Aleotti è giusto tirare e basta? «Per ora sì. C’è un Giro in ballo»

28.05.2022
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Giovanni Aleotti fa parte della banda Bora-Hansgrohe “2.0”, quella cioè presa in mano da Enrico Gasparotto. Il corridore emiliano è stato il primo a scardinare il Giro d’Italia. Lo ha fatto con un’azione micidiale nella tappa di Torino (foto in apertura), quella che ha rivoluzionato la classifica.

Però la situazione in classifica di questo Giro d’Italia in qualche modo ha “rallentato” il ragazzo per quel che riguarda le ambizioni personali. Giovanni si è dedicato in tutto e per tutto alla causa della squadra. Una squadra che dopo Sagan, ha cambiato, e sta cambiando, i suoi connotati. Adesso si punta alle corse a tappe.

Giovanni Aleotti (classe 1999) è alla seconda stagione da pro’
Giovanni Aleotti (classe 1999) è alla seconda stagione da pro’
Giovanni, con Gasparotto correte in modo diverso: cosa è cambiato?

Si va più all’attacco. Abbiamo cercato di essere sempre protagonisti in questo Giro, sia con le fughe, sia con le azioni a sorpresa come nella tappa di Torino. Dobbiamo supportare al meglio Jay Hindley fino alla fine.

Sino ad oggi il momento chiave del Giro è passato dalle tue gambe. A Torino hai firmato la fiammata che ha fatto saltare il banco…

Eh – ride – ma non sono stato solo io! L’avevamo studiata. Ci avevamo pensato, sapevamo che era una tappa complicata e che poteva succedere qualcosa. Siamo entrati nel circuito davanti e abbiamo capito che si poteva fare selezione anche in discesa. Abbiamo fatto corsa dura. Anche Kelderman è stato fantastico nel giro finale.

Però la vera selezione l’hai fatta tu: hai fatto 10′-15′ a tantissimi watt…

Ho seguito le indicazioni dei miei compagni dietro. Quando mi hanno detto che il gruppo si era spaccato, ho insistito a tutta. E è andata bene.

Cosa ti ha detto Gasparotto di quella tua azione?

Era contento. E’ lui che l’ha pensata. E lui che ci ha motivato e che ci credeva più di tutti.

Il corridore di Mirandola (Mo) è stato secondo al Tour de l’Avenir nel 2019, quando indossò anche la maglia gialla
Il corridore di Mirandola (Mo) è stato secondo al Tour de l’Avenir nel 2019, quando indossò anche la maglia gialla
Quindi tu sapevi che dovevi entrare in azione esattamente in quel punto e in quel modo?

Non in quel modo, non pensavamo di fare in discesa il grosso della selezione, ma sullo strappo dopo la discesa. Ma è venuta così… e siamo tutti contenti. Quando mi sono spostato ero stanco morto, ma gli altri compagni sono stati bravi a portarla a termine.

C’è soddisfazione a svolgere questo ruolo, o magari, vedendo che inizia a passare un po’ di tempo, vorresti più spazio? Magari pensare alla maglia bianca, visto che hai fatto secondo all’Avenir…

Penso che sia presto. Ma soprattutto anche io non mi ritengo decisamente un corridore da corse a tappe, almeno per ora. Credo di dover maturare ancora fisicamente.

Dunque va bene…

Sì, non penso che capiti tutti i giorni di trovarsi a lottare per un Giro d’Italia e di essere protagonista della squadra che se lo sta giocando. Adesso siamo concentrati su questo obiettivo.

Aleotti in salita deve crescere ancora, ma su quelle brevi si è mostrato molto competitivo
Aleotti in salita deve crescere ancora, ma su quelle brevi si è mostrato molto competitivo
Cosa ti piace, ammesso che ti piaccia, di questo vostro nuovo modo di correre?

Sicuramente mi sento più responsabilizzato. E questo mi piace. Ma anche il dover essere sempre nel vivo della corsa è stimolante. Non subiamo la corsa, ma la facciamo. 

Qual’è il ruolo specifico?

Varia di giorno in giorno. Soprattutto in questa fase ci sono uomini che devo stare vicino a Jay sulle salite finali e altri che invece devono lavorare prima. Quando si fa la selezione e restano in dieci io ancora non ci sono, non ho quel ritmo.

Tu Giovanni vai forte in salita, ma in questo specifico momento e con il tuo ruolo, sei più uomo da “pianura” o da salita?

Dipende da che salita. Su quelle lunghe posso anche starci ma, come ho detto, non quando avviene la grossa selezione. Penso di dover crescere in salita, ma c’è tempo.

Ieri, per esempio verso Castelmonte qual è stato il tuo ruolo?

Essendo stato al Cycling Team Friuli conoscevo un po’ le strade fino al confine sloveno. E sono stato spesso davanti. L’ingresso di Tarcento era un po’ insidioso e lo stesso un paio di discese dopo. Quindi ho dato qualche consiglio. Sono stato davanti fino al Kolovrat.

Ieri Giovanni Aleotti ha lavorato nella prima metà di tappa, poi ha risparmiato energie in vista di oggi
Ieri Giovanni Aleotti ha lavorato nella prima metà di tappa, poi ha risparmiato energie in vista di oggi
Avete tirato molto, qual era la tattica della Bora Hansgrohe?

Jay stava bene e oggi (ieri, ndr) volevamo stanare gli altri. Però ci aspettavamo un po’ di controllo, un po’ di azione anche da altre squadre come la Bahrain Victorious, ma alla fine non si sono mossi e non aveva senso continuare a spremere la squadra visto che domani (oggi, ndr) c’è un’altra opportunità.

Hai parlato della tappa della Marmolada: vi sta bene arrivare alla crono così o l’idea è di mettere un po’ di margine su Carapaz?

E’ un tappa durissima, la salita finale la conosco anche: chi avrà le gambe ci proverà. Anche Carapaz. Credo che nessuno dei due si senta sicuro della posizione che ha e tutti e due proveranno a staccare l’altro.

Per adesso ancora va bene ammirare Aleotti in questa veste, ma presto vorremo vederlo con più spazio per se stesso. Il discorso del giovane che tira per farsi le ossa va bene, ma entro certi limiti. Il rischio è di fossilizzarsi su quel ruolo e di perdere attitudine con la vittoria. 

Ma giustamente c’è una maglia rosa in ballo e ogni forza in squadra va ben ponderata. E Gasparotto lo sa bene.

Bruttomesso, prima l’esperienza (e la maturità), poi i pro’

04.05.2022
4 min
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Pochi mesi da under 23 e Alberto Bruttomesso ha già messo nel sacco quattro vittorie. Di questi tempi quindi, viene da chiedersi se per lui siano già suonate le campane del professionismo. Fa gola uno junior promettente, figuriamoci un U23 vincente. Per di più di primo anno.

Pochi giorni fa Luciano Rui manager della  Zalf Desiree Fior ci aveva detto: «Presto qualcuno verrà a chiamarlo». Ma aveva anche aggiunto che i suoi atleti almeno due anni, ma anche tre, restano in questa categoria perché è un passaggio dal quale non si può prescindere.

Parliamo di questo, e non solo, direttamente con Bruttomesso che, ricordiamo, è vicino alla “scuderia” dei Carera e le possibilità di passare pertanto non gli mancheranno.

Alberto Bruttomesso, classe 2003, è sempre stato un corridore molto veloce (foto Instagram)
Alberto Bruttomesso, classe 2003, è sempre stato un corridore molto veloce (foto Instagram)
Alberto, prima di tutto complimenti per il tuo inizio: ti aspettavi di andare subito così bene?

