Intanto Schmid cresce e vince le gare a tappe

27.06.2022
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A qualcuno, la vittoria finale di Mauro Schmid al Belgium Tour non è andata giù facilmente. Le polemiche innescate dalle spallate fra Lampaert e Wellens nei tre sprint intermedi, fondamentali per l’attribuzione del successo finale hanno un po’ inquinato l’immagine di quel successo. Le cose però cambiano sempre a seconda della prospettiva da cui le si guardano. In fin dei conti e fino a prova contraria lo svizzero non è stato coinvolto, per cui la sua vittoria è più che legittima.

A 22 anni quella in Belgio è stata la prima vittoria dell’elvetico di Bulach nella classifica finale di una corsa a tappe e per lui ha un valore speciale. Intendiamoci, Schmid è uno di poche parole, ma quel successo ha un sapore unico, per questo non doveva essere contagiato da polemiche o altro.

«E’ un passo importante per la mia carriera – aveva dichiarato subito dopo il trionfo – la squadra ha fatto un ottimo lavoro. Soprattutto Michael (Morkov, ndr) è stato importante nel gestire la situazione, perché sentivo su di me tanta pressione, non mi ero mai trovato in questa situazione. Vincere una corsa a tappe è qualcosa di speciale».

Schmid Qhubeka 2021
La grinta dello svizzero sul traguardo di Montalcino al Giro 2021: sa che è stata un’impresa
Schmid Qhubeka 2021
La grinta dello svizzero sul traguardo di Montalcino al Giro 2021: sa che è stata un’impresa

La paura di restare a piedi

Lo è tanto più venendo dalla situazione, o per meglio dire dalle paure scaturite dalla stagione precedente. Bisogna mettersi nei panni di un ragazzo che era appena passato professionista nelle file del Team Qhubeka. Che aveva fatto più che bene, conquistando anche una tappa al Giro d’Italia e guadagnandosi la selezione per il quartetto indirizzato ai Giochi Olimpici di Tokyo. Ma che, settimana dopo settimana, sentiva il terreno sbriciolarsi sotto i piedi…

«Quella squadra era un bel gruppo, si lavorava bene e i risultati erano una conseguenza – racconta l’elvetico a mente fredda e dalla sicurezza del nuovo approdo – ma già in estate ci dissero che non c’erano più fondi e che dovevamo trovarci un nuovo team. Non lo nascondo, quando mi sono incontrato con il mio management ero nervoso, pensavo che nessuno si fosse presentato alla porta, invece la realtà era ben diversa».

A Schmid offrirono un ventaglio di possibilità. Almeno 5 team si erano fatti avanti, impressionati non solo dai risultati, ma anche dal piglio che lo svizzero metteva in ogni gara e che lo aveva portato a tutta una serie di prestazioni, anche se poche volte gli ordini d’arrivo riportavano il suo nome. Quando gli vennero presentate le possibilità, Mauro ebbe un tuffo al cuore sapendo che fra queste c’era anche l’effettivo interesse della Quick Step-Alpha Vynil.

Schmid nazionale 2021
Mauro dietro l’enorme Bissegger nella staffetta mondiale di Leuven, chiusa al 4° posto
Schmid nazionale 2021
Mauro dietro l’enorme Bissegger nella staffetta mondiale di Leuven, chiusa al 4° posto

La sua storia in un sito

«Era un sogno che si avverava, la squadra che seguivo già da ragazzino. Il Wolfpack che sempre mi aveva impressionato per la capacità di vincere sempre aveva scelto me. Non potevo crederci: è vero, venivo da una bella stagione, ma quando sei senza squadra è una bella incognita. Hanno fatto una scommessa su di me e sta a me ripagarla come si deve».

Intendiamoci: non stiamo parlando di un ragazzino sprovveduto, anzi. Mauro Schmid è profondamente convinto di quel che fa e delle sue possibilità. Quanti alla sua età hanno addirittura un sito personale che riassume tutta la sua carriera? E’ lì che Mauro racconta i suoi inizi, quando a 7 anni veniva coinvolto dalle gite in bici della sua famiglia in Engadina. Oppure le prime gare, rigorosamente in mtb d’estate e ciclocross in inverno, imparando così a maneggiare la bici con maestria. Il suo obiettivo però era la strada e a 19 anni ha deciso di seguirlo in maniera fedele, utilizzando l’offroad solo per allenamento.

Le garette del martedì

Nei suoi ricordi un posto speciale lo hanno però le piccole corse regionali del martedì. Nel weekend era spesso impegnato per l’Europa, ma non rinunciava mai alla corsa del martedì sera, lontano dai clamori, in mezzo a semplici appassionati. E’ lì che ha affinato la tecnica. Su di lui ha posato gli occhi anche Daniel Gisiger, indimenticato cronoman di spicco del finale dello scorso secolo, che cura il settore per la Federazione rossocrociata ed ecco che la sua prima avventura olimpica si è concretizzata.

Tutto ciò, in casa Quick Step non è sfuggito. Uno come Lefevere ha mille occhi e mille antenne e sa bene dove andare a pescare, soprattutto quando si tratta di un “diamante grezzo”.

«Sto scoprendo giorno dopo giorno – ha dichiarato Schmid all’indomani del trionfo belga – dove posso eccellere. Voglio diventare sempre più forte partendo dall’aiuto degli altri e alla Quick Step ho trovato l’ambiente giusto. Ho fatto un sacco di cose in questi pochi anni. Alcune le ho lasciate andare, altre come la pista continuerò a portarle avanti perché mi aiutano tanto».

Che in squadra credano in lui è evidente. Il vero prototipo del passista attuale (1,87 per 70 chili), veloce e che tiene bene in salita. Al Giro era pronto a fare il bis, a ripetersi quest’anno, ma la surreale volata di Castelmonte, che ha mandato Vendrame dritto per la tangente all’ultima curva, ha penalizzato anche lui. La sensazione però è che di occasioni ne avrà altre, tante altre…

Alta Badia, Maratona delle Dolomiti e il grande ciclismo

21.06.2022
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L’epoca Covid-19 ci lascia anche qualcosa di buono, pensando al futuro e alla connessione tra ambiente, sport e ciclismo. Quando il 30 settembre scorso, la Maratona dles Dolomites ha comunicato il tetto massimo dei partecipanti (fissato a 8000 presenze) per l’edizione 2022, un sussulto generale ha animato il mondo delle due ruote amatoriali. Le motivazioni sono diverse e tutte ampiamente argomentabili, sta di fatto che ci troviamo al cospetto di una comunità che ha insegnato a molti a fare turismo sportivo, a mettere al centro della promozione il territorio e a far diventare una gran fondo, una vetrina mondiale nella quale tutti vogliono essere protagonisti.

