Canosa di Puglia, assalto dal Nord. Capiamo perché…

10.08.2022
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In questo periodo più di qualche volta abbiamo accennato come anche le continental e le squadre più grandi U23 vadano spesso a caccia di vittorie nelle gare regionali. E in parte è quel che è successo al Trofeo San Sabino a Canosa di Puglia, in provincia di Barletta-Andria-Trani.

Sia chiaro non siamo qui a puntare il dito contro nessuno, anzi… fa piacere che ci siano competizioni per tutta la Nazione. Il regolamento non impedisce a questi team di partecipare. Semmai c’è da rivedere il sistema dei calendari, come ci diceva Cazzaniga.

Semplicemente “fotografiamo” un aspetto del nostro settore giovanile più avanzato, appunto quello dei dilettanti-U23. Fotografiamo ciò che succede nella realtà a dispetto delle teorie che vengono decantate sull’attività all’estero, le corse a tappe… 

Al via della 71ª edizione della Coppa San Sabino 127 corridori, in rappresentanza di 21 team
Al via della 71ª edizione della Coppa San Sabino 127 corridori, in rappresentanza di 21 team

Patrimonio U23

Ma andiamo a Canosa di Puglia. Come mai team quali Delio Gallina Ecotek, Mg.K Vis Colors For Peace o Campana Imballaggi Geo&Tex Trentino siano arrivate sin laggiù?

«La Coppa San Sabino va avanti da 71 edizioni – dice con orgoglio Cosimo Patruno, figlio dell’organizzatore Sabino – La mia famiglia organizza da tantissimi anni questa prova. E’ ormai un patrimonio del ciclismo italiano under 23. E’ un po’ il nostro bambino! Abbiamo una ditta di olio e quel che viene messo da parte, pensione compresa di mio padre, va per questa gara. Mio papà ha suonato la campana dell’ultimo giro alla prima edizione. Aveva sei anni. Tanto per dare un’idea di cosa sia questa gara per noi e per Canosa».

«Perché i team del Nord vengono da noi: perché è una tradizione che cerchiamo di portare avanti – continua Patruno – Siamo consapevoli della lunga trasferta e infatti noi offriamo vitto, alloggio ed anche un “piccolo” rimborso spese per il viaggio. Abbiamo pochi corridori qui al Sud e le squadre del Nord ci gratificano con la loro presenza. Le coccoliamo, ma neanche mettiamo le squadre del Sud in seconda fascia».

«Dalle Marche in giù abbiamo sempre avuto dei team. Anche per questo posso assicurare che la nostra gara anche se è regionale costa come una internazionale. E io sono un giudice, giro molto, conosco i costi».

Obiettivo vittoria

Patruno ammette che quando gli squadroni chiamano per partecipare vogliono vincere. Ma non si tratta, almeno in alcuni casi, di “sete di vittorie”.

«Ormai – dice Cesare Turchetti diesse e manager della Delio Gallina, team bresciano – sono 15 anni che vado alla Coppa San Sabino. Si è stabilito un rapporto di amicizia con Patruno e tornerò in Puglia anche a settembre con il trittico della Coppa di Ceglie Messapica e Polignano.

«Noi siamo andati al Sud è vero, ma non perché avessimo questa sete di vittorie. Quest’anno ne abbiamo ottenute. Loro danno vitto e alloggio e un piccolo rimborso, ma credetemi per affrontare un viaggio del genere, con nove persone (sei corridori e tre accompagnatori) i soldi ce li devi mettere. Questo per dire che non siamo arrivati sin lì perché ci pagano o per fare man bassa di premi e portare a casa 3.000 euro.

«I ragazzi che si trovano alla Coppa San Sabino per l’80 per cento sono gli stessi che più o meno si scontrano tutte le domeniche tra l’altro, pertanto vincere non è neanche così scontato. Tsarenko non ha vinto con chissà quale distacco».

«Ormai – riprende Paturno – i team conoscono questo circuito di 14 chilometri, con una salita all’inizio e poi un falsopiano a scendere e uno a risalire. Di solito portano passistoni, ma anche corridori che tengono in salita. Nel passato recente hanno vinto atleti come Moschetti, Riabushenko… E Vlasov fece ottavo».

Patruno parla di squadre dalle Marche in giù ma quest’anno venivano da più lontano ancora. Una ventina di team al via e le richieste sarebbero state di più, tanto più che in quella domenica non c’erano altre prove.

«Ma neanche volevamo girare le spalle alle squadre del Sud che ci sono state vicine negli anni – continua l’organizzatore – Per esempio c’è stato chi è venuto a correre da solo. Sapeva del palcoscenico e voleva esserci.

«Noi abbiamo gli chiesto: “Con chi vieni?”. Il ragazzo ha risposto: “Con mio padre”. Ebbene noi abbiamo dato l’ospitalità anche al papà che lo ha accompagnato. In tutto abbiamo ospitato oltre 220 persone nei vari alberghi e non è stato facile. Per questo prima dicevo che la Coppa San Sabino costa molto! Senza contare i costi per i premi. La medaglia del vincitore aveva un valore di 800 euro, per dire…».

Corsa veloce, ma con uno strappo. Si è vinto con oltre 44 di media oraria
Corsa veloce, ma con uno strappo. Si è vinto con oltre 44 di media oraria

Occasione per il Sud

Ma tornando al discorso delle gare regionali, la questione di una corsa piccola che attira squadre grandi si può leggere anche al contrario. Tanto più che questa era al Sud.

Può essere un’occasione per i corridori del meridione di confrontarsi con i colleghi del Nord, di correre a livelli più elevati. 

«Vero – dice Patruno – è un’occasione importante anche per loro. Penso che vincere “nel giardino di casa” non porti soddisfazione, ma piazzarsi nei primi dieci alle spalle dei migliori atleti e in un palcoscenico importante ti consente di ambire ad altro. E’ come al Giro d’Italia con le professional che si ritrovano con le WorldTour. Una corsa come la Coppa San Sabino deve essere uno stimolo per i ragazzi del Sud, quasi un “training camp”.

«E se non fosse stata una gara regionale la partecipazione singola non sarebbe stata possibile».

Impegno e passione sono le parole d’ordine. Eventi così, ha ragione Patruno, sono un patrimonio del ciclismo dilettantistico italiano e vanno tutelati, specie a quelle latitudini.

La partecipazione del pubblico è buona. C’è curiosità ed è un’esperienza anche per i ragazzi del Nord.

«Dare una possibilità ai ragazzi del Sud: per noi è uno stimolo anche questo. Magari un ragazzo si mette in mostra, va in fuga, ottiene un buon piazzamento e può trovare una squadra del Nord… E l’anno dopo può tornare alla Coppa San Sabino e vincerla».