No, sinceramente non me lo aspettavo. Sapete, tutto nuovo: avversari, categoria, allenamenti, corse…

Sono già arrivate le sirene dei pro’? Ti hanno cercato?

Per ora no. Voglio fare esperienza. Stare tra gli under 23 è molto importante e io un paio di anni almeno vorrei farli. E poi vediamo. Anche perché poi non è scontato passare. Non è detto che dopo tre o quattro anni si passi.

E se ti venissero a cercare coglieresti l’occasione? Per esempio chi è intorno a te ti dice di approfittarne oppure di stare tranquillo, tanto sei forte, e passerai?

Non ho avuto modo ancora di parlare con nessuno di questo argomento. Vivo in un ambiente tranquillo, non ho pressioni varie. Io sono contento, mi godo il momento e non ho obiettivi specifici da qui al breve, se non la maturità. Intento pensiamo a fare, e bene, quella. Anche per questo motivo non credo proprio di essere al Giro d’Italia U23.

Cosa studi?

Elettronica. Ho buoni voti.

In famiglia ti hanno detto: «Okay la bici, ma prima la scuola». Oppure ti hanno lasciato più libero, se così si può dire?

Me lo hanno detto in famiglia, ma me lo sono detto anche da solo. Prima la scuola, poi dopo la maturità mi dedicherò al 100 per cento alla bici. Comunque sto anche valutando l’idea di fare l’università.

Alberto Bruttomesso durante l’inverno ha lavorato molto per spingere i rapporti più lunghi (foto Scanferla)
Alberto Bruttomesso durante l’inverno ha lavorato molto per spingere i rapporti più lunghi (foto Scanferla)
Proprio perché hai la maturità e a breve presumibilmente staccherai un po’, con la squadra avete deciso di partire forte?

In realtà è il contrario, proprio perché ho la scuola mi sono allenato meno. Gianni Faresin, ci dà i programmi, e per noi quattro di primo anno ha fatto delle tabelle specifiche per chi va a scuola. Di fatto io mi alleno solo il pomeriggio. Solo una volta a settimana riesco ad arrivare a 3 ore e 45′, altrimenti ne faccio due o tre.

E allora come mai, secondo te, sei partito subito così bene?

Non saprei! Io mi sono fidato di Gianni, che è un ottimo diesse, e i risultati gli danno ragione.

Ma anche con i rapporti ti sei trovato subito bene: ti allenavi con rapporti appunto più lunghi del 52×14 da juniores?

No, no… 52×14, ma quest’inverno abbiamo fatto dei lavori per inserirli gradualmente fino a spingere il 53×11 in volata.

Col tuo fisico potente ci vai a nozze insomma…

In effetti mi piacciono. Già lo scorso anno con il 52×14 preferivo gli arrivi che tiravano un po’, adesso con questo rapportone mi sento a mio agio anche in pianura.

Lavoro di squadra: due (o più) anni in questa categoria servono anche per imparare certi aspetti
Lavoro di squadra: due (o più) anni in questa categoria servono anche per imparare certi aspetti
Esperienza: cosa significa concretamente quando si dice che un ragazzo ne debba fare? Cosa noti di diverso fra te e i tuoi compagni di terzo o quarto anno?

Che hanno più esperienza! Conoscono le gare soprattutto. Per esempio alla Firenze-Empoli, che io non avevo mai fatto chiaramente, mi dicevano: attento qui che la strada si stringe, di qua può partire la fuga… mi danno consigli.

E questo vale anche per il fuori corsa? Per la vita del corridore, i viaggi…

In ambito italiano, i miei viaggi e le mie trasferte le ho fatte. Per esempio, qualche settimana fa siamo andati a Roma per il Liberazione e lo conoscevo per averlo fatto da junior. Di trasferte in aereo, per adesso, ho fatto solo quella per i mondiali dello scorso anno.

E secondo te sono aspetti marginali nella maturazione a 360° del corridore, oppure sono importanti?

Non saprei. In teoria servono. Di certo le esperienze all’estero ti servono per capire realmente qual è il tuo livello nei confronti di altri avversari.

Passaggi precoci, un danno per i ragazzi: parola dei diesse

30.04.2022
7 min
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Corridori che passano troppo giovani, o quantomeno che non sono pronti: non è la prima volta che ne parliamo. Ma visti gli ultimi casi, vedi Trainini, Romano… vale la pena ritornarci. Diversi ragazzi come loro, per scelta o per “demeriti” in quanto non erano maturi, hanno smesso.

Senza contare poi i campioncini che sembrava dovessero spaccare il mondo e che invece stanno faticando più del previsto. Cerchiamo di fare il punto con alcuni diesse del settore U23 che hanno sottomano questi ragazzi.

Antonio Bevilacqua è uno degli storici tecnici alla corte di Beppe Colleoni (foto Colpack)
Antonio Bevilacqua è uno degli storici tecnici alla corte di Beppe Colleoni (foto Colpack)

Parola a Bevilacqua

Partiamo da Antonio Bevilacqua, della Colpack-Ballan. Bevilacqua ne ha visti di corridori nella sua lunghissima carriera, in bici prima e in ammiraglia poi.

«Sono tutti alla ricerca del Pogacar e dell’Evenepoel – dice Bevilacqua – Noi abbiamo avuto Antonio Tiberi e Andrea Piccolo, anche se lui va detto che è rimasto impigliato nel caso Gazprom, però stanno attraversando delle difficoltà. Un anno con noi e sono subito passati. Nella storia c’è stata qualche eccezione di ragazzi che sono passati precocemente, ma adesso sembra essere la norma. E infatti ormai conviene andare forte da juniores. Li alleni come bestie, vanno forte e passano pro’. Ma chi facciamo passare? Non certo un corridore formato».

«Tutti, team e procuratori, hanno paura. La frase ricorrente è: questo è forte, se non lo prendi tu, lo prende qualcun altro. E quando è così alla lunga anche la nostra continental non ha più senso di esistere. Il bello e lo scopo di una squadra come la nostra era di introdurre i ragazzi al professionismo con gradualità. Portarli a fare un Laigueglia, un Coppi e Bartali, un Larciano… Oggi vincono una corsa e via: campioni, professionisti. Quando passai io avevo nel sacco 6 vittorie, 11 secondi posti e quasi mi vergognavo. 

«Certo, il ciclismo è cambiato da allora e oggettivamente i giovani vanno più forte, ma resta le necessità di tempo per farli maturare».

Tiberi 2021
Per Bevilacqua, Tiberi sarebbe dovuto passare alla Trek-Segafredo un anno dopo: avrebbe accusato meno il salto di categoria
Tiberi 2021
Per Bevilacqua, Tiberi sarebbe dovuto passare alla Trek-Segafredo un anno dopo: avrebbe accusato meno il salto di categoria

Tiberi? Arriverà

«Torniamo a Tiberi – riprende Bevilacqua – Un anno in più gli avrebbe fatto bene. Premesso che Antonio è un ottimo corridore e verrà fuori, ma se fosse rimasto con noi per un’altra stagione avrebbe fatto un programma di gare importante con i pro’ e magari avrebbe vinto un Giro del Belvedere. E sarebbe passato anche in altro modo. Sarebbe stato subito vincente e magari avrebbe anche guadagnato di più. Perché se vinci da giovane, guadagni di più. Dal mio punto di vista non avrebbe perso un anno, ma lo avrebbe guadagnato».