Unica nel suo genere, perché per la Maratona lavorano 4 persone tutto l’anno, che aumentano esponenzialmente di numero man mano che l’evento si avvicina. E’ uno strumento di lavoro per il turismo: si parla di oltre 16.000 presenze con un periodo di soggiorno medio tra le 2/3 notti, solo per citare alcuni numeri. Abbiamo fatto quattro chiacchiere con Michil Costa, presidente del comitato MdD e titolare di un Leading Hotel – La Perla – in Corvara.

La partenza della Maratona Dles Dolomites (foto Freddy Planinschek MdD)
La partenza della Maratona Dles Dolomites (foto Freddy Planinschek MdD)
Perché avete ridotto il numero massimo dei possibili partecipanti?

Per dare maggiore qualità alla manifestazione, perché nonostante tutto l’edizione del 2021, ancora in epoca Covid, ci ha insegnato qualcosa. Ci sono stati meno partecipanti, rispetto alle edizioni pre-pandemia, ma questo ci ha fatto notare che ha dato una maggiore qualità del prodotto offerto. La Maratona delle Dolomiti e l’Alta Badia, sono alla costante ricerca di qualcosa di nuovo da proporre e, oltre ai vari temi di attualità, la volontà era quella di dare ancor più qualità. La soluzione è stata quella di ridurre il tetto massimo delle iscrizioni. Mi rendo conto che per qualcuno possa essere una decisione impopolare e questo mi spiace, ma era necessario prendere una decisione, una posizione e fare una scelta. Così è stato fatto.

Professionisti o amatori, il ciclismo è parte dell’Alta Badia (foto Manuel Glira MdD)
Professionisti o amatori, il ciclismo è parte dell’Alta Badia (foto Manuel Glira MdD)
Con la riduzione dei partecipanti è auspicabile un ritorno al passato, per quello che riguarda il percorso?

E’ un’ipotesi, ma è difficile dire oggi, se ci sarà un ritorno sul Passo Fedaia. Di sicuro sarebbe molto interessante ed epico tornare alle origini, ma è necessario considerare le tante variabili che comporta la variazione e allungamento del percorso. Un tracciato più duro, il passaggio a Canazei con il blocco di una valle. I tasselli da mettere insieme sono diversi. Di certo il punto fermo, delle strade chiuse e dei passi alpini, aperti solo ai ciclisti in quella giornata è un fattore dal quale non si può prescindere. E’ una caratteristica della Maratona dles Dolomites. Comunque si, è lecito pensare al percorso di una volta.

Il Pordoi in più di un’occasione ha scritto pagine epiche al Giro
Il Pordoi in più di un’occasione ha scritto pagine epiche al Giro
Possiamo immaginare a un domani, dove la manifestazione amatoriale possa far da traino ad una dedicata ai professionisti?

Anche in questo caso affrontiamo un argomento attuale, dibattuto nel comitato e anche in tutta la nostra comunità. Non lo nego, ci stiamo pensando, magari anticipando con una sorta di parallelo con gli U23, forse nel 2023. Potrebbe essere una prova, come un test, che potrebbe anticipare l’evento dedicato ai professionisti. Un intero fine settimana di bicicletta, tra pro’ ed amatori. E’ da organizzare, ma si può fare.

La campagna marketing BOA Fit System emoziona

21.06.2022
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“Lo sentite…?”. E’ questo lo slogan ad effetto che caratterizza la campagna marketing 2022 di BOA: un vero e proprio inno di energia esplosiva che da qualche settimana sta occupando i canali social ufficiali e non solo del notissimo brand americano.

Il video della stessa campagna, che potete vedere nel seguito in questo approfondimento, fa difatti riferimento al caratteristico e inconfondibile suono del rotore che si connette ai precisi micro-aggiustamenti di “fit” per conferire all’utilizzatore vantaggi in termini di performance, agilità, potenza ed estrema precisione nella calzata. 

Con la Bora-Hansgrohe

BOA, che quest’anno ha conquistato il Giro d’Italia con Jai Hindley, essendo partner e fornitore ufficiale del team WorldTour tedesco Bora Hansgrohe, è una realtà aziendale nata in Colorado, nel bel mezzo delle Montagne Rocciose, appena nel 2001. Con il proprio, rivoluzionario sistema di calzata ad alte prestazioni, BOA ha in questi vent’anni di attività sul mercato letteralmente trasformato il modo in cui prima gli snowboarder, e poi i ciclisti, utilizzano i propri scarponi e le loro calzature.

Il rivoluzionario e brevettato Fit System, vincitore tra l’altro di numerosi premi, è oggi integrato, rappresentando un vero e proprio valore aggiunto, sui prodotti delle migliori marche di calzature da ciclismo in circolazione: con l’obiettivo dichiarato di rendere lo stesso equipaggiamento ancora migliore in termini di performance. Le soluzioni sempre più innovative ideate da BOA sono progettate per permettere agli utenti di godere di una calzata precisa e su misura, senza disperdere inutili sforzi. Che si tratti di praticare snowboard sulle vette del Colorado, oppure di “macinare” chilometri e salite al Tour de France, BOA rappresenta un alleato validissimo per raggiungere prestazioni realmente al top.

La storia di BOA Fit System è iniziata nel lontano 2001
La storia di BOA Fit System è iniziata nel lontano 2001

Tutto inizia nel 2001

Fondata nel 2001 da Gary Hammerslag, snowboarder, surfista, imprenditore… un vero e proprio pioniere visionario, BOA ha intuito nel corso dei primi anni di attività quanto fosse possibile migliorare la calzata e le prestazioni dei sistemi di chiusura degli scarponi da snowboard. Come? Semplicemente applicando degli elementi relativi a quanto lo stesso fondatore aveva sviluppato in campo medico, e poi studiando a fondo come fosse possibile migliorare le prestazioni dei propri scarponi.