Leo Hayter è pronto per il passaggio, parola di Axel Merckx

04.08.2022
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Chissà perché quando è uscita la notizia di Leo Hayter  alla Ineos-Grenadiers non siamo rimasti così sorpresi! Lui inglese, vincente, con il fratello Ethan già nella corazzata di Sir Brailsford… tutto è sembrato quasi naturale.

Faccia da “angioletto”, modi gentili, ma in corsa una grinta non comune e una tenacia incredibile, oltre che tanta forza.. Abbiamo imparato a conoscerlo nei giorni del Giro d’Italia U23. Giro che ha vinto con pieno merito.

«Sono davvero orgoglioso ed entusiasta di unirmi alla Ineos Grenadiers dal prossimo anno – ha detto Leo – correrò al più alto livello di questo sport e lo farò in una squadra britannica. Una squadra alla quale mi sono ispirato da quando ho iniziato a gareggiare. Avendo partecipato ad alcuni training camp con loro, mi sento già davvero a casa qui e ora non vedo l’ora di iniziare».

Il pianto liberatorio di Leo dopo il trionfo di Pinzolo. Ancora non immaginava che avrebbe tenuto la maglia rosa fino alla fine
Il pianto liberatorio di Leo dopo il trionfo di Pinzolo. Ancora non immaginava di vincere il Giro U23

Cinque giorni cruciali

Dal pianto liberatorio e se vogliamo incredulo di Pinzolo alla maglia rosa vestita in cima al Colle della Fauniera. In quei cinque giorni Leo è cresciuto come non mai. In quei cinque giorni abbiamo assistito ad un crescendo di consapevolezza incredibile. E si è vista lungo le rampe della lunga scalata piemontese, come ha gestito lo sforzo, già il giorno a Pinerolo quando prima dell’erta finale si è sfilato e per tagliare il traguardo lontano dai rischi e per godersi quell’ultimo chilometro in maglia rosa del Giro U23.

E sicurezza, gestione della persona ancora prima che dell’atleta è quel che serve quando si passa “di là”, tra i grandi e tanto più in uno squadrone come la Ineos-Grenadiers.

Axel Merckx ha saputo toccare i tasti giusti con lui e in questa estate ne ha fatto un uomo. Se lo ero preso quest’inverno alla Hagen Bermans Axeon, quando Leo era rimasto a piedi nonostante avesse vinto la Liegi U23.

«Abbiamo visto un corridore molto forte – spiega Axel – sia di gambe, che di testa. Poi con quel vantaggio, quasi 5′, era anche “facile” gestirsi. Come vi dissi già a Pinerolo, doveva non fare fuori giri fino ai -5 dalla vetta e poi fare una crono. E così ha fatto.

«No, no… è forte. E’ rimasto tranquillo per tutto il Giro, forse anche troppo in certe occasioni! Ma si è fidato della squadra e ha svolto un ottimo lavoro nel complesso».

Una foto che ritrae Leo Hayter (in maglia nera) in allenamento con la Ineos-Grenadiers (immagine Instagram)
Una foto che ritrae Leo Hayter (in maglia nera) in allenamento con la Ineos-Grenadiers (immagine Instagram)

Ineos come casa

Merckx sapeva che Leo Hayter sarebbe passato nel WorldTour, ma neanche lui aveva la certezza con quale team lo avrebbe fatto.

«Ma immaginavo – dice Axel – che sarebbe passato con loro. Lì c’è già suo fratello, lui è inglese, la squadra è inglese e trova un ambiente che gli è familiare.

«Per me Leo è pronto al passaggio. Un ragazzo così che vince il Giro U23 non puoi tenerlo ancora un anno. Sarà all’altezza, poi è chiaro che dovrà migliorare alcuni aspetti, quello più importante riguarda la discesa. Nelle curve veloci e nelle discese tecniche qualche problemino ce l’ha e si è visto anche al Giro».

Corse a tappe

Intanto Leo dopo alcuni giorni passati in Italia con la sua ragazza, l’italiana Francesca Barale, dopo il Giro U23, è tornato a darci sotto in quel di Andorra e lo ha fatto proprio con i ragazzi della sua futura squadra. Hayter sarà uno stagista da qui a fine stagione e un corridore Ineos a tutti gli effetti dal primo gennaio 2023. Il contratto lo lega a questa squadra fino al 2025, si tratta quindi di un triennale.

Ma cosa potremmo attenderci da lui? Che corridore troveremo tra i grandi? Spesso chi va forte tra gli U23 su un terreno non è detto che faccia la stessa cosa anche tra i pro’. Simone Consonni, per esempio, vinse un italiano U23 alquanto impegnativo, e tra i pro’ è un velocista.

Leo ha anche vinto il titolo nazionale. In salita va forte. E in volata non è fermo. Che corridore sarà, dunque?

«Per me – riprende Merckx – Hayter è uno forte e che ha motore. Va forte a crono e in salita, anche se non è uno scalatore puro chiaramente. Va forte in salita, perché, come ho detto ha motore. E lo si è visto nel giorno della sua seconda vittoria, quando verso Santa Caterina Valfurva ha staccato tutti nell’ultima ora. Dopo 5.000 metri di dislivello lui non è calato.

«Se vincerà una Liegi anche tra i pro’? Non è impossibile, ma io lo vedo più per le corse a tappe. Magari le corse di un giorno devono essere dure come un Lombardia. Potrà poi sfruttare le fughe.

«Sono convinto, soprattutto all’inizio, che sorprenderà più di qualcuno. Se Leo entrerà in qualche fuga lui arriva fino in fondo, perché tiene bene, è resistente. Torniamo al discorso di prima dell’ultima ora di corsa».

L’impresa di Santa Caterina. Staccato sul Mortirolo, Leo ha poi demolito gli avversari senza perdere un solo watt nel finale (foto Extra Giro)
Leo Hayter correrà nella Ineos-Grenadiers. Per Axel Merckx un passaggio naturale. L'inglese è pronto e saprà ben comportarsi sin da subito
L’impresa di Santa Caterina. Staccato sul Mortirolo, Leo ha poi demolito gli avversari (foto Extra Giro)

La parola

E chi lo deve accogliere cosa dice?

Dario David Cioni già ci aveva accennato alla loro linea verde. Ogni anno inseriscono almeno un “super” giovane. E’ stato così con molti ragazzi. Pensiamo a Carlos Rodriguez o proprio il fratello di Leo, Ethan.

«Leo lo seguivamo già da qualche anno – ci dice Cioni – anche perché avevamo in squadra suo fratello. Per noi non era uno sconosciuto. Vedevamo quel che combinava e sapevamo alcune cose da Ethan. In più aveva già fatto degli stage con la nostra squadra. Adesso lo avremo definitivamente dal prossimo anno, ma da ottobre sarà con noi».