«Perché poi un ragazzo che fa fatica in tutto, nei risultati, ad ambientarsi… alla fine rischia di perdere stimoli, di disamorarsi. L’ultimo dei nostri grandi che è rimasto quattro anni con noi è stato Consonni».

Luciano Rui, colonna portante della squadra veneta (foto Scanferla)
Luciano Rui, colonna portante della squadra veneta (foto Scanferla)

Il pensiero di Rui

Da un veterano dell’ammiraglia all’altro: Luciano “Ciano” Rui, della Zalf Euromobil Desirée Fior. Anche lui ha le idee chiare.

«E’ il solito discorso che sostengo da tempo – dice Rui – non puoi andare all’università senza prima aver fatto le medie e le superiori. Poi uno si laurea pure, ma uno, non cento. Per me ancora oggi si dovrebbero fare come minimo due o tre anni tra gli under. Devo dire che quasi tutti i miei ragazzi hanno osservato questo periodo. Sì, magari firmavano al secondo o al primo anno, ma poi restavano con noi ancora una stagione».

«In merito a questo discorso mi viene in mente Nicola Boem, uno dei ragazzi più talentuosi che abbia mai avuto. Ad un certo punto c’è stata fretta di farlo passare, anche se aveva fatto due anni con noi, ma poi una volta tra i pro’ non gli è piaciuto quel mondo. Lui aveva anche un carattere particolare, derivante da una situazione familiare non facile e di là non lo hanno capito. Andava accompagnato, ma c’era fretta di risultati. E così ha smesso. E non si tratta di squadre WorldTour o meno. Si tratta di passare in team che credano in te».

«Tra i pro’ sei solo. L’atleta che deve passare non deve solo essere pronto fisicamente ma anche mentalmente. Adesso ho Alberto Bruttomesso, un primo anno che ha già vinto tre corse. Se ne vince un’altra vedrai cosa succede. Lo avvicineranno e gli diranno che deve passare subito. Dobbiamo imparare a convivere con i procuratori, ma ci vorrebbe più sinergia fra tutti: team dilettantistici, procuratori e squadre dei pro’».

Per Pozzovivo una lunga gavetta alla Zalf prima di passare, ma è ancora in gruppo (e tra gli italiani migliori)
Per Pozzovivo una lunga gavetta alla Zalf prima di passare, ma è ancora in gruppo (e tra gli italiani migliori)

Pozzovivo un esempio

«Una volta prima di passare si doveva fare il militare- dice Rui – E non era cosa da poco. Passava un altro anno, finivi che ne avevi 20 e avevi una testa diversa rispetto a quando ne avevi 18-19, un’altra visione di vita. Oggi passano da ragazzini e quanto durano? Secondo voi perché Daniel Oss o Domenico Pozzovivo sono ancora lì? Pozzo con noi ha fatto cinque anni, Oss quattro. Daniel quando incontra i corridori della Zalf ancora gli dice: “Ciano è stato il mio maestro di vita”. 

«E poi è semplice: un ragazzo raggiunge la sua maturazione ormonale e quindi di equilibrio mentale tra i 24 e 26 anni. Sono dati medico-scientifici, supportati dal parere degli psicologi».

Leonardo Scarselli, da anni dirige i ragazzi della Maltinti
Leonardo Scarselli, da anni dirige i ragazzi della Maltinti

Scarselli…

Leonardo Scarselli è uno dei diesse della Maltinti Lampadari, storica U23 toscana. Anche a quelle latitudini si è verificato più di un caso di passaggi precoci, il più eclatante è stato quello di Daniel Savini. Due vittorie al primo anno, quattro al secondo e via alla Bardiani Csf Faizanè. Adesso, dopo due anni col Greenteam, milita nella Mg.K-Vis, squadra continental. 

«Io – dice Scarselli – penso che ci sia troppa esasperazione nelle categorie giovanili. Soprattutto tra gli juniores i ragazzi spesso non sono gestiti nella maniera più corretta nei confronti della loro crescita. A 17 anni gli fai fare dei carichi di lavoro che vanno al di là di quel che può supportare il loro fisico alla lunga. Poi sono giovani, si allenano e vanno forte. Ma come esplodono si spengono».

«Senza fare nomi, in passato ne ho avute di delusioni. Ragazzi anche che avevano vestito la maglia azzurra da juniores e poi si sono persi».

«Se avrei fatto passare Savini? Assolutamente no. Non era pronto dal punto di vista mentale, non si tratta solo di quello fisico. Non aveva quella maturazione che richiede il mondo dei pro’, una maturazione che è essenziale. E infatti ecco le conseguenze… Perdi il primo anno, perdi il secondo e alla fine perdi anche la fiducia: quella in te stesso e quella da parte del team».

Daniel Savini (classe 1997) passato alla Bardiani adesso milita nella continental Mg.K-Vis
Daniel Savini (classe 1997) passato alla Bardiani adesso milita nella continental Mg.K-Vis

E il caso Savini

Quando Scarselli parla di maturazione per il mondo dei pro’ si riferisce alle responsabilità, agli orari, all’alimentazione. Insomma alle cose concrete.

«Parlo di orari, di puntualità da rispettare, all’invio dei dati degli allenamenti – spiega Scarselli – Per esempio all’epoca chiesi a Zanatta (allora diesse alla Bardiani, ndr) come andasse il mio corridore e lui mi disse che ogni volta c’era una scusa per non inviare i files, in ritiro si era presentato sovrappeso… era partito col piede sbagliato. E infatti lo avrebbero fatto correre quando si sarebbe rimesso in sesto».

«Mi dispiace, perché Daniel poteva essere davvero un buon corridore. Un anno in più tra gli U23, tanto più con l’accordo con i Reverberi in tasca, gli avrebbe fatto bene per quella quotidianità che poi è quella che ti fa fare la differenza nel bene o nel male nel professionismo. In squadra con noi avrebbe avuto delle persone che magari gli sarebbero andate contro. Gli avrebbero parlato a brutto muso nel caso non avesse fatto le cose a modo. Ma se poi ero il solo a pensarla così…

«Io ho fatto il corridore, la mia esperienza conta, sono stato anche in team importanti come la Quick Step, so come funzionano le cose di là».

EDITORIALE / A.A.A. Italiani cercasi disperatamente

25.04.2022
7 min
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Si rischierebbe di passare per miopi a non riconoscere che una bella fetta di italiani da prima pagina è ferma ai box per problemi di salute. Colbrelli e il suo cuore. Trentin e la pausa forzata dopo il colpo della Parigi-Nizza. Moscon, costretto a fermarsi del tutto per gli strascichi del Covid. Ballerini arrivato al Nord ugualmente con ritardo sempre per il dannato virus. Bagioli, uno dei più attesi, frenato da cadute e uno stato di affaticamento. Con tutti loro al via delle ultime corse, probabilmente la cosa salterebbe meno agli occhi. Già, la cosa…

Il vuoto di corridori di alto livello. Non parliamo di campionissimi, quelli nascono se va bene ogni vent’anni. Parliamo di buoni corridori. Gente tosta, capace di lottare, che evidentemente non c’è, sebbene il nostro movimento produca un quantitativo importante di professionisti a ogni stagione. Più che in ogni altro Paese al mondo. Qualcosa di compulsivo, diremmo, di vagamente… bulimico.

