Viviani, subito un posto per Parigi e poi a tutta strada

13.10.2021
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Tokyo ha in qualche modo dato la svolta, se non nei risultati di certo per il lavoro svolto. E così l’Elia Viviani incerto delle volate precedenti si è trasformato di nuovo in un vincente da cui guardarsi con attenzione. La vittoria di Fourmies poi quella di Isbergues non sono state per caso. Tanto che la Cofidis gli ha chiesto di non correre la Veneto Classic di domenica per andare in Francia a giocarsi gli ultimi due round della Coupe de France, in cui è secondo a 23 punti da Godon della Ag2R Citroen. Però intanto il saluto alla sua regione in maglia Cofidis, Elia l’ha dato oggi con il Giro del Veneto, prima delle tre prove organizzate da Pozzato e Moletta, che mancava dal 2012.

Agli europei ha mostrato una buona gamba, ma l’intesa con Scartezzini non ha funzionato
Agli europei ha mostrato una buona gamba, ma l’intesa con Scartezzini non ha funzionato

Dalla pista alla strada

Facile fare l’associazione tra il gran lavoro svolto in pista e la ricaduta immediata per l’attività su strada: dopo Rio avvenne esattamente così. 

«Ho qualcosa in più nelle gambe – conferma – ho più sforzi ripetuti e riesco a spendere qualcosa prima della volata per essere al posto giusto. E se mi portano con un bel treno, riesco a fare una volata di testa. Come per esempio a Fourmies, dove mi sono messo a 5 chilometri dall’arrivo a ruota di Ackermann e sono riuscito a restarci fino allo sprint finale. Ho più sforzi e più resistenza all’acido. Quindi qualsiasi sforzo io faccia prima della volata, poi ho le gambe per sprintare».

C’era anche Viviani all’evento delle Fiamme Azzurre ieri a Ca’ del Poggio e anche lui ha provato… il rally
C’era anche Viviani all’evento delle Fiamme Azzurre ieri a Ca’ del Poggio e anche lui ha provato… il rally
Mentre prima?

Arrivavo o spendevo per arrivare in una buona posizione e stavo a ruota. Questo e il motivo dei quarti e quinti posti, dei tanti piazzamenti.

Come sarà fatto il prossimo inverno?

E’ ovvio che adesso sembra tutto tornato alla normalità, ma non lo è. Sono consapevole che per arrivare al calibro delle corse che ho vinto nel 2018-19 c’è ancora qualche step da fare. Quindi voglio fare un inverno normale, però con la consapevolezza di dover stare di più in pista. Più lavori sulle partenze, più lavori di resistenza lattacida e quindi probabilmente tanto dello specifico verrà fatto in pista e non su strada. Fermo restando comunque che per le classiche e per il Giro, dovrò comunque fare la mia preparazione. 

Dopo Rio dichiarasti che ti saresti dedicato alla strada.

Questa volta sarà lo stesso, anche se Parigi è più vicina. Il fatto che su strada mi serve la pista, mi spingerà ad aumentare la cadenza degli allenamenti. Cadenza e continuità nelle sedute in pista, ma guardando agli obiettivi. E il minimo obiettivo da qui a Parigi sarà la qualifica olimpica. Speriamo di riuscire a mettere un bel mattone con i mondiali di prossima settimana, dove magari mi potrei togliere una soddisfazione e non inseguire la qualificazione nei prossimi anni. Quindi priorità la strada, con una presenza però costante su pista.

Dopo il Giro del Veneto, domani sarà a Montichiari. Poi andrà in Francia con la Cofidis e da lunedì via ai mondiali
Dopo il Giro del Veneto, domani sarà a Montichiari. Poi andrà in Francia con la Cofidis e da lunedì via ai mondiali
Quali possono essere i tuoi obiettivi su strada?

Gli obiettivi sono sempre quelli. Per cui, dopo due stagioni così, bisogna partire forte subito. Mi viene da pensare alle gare WorldTour, quindi già in UAE a inizio anno, poi principalmente la Tirreno e la Sanremo. E’ ovvio che per tornare a pensare di poter vincere o fare bene una Sanremo, devo fare un inizio stagione fantastico. Per questo dei buoni risultati alla Tirreno potrebbero essere un segnale illuminante. Sono sempre stato realista, devo tornare al mio livello per poter dire di voler vincere la Sanremo.

In Cofidis per un po’ hai provato a ricreare il treno della Deceuninck…

Facendo una fatica bestia. Cercando di costruire un treno stile Quick Step, senza rendersi conto che in quel team viene tutto facile. C’è un automatismo di tutto il team, cambi gli atleti e li metti nelle posizioni che vuoi e funzionano lo stesso. Poi hanno delle perle come magari Morkov e Jakobsen che è tornato al livello di prima… Il sistema che c’è in quella squadra sembra facile dall’interno, ma una volta che cambi squadra, vedi che non è così. E l’abbiamo imparato sulle nostre ossa in questi due anni.

Viviani Rio 2016
Era ancora al Team Sky quando Viviani vinse l’oro dell’omnium alle Olimpiadi di Rio. Solo nel 2018 passò infatti alla Quick Step
Viviani Rio 2016
Era ancora al Team Sky quando Viviani vinse l’oro dell’omnium alle Olimpiadi di Rio
Perché Ineos e non Astana?

Non è ancora ufficiale, ma non potevo permettermi di prendere un’altra scelta, dove ripartire da zero, ripartire dal nuovo. Quindi la paura di sbagliare e di andare in un posto che già non conosco, sarebbe stato un gap da colmare.