«L’ultimo stage con noi lo ha fatto ad Andorra qualche giorno fa. Era lì con 14 corridori e devo dire di aver notato un ragazzo già molto professionale. Rispetto al fratello mi sembra più scalatore. E’ meno veloce, ma va meglio sulle salite lunghe. Quindi sì, sono d’accordo con Axel quando dice che è adatto per le corse a tappe».

Garofoli e quell’allenamento shock per ripartire

27.07.2022
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Finalmente sta per arrivare il momento di Gianmarco Garofoli. Il giovane ragazzo dell’Astana Qazaqstan Development Team dopo lo stop impostogli da un problema al cuore sta per ripartire. Anzi, in realtà il marchigiano è già ripartito.

Manca la ciliegina sulla torta che, incrociando le dita, dovrebbe arrivare giovedì prossimo. Domani in pratica, quando farà la Tac definitiva che scioglierà ogni dubbio. Poi potremmo riabbracciare questo talento cristallino.

Il giorno della ripresa shock. Da sotto la maglia intima spunta l’holter
Il giorno della ripresa shock. Da sotto la maglia intima spunta l’holter

Allenamento shock

Ma andiamo con ordine. L’ultima volta che lo avevamo sentito, Garofoli ci aveva parlato del “suo Giro d’Italia U23” sfumato. Stava bene, poteva tranquillamente essere uno dei protagonisti, specie dopo la dimostrazione di forza e di classe verso Cervinia al Valle d’Aosta dell’anno scorso. Era partito alla grande con il Tour of Oman e altre corse con atleti di spicco. Poi il malore che lo ha costretto al fermo.

«Ho ripreso il 7 luglio – racconta Garofoli – e come ho ripreso! In pratica in accordo con il dottor Corsetti, che mi aveva messo l’holter, dovevo fare un’uscita con cinque salite “a tutta”. Era un test. Calcolate che io non toccavo la bici da quel famoso 27 marzo. E quando dico che non la toccavo, intendo zero assoluto. Neanche mezzo giretto in giardino».

Quel giorno Garofoli era contento come un bambino. Era anche emozionato se vogliamo.

«E’ stato un bel momento – racconta Gianmarco – avevo i brividi e la pelle d’oca sulle braccia. Però ero anche un po’ teso. Visto l’allenamento che dovevo fare, ho chiesto a mia mamma di seguirmi. Perché non sarebbe successo niente, ma se avessi avuto bisogno di soccorso… ci sarebbe stato qualcuno.

«Inizio così queste salite, di circa 3 chilometri l’una. Dopo la prima ero sfinito, avevo l’acido lattico ovunque. Dovevo farle a tutta. Scendo e risalgo. In cima alla terza scalata metto piede a terra. Avevo i sensi di vomito. In quel momento ho detto a mia madre: “Se non mi succede qualcosa oggi, non mi succede più”».

Si è trattato dunque di una ripresa shock: per testa, polmoni, cuore e muscoli.

«Ho davvero portato il mio fisico al limite. Non era un allenamento banale. Quando sono rientrato ho scritto al dottor Corsetti dicendogli che avevo fatto quanto detto. E lui mi ha risposto: “E hai ancora la forza per scrivermi?”».

In questa fase di stop, Garofoli si è goduto anche il mare, non distante da casa sua (foto Instagram)
In questa fase di stop, Garofoli si è goduto anche il mare, non distante da casa sua (foto Instagram)

Con calma….

Questa uscita però ha spalancato le porte verso un Garofoli nuovo. La testa era quella della primavera, quella del corridore, ma le gambe no. A questa folle uscita, nel pomeriggio sono seguite le visite mediche. E i parametri erano okay.

«Dopo quel giorno ho ripreso con molta calma – continua Garofoli – facevo un’uscita di un’oretta al giorno. Ma davvero blanda: 25 chilometri e tutti in pianura. Poi sempre di più. Dopo tre settimane sono arrivato a fare anche tre ore e mezzo, ma sempre in modo tranquillo. Però sento che le sensazioni migliorano. Riesco a fare tutti i miei giri.

«Se domani il responso sarà okay e potrò iniziare a fare qualche allenamento più serio – prosegue – voglio subito andare in montagna: Livigno o Passo San Pellegrino. Ci voglio andare non tanto per fare dell’altura, ma per sfuggire al caldo record di questi giorni. E poi – aggiunge Garofoli – perché magari per settembre riesco a fare qualche garetta».

Orlando Maini è il suo direttore sportivo. Presto Garofoli, il coach Mazzoleni e lui si riuniranno per fare il programma di rientro
Maini è il suo direttore sportivo. Presto Garofoli, il coach Mazzoleni e lui si riuniranno per fare il programma

Maini sull’attenti

L’Astana non gli mette pressione e Gianmarco lo sa bene. Anzi, Orlando Maini, il suo diesse di riferimento, ci ha confidato che gli avrebbe guardato i files da remoto e che se avesse fatto un solo metro in più del previsto, se lo sarebbe mangiato. «Gianmarco ha 20 anni e non deve avere fretta», ci diceva il “vecchio Maio”.

Ma intanto Garofoli scalpita. «Ogni tanto Orlando mi ha scritto. Mi ha detto che dovevo andare piano, piano. Pianissimo… Ma io non vedo l’ora di ricominciare.

«Non credo che a settembre ci saranno dei problemi, però se dovessi ritardare di una settimana il mio rientro, non sarebbe un problema, anche perché non vorrei andare in corsa per fare ultimo. Sin qui non abbiamo parlato di calendari o tabelle, tutto dipenderà da domani. Ma entro fine stagione qualche gara la faccio. Sicuro!».

Garofoli impegnato in palestra. Il marchigiano ha ripreso da zero chiaramente
Garofoli impegnato in palestra. Il marchigiano ha ripreso da zero chiaramente

Momento di crescita

Che Gianmarco Garofoli abbia una marcia in più non lo si è visto solo dalle gare. In questi mesi ha anche fatto altro, come andare al lavoro con il papà nell’azienda di famiglia (di infissi e mobili). E anche in questo caso non è stato tempo perso. O quantomeno una cosa fine a se stessa.

«Mi sono reso conto – dice Garofoli – che mi mancava qualcosa e così ho maturato la decisione di iscrivermi all’università. Ho fatto domanda alla Luiss, a Roma, per la facoltà di Economia Business. E’ in inglese e c’è la formula per poter seguire il corso come atleta. Adesso aspetto che diano conferma della mia domanda».

«Ho lavorato su me stesso in questo periodo e ho pensato molto a cosa poteva essere il mio futuro, a prescindere dal ciclismo. Ho ricalibrato i miei obiettivi. Mi sono concentrato sulle cose cui nel flusso della vita non hai tempo di pensare. Insomma, ho 20 anni e non so come ci sono arrivato!

«E ho fatto anche cose più semplici come andare ad un concerto, uscire con gli amici o farmene di nuovi… Cose che altrimenti non avrei fatto. Io non sono uno che si piange addosso e cerco di guardare sempre il bicchiere mezzo pieno».