Dopo numerosi test, e svariati prototipi, si giunse alla nascita del Fit System, che cominciò a garantire una calzata più veloce, più facile e più precisa. L’energia e la convinzione di Gary attrassero i primi due partner – K2 e Vans – e nel 2001 stesso furono lanciati i primi scarponi da snowboard…

Oggi, i partner di BOA sono oltre 300, ed il Fit System è utilizzato in milioni di scarponi, caschi, scarpe da ciclismo e altro equipaggiamento ad alte prestazioni in tutto il mondo.

BOA

Dal blackout del Giro alla rivincita tricolore: Fiorelli racconta

20.06.2022
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In ogni cosa che facciamo c’è sempre una piccola parte che non si può controllare. Filippo Fiorelli era partito per il Giro d’Italia con le migliori intenzioni, lo aveva detto a Giada Gambino. La sua avventura sulle strade della Corsa Rosa, però, è durata ben al di sotto delle sue speranze. Cinque giorni, anzi quattro, perché Fiorelli in fondo alla quinta tappa del Giro, non ci è mai arrivato.

«Io e la squadra – racconta dal Giro di Slovenia – non pensavamo mai e poi mai che sarei potuto andare via alla quinta tappa. Anzi, per come ci arrivavo l’idea era che avremmo portato a casa qualcosa di buono».

Prima del Giro, Fiorelli aveva fatto vedere buone cose al Giro di Sicilia dove è arrivato secondo nella classifica a punti
Prima del Giro, Fiorelli aveva fatto vedere buone cose al Giro di Sicilia dove è arrivato secondo nella classifica a punti

Il giorno nero

«Mi sono svegliato la mattina – riprende Filippo – che avevo già una sensazione di nausea, a colazione non riuscivo nemmeno a mangiare. Lì mi sono accorto che la cosa sarebbe stata seria, a colazione io di solito ho una fame da lupi, mangerei anche i miei compagni (racconta con una risata amara, ndr). Una volta salito in bici questa sensazione ha continuato ad accompagnarmi per tutta la tappa. Non riuscivo a digerire, ho provato anche a liberarmi ma nulla».

«Al chilometro zero le cose continuavano a rimanere invariate, una volta imboccato Portella Mandrazzi (la salita di giornata, ndr) mi sono staccato. Non ho fatto neanche il gruppetto talmente ero attardato, ho fatto tutta la salita accanto alla macchina. Ero spossato, non riuscivo a spingere sui pedali, mi si sono affiancati anche Zana e Rastelli, ma nulla…».

Fiorelli non ha mai perso il buonumore, qui con Zana all’Adriatica Ionica Race vinta da quest’ultimo
Fiorelli non ha mai perso il buonumore, qui con Zana all’Adriatica Ionica Race vinta da quest’ultimo

Il ritiro? L’unica soluzione

Quando il corpo si rifiuta di andare avanti, è anche inutile cercare di spingere, bisogna mettersi l’anima in pace ed alzare bandiera bianca. Non è semplice ma è la cosa giusta per non peggiorare la situazione. 

«Ho deciso di finire la salita – dice il corridore siciliano – con l’idea di provare a rientrare se il gruppetto dei velocisti avesse rallentato. Purtroppo quel giorno i velocisti sono rimasti nel mezzo e hanno fatto tutto il giorno a testa bassa. Una volta capito che davanti non si sarebbero fermati, ho deciso di ritirarmi, anche perché avevo 18 minuti dai primi ed il tempo massimo era stimato tra i 22 ed i 23 minuti. Sono dell’idea che questo malessere mi sia capitato nel giorno sbagliato, se mi fosse arrivato il giorno dopo, quando si è fatto i 37 di media mi sarei anche salvato. Purtroppo non decidiamo noi quando avere le giornate no. Parlando con il dottore della squadra si è pensato ad un’intossicazione alimentare. La sera prima è stato male pure Tonelli, si è pensato sia stato un alimento avariato che abbiamo mangiato entrambi».

Tra l’AIR e il Giro di Slovenia c’è stata la parentesi fredda al Tour of Norway
Tra l’AIR e il Giro di Slovenia c’è stata la parentesi fredda al Tour of Norway

Proprio in Sicilia…

Per un corridore siciliano ritirarsi davanti ai suoi tifosi, sulle strade dove ad attenderlo c’è tanta gente fa male. Quel che doveva essere un giorno di festa si trasforma in un qualcosa di brutto e di difficile assimilazione.

«Quel giorno – dice Filippo – a Messina c’erano tutti i miei amici e mia mamma. Appena ha messo piede in città le è arrivata la chiamata di Alberati che le diceva del mio ritiro. L’aria, il clima e l’emozioni di Messina mi avevano dato fiducia, si poteva fare bene. Mi sono arrivate tante manifestazioni di affetto: messaggi, chiamate, parole di conforto. Questo mi ha un po’ aiutato a stare meglio, ma la delusione era davvero enorme. La beffa è stata che la mia valigia era già nell’hotel vicino alla partenza della tappa successiva, in Calabria. Mi sono dovuto fare tutto il trasferimento e dormire lì, mi sono calato in un sonno profondissimo: 12 ore. Il giorno dopo stavo meglio ed una volta a casa era tutto passato, tant’è che mi sono anche allenato».

Filippo ha corso il Giro di Slovenia per sfruttare la buona condizione fino al campionato italiano
Filippo ha corso il Giro di Slovenia per sfruttare la buona condizione fino al campionato italiano

La gamba c’era e c’è ancora

Ritirarsi dopo 5 giorni di Giro d’Italia non fa piacere a nessuno, soprattutto se l’avvicinamento è stato positivo come quello vissuto da Filippo. La condizione c’era e c’è, l’atleta della Bardiani CSF Faizanè ne è convinto. Infatti, dopo il Giro, tempo due settimane ed è andato in Norvegia a correre ancora.

«Nei giorni a casa mi sono allenato ed ho visto che la gamba c’era – conferma –  ho parlato con i direttori sportivi e quando si è presentata l’occasione di sostituire un mio compagno in Norvegia sono andato subito. Arrivavo con il dente avvelenato e volevo raccogliere tutto. Forse ho corso con un pizzico di lucidità in meno nelle prime tappe. Non è stata una corsa facile, c’erano vento e salite, in più i velocisti presenti non erano di secondo livello (Kristoff, Pedersen, Teunissen, ndr). All’Adriatica Ionica Race ho sofferto il cambio di clima rispetto alla Norvegia, passare dai 15-16 gradi ai 35 non è stato facile, anzi».