Perché Ineos allora e non Deceuninck-Quick Step?

Perché Patrick (Lefevere, team manager della squadra belga, ndr) non era convinto. Prima ha detto di voler fare un anno solo per valutare quanto andassi. Poi ha detto di voler capire Cavendish. Poi ha detto… Ma prima che dicesse altro, ho capito che non era convinto ed è stato meglio scegliere un gruppo in cui so che starò bene.

Cambio di bici fatale. Moscon si è trovato con gomme “diverse”

04.10.2021
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Ancora sulla Roubaix, ancora sulla prova coraggiosa e potente di Gianni Moscon. Il trentino stava volando verso il traguardo quando una foratura prima e una caduta poi gli hanno tarpato definitivamente le ali. Avrebbe vinto? Ci siamo posti ieri questo quesito. Per come stava andando e visto anche che Van der Poel, il maggior motore degli inseguitori, non era riuscito a fare la selezione probabilmente sì. In fin dei conti Gianni teneva alla grande nei tratti di asfalto e a volte guadagnava su quelli in pavè. Guadagnava, almeno fino al cambio di bici. Perché da quel momento le cose non sono andate più come prima.

In Ineos hanno potuto provare per la prima volta il pavé della Roubaix con la F Disc solo pochi giorni prima (e con l’asciutto)
In Ineos hanno potuto provare per la prima volta il pavé della Roubaix con la F Disc solo pochi giorni prima (e con l’asciutto)

Cambio bici fatale

Da quando ha inforcato la Pinarello Dogma F Disc “fresca di ammiraglia” Moscon non ha più guidato come aveva fatto fino al settore precedente. E si è visto appena è entrato sul pavè: un grande sobbalzo, tante scodate e in generale un atteggiamento più rigido. La nostra idea, cioè che molto fosse dipeso dalle gomme, trova riscontro nelle parole di Matteo Cornacchione, uno dei meccanici della Ineos-Grenadiers.

«Le due bici, quella che Gianni stava usando e quella sull’ammiraglia sono identiche – spiega Cornacchione – Nelle misure, nel montaggio e anche nelle gomme. Solo che quella di Gianni macinava chilometri e fango da un bel po’ e il feeling potrebbe essere stato diverso. In teoria la bici nuova sarebbe dovuta andare meglio in quanto era più pulita e la catena era ben lubrificata, ma qualcosa è cambiato nella pressione delle gomme».

Pressioni “apparentemente” uguali

Ed è proprio su questo aspetto che vogliamo insistere. Si sa che con tutti quei sobbalzi la pressione diminuisce col passare dei chilometri. Di conseguenza cambia la sensibilità del “pilota”. Anni fa nelle ricognizioni con Pozzato e il meccanico Enrico Pengo, vedevamo che individuavano una pressione e poi aggiungevano mezza atmosfera, proprio in previsione del calo.

«Non posso parlare di pressioni – dice apertamente Cornacchione – è una politica di squadra, ci tengono molto, tuttavia le gomme sporche in qualche modo si erano adattate al terreno».

E questa cosa è vera: per una questione di umidità, di consumo, di “posizione” dello sporco sul battistrada. E’ qualcosa che in Mtb avviene molto spesso.

«E anche Gianni – riprende il meccanico – si è adattato a quelle gomme e a quella guida. Lui magari è partito con 5 atmosfere e in quel momento, verso fine gara magari era sceso a 4,4. Una perdita, graduale, di 0,6-0,7 atmosfere. Una perdita normale a 20 chilometri o poco più dal termine. Mentre la pressione delle gomme sulla bici nuova era a 5 atmosfere come da programma, come in partenza. Quella non aveva subito le stesse sollecitazioni. Si dovrebbe farle scendere un po’, ma non è facile in corsa… Inoltre bisogna pensare che nel primo tratto (90 chilometri, ndr), la Roubaix è veloce, non prevede pavè e i corridori non vogliono scendere troppo con le pressioni, sprecherebbero troppe energie».

La tubeless Gran Prix 5000 S Tr è una delle ultime gomme entrate in gamma in Continental
La tubeless Gran Prix 5000 S Tr è una delle ultime gomme entrate in gamma in Continental

Prima Roubaix col tubeless

Ma che gomme e ruote aveva Moscon? Quanto le ha provate?

«Gianni ha utilizzato dei tubeless Continental da 30 millimetri e ruote Princeton Disk 50-55 (profilo ad onda che tra l’altro non risulta ancora nel sito del brand americano, ndr). I ragazzi avevano fatto dei test in precedenza, ma con dei tubolari, mentre il cambio radicale dei materiali, legato al passaggio al freno a disco, è avvenuto più tardi. L’anno scorso avevano i tubolari, quest’anno appunto con il passaggio al disco si è visto che il tubeless era meglio».

«Chi doveva fare la Roubaix o comunque certe gare in cui si sarebbe utilizzata la nuova bici con il disco, ha ricevuto la Dogma Disc già a casa. Alcuni di questi atleti hanno provato gli “assetti Roubaix” già all’Eurométropole Tour o al Gp Denain (gare che comunque Moscon non ha disputato, ndr). Certo, avere più esperienza con i materiali è meglio, ma viste le condizioni è stato difficile per tutti. I belgi sono avvantaggiati perché vivendo lì fanno i test ogni giorno praticamente. Sanno cosa va e cosa no».