Lo scorso anno nonostante fosse al debutto nella categoria U23, Garofoli ha fatto il Giro U23, il Valle d’Aosta e l’Avenir (in foto)
Lo scorso anno nonostante fosse al debutto nella categoria U23, Garofoli ha fatto il Giro U23, il Valle d’Aosta e l’Avenir (in foto)

E le corse?

Come accennato, avevamo ascoltato Gianmarco prima del Giro U23: ma lui ha seguito le gare? Cosa pensa dei suoi avversari? 

«Un po’ le ho seguite, ma non tantissimo – ammette Garofoli – perché sì, sono stato contento di aver visto dei miei amici andare molto forte, ma un po’…. “ho rosicato”! Pensavo che ci sarei potuto essere io al loro posto. E quindi le ho seguite il giusto. Ma l’occhio mi ci cadeva.

«Che dire, sono stato contento che abbia vinto Hayter al Giro d’Italia. Leo è proprio un amico, amico… Pensate che è stato un mese a casa mia lo scorso anno. E anche Lorenzo Germani è andato fortissimo, ha vinto l’italiano. Anche lui è venuto a trovarmi per qualche giorno».

Giulio Pellizzari, dagli juniores alla corte di Reverberi

25.07.2022
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A prima vista due cose emergono parlando con Giulio Pellizzari: la sua simpatia e la sua tenacia. Questo ragazzino classe 2003 fa parte del progetto giovani della Bardiani Csf Faizanè. All’ultimo Giro della Valle d’Aosta si è ben comportato.

Ha anche indossato la maglia a pois di miglior scalatore. Ci è voluto un certo Reuben Thompson per sfilargliela. E sì che ha provato a tenerla.

«Nel corso della quarta tappa – racconta il suo diesse Alessandro Donati – quando era in maglia a pois viaggiava in un drappello in avanscoperta. L’ho affiancato con l’ammiraglia e gli ho detto che davanti c’era un solo corridore. Pertanto doveva fare la volata del Gpm. Mi ha guardato con gli “occhi incrociati” e mi ha detto: “Ma davvero?”. Era sfinito, poverino!».

Al Valle d’Aosta erano rimasti in due della Bardiani: Giulio (a sinistra) e Tolio. Al centro il loro diesse Donati
Al Valle d’Aosta erano rimasti in due della Bardiani: Giulio (a sinistra) e Tolio. Al centro il loro diesse Donati
Giulio, quando hai iniziato a correre?

A 7 anni, da G2. In famiglia papà, da buon veneto, pedalava. Io giocavo a calcio come attaccante, poi ho smesso e insieme a mio fratello Gabriele che ha tre anni più di me, siamo passati al ciclismo. Io facevo tutto quello che faceva lui. E siccome lui aveva deciso di andare in bici allora ci sono voluto andare anche io.

Qual è il primo ricordo che hai del ciclismo?

Ricordo la mia prima bici, un’Atala: rossa, piccolina. Ce l’ho ancora! Me l’avevano regalata per il mio ottavo compleanno.

E ti piaciuto subito pedalare?

Sì, nonostante all’inizio fossi abbastanza scarso.

E quando hai capito che potevi diventare un professionista (stando in una professional Pellizzari lo è a tutti gli effetti, ndr)?

Fino all’anno scorso non andavo fortissimo. In allenamento, specie in salita, sì, ma il fatto di essere nato a fine novembre è come se avessi sempre un “anno in meno”. Ero piccolo, piccolo e in pianura mi staccavo sempre. Poi crescendo sono migliorato e tenendo meglio in pianura riuscivo ad esprimermi anche in salita. E tutto ciò è migliorato definitivamente dall’anno scorso.

La piccola Atala con cui Giulio ha fatto le prime pedalate: ci è molto affezionato
La piccola Atala con cui Giulio ha fatto le prime pedalate: ci è molto affezionato
Ti senti uno scalatore?

Sì! Magari non puro, ma scalatore. Passista-scalatore dai…

C’è un corridore che ti piace? E a cui pensi di poter assomigliare? Fai anche nomi giganteschi, non ti preoccupare!

Beh, allora dico Chris Froome. Da bambino non mi piaceva molto. Quando ha tolto la maglia gialla ad Aru non mi stava molto simpatico! Poi però dopo l’impresa del Colle delle Finestre al Giro del 2018 mi sono appassionato a lui.

Alla Bardiani come ci sei arrivato?

E’ successo tutto in fretta la scorsa estate. Ad un certo punto ho iniziato ad andare forte, sempre più forte. Un giorno mi ha contattato Andrea Noè, dei Carera. A giugno ho firmato con la loro agenzia e a luglio mi hanno proposto alla Bardiani. Mi hanno detto del progetto under 23 e ho accettato.

Un bel salto: dagli juniores ai pro’…

Io correvo all’Uc Foligno, con Massimiliano Gentili. Mi dissero: “Sulla carta sarai professionista, ma farai solo gare under 23”. Anche Gentili ha preferito questa via, quella di passare subito. Massimiliano, infatti, conosce bene me e conosce il mondo degli under e sapeva che io lì avrei fatto fatica.

Giulio Pellizzari (classe 2003) ha esordito tra i pro’ lo scorso 2 marzo al Trofeo Umag in Croazia (foto Adn)
Giulio Pellizzari (classe 2003) ha esordito tra i pro’ lo scorso 2 marzo al Trofeo Umag in Croazia (foto Adn)
Perché? Spiegaci meglio…

Non è un mondo troppo adatto a me. Ci sono spesso corse veloci, con tanta pianura, tanti strappi, molto nervosismo, salite corte… e io soffro tutto ciò. Mentre il mondo dei professionisti è tutta un’altra cosa. Più regolare. Sostanzialmente, Max non voleva mandarmi in giro nelle under 23 o nelle continental, rischiando di ritrovarmi appunto a fare quel tipo di corse e a gareggiare il marterdì, il sabato, la domenica.

E così invece riesci a programmare?

Sì. Non corro molto per adesso, ma va bene così. Poi bisogna considerare che ho fatto meno anche perché avevo la scuola. Ho preso la maturità da geometra.

Chi ti segue nella preparazione?

Leonardo Piepoli. Quando firmai chiesi appunto del preparatore e mi dissero che avevo carta bianca. Così ho chiesto consiglio a Massimiliano. Lui che lo conosce bene mi ha detto di andare da Piepoli.

Cosa ti sta piacendo di meno di questo mondo?

Il fatto di stare molto lontano da casa, dalla famiglia, dagli amici. A casa sto bene, mi piace, è il mio posto. Proprio qualche giorno fa ne parlavo con Alessio Martinelli. Mi ha detto che lui è stato una settimana in Valle d’Aosta già prima della corsa e poi adesso è al Sestriere con la nazionale. Alla fine starà fuori quasi un mese.