«In accordo con la squadra – conclude Fiorelli – abbiamo voluto sfruttare la condizione arrivando fino ai campionati italiani. Bisogna imparare a correre con la testa, anche in Slovenia ho fatto le due tappe più dure, la terza e la quarta al risparmio. Così da giocarmi le mie carte domenica (chiusa al 7° posto, ndr). Non vivo questo periodo con stress, certe volte la vittoria ti arriva dal cielo quando meno te lo aspetti. In alcuni momenti hai la gamba, ma non riesci a far quadrare tutto, in altri ti capita lo sprint non favorevole ma tutto si allinea e vinci comunque. Nella seconda tappa al Giro di Slovenia ho fatto quarto, un bel piazzamento. I velocisti che c’erano andavano forte: Groenewegen ed Ackermann su tutti, vedo che ne ho, non mi faccio abbattere ed attendo».

«La vittoria al Giro mi ha sbloccato». Parola di Oldani

19.06.2022
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In questi ultimi trenta giorni siamo certi che avrà pensato tanto a quel giovedì pomeriggio in cui a Genova ha vissuto la miglior giornata della sua carriera. Stefano Oldani col primo successo da pro’, ottenuto nella dodicesima tappa del Giro d’Italia, sa di essere entrato in una nuova dimensione. Nulla che centri con le mode del “metaverso” ma qualcosa di reale, tangibile, pratico.

L’intenzione del 24enne della Alpecin-Fenix sarebbe stata quella di dare continuità alle buone prestazioni di maggio al Tour de Suisse prima di chiudere questa prima parte di stagione, ma qualcosa non è andato secondo i piani. Al telefono Oldani ci racconta di questo e tanto altro proprio a cavallo della sesta frazione nella quale non ha preso il via, al pari di altri suoi quattro compagni, due dei quali positivi al Covid come annunciato dalla squadra.

Stefano come stai intanto?

Sono negativo e questo è un bene. Però dopo il Giro, dal quale ero uscito in condizione, avevo preso una leggera tracheite a causa degli sbalzi di temperatura tra il caldo afoso, il freddo di qualche tempesta e l’aria condizionata. In Svizzera le gambe giravano bene nelle prime cinque tappe, ma essere così “incatramato” nella respirazione mi ha frenato. Peccato perché la quinta tappa passava praticamente da casa mia e sulle mie strade d’allenamento. Pur non essendo al massimo ho compensato con la gran voglia di fare ma nel ciclismo di oggi se non sei al 110% fai fatica a fare risultato.

Che obiettivi avevi dopo lo Svizzera?

Spero che questo ritiro forzato mi possa aiutare a recuperare a dovere. Forse l’infiammazione alla trachea può passarmi con un po’ di riposo. E spero che questo non rallenti troppo la preparazione al campionato italiano. Il percorso non è durissimo ma è adatto alle mie caratteristiche. Di sicuro ci proverò. Dopo di che dovrei fare un periodo di stacco ed iniziare a pensare alla seconda parte di stagione. Salvo cambiamenti, dovrei rientrare al Tour de Wallonie (dal 23 al 27 luglio, ndr).

A distanza di un mese, a mente fredda, che effetto ti fa la vittoria al Giro?

Mi sto rendendo conto adesso di quanto valga. Ha inciso tanto dal punto di vista mentale. Non vincevo dal 2018 da quando ero U23 (Trofeo Magni a Barzago, ndr) ed ormai mi ero quasi scoraggiato. Avevo perso un po’ di fiducia in me stesso, anche perché l’anno scorso avevo sfiorato il successo in diverse occasioni come al Polonia, in cui mi avevano rimontato negli ultimi dieci metri. Da una parte pativo questa situazione, dall’altra invece correvo spensierato perché potevo andare a caccia di risultati quando mi capitava l’occasione.

Alla fine è arrivata questa vittoria…

Sì, è valsa la pena aspettare così tanto. La cercavo sempre però mi dicevano di avere pazienza se non arrivava quando lo volevo io perché lavorando sodo, poi si raccolgono i risultati.

Si rischia di essere appagati?

No, non per me almeno. Questa vittoria è un punto di partenza. Sapete, un paio di volte in alcuni ambienti ciclistici mi è capitato di sentirmi fuori luogo. Magari mi capitava di andare ad eventi dove c’erano giovani che avevano vinto tantissimo e io soffrivo un po’ il fatto di essere pro’ e non aver ancora vinto. Era una cosa mia ma dopo il Giro, vittoria a parte, mi sento all’altezza. Già ero andato forte nella dura tappa dell’Etna ed ero contento. Adesso mi sento sbloccato.

Puoi fare quindi un pensiero anche alla nazionale?

Certo, perché no?! Il cittì Bennati ed io ci conosciamo bene. Proprio al Giro, specie dopo Genova, mi ha detto che mi tiene in considerazione. Naturalmente non mi ha garantito nulla, però le sue parole mi hanno dato grandi stimoli per guadagnarmi una convocazione per europei o mondiali. Infatti ho parlato col mio preparatore e abbiamo deciso che potremmo fare dell’altura proprio in vista di queste rassegne con la nazionale. Insomma, voglio farmi trovare pronto ad una eventuale chiamata.

Hai una gara da sogno nel cassetto che, dopo la vittoria al Giro, può diventare realizzabile?

La corsa dei miei sogni è sempre stata la Milano-Sanremo. Un po’ perché da bambino, essendo io milanese, l’andavo sempre a vedere. Un po’ perché è la Classicissima, basta il nome. Ecco, ora un pensiero ce lo faccio un po’ di più. Negli ultimi anni è stata una gara imprevedibile ed uno con le mie caratteristiche la potrebbe vincere. Se la gara si fa dura, io voglio esserci.