Grazie al “Pozzo”

E così ci siamo ritrovati più indietro delle retrovie, con Pasqualon (34 anni) primo italiano alla Roubaix, Pozzovivo (39 anni) alla Freccia Vallone e Ulissi (33 anni, foto di apertura) alla Liegi. Ottimi corridori di cui andare orgogliosi, ma che non bastano per coprire il vuoto alle loro spalle. Non è andata meglio al Tour of the Alps, dove la presenza dei nostri si notava ai raduni di partenza e in qualche fuga, senza che si sia mai provato a incidere negli ordini di arrivo o nella classifica generale (primo italiano è stato Simone Ravanelli, 37° a 22’57’).

Mangio e butto via. Chi soffre di bulimia fa esattamente questo. E questo è ciò che accade grazie a un sistema incapace di controllarsi e garantirsi qualità di vita e prospettive.

Quanti corridori passano ogni anno? Quanti diventano grandi professionisti? Quanti smettono prima di averci provato? Quanti avrebbero avuto bisogno di crescere ancora? Quanti devono pagarsi da soli i ritiri a inizio stagione o comprarsi quello che gli serve per lavorare? E quanti soldi genera questo commercio annuale in termini di percentuali versate? E perché alla fine si dà sempre la colpa ai corridori – svogliati e rammolliti – come si sente dire di fronte a risultati che non arrivano? Ma sarà davvero tutta colpa loro? E l’ambiente non c’entra proprio mai? Se così fosse, passata un’infornata, il meccanismo riprenderebbe a funzionare. Invece le generazioni passano e il problema rimane. E allora?

Un gradino per volta

Qualche giorno fa, Davide Cassani ha usato parole cristalline. «Si deve fare un gradino per volta, prima di pensare di arrivare in cima alla scalinata. Ma si continuano a prendere ad esempio le eccezioni e si fanno calendari che non hanno l’obiettivo della maturazione, quanto piuttosto la conta delle vittorie».

Mangio e butto via. Diciannove anni, vinci un paio di corse, passi professionista. Fai due anni e se non li hai convinti, a 21 sei in cerca di lavoro. Oppure porti lo sponsor per correre in una continental. Quanti di questi ragazzi, maturando come giusto, avrebbero potuto avere una carriera?

Trainini ha appena smesso. Faceva fatica a finire le corse da U23, è stato giusto bruciare le tappe? Poteva avere una carriera diversa?
Trainini ha appena smesso. Faceva fatica a finire le corse da U23, è stato giusto bruciare le tappe? Poteva avere una carriera diversa?

Parliamo di sport?

Adesso, saremo forse illusi, ci aspetteremmo che gente di sport ragionasse avendo lo sport come priorità. Invece ci si attacca al diritto al lavoro, si studiano residenze estere per aggirare le norme federali e si tira avanti. Mangiando e buttando via. Preferendo tante briciole a un buon panino.

Eppure le esperienze non mancano. I vari Colbrelli, Modolo, Pozzovivo, Belletti e Battaglin che uscirono da quella Bardiani, ad esempio, passarono professionisti dopo un percorso solido e convincente fra gli under 23, altrimenti chissà se avrebbero avuto le loro carriere. Il modo giusto di fare le cose lo conosciamo, forse però abbiamo deciso di ignorarlo.

Una delle ultime regole scolastiche prevede che avendo la media di 8 al quarto anno di liceo si possa accedere direttamente alla maturità. In questo stesso senso, bandendo il verbo aspettare dal dizionario, si prelevano corridori dai team U23 o juniores e si inseriscono nei WorldTour. Questo non ci convince, perché nel lungo tempo in cui ad esempio Tiberi ha iniziato a capire il professionismo senza vedere un arrivo e alzare le braccia, avrebbe potuto strutturarsi fisicamente e mentalmente, vincendo e imparando a farlo. Come invece ha fatto Baroncini (anche lui frenato da una frattura), che nell’ultimo anno alla Colpack ha aggiunto importanti mattoni alla sua costruzione.

La FCI cosa fa?

Ci aspetteremmo che la Federazione mettesse mano a questo saccheggio di talenti italiani che, a cascata, svuota il dilettantismo e poi intacca pesantemente il mondo degli juniores. Perché dovrebbero farlo? Intanto le società chiudono. I ragazzi non trovano squadra. Il ciclismo vacilla. Ma dato che da anni nessuno ci mette mano e l’alto livello in qualche modo funziona (su pista e nel femminile), perché dovrebbe essere l’attuale gestione a voler risolvere la situazione?

Baroncini è passato dopo tre anni da U23: forse il periodo giusto per sbocciare. E’ tra quelli frenati da infortuni
Baroncini è passato dopo tre anni da U23: forse il periodo giusto per sbocciare. E’ tra quelli frenati da infortuni

Una WorldTour italiana

E poi c’è il discorso sempre caro, ma tremendamente concreto, dell’assenza di una squadra WorldTour italiana. E’ per caso, senza andare troppo indietro ma limitandoci a quel che abbiamo vissuto, che Bartoli, Casagrande, Pantani, Simoni, Bettini, Cunego, Basso, Nibali, Pozzato, Viviani e Trentin siano diventati grandi in squadre italiane e abbiano poi spiccato il volo?

Prendiamo Bagioli, forse al momento il più atteso fra gli italiani. Se non fosse stato fermo ai box e fosse andato alla Liegi, avrebbe avuto la minima chance di giocare le sue carte con un Remco del genere in squadra? Assolutamente no e nei confronti della Quick Step-Alpha Vinyl ci sarebbe stato poco da recriminare. Remco è belga, la squadra è belga: vorremmo fosse così anche per noi!

Di questo passo però, Bagioli potrà mai mettersi alla prova contro i migliori in queste corse? Se fosse stato in un team italiano, sia pure all’ombra di un grande leader, è assai probabile che gli avrebbero lasciato lo spazio per affilarsi i denti. Magari avrebbe provato a inseguire Evenepoel. Oppure avrebbe provato a stare con gli inseguitori. Avrebbe corso per crescere e non per aiutare. La mentalità vincente non si coltiva faticando e basta.

Michele Bartoli, Giro delle Fiandre 1996
Bartoli è stato cresciuto da campione in squadre italiane. Con MG-Technogym vinse il Fiandre del 1996 e qui la Liegi del 1997
Michele Bartoli, Giro delle Fiandre 1996
Bartoli è stato cresciuto da campione in squadre italiane. Con MG-Technogym vinse il Fiandre del 1996 e qui la Liegi del 1997

Gli interessi di pochi

La speranza è che questo editoriale ci venga ricacciato in gola dalle vittorie dei ragazzi italiani che da anni teniamo nel mirino: non chiederemmo di meglio! Stamattina abbiamo raccontato le speranze su Aleotti, ad esempio. Perché a nostro avviso il problema non sono le mamme italiane né i loro figli. Forse c’entra la società, che insegna a vivere in un mondo touch e virtuale in cui sudore e mal di gambe faticano a essere taggati, ma quello che veramente non funziona è il mondo del lavoro. Si curano da anni gli interessi di pochi a scapito dei tanti che col tempo diventeranno semplici statistiche. Per costruire la grandezza, un po’ come per gli stadi del mondiale di calcio, dove serve tanta forza lavoro a basso costo. E se alla fine qualcuno dovesse emergere, ci faremo belli per averlo scoperto. Dopo averne però mangiati e buttati via a centinaia.

Sette tappe, Mortirolo e Fauniera: il Giro d’Italia U23 è servito

13.04.2022
6 min
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Lo abbiamo atteso a lungo e adesso finalmente conosciamo il Giro d’Italia U23. Lo scorso anno fu uno spettacolo. Una manifestazione organizzata alla grandissima, sotto ogni punto di vista a partire da quello tecnico e del parterre, dagli eventi collaterali, dalla logistica (650 addetti), dal doppio speaker, dalla comunicazione… e anche dal percorso.