E cosa ti piace invece?

Che fai il lavoro che ami. Come si dice: scegli un lavoro che ti piace e non lavorerai un giorno nella tua vita!

Da juniores una crescita costante per Pellizzari. E’ stato un bravo corridore ma non un “cannibale” della categoria (foto E. Bartolini)
Da juniores una crescita costante per Pellizzari. E’ stato un bravo corridore ma non un “cannibale” della categoria (foto E. Bartolini)
Questa maglia a pois ti ha fatto sentire un po’ diverso in gruppo? Ti ha dato autorevolezza?

Fino alla scorso anno era più normale questa sensazione. Quando vai forte tutti ti vengono a parlare e ti guardano. Quest’anno invece ancora non avevo combinato nulla ed è stato bello rivivere quelle sensazioni. Poi, sapevo che sarebbe stato difficile tenerla.

Noi parliamo spesso di margini di crescita, di ragazzi che passano subito… quanto pensi che puoi ancora crescere? Perché è una bella cosa questo progetto, ma anche rischiosa…

Vero, fino allo scorso anno facevo gare di 100 chilometri e adesso invece sono molti di più. Io credo che la cosa sia soggettiva. Correndo sempre come fanno gli under alla fine ti finisci. Se tu passi e fai il tuo bel calendario, tra l’altro gare under 23 nel mio caso, composto da gare dure e riposo, gare dure e riposo… vada bene. Credo sia quella la vera crescita. E’ così che puoi fare le cose gradualmente e hai margini.

Quali sono i tuoi programmi?

Ho fatto qualche giorno di riposo a casa. Con Alessandro Pinarello andiamo in altura a Livigno. Successivamente correrò a Poggiana il 14 agosto e a Capodarco il 16. Poi ancora, farò una corsa a tappa di tre giorni in Francia ai primi di settembre. Già avevo corso all’estero in Croazia ad inizio stagione e avevo fatto la Carpathian Couriers Race a maggio.

Tenersi dei margini per quando si è pro’. Ne parliamo con Basso

08.07.2022
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«Non andiamo in altura per tenerci una “cartuccia” in più per quando passeremo pro’. Ne ho parlato anche con Basso». Così aveva detto Davide Piganzoli (in apertura foto Istagram – Adn Photo), della  Fundacion Contador, team giovanile della Eolo-Kometa. Lasciarsi la “cartuccia” dell’altura, come la chiama lui, garantirebbe un margine di miglioramento in ottica futura.

Margini che sono sempre più ridotti. Tante volte parliamo di ragazzi che passano e sono già al limite. Piganzoli ci aveva detto che avevano parlato in squadra di questa scelta di non andare in quota.

Parador de las Canadas del Teide: uno dei luoghi simbolo dell’altura per pro’ e anche molti under 23
Parador de las Canadas del Teide: uno dei luoghi simbolo dell’altura per pro’ e anche molti under 23

Margini e tutela

Il manager varesino segue da vicino l’atleta valtellinese. Crede moltissimo in lui. E di certo il discorso di Piganzoli non è affatto banale.

«Oggi – dice Ivan Basso – soprattutto in Italia abbiamo il problema dei giovani: sono pochi, passano presto, passano al limite… In questo campo della preparazione c’è una narrativa enorme. Ci sono tante persone che dispensano consigli di tutte le salse. Credo che ogni opinione vada ascoltata ed elaborata, ma chi ha una squadra ha delle responsabilità, deve prendere delle decisioni. Gli altri no».

«Non abbiamo abbastanza certezze che questa esasperazione in età precoce sia un valore. Non abbiamo certezze che porti a risultati anche a lungo termine, che sia funzionale alla crescita. Sappiamo però che la crescita graduale funziona.

«Penso al progetto giovani della Liquigas. Io ero in quella squadra e ho visto i Nibali e i Viviani arrivare da ragazzini e diventare campioni che dopo 12-15 anni di professionismo, vincenti, sono ancora in gruppo. Ed è lì che voglio arrivare con i miei ragazzi. Gli under 23 devono avere i requisiti e i margini per passare: questo conta per me. Ed è quando sono passati che devono vincere».

Alla Liquigas Basso ha visto passare molti giovani, tra cui Nibali (alla sua ruota). E ha fatto tesoro di quanto osservato da vicino
Alla Liquigas Basso ha visto passare molti giovani, tra cui Nibali (alla sua ruota). E ha fatto tesoro di quanto osservato da vicino

Gli esempi del passato

Il discorso di Basso su base teorica è certamente corretto. E soprattutto è coerente con quanto sta facendo. Però la realtà dice che sin da U23 il livello è molto alto e alcuni di questi ragazzi potrebbero magari pagarne le spese. Tradotto: non faccio di tutto e di più, non vinco, non passo.

«Che sia giusto o sbagliato non lo so – riprende Basso – Io, come detto, faccio le scelte per la mia squadra. E so che che questo modello ha funzionato in Liquigas per Nibali, Viviani, ma anche per Pozzato anni prima col progetto Mapei Giovani».

«Il miglior Piganzoli, tanto per restare sull’esempio, lo vedremo più avanti. Posso garantire che questo ragazzo ha dei margini molto alti. Può essere molto più forte di così. Ma per questo devo ringraziare i suoi team giovanili che non lo hanno spremuto, la sua famiglia. Davide non ha un padre che vuole realizzare i propri sogni sulle spalle del figlio. E’ un insieme di cose che per esempio riscontro anche in Montoli».

«Ripeto, preferisco insistere su questo modello di crescita collaudato, tanto più che è gestito da Zanatta. Stefano ebbe il primo Nibali già alla Fassa Bortolo, poi se lo ritrovò anche alla Liquigas. Ha avuto Sagan, Formolopotrei andare avanti fino a stasera».

Davide Piganzoli in azione al tricolore crono U23, da lui vinto qualche settimana fa
Davide Piganzoli in azione al tricolore crono U23, da lui vinto qualche settimana fa

Strada spianata?

Quando a Basso facciamo notare però che i suoi ragazzi U23 tutto sommato sono già in una posizione di “agio” e di tranquillità, visto che hanno meno bisogno di dimostrare qualcosa a suon di risultati in quanto c’è pronta la squadra la professional che li aspetta, Ivan ribatte con certezza.

«Vado controcorrente. In Italia ci sono dei team dilettantistici che lavorano bene. Penso alla Zalf o alla Colpack-Ballan. Penso alla squadra di Milesi. Marco è un diesse eccezionale. Parlo con loro, esploro i loro vivai».

 

«La vostra osservazione è giusta: qui i ragazzi hanno la professional “pronta”. Ma posso dire che ci sono stati degli under 23, e persino degli juniores, che hanno rifiutato la nostra offerta e il nostro modo di lavorare. Per me decisioni folli».