Sobrero: «Vi porto nel mio anno tricolore»

19.06.2022
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Il nostro corpo ha bisogno di cibo per vivere, l’uomo trova negli alimenti la benzina necessaria per far funzionare il proprio motore. Ma, mentre il corpo si nutre di cibo, la nostra anima per vivere ha bisogno di emozioni. Più queste sono forti più noi ci sentiamo vivi. Un ciclista, o uno sportivo in generale, trova nell’adrenalina della vittoria la benzina per andare avanti. Per uno specialista delle prove contro il tempo come Sobrero la conquista si è chiamata: campionato italiano

Matteo, in questo stesso periodo del 2021 conquistava la maglia tricolore dedicata alla cronometro. Ora, tra pochi giorni, questa maglia sarà messa nuovamente in palio e toccherà al corridore della Bike Exchange fare gli onori di casa e difenderla. Sobrero in questi giorni corre in Slovenia, giovedì il suo compagno Groenewegen ha vinto in volata la seconda tappa.

Ora Matteo si trova al Giro di Slovenia, nella seconda tappa è arrivato il successo di Groenewegen, suo compagno di squadra
Ora Matteo si trova al Giro di Slovenia, nella seconda tappa è arrivato il successo di Groenewegen
E tu, Matteo, come stai?

Quando vince un compagno – esordisce con un sorriso – sempre bene. A parte tutto, arrivo a questi campionati italiani sereno, ho indossato la maglia per un anno con grande orgoglio.

Torniamo ad un anno fa, ti aspettavi di poter vincere?

Arrivavo anche lo scorso anno dal Giro di Slovenia, anche se in condizione migliore rispetto ad adesso. Mi aspettavo di poter far bene ma non di vincere, il percorso era adatto alle mie caratteristiche ma tra il dire ed il fare…

Eppure ce l’hai fatta, quale è stata la prima emozione?

Dopo aver tagliato il traguardo sorpresa, poi prima della premiazione sul palco gioia e un po’ di commozione. Indossare quella maglia è una sensazione straordinaria, l’avevo già provata da under 23 ma da pro’ ha un sapore un po’ diverso. 

Ecco il podio del campionato italiano a crono del 2021, in mezzo Sobrero, a sinistra Affini e a destra Cattaneo
Lo scorso anno Affini finì secondo dietro Sobrero, riuscirà a prendersi la rivincita sulle strade friulane?
Come mai?

Mah, per il calibro degli avversari, la tensione, l’attenzione mediatica che c’era sull’evento…

Che cosa ha rappresentato per te?

E’ stata una crescita personale, ho preso consapevolezza di me stesso, delle mie possibilità. Ho provato che nelle crono piatte faccio fatica rispetto a corridori che pesano 20 chili in più di me. Invece, nelle crono ondulate posso difendermi bene, quella vittoria mi ha aiutato a focalizzarmi su questi percorsi.

Cosa cambia rispetto a quando corri con la maglia del team?

La prima cosa da fare è abituarsi all’attenzione che la gente ti riserva, quella maglia ti rende visibile. Anche nelle gare non adatte alle mie caratteristiche i tifosi si aspettavano comunque qualcosa da me. E’ bello, perché comunque ogni volta che stai per partire senti l’abbraccio ed il calore del pubblico.

L’esperienza di Sobrero con la maglia tricolore si è chiusa con la vittoria nell’arena di Verona al Giro, non poteva chiedere di meglio
L’esperienza di Sobrero con la maglia tricolore si è chiusa con la vittoria nell’arena di Verona al Giro
Che anno è stato?

Lo definirei a due facce. Nella seconda parte del 2021 dopo il campionato italiano ero rimasto fermo per un po’ e di conseguenza nel finale di stagione ho cercato di onorarla al meglio ma non è andata benissimo. 

E il 2022?

E’ iniziato subito bene, alla cronometro della Tirreno ho fatto decimo, e non era un percorso adatto alle mie caratteristiche. Al Romandia ero in fase di preparazione per il Giro e non ho fatto bene. Una volta alla Corsa Rosa però ho trovato percorsi adatti a me ed è andata molto bene. Prima il quarto posto di Budapest e poi la vittoria di Verona.

Vincere con la maglia di campione nazionale al Giro, forse il miglior modo per lasciarla, anche solo momentaneamente. 

Miglior cosa non potevo chiedere. Entrare nell’arena con il tricolore addosso ed aver vinto la tappa è stato un vero e proprio uragano di emozioni. Devo dire la verità, mentalmente sto già pensando di perderla mercoledì. Il percorso non l’ho ancora visto, ma ho guardato i dati, il chilometraggio sarà il doppio rispetto alla crono di Verona ma con metà del dislivello. Ci sarà una salita di un chilometro, ma è troppo poco per recuperare l’eventuale svantaggio accumulato in pianura.

Sobrero sperava di avere una condizione migliore allo Slovenia ma nella seconda tappa si è reso conto di essere un po’ affaticato
Sobrero sperava di avere una condizione migliore durante il Giro di Slovenia
Perché?

Non arrivo alla gara in formissima, quest’anno l’italiano è stato spostato una settimana in avanti rispetto al 2021. Di conseguenza ho pensato di andare a fare il Giro di Slovenia per mantenere alta l’attenzione e l’impegno. Stare fermo tre settimane (come al contrario ha fatto Affini, ndr) è un rischio secondo me, avrei rischiato di rilassarmi un po’ troppo. Correre con il motore sempre ad alti regimi aiuta a non distrarsi.

C’è anche il rischio di “finirsi”.

Vero, l’altra faccia della medaglia è che ci si potrebbe stancare troppo a livello mentale. Se si va a correre dopo un grande Giro e si ha condizione viene tutto più semplice. Io credevo di stare meglio, ma proprio ieri, durante la seconda tappa qui in Slovenia, ho avuto delle sensazioni negative.

Hai parlato con qualche avversario?

Al Giro ho parlato un po’ con Affini e De Marchi. Il primo si lamentava che non ci fossero cronometro adatte a lui in questa edizione. Gli ho risposto che al campionato italiano avrebbe trovato il percorso adatto (dice con un sorriso, ndr). Insieme a De Marchi abbiamo parlato di quale sarebbe stato il percorso, durante la Corsa Rosa non avevamo ancora la certezza che si sarebbe corso a Udine.

Affini diretto dal Giro agli italiani a crono: ecco come

18.06.2022
5 min
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Mercoledì 22 giugno ci saranno i campionati italiani a cronometro, uno degli obiettivi stagionali per gli specialisti delle ruote veloci. Edoardo Affini ha cerchiato questa data fin dal ritiro invernale, un bell’appuntamento per il corridore della Jumbo Visma. Il mantovano classe 1996 ha affrontato l’avvicinamento con il campionato nazionale in maniera alternativa, nel mese di giugno non ha mai corso, la sua ultima gara è stata il Giro d’Italia. 