Percorso che quest’anno, ed è la novità maggiore, purtroppo è stato “mutilato” di tre frazioni. Una taglio resosi necessario per ovvi motivi economici-organizzativi: alcune località si sono tirate indietro all’ultimo minuto. Ma a primavera inoltrata ExtraGiro non poteva aspettare oltre. E quindi avanti così: sette tappe, ma davvero belle ed entusiasmanti, dalle quali uscirà un gran vincitore.

E allora scopriamolo questo “Giro baby” numero 45. L’appuntamento è dall’11 al 18 giugno.

Il percorso

Si parte dalle Marche, da Gradara, con una tappa per velocisti. Giustamente aggiungiamo noi, così che anche loro abbiano la possibilità di indossare la maglia rosa. Lasciate le Marche si punta subito verso Nord e si passa in Emilia-Romagna già nel corso del primo giorno. L’arrivo infatti è ad Argenta, in provincia di Ferrara.

Un lungo trasferimento in auto ed ecco che già nella seconda tappa c’è odore di montagne. Da Rossano Veneto a Pinzolo: due Gpm e una seconda parte di tappa davvero impegnativa. Perfetta per gli attaccanti e per chi vuol preparare qualche imboscata.

La terza frazione potrebbe già essere decisiva, di sicuro influirà parecchio sulla classifica finale. Da Pinzolo si va infatti a Santa Caterina Valfurva. Bastano i nomi di due salite per capire di cosa parliamo: Passo del Tonale e Passo del Mortirolo. Senza contare l’Aprica e la lunga risalita a Santa Caterina che in pratica è la prima metà del Gavia.

Gambe permettendo, la tappa numero 4, Chiuro-Chiavenna, potrebbe strizzare l’occhio alle ruote veloci, però il finale tende a salire e tutto appare molto incerto.

Il Colle della Fauniera è stato spesso affrontato dal Giro dei pro’, mentre è una novità per gli U23. Qui, uno scatto del 2003
Il Colle della Fauniera è stato spesso affrontato dal Giro dei pro’, mentre è una novità per gli U23. Qui, uno scatto del 2003

Cuneo: storia e salite

Nelle ultime tre tappe si passa in Piemonte e in particolare nella provincia di Cuneo, che ha accolto alla grande il Giro U23. Un abbraccio così forte quello piemontese dovuto anche dal fatto che quest’anno è la Regione Europea della Sport 2022.

Particolare invece è la frazione successiva, la quinta, da Busco a Peveragno. C’è il Valmala, che è salita vera in avvio. Bisognerà scaldarsi prima del via. Le squadre potrebbero disfarsi e i 118 chilometri dal Gpm all’arrivo potrebbero trasformarsi in una cronometro, con tanti gruppetti ad inseguirsi. Vedremo.

La sesta tappa è quella che deciderà la maglia rosa finale. Si arriva infatti sul Colle della Fauniera. Salita mitica, selvaggia, a quasi 2.500 metri di quota: 21 chilometri con punte al 16 per cento. Lo scorso anno sul tappone verso Campo Moro Ayuso fece il bello e il cattivo tempo, quest’anno ci sarà un dominatore altrettanto forte?

Infine, si chiude con una classica, la Cuneo-Pinerolo. Il suo nome risuona come una filastrocca e il pensiero va all’impresa delle imprese che siglò Fausto Coppi al Giro del 1949. Quel che c’è in mezzo però è tutto diverso. Non ci sono cinque colli giganteschi da scalare, ma tanti saliscendi che premieranno i corridori più potenti, ma soprattutto che avranno ancora energia nelle gambe. 

ExtraGiro è una garanzia in quanto a standard di qualità e sicurezza
ExtraGiro è una garanzia in quanto a standard di qualità e sicurezza

Parola ad Amadori

Al via sono attesi 176 atleti in rappresentanza di 35 squadre, su oltre 70 richieste, e 14 Nazioni. I team italiani saranno 18 il resto stranieri, provenienti da 14 Paesi. 

Di fronte a questa predominanza italiana abbiamo chiesto un parere al cittì degli U23, Marino Amadori.

«Per me – spiega Amadori – si tratta di un Giro equilibrato, anche se è più corto per ovvi motivi. L’unica cosa che manca, e gliel’ho detto a Selleri (che con Pavarini è l’organizzatore del Giro, ndr), è una cronometro. Ma stavolta di più non si poteva fare e capisco anche le loro esigenze».

«Fauniera nettamente predominante nel percorso? Non credo. Sì, è chiaramente la salita più importante e dura, ma anche quella che arriva a Santa Caterina Valfurva avrà il suo bel peso. Ha molto dislivello, propone salite importanti. E se in quella del Fauniera la squadra conta relativamente, in quella di Santa Caterina è importante, ci sono discese, fondovalle».

Capitolo italiani

Con il cittì chiaramente non potevamo non parlare dei nostri ragazzi. Chi potrà fare bene? Il pensiero vola subito a Gianmarco Garofoli.

«Eh – dice Amadori – così mettete il dito nella piaga! Purtroppo quello che poteva fare bene, bene, Gianmarco Garofoli è out. Però abbiamo il buon Marco Frigo. E oltre a lui, pensando alla salita mi vengono in mente anche Piganzoli e Ciuccarelli, anche se magari Ciuccarelli lo vedo più per attacchi da lontano, in anticipo che nel testa a testa finale. Lui è uno che se gli dai spazio è pericoloso».

«E poi non dimentichiamo i ragazzi della Bardiani Csf Faizanè. A volte ancora non li consideriamo nel lotto degli U23, ma ci sono in particolare due corridori che possono fare bene. Uno è Alessio Martinelli e l’altro è Martin Marcellusi.

«Martinelli può pensare alla generale. Sta crescendo, in salita va forte e lo scorso anno ha corso il Giro affianco ad Ayuso quindi ha una bella esperienza e ha visto come si fa. Ecco: lui ci può provare. E Marcellusi potrebbe essere molto adatto per alcune tappe mosse».

Neanche 21 anni e Trainini dice stop. Ecco la sua storia

12.04.2022
4 min
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Solo 13 mesi fa scrivevamo: “La favola di Trainini, pro’ all’improvviso”. Era un scommessa. Una scommessa ponderata quella di far passare Tomas Trainini tra i pro’ da parte della Bardiani Csf Faizanè e una scommessa del ragazzo stesso. Purtroppo non è andata bene.

Alla fine non si può parlare di una storia triste, né tantomeno di drammi. Ad un certo punto a Tomas si è spenta quella lucina interna che ti spinge a fare i sacrifici e il “gioco” è finito lì. A neanche 21 anni, il bresciano ha una vita davanti. Ed ha già ripreso a costruirla.

Da sinistra: Bruno Reverberi, Trainini e Lorenzo Carera. Poco più di un anno fa si parlava di questo ragazzo preso dagli juniores
Da sinistra: Bruno Reverberi, Trainini e Lorenzo Carera. Poco più di un anno fa si parlava di questo ragazzo preso dagli juniores

Motivazioni sparite

«Non sentivo più la motivazione – racconta con onestà Trainini – quella giusta per continuare a fare il ciclista al massimo. E visto che il team si è sempre comportato super bene con me, non mi sembrava il caso di andare avanti in questo modo. Quindi ho deciso d’interrompere il contratto».