«Altura o altri margini, come un’alimentazione super controllata, possono incidere sul rendimento: è vero. Ma siamo sicuri che un ragazzo di quella età possa sopportare certi sacrifici? Perché poi cambia tutto in poco tempo. A 20 anni non hai la testa che hai a 23. A 23 anni non hai quella che hai a 28. E a 28 anni non hai la testa che hai a 32. Tutto ha un suo tempo».

«Io non sono contrario all’altura. Io sono contrario all’esasperazione. Se poi il confronto con gli stranieri è spietato, se per stare davanti è necessario fare tutto ciò allora io guardo altre cose. A me che Piganzoli vince dieci corse da under 23 non me ne importa molto. Mi importa che quando passa ne vince 2-3.

«E quindi cosa guardo? Guardo che Piganzoli ha fatto tanti piazzamenti, osservo i suoi test, vedo che va forte quando la strada sale e a crono. Guardo che ha la capacità di esprimere gli stessi watt in salita e a crono. Ditemi chi altro c’è che ha tutte queste qualità? Eppure Piganzoli ha vinto poco».

Ivan Basso (classe 1977) sul bus dei pro’ (foto Borserini)
Ivan Basso (classe 1977) sul bus dei pro’ (foto Borserini)

E sui procuratori…

Infine, una battuta sui procuratori, che molto spesso incidono sul futuro dei ragazzi.

«In cinque anni di gestione del team – conclude Basso – io non ho mai avuto un problema con i procuratori. Anzi, con alcuni ho anche trovato l’accordo per farli restare un altro anno là dove erano. Quando trattiamo un giovane e parliamo del suo futuro io mi siedo al tavolo con l’atleta, con il suo procuratore e a volte anche con i suoi genitori e ne discutiamo. Deve esserci un rapporto leale e onesto fra le parti. Nessuno mi ha mai preso per la camicia».

«E poi il fatto è semplice. Di fronte ho un ragazzo di 20 anni al cui fianco c’è un procuratore che gestisce molti altri campioni affermati. Di certo non è su questo ragazzo che guadagnerà bene. 

«Voglio dire che se un ragazzo non passa, o non viene preso in considerazione non è sempre colpa degli altri. Proprio perché parliamo tutti quanti onestamente, mi è capitato che un giovane che doveva passare pro’, non era pronto ed è restato tra gli U23 un altro anno, con l’accordo di tutti».

Dinastia Vinokourov. Arriva Nicolas, campione kazako U23

27.06.2022
4 min
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Nicolas Vinokurov sta muovendo i suoi primi passi nel ciclismo che conta. Il figlio d’arte si sta facendo spazio, al netto di un cognome pesante. Ma lui sembra non farsi carico di questo fardello. Tanto da vincere il campionato nazionale U23, sfruttando al meglio il lavoro fatto al Giro d’Italia U23.

Nicolas somiglia moltissimo al papà, il grande Alexandre, solo che è più alto. E chissà cosa potranno fare quelle leve lunghe, se il motore dovesse dimostrarsi all’altezza del suo nome.

Orlando Maini, diesse all’Astana Qazaqstan Development Team, ci ha detto che Nicolas è una ragazzo serio, già maturo, nonostante sia solo del 2002. E’ uno di quelli che sa il fatto suo e che nell’ultima stagione è cresciuto molto. 

Parla cinque lingue (francese, spagnolo, inglese, russo e anche un po’ d’italiano) e con tutti i componenti della squadra s’interfaccia in base alla lingua di chi ha di fronte. Segno di grande intelligenza.

Nicolas Vinokourov (secondo da sinistra) ha vinto il titolo nazionale su strada. Il suo compagno Daniil Pronskiy quello a crono
Nicolas Vinokourov (secondo da sinistra) ha vinto il titolo nazionale su strada. Il suo compagno Daniil Pronskiy quello a crono
Nicolas, hai un cognome molto importante: cosa significa per te?

E’ una grande pressione per me. Vivo di questa squadra da dentro, da più di sette anni e guardiamo anche ai prossimi sette.

Maini ci ha detto che sei migliorato molto nell’ultimo anno: è così?

Anche se non ho vinto, ho fatto dei bei progressi, soprattutto se metto a confronto questo Giro e quello dell’anno scorso. L’ho sentito proprio. Lo scorso anno ero sempre in coda con la macchina del fine gara dietro, mentre quest’anno sono stato molto più davanti e sono anche entrato in qualche attacco. Per esempio nel giorno del Fauniera avevo delle buone gambe sono stato in fuga. Poi alla fine gli scalatori mi hanno ripreso e sono andato su di passo.

Hai parlato di scalatori. E tu che tipo di corridore sei?

Eh – sospira Vinokourov – è una questione difficile, ma direi uno scalatore. Ma più che uno scalatore puro, anche se vado bene su salite lunghe di 10 chilometri, sono un corridore che riesce a vincere gli sprint in cima. Insomma, me la cavo allo sprint con i piccoli gruppi.

Esci mai in bici con tuo padre Alexandre?

Quando ero più piccolo e fino ai 15-16 anni uscivo molto spesso con lui, ma adesso ha il suo lavoro che lo prende moltissimo. Tante volte è in viaggio…

Nicolas in azione al Giro U23 (foto Instagram/Eder Garces)
Nicolas in azione al Giro U23 (foto Instagram/Eder Garces)
E poi tu adesso vai più forte!

Sì, sfortunatamente per lui! Esco più spesso con mio fratello Alex (gemello, ndr).

Dove vivi?

A Monaco, mentre la squadra è di base a Nizza, ma qualche volta ci alleniamo tutti insieme. 

Lo abbiamo chiesto anche al tuo compagno “Lopezito”: cos’è per te il ciclismo?

E’ più che una passione. E’ la vita. Vado in bici da quando ero piccolo e mi piace fare questo. E soprattutto spero di continuare. Ogni anno cresco e questo mi dà soddisfazione. Vorrei fare sempre più corse.

E’ stato naturale per te salire in bici, visto il contesto in cui vivevi? O sei stato tu che hai chiesto appositamente a tuo padre che volevi fare il ciclista?

All’inizio papà mi mandava molto poco in bici. Fino a 15 anni, giusto due volte a settimana, ma nel frattempo facevo tanti altri sport: nuoto, judo, basket, calcio… Poi a 14 anni ho detto a papà, anche con Alex a dire il vero: «Papà, noi vogliamo andare in bici. Vogliamo correre». A quel punto lui ci ha detto: «D’accordo. Se vi piace come dite, andate in bici. Ma senza pressione. Vivetela così come viene».

