche bisogno di conferme per la salita, per lui che è scalatore. Magari si è staccato e questo gli è pesato. Lui deve fare le cose in progressione e alla sua squadra non interessava il risultato, ma ritrovare l’atleta.

I dati di una seduta di Egan: in Ineos chiaramente conoscevano il livello di Bernal prima di farlo gareggiare (foto Twitter)
I dati di una seduta di Egan: in Ineos chiaramente conoscevano il livello di Bernal prima di farlo gareggiare (foto Twitter)
Tanto che in Danimarca alla prima caduta lo hanno fatto fermare…

Per esempio, quando Nibali cadde al Tour e si ruppe la vertebra pensava al rientro al mondiale. Vincenzo è un campione e per il mondiale ha recuperato in tempi brevi, ma gli mancava qualcosa. Due settimane dopo al Lombardia ha fatto secondo, ma stava crescendo. Più passava il tempo e più era competitivo. Questo gli ha dato le risposte giuste. E ha potuto passare un inverno sereno, senza dubbi circa la possibilità di essere ancora competitivo. Se invece il Bernal della situazione si stacca avrebbe dei dubbi. Non avrebbe trovato delle risposte alle sue domande.

E con il ritmo come la si mette? Si fa parecchio dietro motore?

Dipende da come sta il corridore e quando torna. Ma ormai gli staff hanno i loro dati, i loro parametri. Di Bernal per esempio ho visto che già avevano pubblicato dei dati (incoraggianti) sulla sua Vam: hanno dei riferimenti. A quel punto la preparazione è quella standard prima di una corsa e se faceva dietro motore prima dell’infortunio, lo farà anche dopo il post infortunio.