Infine una domanda sul rake della forcella, che a volte si cambia proprio per la Roubaix preferendone una più “aperta”. «No – conclude Cornacchione – Gianni ha mantenuto quella con rake da 43 millimetri mentre Van Baarle aveva quella da 47. Tante volte è anche una questione di testa e se i corridori si trovano bene con un certo materiale preferiscono non cambiare».

Moscon ce l’avrebbe fatta? Difficile da dire, facile da sognare

03.10.2021
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Scordatevi di riconoscerli dalla faccia, sono come pietre dalle mani di pietra che solcano strade di pietra per raggiungere una pista levigata e lunga che potrebbe consegnare loro la gloria. Una fatica di sei ore per ricevere in cambio un sasso, ma loro sanno benissimo che quella pietra spigolosa è il graal di un certo modo di intendere il ciclismo. Anche Moscon la vede così ed è talmente sicuro di poter portare avanti la sua fatica, da non aver fatto i conti con il dannato destino.

«E’ una delle corse più belle al mondo – dice – ho provato da lontano, ma ho avuto un po’ di cattiva sorte. Era davvero una situazione spettacolare, ho giocato le mie carte. Per fortuna ha vinto ugualmente un italiano, il Paese sarà contento».

Non tutti i tratti di pavé erano infangati, ma nel finale è stato tremendo
Non tutti i tratti di pavé erano infangati, ma nel finale è stato tremendo

Il mito Boonen

L’attacco da lontano. Quando era poco più di un ragazzino, capitò di parlare con lui della Roubaix e capimmo subito che alla corsa più crudele e anacronistica lo legasse un filo neppure troppo sottile. Del resto la seconda volta che ci mise sopra le ruote, tornò a casa con un quinto posto e anche allora cadde. 

«Ho in mente il Boonen – diceva Moscon – che se ne va a vincere attaccando a 60 chilometri dall’arrivo. A casa mia la Roubaix è sempre stata il pomeriggio di una domenica di primavera, un rito da vivere sul divano, senza perdersi nemmeno una pedalata».

Chi questa volta era sul divano e cercava di non perdersi neppure una sua pedalata, di colpo ha dovuto soffocare un’imprecazione, vedendo la sua ruota posteriore sgonfiarsi inesorabilmente, quando aveva più di un minuto di vantaggio a 30 chilometri dall’arrivo.

Luke Rowe era una delle carte della Ineos Grenadiers, ma è finito a oltre 20 minuti
Luke Rowe era una delle carte della Ineos Grenadiers, ma è finito a oltre 20 minuti

Bici con ruote diverse

Gianni maledice la cattiva sorte e salta su una bici pulita. La sensazione di alcuni, vedendolo ripartire, è subito di qualcosa che non vada. Che siano le ruote con il profilo più basso o chissà cos’altro. Sta di fatto che il trentino del team Ineos Grenadiers perde 25 secondi e riparte avendone ancora abbastanza per tenerli indietro. Anche se dalle retrovie gli dicono via radio che stanno arrivando Van der Poel e Colbrelli. Ma Gianni sa accelerare sul pavé e proprio nei tratti più brutti ha costruito il suo vantaggio.

Invece in effetti qualcosa non va. E in un tratto scivoloso come tanti, finisce disteso sulla destra della strada, con due ammiraglie ferme dietro e anche una moto messa di traverso. Riparte. Cerca di tenerli indietro. Lo prendono. Fa lui l’andatura, ma ha due sobbalzi insoliti. Qualcosa non va. Lo lasciano lì, ma ha ancora gambe per difendere il quarto posto dal ritorno di Van Aert.

«In certi momenti – dice – con la fatica se ne va anche la lucidità. Quando sei al limite, capita anche di commettere qualche errore e così sono scivolato. Non so che cosa sarebbe cambiato senza foratura e senza caduta, non so nemmeno quanto ho perso. Non ha senso fare certi discorsi. Ora ho solo bisogno di riposare. Farò forse il Giro di Lombardia e poi potrò finalmente pensare alla prossima stagione».

Moscon, una maschera di fango. Ha resistito da solo fino al 4° posto
Moscon, una maschera di fango. Ha resistito da solo fino al 4° posto

Knaven non ci sta

Chi appare decisamente meno conciliante con la cattiva sorte è il direttore sportivo Servais Knaven, l’uomo del pavé che la Roubaix la vinse nel 2001 e con il trentino ha sempre avuto un ottimo rapporto.

«E’ stato frustrante – dice – siamo stati in gara tutto il giorno e sembrava che Gianni avesse davvero buone possibilità di vincere. Prima la foratura, ma pensi che vada bene. Ha perso circa 30 secondi. Invece la caduta ci è costata più tempo. Ha avuto anche un impatto sul suo corpo ed è passato da circa 45 a 10 secondi. Penso che Gianni fosse probabilmente il ragazzo più forte in gara. Difficile dirlo, ma avrebbe meritato la vittoria. Sono le corse, tutto può succedere. Ognuno ha la sua storia. Ma è un vero peccato, era così vicino…».

La svolta verde della Ineos, a tu per tu con Cioni

30.09.2021
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Luke Plapp (australiano classe 2000), Magnus Sheffield (statunitense classe 2002) e Ben Tulett (inglese classe 2002), la Ineos-Grenadiers va verso la sua svolta verde. Questi tre giovani vanno ad aggiungersi agli altri due gioiellini Pidcock e Rodriguez, senza contare il “vecchietto” Bernal!