«Inizialmente – racconta Edoardo – dovevo fare il Baloise Belgium Tour, in programma dal 15 al 19 giugno, in inverno i programmi erano questi. Poi prima del Giro d’Italia la squadra mi ha comunicato che non avrebbe preso parte alla gara in Belgio e quindi dalla Corsa Rosa fino al campionato italiano non avrei corso».

Dalla campagna del Nord, Edoardo è andato direttamente al Giro d’Italia
Dalla campagna del Nord, Edoardo è andato direttamente al Giro d’Italia

Poche pause

E’ normale vedere corridori correre ovunque e spostarsi da una Paese all’altro per gareggiare. Viene quasi normale dare tutto ciò per scontato, ma anche loro, anzi soprattutto loro, hanno bisogno delle giuste pause.

«Non ho fatto tantissimi giorni di corsa (39 per la precisione, ndr) – riprende – ma nonostante ciò, non ho mai fatto un vero periodo di stacco. Dopo aver corso la campagna del Nord, complice il fatto che la Roubaix è stata spostata di due settimane, sono andato subito a Budapest per la partenza del Giro. Sono state 3 settimane parecchio tirate, di conseguenza nei giorni successivi ho tirato il fiato. Visto il ritmo con il quale si è corso il Giro d’Italia, ho pensato anche che sia stata una fortuna non andare in Belgio a correre».

Ecco Affini insieme a Sobrero, i due si sfideranno anche al campionato nazionale a crono mercoledì
Ecco Affini insieme a Sobrero, i due si sfideranno anche al campionato nazionale a crono mercoledì

A ritmo tranquillo

«Da dopo la cronometro di Verona – racconta l’omone della Jumbo – ho fatto tre giorni a fare uscite molto blande, massimo di un’ora e mezza. Il ritmo era proprio da recupero, z1/z2 per intenderci. I giorni successivi ho fatto qualche richiamo, ma sempre in maniera soft. Nella seconda settimana ho iniziato ad aggiungere dei lavori specifici su crono: ripetute corte ad alta intensità o medie ad un’intensità minore. Non ho mai fatto chilometraggi esagerati, ho dato precedenza alla qualità rispetto alla quantità. Anche perché al Giro di chilometri ne avevamo già fatti abbastanza».

Ganna ha fatto anche lui la Roubaix come Affini, poi si è fermato per un lungo periodo rientrando in gara al Delfinato
Ganna ha fatto anche lui la Roubaix come Affini, poi si è fermato ed è rientrato al Delfinato

Uno stacco troppo lungo?

Finire il Giro d’Italia dona ai corridori una condizione migliore nel breve periodo rispetto a chi non lo ha fatto: basti pensare a Zana all’Adriatica Ionica Race. Ma quanto dura questo beneficio? Restare fermo per quasi 3 settimane non fa perdere tutti i benefici acquisiti?

«Può mancare un po’ di ritmo gara rispetto a chi sta correndo ora – ammette – come Sobrero al Giro di Slovenia. Non so quali siano i suoi programmi, magari lo finisce tutto oppure no. Correre ora ti potrebbe aiutare a sbloccarti, è difficile riprodurre in allenamento lo sforzo che si fa in gara. Tuttavia non si tratta di una gara in linea, ma a cronometro, quindi i margini potrebbero non essere così ampi. Pensate che le corse ormai si fanno a tutta e quindi c’è anche il rischio di finirsi troppo presto. Ripeto, sarei dovuto andare in Belgio e fare un programma molto simile a Sobrero, ma con il senno di poi penso sia stato un bene fermarsi dopo il Giro».

Ganna? Un capitolo a parte

Il più grande favorito per mercoledì 22 sarà Filippo Ganna, che vorrà riscattare il quarto posto dello scorso anno. Il verbanese, campione del mondo in carica, questa stagione ha puntato tutto sul Tour de France. Il suo avvicinamento al campionato italiano è stato differente.

«Filippo ha fatto la Roubaix come me – ragiona il mantovano – poi non ha fatto il Giro ed ha ripreso a correre quasi un mese dopo al Delfinato. Lui ha fatto tanta altura a differenza mia. Questa differenza di preparazione è ovviamente dettata dal suo obiettivo di quest’anno: la maglia gialla a Copenaghen del 1° luglio. Dovrà arrivare a quell’appuntamento tirato a lucido.Non è da escludere, essendo le due gare così ravvicinate (campionato nazionale e crono del Tour), che abbia già una forma vicina al suo massimo».

La posizione a cronometro è sempre più estrema e serve tempo per adattarsi
La posizione a cronometro è sempre più estrema e serve tempo per adattarsi

La bici da crono

Nelle prove contro il tempo la dimestichezza nel guidare il mezzo è estremamente importante. Edoardo ha corso il Giro, che nell’edizione 2022 ha visto ben poca cronometro: solamente 26 chilometri nell’arco delle tre settimane. Nel periodo di preparazione avrà dovuto anche riprendere il feeling con il mezzo. 

«Nel mese di maggio – dice Affini – avrò usato la bici da cronometro grosso modo tre volte. Di conseguenza in questo periodo ho cercato di utilizzarla il più possibile, dalle 3 alle 4 volte a settimana. Le posizioni sono sempre più estreme e di conseguenza l’adattamento diventa sempre più lungo. Per questo ci ho pedalato sopra anche per fare “scarico”. Ovviamente avrei preferito un Giro con più chilometri a cronometro, ma sono scelte dell’organizzazione e di conseguenza c’è poco da fare».

La tecnologia viene incontro ai corridori, ma il vero riscontro sul percorso lo si fa di persona
La tecnologia viene incontro ai corridori, ma il vero riscontro sul percorso lo si fa di persona

Mappe e ricognizioni

La tecnologia aiuta corridori e direttori sportivi a visionare i percorsi nei minimi dettagli. Però, quando si tratta di prove contro il tempo, il feeling con la strada conta molto di più. Devi poter vedere con i tuoi occhi quel che ti riserverà il percorso perché lasciare le cose al caso potrebbe portare alla sconfitta.