«Chiaramente non è stato facile. Non è stata una decisione presa dalla sera alla mattina. Ci ho pensato a lungo, ma se non avevo lo spirito giusto per ritrovarmi in ciò che stavo facendo sarebbe stato inutile continuare. Per cosa? Alle fine è giusto così: per me, per la Bardiani e perché magari lascio il posto a qualche altro ragazzo».

Anche quest’anno la Bardiani Csf Faizanè lo aveva portato in Turchia per il ritiro (foto Instagram)
Anche quest’anno la Bardiani Csf Faizanè lo aveva portato in Turchia per il ritiro (foto Instagram)

Rossato, la sua coscienza

Tomas parla con serenità della sua situazione. Non sembra avere rimpianti e questa è la cosa più importante.

Stando lui nel gruppo dei giovani della Bardiani Csf Faizanè, era a stretto contatto con il diesse Mirko Rossato. I due hanno parlato molto. E sì che aveva svolto regolarmente la preparazione invernale. Era andato nei ritiri…

«In effetti con Rossato ho parlato parecchio. Mi ha detto tante cose. Mi ha detto di pensarci bene prima di mollare tutto. Perché non capita spesso questa opportunità di essere un professionista e poter fare al tempo stesso l’attività under 23, di crescere senza fretta, specie se si è così giovani come me. Non ci sono molti team che coltivano così il vivaio».

Trainini spiega anche di aver dialogato a lungo con Roberto Reverberi, e persino con Alessandro Donati, l’altro diesse. «Un po’ meno – aggiunge – con Luca Amoriello, ma solo perché fisicamente ci siamo visti poco».

Trainini aveva svolto regolarmente la preparazione invernale (foto Instagram)
Trainini aveva svolto regolarmente la preparazione invernale (foto Instagram)

Sguardo al futuro

A 21 anni, da compiere a settembre, non si sta certo fermi. La vita ricomincia, ma forse semplicemente basterebbe dire che va avanti. E Tomas si è già rimboccato le maniche.

«Per adesso – racconta Trainini – sto guardando all’università meccanica. Io ho fatto una scuola motoristica e si tratta di un tipo di università molto pratica. Per ora però i concorsi e gli accessi sono chiusi. Vediamo…».

«Intanto ho trovato un impiego. Lavoro già in questo settore, presso una fabbrica importante del bresciano che produce pompe idrauliche per i camion. Sono nella catena di montaggio, ma magari non sarà impossibile col tempo passare a reparti superiori».

Junior di belle speranze, la Bardiani si era mossa in anticipo per Trainini che è stato anche azzurro agli europei 2019
Junior di belle speranze, la Bardiani si era mossa in anticipo per Trainini che è stato anche azzurro agli europei 2019

E la bici?

Forse è passato troppo poco tempo per sentire la mancanza della bici e perché la stessa specialissima possa suscitargli chissà quali emozioni, ma è un qualcosa che gli abbiamo chiesto lo stesso. Spesso quando ci si ritira, nei primi periodi, si ha una fase di rigetto.

«Per adesso – spiega Trainini – sono più concentrato su altro, alla bici non penso molto. C’è un mio amico, che anche lui ha corso in passato, con il quale ci siamo ritrovati. Abbiamo la passione per le moto e per esempio domenica scorsa lo ho accompagnato ad una gara in pista a Cremona. Anche questo è un ambiente che mi piace».

«Per quanto riguarda la bici, al momento ho solo la vecchia Canyon con la quale correvo da ragazzo. L’altra, così come il vestiario che non avevo ancora mai utilizzato, l’ho riconsegnata alla squadra. La bici da strada non mi manca per ora, ma esco in Mtb.

«Mi è sempre piaciuta molto, spesso la utilizzavo anche nella preparazione invernale. Appena ho smesso ci andavo tutti i giorni. Facevo il mio giretto con parenti e amici. Mi divertivo così».

Pianeta giovani: con Matxin tra scouting, crescita e squadre

06.04.2022
5 min
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Capitolo giovani e scouting, come non poteva esserci Joxean Fernandez, per tutti Matxin? Il basco è uno dei team manager della UAE Emirates ed è un vero esperto in quanto a ragazzi. Ha l’occhio lungo, una profonda conoscenza e una grande passione. Il suo modo nel giudicare un corridore è a 360°. I valori fisici dell’atleta sono importanti, ma la valutazione va fatta nel complesso e tiene conto anche della sensibilità della persona e del suo carattere… non solo in bici.

Sapevamo che Matxin aveva sotto controllo diretto almeno una ventina di corridori, beh… ci sbagliavamo: ne ha molti di più. 

Come accennato lo spagnolo non guarda solo gli ordini d’arrivo. Molto spesso infila il casco, sale in moto e con le staffette della corsa si butta nel gruppo dei ragazzi. Tempo fa ci disse: «E’ fondamentale osservarli in modo diretto. Come reagiscono ai momenti di difficoltà, come tengono il testa a testa, come si muovono in gruppo».

Matxin (classe 1970) è uno dei team manager della UAE Emirates. Ha scoperto molti talenti, l’ultimo è Ayuso
Matxin (classe 1970) è uno dei team manager della UAE Emirates. Ha scoperto molti talenti, l’ultimo è Ayuso
Ma adesso Matxin come fai a seguirli visto che sei sempre più impegnato con la UAE Emirates? 

E’ sempre più difficile infatti. Per questo parlo molto con i diesse delle squadre, con qualche organizzatore di fiducia e chiedo loro come è andata la corsa. Non guardo solo al risultato perché tra i giovani spesso la gara ha certo un andamento, non c’è il controllo come tra i professionisti. Tutti hanno e devono avere le loro chances. Spesso va via la fuga. Guardate anche l’altro giorno quando ha vinto Lorenzo Milesi. Quindi non conta solo il risultato, ma anche come questo arriva.

Come fai a capire qual è la squadra giusta per quel corridore? Come proponi il ragazzo al team?

Questa è una cosa molto importante. Trovare una squadra adatta significa molto. Se ho tra le mani un ragazzo norvegese non lo piazzo, nel limite delle possibilità, in una squadra latina. Fa fatica ad ambientarsi. Ma uno spagnolo che già parla bene inglese, magari lo mando nella squadra di Axel Merckx. Dipende molto dal ragazzo stesso e non solo dal suo essere corridore.

Cioè?

Nicolas Gomez, che ora è alla Colpack-Ballan, per esempio aveva bisogno di un ambiente latino. In teoria, essendo un velocista poteva anche stare bene in una squadra belga. Ma probabilmente quello non era il suo ambiente migliore, non lo era per il suo carattere.

La Bardiani Csf Faizanè ha iniziato un progetto giovani, ma il loro scouting mira più al “mercato” italiano
La Bardiani Csf Faizanè ha iniziato un progetto giovani, ma il loro scouting mira più al “mercato” italiano
Si parla spesso di juniores che fanno subito il salto tra i pro’, magari pensiamo ad una Bardiani-Csf-Faizanè che ha messo su il settore U23, come fai a capire chi è pronto e chi no?

Non siamo tutti belli, né tutti brutti: non si può generalizzare. Per qualcuno può essere presto, per altri prestissimo, ma puoi provare. Anche per Ayuso era presto per passare in un grande team, forse anche per la Colpack, ma poi ci parli e ti rendi conto che non stai dialogando con uno di 16-18 anni, ma con un ragazzo che è almeno due passi più avanti degli altri. Devi quindi fare un “Doc” (una documentazione, ndr) per ognuno. E capire: chi può andare in Belgio, chi può passare pro’, chi deve restare dov’è, chi andare tra gli under 23. Devi ascoltare anche i loro manager, per trovare il posto giusto.