Qualche tempo fa Dario David Cioni, preparatore e diesse ormai storico del team inglese, ci aveva detto che avevano iniziato a fare certi “esperimenti” con Carlos Rodriguez. Adesso si fa un passo avanti.

Luke Plapp in allenamento già con la maglia Ineos (foto Instagram)
Luke Plapp in allenamento già con la maglia Ineos (foto Instagram)
Dario, una bella svolta verde…

Diciamo di sì. Si va avanti a cicli e probabilmente noi eravamo arrivati un po’ alla fine con Thomas e Froome. Il cambiamento a mio avviso è iniziato già un paio d’anni fa quando è andato via Chris. Bisognava rinnovare la squadra. Contestualmente abbiamo visto che le altre squadre iniziavano a raccogliere bei risultati anche con i giovani. Cosa che comunque abbiamo fatto anche noi. Guardate Ethan Hayter o lo stesso Filippo (Ganna, ndr).

Avete preso tre corridori di madrelingua inglese: scelta voluta o casuale?

Casuale, ma non del tutto. I legami con la parte inglese ci sono e vanno anche mantenuti. Ma per quel che riguarda Platt, per esempio, il suo ingaggio è stato una casualità. Insomma quest’anno non abbiamo preso spagnoli o sudamericani.

Chi gestirà questi ragazzi?

Lo stiamo decidendo in questo periodo. L’altro giorno sono andato al mondiale proprio per parlare della struttura 2022. Più o meno ci sarà un gruppo di persone che cureranno i ragazzi più giovani e dovrei farne parte anche io. In ogni caso non ci sarà un’esclusività da parte di questo o di quel tecnico.

Sarà quindi un’impegno della Ineos in generale…

Esatto. Anche perché alla fine abbiamo deciso di non fare una continental, ma di strutturare in modo diverso il nostro settore giovani. Ma questo non vuol dire che i due settori (quello dei “grandi”, ndr) saranno separati. 

Magnus Sheffield (19 anni) è anche un ottimo pistard
Magnus Sheffield (19 anni) è anche un ottimo pistard
C’era questa idea quindi?

Sì, ma come detto l’abbiamo scartata. Daremo uno sguardo alle altre continental e magari i giovani che ci interessano li seguiremo a distanza, un qualcosa che potremmo fare con delle squadre prestabilite.

Un gruppo giovani, dicevi, ma chiaramente i ragazzi non potranno fare delle gare U23 essendo una WorldTour…

Chiaro che no, ad eccezione di Avenir e mondiale, però si può portare avanti un lavoro insieme alle loro squadre. Per esempio avevamo già adocchiato Sheffield l’anno scorso, quando poi siamo sicuri gli proponiamo un contratto. 

E quali saranno queste squadre?

Anche questo lo stiamo definendo. In passato abbiamo una bella collaborazione con il Cycling Team Friuli. Gianni Moscon lo abbiamo preso dalla Zalf, ma già lo supportavamo, stessa cosa con Pidcock alla Trinity o Hayter per quel che riguarda le corse su strada.

Ma la Ineos ha il suo talent scout, “il Maxtin” della situazione?

No, siamo una serie di persone. In passato seguivamo questi aspetti io e Hellingworth, l’anno prossimo vedremo.

Ben Tulett è un talento inglese, che non poteva non far parte della corazzata di Brailsford
Ben Tulett è un talento inglese, che non poteva non far parte della corazzata di Brailsford
Parliamo un po’ di questi tre ragazzi della svolta verde. Partiamo da Plapp, secondo al mondiale a crono U23…

Ragazzo che già conoscevamo, soprattutto per le sue qualità mostrate in pista, tanto che ha fatto parte del quartetto olimpico con la sua Australia a Tokyo. Farà lo stagista con noi nelle prossime corse in Italia anche se non sarà al top, in quanto viene da una frattura. Nella crono iridata è andato bene perché su quella distanza con i rulli si è salvato bene.

Scheffield? Lui viene dalla Rally, una professional americana che in Europa vediamo col contagocce…

Lui lo avevamo adocchiato già per l’inizio del 2020, ma soprattutto a causa del Covid ha perso di fatto un anno molto importante, il secondo da juniores, restando “bloccato” negli Usa. Ha stabilito il record del mondo in pista sui 3 chilometri. Volevamo fargli un contratto, ma poi ha preferito la Rally. Non si è trovato bene, ha rescisso l’accordo e a quel punto ci siamo fatti avanti noi. Ci è sembrata la scelta più facile.

E poi c’è questo Tulett, lui seppur giovanissimo viene da una squadra importante, la Alpecin-Fenix e ha fatto nono al Giro di Polonia…

Sì, lui già ha mostrato qualcosa. Ha molto da imparare e grandissime potenzialità. Starà a noi fargliele esprimere al meglio.

Mojito 3, il nuovo modello di Kask fra tradizione ed innovazione

27.09.2021
3 min
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Kask presenta il nuovo Mojito, arrivato alla terza generazione. Il casco è il primo elemento che ci viene in mente se pensiamo alla parola sicurezza. Un oggetto tanto leggero quanto fondamentale è ormai da molti anni al centro di studi. I continui sviluppi portano a scoprire materiali sempre più leggeri ed allo stesso tempo resistenti.

Questo iconico oggetto è anche fondamentale per l’aerodinamica. Con l’ausilio dei tecnici e della galleria del vento si scoprono nuove forme e prestazione migliori anno dopo anno. E’ anche il caso di Kask che rinnova uno dei suoi modelli migliori: ecco a voi il Mojito 3.