«Penso di andare martedì mattina a vedere il tracciato – conferma – ormai ci sono varie mappe o addirittura Veloviewer. Io preferisco vedere i percorsi di persona, soprattutto perché ti rendi davvero conto di tutte le particolarità del tracciato solamente quando lo provi. Probabilmente martedì lo farò un paio di volte in bici, poi aggiungerò una terza in macchina. Mercoledì mattina poi, la sgambata spero si possa fare direttamente sul percorso così da rifarlo un’ultima volta prima della gara».

Zakarin, dice addio il tartaro dalle mille facce

16.06.2022
5 min
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Il’nur Zakarin chiude la sua carriera. Lo avrebbe fatto a fine stagione, ma per il tartaro la fine è arrivata prima, decisa dai vertici Uci quando hanno chiuso le porte alla Gazprom senza se e senza ma. Zakarin ha aspettato pazientemente, ma ormai gli era chiaro che non ci sarebbero state altre occasioni agonistiche. Chiude lasciando un velo di mistero e d’incertezza su chi era veramente, su come posizionarlo in quella scala di valori che va dal buon corridore al campione. Perché la sua carriera è fatta di alti e bassi, è di difficile interpretazione, rispecchia abbastanza fedelmente quel carattere derivato dalle sue radici tartare, sempre in bilico fra gli estremi.

Zakarin Romandia 2015
Il’nur vincitore del Romandia nel 2015, con il compagno Spilak e Froome in maglia Sky
Zakarin Romandia 2015
Il’nur vincitore del Romandia nel 2015, sul podio con Froome in maglia Sky

Le accuse di Kwiatkowski

Perché Zakarin è un tartaro vero, fieramente legato alle sue radici. Uno dal quale non sai mai che cosa aspettarti, uno che è difficile decifrare. Cosa che spesso lo ha portato in situazioni difficili e che non sarebbero state tutte rose e fiori.

Il’nur (l’apostrofo è d’obbligo, proprio rispettando la trascrizione tartara) lo capì presto, agli europei junior del 2007 quando vinse il titolo nella cronometro. Secondo giunse il polacco Michal Kwiatkowski, proprio quello che sarebbe diventato collezionista di classiche, che lo accusò apertamente di pratiche illecite. I controlli non rivelarono nulla e Zakarin si portò a casa la maglia, ma due anni dopo la federazione russa lo sospese per uso di metandrostenolone. Risultato: due anni di stop.

Solo chi cade si può rialzare. Quello che riapparve nel mondo delle due ruote era un Zakarin che aveva fatto i conti con i suoi errori, ma che cercava ancora di capire chi fosse. Approdato al professionismo nelle file della Katusha, era un corridore diverso da quello che ci si aspettava rispetto alle sue imprese giovanili. Passista? No, tutt’altro, un vero e proprio scalatore.

Zakarin discesa
La discesa è sempre stata un momento difficile per Zakarin, che spesso ha accusato distacchi pesanti
Zakarin discesa
La discesa è sempre stata un momento difficile per Zakarin, che spesso ha accusato distacchi pesanti

Il tallone d’achille della discesa

Ci si era sbagliati nel giudicarlo e ci si sbaglierà ancora. Giro d’Italia 2015, tappa con arrivo all’autodromo di Imola, una di quelle frazioni dove il meteo fa la differenza e trasforma una frazione semplice in qualcosa di epico. Freddo e pioggia scompaginano il gruppo. Zakarin è in fuga con corridori di nome e di peso, come Hesjedal e Kuijswijk. Si scala il Tre Monti, colle infido, quasi un’astrusità nel panorama geografico regionale. Al terzo passaggio il russo va via, nessuno tiene la sua ruota, ma la differenza Zakarin la fa in discesa, ampliando il divario e andando a conquistare la sua prima vittoria al Giro.

Abbiamo trovato un discesista… Appena si dà una definizione, ecco che Zakarin ci mette del suo per smentirla. La sua carriera infatti sarà ben presto caratterizzata proprio dal divario fra le sue capacità in salita e la sua proverbiale sofferenza in discesa. Sono tanti i gran premi della montagna conquistati, che dovrebbero portarlo a traguardi ben più importanti, ma poi c’è la discesa, dove le sue capacità di guida sono sempre messe a dura prova, costano tempo, secondi, distacchi.

Più forte del dolore

Anche cadute: terribile quella del Colle dell’Agnello nel 2016, quando sta giocandosi qualcosa di realmente importante. Il suo volo ripreso da dietro, dalle telecamere mobili fa scorrere un brivido in tutti coloro che guardano. E quei secondi che separano la caduta dai soccorsi non fanno presagire nulla di buono. Ma Zakarin è come un gatto. Si rialza con una clavicola rotta, appena un mese dopo va al Tour e vince con una fuga da lontano la 19ª tappa. Con arrivo in salita, così non si rischia niente…

Solo che quando hai un tallone d’Achille, anche piuttosto evidente, è difficile combattere ad armi pari per la conquista dei grandi Giri. Ma Il’nur ha il sangue tartaro, quello dei conquistatori, di gente che prima di tutto fa appello al coraggio. Nei grandi Giri parte sempre con grandi ambizioni e spesso si ritrova a riaggiustare i cocci. Perde molto in frazioni che dovrebbero essere tranquille e recupera con azioni da lontano e fughe a lunga gittata. Questi tira e molla costano, difficile che possano portare al massimo successo, ma in fin dei conti Zakarin chiude con un bilancio congruo: una top 10 conquistata in tutte e tre i grandi Giri con il 2017 come anno principe, 5° al Giro e 3° alla Vuelta.

Zakarin Giro 2019
L’ultima grande vittoria del russo, al Giro 2019 a Ceresole Reale
Zakarin Giro 2019
L’ultima grande vittoria del russo, al Giro 2019 a Ceresole Reale

Cosa farà? Per ora triathlon…

Uomo chiuso e di poche parole, quasi arroccato nelle sue radici e nella sua lingua, con l’inglese utilizzato solo per quel che serve per girare il mondo, Zakarin aveva già detto a inizio anno che questo sarebbe stato l’ultimo, ma pensare che sparisca dalla scena sarebbe sbagliato.

Già si è dedicato a qualche gara di triathlon, ora passa il suo tempo con la famiglia nella sua residenza di Cipro, ma presto o tardi tornerà a farsi vedere proprio come faceva in corsa. Lo vedevi staccato e derelitto il giorno prima e dopo neanche 24 ore eccolo lì, all’attacco, in fuga, a dare tutto per la vittoria. Perché Zakarin è così, tartaro fiero di esserlo, impossibile da essere identificato con un’etichetta.