L’esordio in maglia Astana al Tour of Oman. Nicolas in primo piano, tra Garofoli e suo fratello Alex
L’esordio in maglia Astana al Tour of Oman. Nicolas in primo piano e dietro suo fratello Alex
Quando siete a casa parlate mai di ciclismo? Magari la sera a tavola…

Sì, sì… Ne parliamo spesso e volentieri. E’ l’argomento che va per la maggiore. E’ la nostra vita. Col ciclismo ci si allena, ci si lavora, si passa la maggior parte del tempo della giornata sulla bici…

E vostro padre vi racconta mai qualche aneddoto? Qualche ricordo?

Sì certo! Ogni corsa che vediamo in tv ci dice: in questa corsa andò così. In quest’altra feci così. 

Qual è, per te, il momento di questa tua giovane carriera? Ce n’è uno che ricordi particolarmente?

La mia prima corsa con l’Astana. Era il Tour d’Oman, indossare quella maglia nella prima tappa è stata un’emozione incredibile. Io sono nato con questa squadra praticamente. 

Ecco “Lopezito”, in Europa per andare a scuola di ciclismo

25.06.2022
4 min
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«Vieni, vieni “Lopezito” è nel bus», ci ha detto Orlando Maini, mentre cercavamo Juan Carlos Lopez. Quel Lopezito ci è subito piaciuto, tanto più che il tono del direttore sportivo nei confronti del giovane colombiano è stato amorevole. Il piccolo Lopez insomma…

Jaun Carlos è il fratello minore di Miguel Angel, uno dei leader dell’Astana Qazaqstan WorldTour, lui invece è nel team development. Una somiglianza incredibile. La differenza sono i brufoli, che il fratellino ancora ha.

Juan Carlos Lopez (classe 2001), o Lopezito come lo ha chiamato Maini, è arrivato quest’anno in Europa
Juan Carlos Lopez (classe 2001), o Lopezito come lo ha chiamato Maini, è arrivato quest’anno in Europa
Carlos, partiamo dal Giro U23: ti è piaciuto?

Bueno, è stato un Giro molto bello. Mi piace molto questa gara. Io sono arrivato qui con buone sensazioni e la voglia di fare bene. In qualche tappa non ho avuto molta fortuna, perché sono caduto nella quinta tappa dopo la prima salita con Martin Lopez, lui è dell’Ecuador come Carapaz. E mi dispiace che abbia abbandonato. Io l’ho aspettato, poi alla fine ho preso il gruppetto.

Però avevi fatto bene nelle frazioni in salita?

Sul Fauniera sono arrivato 14°, sono andato meglio che sul Mortirolo. La tappa era più corta.

Insomma sei uno scalatore puro come tuo fratello?

Eh – ride timidamente – sono uno scalatore ma lui è un campione vero. Lui è più forte di me.

Come fai a dirlo adesso però. Tu hai 21 anni e molto tempo per crescere…

Sono più piccolo, ho dei margini. Sto crescendo adesso, soprattutto da quest’anno che sono arrivato in Europa. Ma c’è davvero tanta differenza tra noi.

In cosa?

In tutto. Nel modo di correre, ma anche nella vita. In pianura qui si va sempre forte e quando uno arriva sotto la salita ha meno forza nella gamba. In Colombia sul piano… andiamo piano! E in salita andiamo forte. Ed è così in corsa e negli allenamenti.

Qui in Europa vivi con tuo fratello?

No, io abito nel Sud della Francia, mentre Miguel sta ad Andorra. Io vivo in una casa della squadra con altri compagni del team.

Cosa ti piace della bici? Perché il ciclismo?

Non so – ci pensa un po’ – in bici mi sento libero e mi piace perché è uno sport durissimo che ti mette a confronto con te stesso. Si soffre molto e penso che sto affrontando bene questo momento.

Quando eri più piccolo guardavi tuo fratello e dicevi ai tuoi genitori: anche io voglio andare in bici?

Sì, proprio così! Tra me e Miguel ci sono sette anni di differenza, quando ero piccolo lo vedevo che lui era già in televisione. E quando lo ammiravo in salita pensavo sempre che era il più forte. Mi dicevo che un giorno sarei stato come lui. Una motivazione che c’è ancora.

Il colombiano è andato bene verso il Fauniera, tappa più facile da gestire anche dal punto di vista planimetrico. Ma sta imparando
Il colombiano è andato bene verso il Fauniera, tappa più facile da gestire anche dal punto di vista planimetrico. Ma sta imparando
Un giorno sarai come lui: quanto puoi crescere ancora?

Penso tanto. Il ciclismo, almeno per me, è una crescita continua. Alla fine sono solo quattro mesi che sto in Europa e ogni giorno sento di andare meglio. All’inizio è stata un po’ dura perché come ho detto si sentiva molto la differenza. Ma tutto il giorno e tutti i giorni imparo sempre qualcosa.

Chi ti dà più consigli? Vinokourov, Maini…

Tutta la squadra direi e tutti i corridori. Anche mio fratello. Orlando mi dà consigli. E Vinokourov parla molto con me, su come mi devo muovere in gara. E poi sto molto vicino ad Alexandr Shushemoin che ci segue in allenamento con la macchina.

Le prossime gare?

Ora recupero un po’. Poi Livigno e il Val d’Aosta. Mi hanno detto che è durissimo.

Team Interregionale: la mista italiana guidata da Coden

21.06.2022
4 min
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Al Giro d’Italia U23 non c’erano solo le grandi squadre continental o under 23, ma anche un piccolo team di verde acqua vestito. Una maglia neutra, tra l’altro non priva di fascino, senza sponsor. Era quella del Team Interregionale. 

Questa era l’unica squadra composta da sei atleti. Sei ragazzi italiani: due della Campana Imballaggi Geo&Tex Trentino (Francesco Parravano e Lorenzo Elipanni), due della Arvedi (Mattia Pinazzi e Niccolò Galli) e due della Viris Vigevano (Lorenzo e Francesco Galimberti).

Alla fine l’Interregionale è stata la terza squadra U23 dopo Eolo-Kometa e Lotto-Soudal
Alla fine l’Interregionale è stata la terza squadra U23 dopo Eolo-Kometa e Lotto-Soudal

Parola a Coden

A guidarli è stato il diesse della Campana Imballaggi Geo&Tex Trentino, Alessandro Coden. Con lui abbiamo cercato di capire come è nata questa “iniziativa”. 

«Inizialmente – spiega Coden – dovevamo fare il Giro come team noi della Campana Imballaggi. Poi l’organizzazione ha cambiato alcune cose e siamo rimasti fuori. Così abbiamo trovato questa soluzione con atleti di altre società. Ci siamo consultati tra noi e anche con Amadori.

«Alcuni nomi nostri e altri suggeriti dalla Fci, soprattutto per quel che riguarda i due della Viris. Sappiamo cosa gli è successo qualche settimana fa…».

Il riferimento è alla tragica morte del loro diesse, Stefano Martolini.

L’Interregionale, benché squadra inedita, e nata quasi per caso, si è ben comportata. Alla fine, sei su sei sono arrivati a Pinerolo e ad un certo punto erano anche ben messi nella classifica a squadre, tanto da essere il terzo team italiano.