Il nuovo Mojito 3 mantiene le linee verticali che lo rendono un casco estremamente moderno
Il nuovo Mojito 3 mantiene le linee verticali che lo rendono un casco estremamente moderno

Continuo rinnovamento

Da molti anni Kask collabora con il team Ineos come abbiamo già avuto modo di raccontarvi sul nostro web magazine. Quel che l’azienda bergamasca ha fatto con la squadra britannica è un lavoro meticoloso e di ricerca quasi maniacale. La nuova imbottitura traspirante Blue Tech è quel che serviva per distinguersi e dare maggior comfort ai ciclisti, di qualsiasi tipologia. Fondamentale per aiutare a disperdere il calore in eccesso, soprattutto quando si pedala in salita. Chiedere a Sir Bradley Wiggins che ha portato il Mojito a vincere il suo primo Tour de France nel 2012.

Un pensiero allo stile…

Il retro del rinnovato Mojito rimane invece legato alla tradizione. Kask non rinuncia alla sua iconica forma arrotondata nella parte posteriore. Non perde neppure le sue linee verticali che rendono il Mojito 3 un casco molto “serio” e performante, ottimo per chi ricerca la massima performance.

Il Kask Mojito 3 ha una buonissima capacità aerodinamica ed un’ottima ventilazione tanto da avvicinarsi al punteggio massimo nei test effettuati.

La calotta permette una miglior dispersione del calore, anche grazie alle tre prese d’aria posteriori
La calotta permette una miglior dispersione del calore, anche grazie alle tre prese d’aria posteriori

… e uno alla sicurezza

Il sistema brevettato WG 11 Rotational Impact Test è un’analisi effettuata con studi di laboratorio per garantire la massima sicurezza in caso di impatto con il suolo. Qualora il ciclista dovesse cadere ed impattare il terreno con la parte frontale del casco questo ruoterebbe fornendo così un’area di impatto maggiore.

Il peso è davvero esiguo tanto che la taglia M porta la bilancia solo a 230 grammi. Il costo per il Mojito 3 è di 134€ ed è disponibile in ogni misura da 50 a 62 centimetri.

Pinarello ed Ineos-Grenadiers, ora si va a tutto disco!

20.09.2021
4 min
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Domani, martedì 21 settembre si correrà il GP de Denain, una tappa fondamentale nel percorso di avvicinamento alla Parigi Roubaix del prossimo 3 ottobre. La novità più importante in gruppo però sarà la scelta tecnica di Pinarello e della Ineos-Grenadiers. Ebbene sì, la squadra del campione olimpico Richard Carapaz e dell’iridato a cronometro Filippo Ganna approda nel mondo dei freni a disco.

Dettaglio sul freno posteriore della Dogma F Disc, anche Pinarello passa al freno a disco dopo mesi di sperimentazione e di perfezionamento
Dettaglio sul freno posteriore della Dogma F Disc, anche Pinarello passa al freno a disco

Ultimi a cambiare

La Ineos, che utilizza biciclette Pinarello, è sempre stata una delle squadre più attente al cambiamento e che portava in gruppo novità. Dopo la vittoria olimpica di Tokyo di Carapaz abbiamo parlato con Fausto Pinarello. Ci aveva detto che la Dogma F, nuova nata nella casa trevigiana, avrebbe avuto la doppia dotazione: freno tradizionale e disco.

Le sperimentazioni sarebbero partite dopo le Olimpiadi e così è stato, il lavoro non è stato facile, soprattutto per il fornitore di ruote e freni, ovvero Shimano. Sappiamo tutti che il Covid ha rallentato la fornitura di materiale e la produzione di componenti. Questo fattore deve aver sicuramente inciso sulle tempistiche del passaggio al freno a disco.

Freno anteriore della Dogma F Disc, impianto frenante del Dura Ace che ha richiesto una leggera modifica nel sistema di sgancio rapido
L’impianto frenante del Dura Ace ha richiesto una leggera modifica nel sistema di sgancio rapido

Scelta dettata dal mercato

Con l’arrivo di Diego Colosio come nuovo direttore commerciale di Pinarello l’azienda vincitrice di 7 degli ultimi 10 Tour de France ha deciso di puntare sul futuro. Una scelta ponderata che ha richiesto tanto tempo, settimane se non mesi, in cui si è pensato come sviluppare e progettare la Pinarello del futuro.

Il mercato delle biciclette è orientato ormai tutto sulla scelta di freni a disco a discapito di quelli tradizionali, il cambiamento è arrivato prima per gli amatori che per i pro’. Non un caso, come ha spiegato più volte Fausto Pinarello, i corridori hanno maggiori abilità tecniche e necessità diverse dagli amatori. I freni a disco pesano uno o due etti in più di quelli tradizionali e questo conta molto in un mondo in cui anche il grammo fa la differenza.

Dopo tanti anni con i freni tradizionali, Froome ha avuto difficoltà nel passaggio ai dischi
Dopo tanti anni con i freni tradizionali, Froome ha avuto difficoltà nel passaggio ai dischi

Corridori scettici

Un corridore uscito dalla Ineos e che ha trovato notevoli difficoltà nel passaggio al freno a disco è Chris Froome. Il kenyano bianco, passato alla Israel Start Up Nation ed a bici Factor, ha dichiarato ad inizio stagione come fosse difficile adattarsi a questo nuovo modo di frenare. Aveva infatti dichiarato come le prestazioni fossero eccellenti in qualsiasi situazione meteorologica ma che il processo di sviluppo era ben lontano dall’essere ultimato.