Hai nominato la parola manager: però loro hanno altri interessi riguardo ai ragazzi. Per loro sono tutti forti…

E’ importante avere un buon rapporto con loro, i manager. Le squadre vogliono i migliori. Devi parlare con fiducia e riuscire ad individuare la scelta giusta e questo poi si ripercuote anche a livello contrattuale. Spesso succede che un ragazzo proprio nel passaggio, nei primi tre anni, sbagli squadra. Non riesce ad esprimersi e perde due, tre stagioni. E questo è un ostacolo alla sua crescita, ma anche alla sua forza contrattuale. A 26 anni, infatti, ti pagano per quello che hai fatto (nel bene e nel male, ndr), a 21-22 per quello che puoi fare.

Tu controlli circa 20 juniores, giusto?

Venti? Venti per Paese almeno…

Quindi ormai hai una tua rete chiaramente: non puoi seguirli tutti da solo?

No, ho dei contatti. Con qualcuno parlo direttamente, altri mi contattano, parlo come ho detto con i vari direttori sportivi. Per esempio, in questi anni abbiamo osservato 100 colombiani. C’è un ragazzo che va bene e voleva venire in Europa. L’ho portato in una squadra spagnola anziché in un altro Paese. E poi anche il team dove va deve essere convinto di prenderlo.

La fuga è un elemento fondamentale per l’osservazione dei ragazzi: impossibile giudicare le categorie giovanili solo dagli ordini d’arrivo
La fuga è un elemento fondamentale per l’osservazione dei ragazzi: impossibile giudicare le categorie giovanili solo dagli ordini d’arrivo
In che senso?

Se prendi un colombiano devi assicurarti che la squadra abbia un buon budget, perché se il ragazzo ha bisogno di tornare a casa due, tre volte l’anno gli si deve pagare il volo (o comunque deve potervi far fronte, ndr). Poi magari c’è anche quello che riesce a stare fuori casa tutto il tempo. Io come tecnico valuto il corridore, ma devo vedere anche il lato umano.

Tra la esperienza e la tua vasta rete di ragazzi visionati, non avete pensato di fare un team giovanile in UAE Emirates?

Lo abbiamo pensato e l’idea piace, però ci sono dei pro e dei contro. Fra i pro c’è che chiaramente riesci a controllare e a visionare i ragazzi in modo più semplice e diretto. Il contro è che non sempre porti tutti quei corridori in prima squadra. Faccio un esempio. Io di quel gruppo ne ho tre bravi, ma ho spazio solo per due. Alla fine il terzo va da un altro e gliel’ho cresciuto io. O al contrario sei tu che ne vai a pescare uno da un altro team. E poi devi fare anche un bilancio sportivo.

Cioè?

Per esempio ho tre scalatori forti, ma serve un velocista e tu non ce l’hai, sei costretto a prenderlo da un altro. Servono tutti i tipi di corridori: chi tira, chi porta avanti lo sprinter, lo scalatore… Deve essere bilanciato un team. Anche così decidi chi prendere e chi no.

Caro Gavazzi, serve ancora il ruolo della chioccia?

08.03.2022
5 min
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Oggi i giovani, ma anche giovanissimi, corridori “sanno tutto” o così pensano. Di certo, su determinati argomenti, vedi alimentazione, utilizzo di certi strumenti, sono molto ferrati, ben più dei loro colleghi più esperti alla stessa età. Oggi fare la cosiddetta chioccia non è più facile per i veterani.

Ci si chiede perciò se questo ruolo possa essere ancora attuale. Uno dei più esperti in gruppo e per di più in una squadra, la Eolo-Kometa, dalla forte vocazione giovanile, è Francesco Gavazzi. Il lombardo va per i 38 anni (li farà ad agosto) ed è alla 16ª stagione da professionista. 

Un giovane Francesco Gavazzi tra Ballan (a sinistra) e Bruseghin (a destra), all’epoca due veterani vecchio stampo
Un giovane Francesco Gavazzi tra Ballan (a sinistra) e Bruseghin (a destra), all’epoca due veterani vecchio stampo
Francesco, tempo fa Ballan ci diceva che quando correva lui iniziavano ad arrivare in massa i potenziometri, che tutto era diverso. E che vede i ragazzini usare sin troppo bene questi strumenti…

Senza dubbio si nota una certa differenza di approccio. Io stesso negli anni all’Androni Giocattoli mi gestivo da solo. In Eolo-Kometa ho un preparatore, mi alleno solo con watt e tabelle. Tutto è scientifico.

Ballan parlava proprio dei primi preparatori moderni…

Ai tempi della Lampre si andava in ritiro a Donoratico, oggi chi andrebbe lì? Si andava da quelle parti perché a Castagneto Carducci c’era poi la prima corsa dell’anno, il Gp Donoratico appunto e io non ricordo se avessi i watt o meno, ma credo di no. Il preparatore c’era, ma non ti controllava in modo così preciso. Oggi sanno se hai fatto questo o quello. E non era scarsa professionalità, era semplicemente un modo diverso d’intendere il ciclismo.

E c’è un abisso?

Un cambio che rende i giovani già pronti a 20 anni. Noi avevamo tempi più lunghi per maturare. Oggi passano a 19-20 anni e sono pronti. Poi non so quanto faccia bene tutto ciò. Non so che carriera potranno avere. Magari a 30 anni sono ancora in attività, ma di testa? Di certo saranno più usurati. Io ne ho 37 e ho ancora voglia, non mi pesa fare il corridore. E’ un bello stress fare il corridore oggi tra preparazione, alimentazione…

In Spagna vicino a lui c’era Fortunato, ragazzo che sa ascoltare
In Spagna vicino a lui c’era Fortunato, ragazzo che sa ascoltare
E un Gavazzi della situazione può ancora dare consigli?

Secondo me, tutti gli estremi non vanno bene. Okay il potenziometro, ma le sensazioni restano importanti. Se devo fare quattro ore, mi sveglio e sono stanco, io faccio due ore tranquillo. Un ragazzo di oggi di certo quattro ne deve fare e quattro ne fa. E continua a stressare il suo fisico, col rischio di andare in overtraining. Vedo troppa matematica e poche sensazioni. Ci deve essere entusiasmo nel lavorare.

Bella la parola entusiasmo in questo contesto…

Noi vediamo i fenomeni oggi, Pogacar e pochissimi altri che possono fare imprese incredibili, però poi c’è il Van der Poel della situazione che al netto dei suoi problemi fisici poi sparisce. Alla fine il fisico ne paga le conseguenze, perché come dicevo si estremizza tutto.

Senza volerti dare del vecchio! Ma quando sei passato tu i potenziometri o certi metodi di allenamento non c’erano o stavano per arrivare come detto: ebbene, cosa potresti apportare in più ad un ragazzino di oggi che invece ci è cresciuto? Come si dice: un conto è imparare l’inglese da bambini e un conto è farlo a 30-40 anni…  

Ah, ah, ah… no, no sono vecchio! Ciclisticamente sono vecchio. Era un altro ciclismo. Quando ho iniziato nessuno metteva il casco in allenamento. Oggi senza casco non riuscirei ad uscire in bici. Già dieci anni fa le tattiche erano diverse, tutto si è stravolto. Però credo anche che l’esperienza conti ancora. 

In cosa?