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Francia nel mirino. Matxin svela i piani della UAE Emirates

14.06.2022
5 min
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Tra Giro d’Italia e Tour de France. Un periodo sempre particolare per i corridori e anche per i team. Con Joxean Fernandez, al secolo Matxin, andiamo a vedere cosa succede in casa UAE Emirates. La società asiatica infatti al Delfinato, senza il suo leader Tadej Pogacar è quella che si è vista meno, tra gli squadroni.

Come è stato il loro dopo Giro? Come stanno approcciando il Tour? Sono i campioni uscenti e non possono passare di certo in secondo piano.

Matxin con Almeida dopo la tappa dell’Aprica. Due sere dopo il portoghese inizierà a stare male e lascerà il Giro
Matxin con Almeida dopo la tappa dell’Aprica. Due sere dopo il portoghese inizierà a stare male e lascerà il Giro
Matxin, partiamo dal post Giro. Qualcuno ipotizzava che non avendo finito la corsa rosa, Joao sarebbe andato al Tour. E così?

Assolutamente no. Nessuno di quelli del Giro, almeno inizialmente, è stato previsto per il Tour. E vogliamo mantenere questo planning annuale. Ad inizio stagione facciamo un programma personalizzato (calendario e di conseguenza la preparazione) con i singoli ragazzi. Li ascoltiamo, sentiamo cosa gli piacerebbe fare e insieme alle esigenze della squadra tiriamo giù un programma e cerchiamo di mantenere la parola data.

Così ognuno sa cosa deve fare e farsi trovare pronto…

Esatto. Ma la realtà è che con il covid alcune cose possono variare, ma quello è un altro conto. Può succedere che un ragazzo non sia in condizione, ma di base si rispetta il programma. Così da lavorare più serenamente e con le idee chiare.

Tornando a Joao Almeida: come sta?

Piò o meno si è ripreso. Ci ha messo un po’ per negativizzarsi. Ha iniziato a pedalare, ma prima ha dovuto superare il nostro protocollo che è abbastanza stringente. Sapete con tutti i problemi di cuore che ci sono stati. Sarebbe dovuto rientrare al Giro di Svizzera, ma non è il caso di fargli fare subito sforzi del genere. Per il resto non mi preoccupo di quello che dice la gente. Nel suo programma c’erano il Giro e la Vuelta. Se poi chiaramente si fosse fermato dopo tre tappe allora qualcosa poteva cambiare. E poi non è da noi far fermare un corridore per portarlo ad un altra corsa. E’ successo, ma per ben altri motivi.

A chi ti riferisci?

A Gaviria al Romandia. Lo abbiamo fermato prima delle due tappe finali, due tapponi di montagna, per portarlo al Gp Francoforte che invece è per velocisti. Ma prima ne avevamo parlato con l’organizzatore, in segno di rispetto.

Anche Hirschi è tornato a dare grandi segnali. Sarà al Tour o meglio avere più “gregari puri” per Pogacar?
Anche Hirschi è tornato a dare grandi segnali. Sarà al Tour o meglio avere più “gregari puri” per Pogacar?
E veniamo a Pogacar: come sta Tadej?

Bene. Sta seguendo il suo percorso di avvicinamento al Tour in modo corretto. Abbiamo stretto un accordo con Livigno per i suoi ritiri in altura. Ed è tutto come previsto dal suo coach, Inigo San Millan. Correrà al Giro di Slovenia (dal 15 al 19 giugno, ndr).

Ha cambiato qualcosina nei suoi lavori, magari più qualità o al contrario più resistenza?

Più che altro posso dire che sta testando la nuova Colnago da crono. Ci sta uscendo molto. E poi sta curando le cose di cui ha più bisogno, quelle nelle quali sentiva di essere più carente. La nostra idea comunque è di lasciarlo in quota il più possibile, in modo tale che questa altura se la ritrova nella seconda e nella terza settimana del Tour, quando serve davvero. In tal senso fare lo Slovenia è perfetto.

La squadra per il Tour l’avete fatta?

Per il 95% anche 97% direi… è stata fatta. Tra Delfinato e Svizzera la sveleremo, aspettiamo che tutti svolgano il loro programma, come detto all’inizio. Idem le riserve.

Anche loro si allenano come se dovessero andare in Francia?

Sì, anche loro saranno pronti. Però i nomi non posso dirli. Spetta alla squadra e poi vorremmo fare un bel lancio social. Poi è chiaro che ci sono ragazzi imprescindibili come Majka e Soler, così come McNulty più o meno… Già vi ho detto molto!

Pogacar (a destra) in allenamento sulle strade di Livigno con i suoi compagni Majka e Laengen (foto Instagram)
Pogacar (a destra) in allenamento sulle strade di Livigno con i suoi compagni Majka e Laengen (foto Instagram)
Certo, Matxin, che il Richeze visto al Giro sarebbe una manna nelle tappe di pianura e del pavé di inizio Tour?

E’ stata una scelta mia: al Tour non portiamo velocisti. Non c’è Max, ma abbiamo tanti altri corridori in UAE che possono fare bene sul pavé e col vento. Penso a Trentin, a Laengen.

Si è ritirato per febbre, ma visto come stava andando al Delfinato, Ayuso al Tour sarebbe stata una bella suggestione…

No – risponde secco Matxin – per nulla! Juan ha 19 anni. E lo dico io che credo in lui da quando era un allievo di primo anno. Il mio è un no, senza ombra di dubbio. Penso alla sua carriera. Juan ha davanti a sé 15 anni e se vuol crescere e avere una carriera a lungo termine, non solo quella in relazione al contratto con la UAE, deve fare le cose con calma e sbagliare poco. Sin qui la corsa più lunga che ha fatto è stato il Giro U23 lo scorso anno. E poi non porterei mai un campione, sentite: ho detto campione, per farlo fermare al secondo giorno di riposo. E lo stesso vale per la Vuelta. Discorso diverso per il velocista.

Sei stato molto chiaro!

Guardate, portare il giovane ad un grande Giro e poi farlo fermare l’ho fatto una sola volta con Felline (il riferimento è alla Footon-Servetto del 2010, ndr). Ma all’epoca eravamo una squadra molto piccola, avevamo poche chance e neanche un programma di gare definito.