Egan Bernal è un altro corridore che non scherza per quanto riguarda la ricerca della perfezione nel suo mezzo. Il campione colombiano è, infatti, un maniaco del peso, tanto che la sua Pinarello Xlight12 supera di soli 60 grammi il limite di 6,8 chili imposto dall’UCI. Le esigenze di Egan hanno quindi influito nettamente sulla decisione di passare al nuovo sistema frenante. Siamo sicuri che i tecnici Pinarello abbiano studiato e perfezionato tutti i dettagli, così da garantire al team Ineos le stesse caratteristiche di peso.

Bernal è molto attento al peso della bici, la Dogma XLight12 del Giro superava di soli 60 grammi il limite UCI di 6,8 chili
Bernal è molto attento al peso della bici, la Dogma XLight12 del Giro superava di soli 60 grammi il limite UCI di 6,8 chili

Test importante

Le corse del Nord sono un banco di prova per le biciclette, molte squadre adottano telai e componenti appositi per queste gare. Pinarello ha deciso di sfruttare la nuova data della Parigi Roubaix per testare questo nuovo prodotto in gara e vedere che riscontro daranno i suoi corridori.

Viviani Fourmies 2021

Da Fourmies arriva il nuovo Viviani, sempre più pistard

17.09.2021
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Elia Viviani lo aveva detto in tempi non sospetti: «La pista mi darà quella condizione e quel colpo di pedale per emergere nella seconda parte di stagione». Sarà stato davvero il lavoro su pista, sarà stato anche l’entusiasmo scaturito dal bronzo olimpico che aveva il sapore della riconferma, fatto sta che è un Viviani nuovo quello che si vede sulle strade e nel GP di Fourmies dello scorso fine settimana ha fatto assaggiare la polvere ai rivali come non avveniva da tempo (foto di apertura).

Il corridore che ci troviamo ora di fronte è un Viviani estremamente consapevole delle sue possibilità e proprio da quelle parole pronunciate nella prima parte di stagione prende il via la nostra intervista: «E’ la dimostrazione che ormai mi conosco bene, sta uscendo fuori il frutto di un blocco importante di lavoro su pista, che non si è certo esaurito con la gara olimpica. A Fourmies ho trovato gente importante, che aveva fatto molto bene nelle scorse settimane, ma è finita dietro a cominciare da Ackermann, vincitore delle due ultime edizioni».

Viviani pista 2021
Elia Viviani nella Madison olimpica: Tokyo gli ha dato nuova spinta per continuare con la pista
Viviani pista 2021
Elia Viviani nella Madison olimpica: Tokyo gli ha dato nuova spinta per continuare con la pista
D’altronde non si tratta certo di una gara comune, ha anche fatto parte della Coppa del mondo e ha un albo d’oro d’eccezione…

Ci tenevo a vincere lì, proprio perché volevo dimostrare che le gambe sono tornate quelle di prima, ma so che succede sempre così dopo blocchi lunghi di lavoro su pista. Quella di Fourmies non è una gara semplice, va oltre i 200 chilometri, ha un percorso molto mosso, ma sicuramente fra le mie ultime vittorie è quella di gran lunga più importante e mi ha dato una nuova carica.

Quanto è importante per te lavorare su pista?

Ormai penso si sia capito che è fondamentale: con l’età poi le cose cambiano, prima bastavano lavori periodici nel velodromo per ritrovare quello spunto, ora invece ho bisogno di periodi più lunghi per avere gambe toniche. Quel che è avvenuto quest’anno deve essere un caposaldo nella mia carriera, non si potrà prescindere.

Viviani portabandiera a Tokyo. L’Olimpiade gli ha lasciato nuovo spirito e una grande condizione fisica
Viviani portabandiera a Tokyo. L’Olimpiade gli ha lasciato nuovo spirito e una grande condizione fisica
In che senso?

La pista dovrà avere per me lo stesso peso della strada, dovrò fare estrema attenzione nel programmare la stagione, ma qualsiasi squadra sia quella per la quale gareggerò non potrà prescindere dal “perdermi” quando ci saranno i principali appuntamenti su pista e la preparazione di essi, sapendo che poi, tornando alla strada, avranno a disposizione un Viviani al massimo. La mia stagione sarà equamente divisa fra strada e pista.

Perché parli di “qualsiasi squadra”? Sui media il tuo passaggio alla Ineos era dato per concluso…

Non è così, non ho ancora firmato per nessuno. I nomi delle squadre a cui sono stato avvicinato (oltre alla Ineos, anche la Deceuninck Quick Step, ndr) sono veri, ma stiamo ancora trattando. Penso di prendere una decisione entro un paio di settimane in modo che, quando avrò finito la stagione, potrò davvero andare in vacanza fisicamente e soprattutto mentalmente, ne ho bisogno per ricaricare le batterie.

Viviani Sagan 2021
Due campioni in procinto di cambiar maglia: Elia Viviani e Peter Sagan
Due campioni in procinto di cambiar maglia: Elia Viviani e Peter Sagan
Il tuo prosieguo stagionale che cosa prevede?

Conto di gareggiare su strada almeno ancora 4 volte, per le prove di Isbergues e Metropole, poi Bernocchi e Gran Piemonte. A quel punto tornerò alla pista per dedicarmi alla preparazione dei mondiali dal 20 al 24 ottobre a Roubaix.

Saranno una rivincita dei Giochi?