Con l’esperienza sopperisci a quel che ti manca fisicamente. Capisci quando proprio non puoi mollare altrimenti è finita. E quando invece sai che puoi rilassarti un attimo perché in gruppo non succede niente. Oggi conta ancora di più forse l’esperienza. Oggi la bagarre scoppia spesso a metà corsa e magari vanno più forte lì che nel finale. La gestione in gara è importante dunque: come alimentarsi, come vestirsi…

Come vestirsi?

L’anno scorso nella tappa di Cortina che fu accorciata per neve, un mio compagno aveva la mantellina aperta in salita. Gli dissi di chiuderla, perché se si fosse congelato dopo 30 chilometri poi non si sarebbe più ripreso. Mi ha ascoltato.

Gavazzi è spesso il road capitan della Eolo. Eccolo alla radio
Gavazzi è spesso il road capitan della Eolo. Eccolo alla radio
Cosa ti capita di dire a questi ragazzi?

Spesso gli dico di mangiare quando si va molto piano all’inizio, perché poi anche se non ti viene fame la tappa “diventa più lunga” – Gavazzi fa una breve pausa – Poi vedo che tanti ex sono adesso dei direttori sportivi. Gaspa e Kreuziger mi hanno dato una bella mazzata!

E tu? Fino a quando vai avanti?

Vorrei non pensarci fino al Giro d’Italia, poi vedrò. Già due anni fa, a dicembre 2019, dissi di smettere. Non vorrei passare per quello che dice basta e poi continua.

Torniamo a noi. Cosa ti chiedono invece loro? Nella società di oggi spesso i ragazzi sono “sbruffoni”, pensano di sapere tutto. Ed è un discorso che non riguarda solo il ciclismo.

Devo dire che i miei giovani compagni sono tranquilli, educati ed umili. Più che altro in gruppo, quando poi ci sono tante continental (che ancora non ho capito se sono pro’ o dilettanti), c’è poco rispetto. Mi sembra lo scriveste voi parlando con Sagan. Anche Peter disse che c’era poco rispetto in gruppo. E ha ragione. Molti sono strafottenti.

Ma cosa significa poco rispetto in gruppo?

Che dopo cinque chilometri di gara c’è gente che lima come se si fosse all’arrivo. Quando vai dietro tra le ammiraglie li vedi a destra, a sinistra tra le macchine. E un po’ troppo un “morte tua, vita mia”. E non è bello. Io quando vedo un ostacolo lo segnalo. Una macchina al lato non la scarto all’ultimo istante. Sono quelle regole non scritte. Oggi gente di 19-20 anni fa delle corse importanti. Corse che si facevano a 23-24 anni e forse non hanno quella base d’insegnamento. Ci arrivavano con più esperienza.

«Però così mi sento il vecchio del gruppo – conclude scherzando Gavazzi – magari fra 10-15 anni quelli di adesso diranno le stesse cose».

Ricordate Rubino? Per lui c’è la Viris Vigevano

08.02.2022
4 min
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Ricordate Samuele Rubino? Il lombardo aveva vestito la maglia azzurra da juniores e sempre in questa categoria aveva vinto il titolo nazionale nel 2018 e il Trofeo Buffoni. La sua carriera sembrava lanciatissima. Il passaggio tra gli under 23 con la Kometa Cycling, poi la NTT… Ma ecco anche il Covid. E qualcosa s’inceppa. Il novarese sparisce un po’ dai radar. Non rende come suo solito.

Samuele però da come racconta sembra molto tranquillo, consapevole sì, ma al tempo stesso non ha il tono di chi si sente il fiato sul collo, visto che questo sarà il suo ultimo anno tra gli U23. E sappiamo quanto sia difficile poi passare superata questa soglia anagrafica.

La divisa, griffata Rosti, per i 75 anni di attività della Viris Vigevano (foto Facebook)
La divisa, griffata Rosti, per i 75 anni di attività della Viris Vigevano (foto Facebook)

C’è la Viris…

Rubino è approdato in un grande team. Un team che giusto questa stagione taglia l’onorevole traguardo dei 75 anni. Da qui ne sono passati di campioni, non ultimo Filippo Ganna.

«Quest’anno – dice Rubino – sono passato alla Viris Vigevano. Lo scorso anno ero stato alla Lan Service Granmonferrato, una squadra piemontese. La mia è stata una stagione di alti e bassi. A maggio per esempio, dopo aver faticato un bel po’ a prendere la condizione, andavo bene, poi ancora un “basso”. Ho avuto il Covid… Tutta la stagione è stata un su e giù».

Rubino evidentemente è stato uno di quei ragazzi che più di altri hanno pagato il passaggio di categoria e ancora di più l’avvento del Covid. Nella stagione più indicativa, di solito il secondo anno, c’è stato il Covid. E tutto si è complicato.

«Adesso alla Viris Vigevano voglio rilanciarmi. E’ una squadra importante e forte e qui già posso dire che mi trovo meglio. Li vedevo allenarsi tutti insieme con l’ammiraglia al seguito. E questa cosa, per me che ero quasi sempre solo, mi piaceva. Così tramite amici sono arrivato a parlare con il direttore sportivo, Stefano Martolini… ed eccomi qui. Lui crede in me».

«Cosa si è inceppato? Non lo so. So solo che ho sempre avuto dei problemi. Il primo anno, all’estero, ho corso poco. Al secondo anno con Daniele Nieri andavo anche forte all’inizio, ma stando molto in Toscana mi mancava casa e poi c’è stato anche il lockdown».

Samuele è stato azzurro juniores ai mondiali di Innsbruck 2018 (foto Facebook)
Samuele è stato azzurro juniores ai mondiali di Innsbruck 2018 (foto Facebook)

Niente intoppi

Samuele sa bene che essendo un quarto anno è “a rischio”. Se quest’anno non dovesse andare forte, le cose si complicherebbero terribilmente per lui. 

«Ci proviamo, vediamo come va – dice il lombardo – Il mio obiettivo principale è quello di poter disputare una stagione normale, senza intoppi. Una stagione in cui non ci saranno più dei bassi, cosa che mi è mancata negli ultimi tre anni. Voglio divertirmi, ecco… E se poi ci saranno dei risultati tanto meglio».

E Samuele inizia a divertirsi già in allenamento. Quest’anno racconta che esce spesso con il team e che con gli altri ragazzi la battaglia non manca quasi mai. Un qualcosa che fa bene al gruppo e alle gambe.

«Uscire da solo mi piace, ma anche stare in gruppo. Io mi alleno nella zona del Lago Maggiore. Il Mottarone è una delle mie palestre e spesso vedo Alessandro Covi in allenamento, ma non lo conosco».

Sempre nel 2018, il novarese (classe 2000) vinse il campionato italiano juniores
Sempre nel 2018, il novarese (classe 2000) vinse il campionato italiano juniores

Scalatore ma non troppo

«Non sono un velocista, sicuro. Diciamo che sono uno scalatore esplosivo. E questo va bene per la categoria under 23. Puntare ad una Bassano-Monte Grappa? Non così tanto scalatore! Mi piacciono le corse dure e non troppo nervose, ma forse un arrivo come quello è troppo per me. Lo scorso anno per esempio, nei pressi di Camaiore a Corsanico c’è stata una bella corsa: ecco quelle così mi piacciono».

Essendo un quarto anno è ancora più importante l’aspetto della preparazione. E allora meglio lavorare in ottica generale oppure meglio esaltare al massimo le proprie caratteristiche? 

«E’ un punto di vista al quale sinceramente non ho pensato. Diciamo che ho lavorato sia sulle mie caratteristiche che in generale. Penso che essere esplosivi sia importante per la categoria in cui sono».