Quando i mondiali arrivano dopo le Olimpiadi non sai mai chi ci sarà. Vedremo se Walls avrà voglia di rimettersi subito in gioco, il neozelandese Stewart mi piacerebbe affrontarlo dopo lo “scherzetto” degli ultimi due giri a Tokyo che mi ha fatto scendere di un gradino del podio, ma chi avrà il dente avvelenato è Thomas, il campione uscente francese che in casa sua vorrà la vendetta piena: io a Tokyo ho cambiato medaglia in pochi secondi, lui l’ha proprio persa…

E tu con che spirito parteciperai?

Al massimo, come sempre ma con una spinta in più: io i mondiali non li ho mai vinti e questa lacuna voglio proprio colmarla…

Pidcock, la stagione (quasi) finita e una chicca su Puccio

12.09.2021
3 min
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Tra i corridori di questo finale di stagione più “misteriosi” c’è Tom Pidcock. Il campione olimpico di Tokyo 2020 nella Mtb dopo quel giorno è stato travolto da mille impegni, dalla Vuelta e adesso già intravede il mondiale di domenica prossima. Un turbinio di cui vorremmo sapere di più. E Dario Cioni, preparatore e diesse della Ineos Grenadiers, ci aiuta in tutto ciò.

Alla Vuelta ha faticato non poco. Ha provato ad entrare in una fuga, riuscendoci, si è messo a disposizione del team ed ha scoperto la nuova (per lui) sfida delle tre settimane di gara.

Anche in Spagna, Pidcock ha mostrato grandi doti di guida e ha fatto show
Anche in Spagna, Pidcock ha mostrato grandi doti di guida e ha fatto show
Dario, come è stato il post Olimpiadi di Tom? E come ha approcciato la Vuelta?

Sul discorso delle Olimpiadi sono sincero non so moltissimo, perché non l’ho seguito direttamente. So però che dopo il suo trionfo è stato coinvolto in appuntamenti, celebrazioni… e quindi non ha potuto avere un approccio standard alla Vuelta. Come l’ha approcciata: beh, per lui era totalmente una gara esplorativa. Era in Spagna per fare esperienza. Era il suo primo grande Giro e volevamo vedere come reagiva.

E come ne è uscito?

Beh, sicuramente affaticato. Come detto non ha avuto l’approccio migliore. Negli ultimi periodi dovendo preparare le Olimpiadi in Mtb era a corto di chilometri e soprattutto nei primi giorni ha faticato, tanto più con quel caldo che c’era. Ma alla fine col talento che ha, è venuto fuori. E se l’è cavata bene.

Cosa vi ha detto?

Che è rimasto impressionato dal lavoro dei gregari e di Puccio in particolare. Ma come faceva – ha detto Tom – a prendere tutta quell’aria un giorno, e poi il giorno dopo, e il giorno dopo ancora… Ha lavorato per i capitani (Bernal e Yates, ndr) e ha capito perché i leader hanno un rispetto assoluto per i gregari.

Adesso cosa prevede il suo programma?

Farà il mondiale di Leuven e poi basta. Non dimentichiamo che è giovane e ha già fatto molto.

Come mai però un corridore come lui, abilissimo nella guida e anche molto forte, non farà la Roubaix?

Vale un po’ il discorso fatto per Filippo (Ganna, ndr): è una Roubaix che ha una data “non sua”… Serve il giusto avvicinamento e devi avere la giusta voglia di prepararla. E come ho detto prima, Pidcock ha già fatto molto. Il cross, la Mtb, le classiche di primavera, le Olimpiadi, la Vuelta…

Pidcock (a destra), è stato spesso davanti al fianco di Salvatore Puccio (al suo fianco), del quale è rimasto ammaliato
Pidcock (a destra), è stato spesso davanti al fianco di Salvatore Puccio (al suo fianco), del quale è rimasto ammaliato
Ciclocross: farà la prossima stagione?

Sicuramente sì. E’ uno dei grandi interpreti di questa specialità e anzi… sarà interessante vedere come andrà dopo un anno su strada e dopo un grande Giro. Un laboratorio per vedere se gli avrà dato o tolto qualcosa.

E tu cosa ti aspetti?

In teoria un grande Giro dovrebbe darti dei vantaggi. Tanto più che lo ha fatto a fine stagione: se lo dovrebbe ritrovare anche per il cross.

E in Mtb continuerà oppure basta così?

E’ presto per dirlo, davvero. Immagino che qualcosa farà, visto che comunque è campione olimpico in carica.

A chi ti fa pensare Pidcock? Chi ti ricorda… anche tra coloro con i quali correvi?

Eh – ci pensa a lungo Cioni – che dire: è veloce. Perché uno che perde di un soffio l’Amstel Gold Race da Van Aert è per forza veloce. Fa tanta multidisciplinarietà: in tal senso ci sono stati altri casi. Magari è un po’ troppo veloce per le corse a tappe. Difficile fare un paragone. E’ ancora da vedere.

Ganna di nuovo in altura, come prima di Tokyo

29.08.2021
5 min
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Ganna è tornato nel Rifugio Oberto Maroli a 2.800 metri di quota per gettare le basi del finale di stagione. Ci si arriva prendendo due funivie da Macugnaga ed è lo stesso posto in cui Pippo ha preparato la fantastica spedizione olimpica a Tokyo. Lassù il cellulare non prende e magari è un bene. Si può tenere la testa sugli obiettivi, ci si distacca dal circo mediatico, si ha tempo per se stessi. Sia che si tratti di mettere insieme chilometri buoni, sia di coltivare i propri pensieri.

Pippo non è tipo da show della domenica, semmai il tempo verrà d’inverno. Ora il focus è sul finale di stagione e obiettivi di primissima grandezza: gli europei e i mondiali su strada, poi quelli della pista, con la suggestione della Roubaix che strizza l’occhio il 3 ottobre. Non riesci a tenere il fuoco se non hai i piedi ben piantati per terra. E a dispetto del carisma e del suo essere personaggio che acchiappa, il piemontese è un grande professionista e sa benissimo che niente arriva mai per caso.

Dopo il Tour of Norway (qui con Vingegaard) è tornato in altura a preparare un grande finale di stagione
Dopo il Tour of Norway (qui con Vingegaard) è tornato in altura a preparare un grande finale di stagione

«Venni su con Scartezzini – ricorda – con l’intento di far bene per l’Olimpiade. Sapevo che andavamo a lottare per qualcosa di grosso. Avrei preferito magari qualcosa di meglio nella prova cronometro, anche se andava oltre le mie possibilità. Però sono felice così. Ero consapevole che potevamo fare bene in pista e siamo riusciti a farlo. L’oro più che un fatto di consapevolezza o di popolarità è importante perché sono riuscito a ottenere il mio risultato personale, che è una base di partenza per il futuro».

Si va avanti a chiacchierare con uno scambio di audio, come gli adolescenti che non chiamano ma si rimbalzano spezzoni di discorso. Questa volta non c’è alternativa. Anche quando parlammo con Scartezzini di quel ritiro prima di Tokyo, riuscire a stabilire una connessione fu davvero difficile.

Dopo l’oro Ganna si è fermato, ha sollevato la bici, poi è andato da Villa e lo ha abbracciato
Dopo l’oro Ganna si è fermato, ha sollevato la bici, poi è andato da Villa e lo ha abbracciato
Sei un uomo riservato e in un’intervista hai dichiarato che da una parte festeggiavo l’oro e dall’altra di seccava che casa tua fosse presa d’assalto dalla stampa…

Semplicemente mi andrebbe di chiedere a chi entra in casa mia cosa penserebbero se così, di punto in bianco, uno sconosciuto dovesse presentarsi da lui e mettersi a registrare, fare foto e video in giro per la casa. Non mi piace come cosa, non è una cosa che c’entra con la popolarità. Semplicemente è casa mia e quello che c’è fra le sue mura rimane mio.

Tutti confidavano nel tuo finale dell’inseguimento, questo ti ha messo pressione oppure ti ha caricato ancora?

Sapevo che nel finale potevamo giocarci qualcosa di grande, quindi sapevo che dovevo dare tutto me stesso. Però non è che mi abbia dato pressioni o una carica particolare. Sapevo che ogni atleta ha il proprio obiettivo, il proprio compito durante la prova. Come Lamon deve lanciare il quartetto nel quartetto. Consonni ci deve portare in tabella. Milan deve farmi recuperare la partenza. E io alla fine devo fare una tirata lunga. Nessuna pressione però, semplicemente si tratta di fare quello che sai fare.

Viviani dice che nell’immediato post Olimpiadi su pista nel 2016 si ritrovò con grandi forze nelle gambe. Per te è lo stesso?

Diciamo che dopo l’Olimpiade siamo andati in Norvegia, facendo poche ore di allenamento e appena qualche lavoro di forza. Quando sono entrato in gara però, le gambe giravano bene come durante la stagione. Quindi sì, i lavori fatti in pista servono anche su strada.

Anche prima di Tokyo, Scartezzini e Ganna avevano vissuto la preparazione a 2.800 metri, nel rifugio Maroli
Anche prima di Tokyo, Scartezzini e Ganna avevano vissuto la preparazione a 2.800 metri, nel rifugio Maroli
Il finale di stagione è molto ricco, si deve scegliere qualcosa o ipotizzare una graduatoria per importanza?

Sino alla fine della stagione, tutti gli obiettivi che ho sono importanti, quindi ognuno ha il suo valore. Nessuna graduatoria fra il più importante o il meno importante. Si va sempre a testa alta col numero sulla schiena.

Alla fine, nonostante la nazionale e il Team Ineos, par di capire osservando il mondo attorno a te che la vera forza sia nella famiglia… 

La famiglia è importante, ma al di fuori anche della famiglia c’è il ruolo degli amici. I conoscenti più stretti, persone che a volte con un messaggio ti possono cambiare la giornata. Quindi famiglia e amici sono fondamentali per tutto l’anno. Sono tutti bravi all’ultimo a dire che ti erano vicini, mentre non è facile esserlo per 365 giorni all’anno, 24 ore su 24.

Un amico che anche questa volta è con lui è Michele Scartezzini. I due rimarranno insieme sulle montagne piemontesi fino al 3 settembre, poi anche sarà tempo per Ganna di riattaccare il numero sulla schiena e far rotta verso gli europei di Trento. Serve tanta testa per gestire così bene emozioni e impegni. Grande merito ce l’ha ovviamente lui, ma per tanto altro deve ringraziare i suoi genitori e i tecnici che se lo sono preso a cuore, come Villa (per la pista) e Cioni (per la strada). Il resto è il quadro che si compone fra doti atletiche fuori del comune e un’umiltà rara da intercettare a questi livelli. Che non significa non avere ambizioni, ma al contrario essere consapevoli che per centrare i grandi obiettivi serve ogni volta avere la forza di ripartire da fermi.