«Aver portato tutti e sei i ragazzi alla fine è motivo di soddisfazione – dice Coden – siamo stati sedicesimi nella classifica a squadre mettendo dietro team ben più attrezzati di noi».

I mezzi (ammiraglie, camper e furgone) li ha messi la Campana Imballaggi di Coden
I mezzi (ammiraglie, camper e furgone) li ha messi la Campana Imballaggi di Coden

Come un vero team

La cosa bella è stato vedere come hanno corso. Abbastanza compatti e comunque non da “cani sciolti”. Si correva per colui che era più adatto a quella tappa.

«L’amalgama? Alla fine non è stato così complicato trovarla – riprende Coden – Questi ragazzi già si conoscevano in quanto corrono contro quasi tutte le domeniche. Però c’è stato sin da subito un buon feeling, tanto che sembrava fosse una squadra vera. Sono stati molto bravi».

«Si faceva la riunione e si correva per un obiettivo. Fortunatamente ho avuto libertà dai rispettivi diesse dei team di appartenenza. Non mi hanno mai detto: “Perché non lo hai fatto correre così”. Perché non hai fatto questo o quello…”

«Massimo Rabbaglio dell’Arvedi mi ha dato carta bianca».

«Nella prima tappa per esempio, che era piatta, abbiamo fatto di tutto per portare in buona posizione Mattia Pinazzi. Agli 80 metri era ancora in testa, ma poi ha visto che non ce l’avrebbe fatta a vincere e ha mollato.

«Da quel che mi dicono è un po’ il suo modo di fare. Se non lotta per la vittoria lascia stare. Non corre per fare terzo, sesto o settimo».

L’ammiraglia del Team Interregionale era piuttosto carica!
L’ammiraglia del Team Interregionale era piuttosto carica!

Quante ruote

Ma allestire una squadra mista non è facile neanche dal punto di vista della logistica. Pensiamo solo a tre bici diverse (due per team), gruppi, gomme… Ognuno con le sue specifiche.

«Eh – sorride Coden – non è stato facilissimo, però fortunatamente i ragazzi avevano tutti lo stesso gruppo, lo Shimano Ultegra. I miei e gli Arvedi avevano l’elettronico, mentre i Viris quello meccanico. 

«Tutti sono venuti con due bici: quella che usavano in corsa più una di scorta. L’unico problema è che noi eravamo gli unici col freno a disco e in ammiraglia bisognava mettere un bel po’ di ruote. Il meccanico doveva stare con le antenne dritte più del solito, dovendo scegliere la ruota giusta in caso d’intervento».

Di certo qualche polemica non è mancata dietro la nascita di questo Team Interregionale ma, fatte le debite proporzioni, un po’ come si è visto per la Gazprom è stata un’iniziativa volta ad aiutare qualche ragazzo che era rimasto fuori dal Giro U23.

Certo, i posti erano solo sei, ma è stato pur sempre un bel gesto di collaborazione fra le parti. Una volta tanto prendiamo solo il buono della storia. E il buono è che, ripetiamo, sei ragazzi non sono rimasti casa.

Ecco Tercero, scalatore spagnolo “a ruota” di Contador

21.06.2022
4 min
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Fernando Tercero Lopez non solo è arrivato ottavo al Giro d’Italia U23 ma compare molto spesso nella top 10 di tanti e tanti arrivi. Spagnolo, classe 2001, corre per la Fundacion Contador, in pratica la giovanile della Eolo-Kometa.

Lo abbiamo conosciuto meglio proprio nel corso della corsa rosa riservata ai ragazzi. Fisico slanciato (182 centimetri per 65 chili), tratti somatici da spagnolo puro con folte ciglia e capelli scuri, Fernando ci ha raccontato della sua storia.

Tercero in azione in salita sulle strade del Giro U23 (foto Instagram – Adn)
Tercero in azione in salita sulle strade del Giro U23 (foto Instagram – Adn)
Fernando, che corridore sei?

Sono uno scalatore. Mi piacciono le salite lunghe come il Mortirolo e il Colle della Fauniera, quelle che superano la mezz’ora di durata. Mi trovo a mio agio.

Non era la prima volta che eri al Giro…

No, l’ho già fatto l’anno scorso e ho imparato subito molto. Una bella esperienza e quest’anno speravo e pensavo che potevo entrare nei primi dieci della generale. E devo dire che ho notato una bella differenza. Già nella seconda parte della stagione scorsa. Proprio dopo il Giro sono migliorato molto.

Fernando hai corso abbastanza coperto, ma eri nel vivo della corsa. Così sul Mortirolo (e poi anche sul Fauniera). Sei stato un regolarista…

Sì, soprattutto sul Mortirolo. All’inizio siamo andati molto forte e sapevo che quello non era il mio ritmo. E così ho deciso di staccarmi un po’. Sono rimasto concentrato, serviva mente fredda. Sapevo che qualcuno di quelli che erano davanti sarebbe esploso. Su salite come queste è importante non saltare, perché i minuti volano.

Di che zona sei?

Nella zona centrale, vicino Madrid. Ciudad Real per la precisione. E’ una zona molto pianeggiante e per uno scalatore come me non è il massimo!

E dove vai a cercare le salite?

Sulla Sierra Morena, che sta tra la mia regione e l’Andalucia. Però non ci sono salite lunghe, non ho scalate da 30′ o più.

Lo spagnolo in vetta al Fauniera. Quel giorno è arrivato 5° a 2’52” da Van Eetvelt
Lo spagnolo in vetta al Fauniera. Quel giorno è arrivato 5° a 2’52” da Van Eetvelt
Come hai iniziato a correre?

A casa in televisione guardavamo sempre lo sport e il ciclismo in particolare. Il Tour, la Vuelta il Giro, ma nessuno della mia famiglia andava o era andato in bici. Sin da piccolo mi piaceva guardare il ciclismo e volevo farlo. E alla fine ho chiesto ai miei genitori di portarmi nella scuola di ciclismo del mio Paese. Avevo più o meno dieci anni quando ci sono andato per la prima volta. Ed ora eccomi qui.

Chi era il tuo idolo?

Eh facile – sorride Tercero – Alberto (Contador, ndr). All’epoca quando vinceva al Giro, alla Vuelta. Non solo vinceva ma era uno spettacolo come lo faceva. E adesso corro nella sua squadra.

Qual è il primo ricordo che hai di quando vi siete conosciuti?

Il primo ricordo che ho di lui è alla tv. C’era la tappa del Tour con Evans e Andy Schleck in fuga sul Galibier. Me la ricordo bene quella tappa. Dal vivo invece ci siamo visti tre anni fa. Eravamo in bici e io pedalavo con una cadenza bassa. E un’altra volta mi ha fatto vedere il trofeo del Giro. E’ stato emozionante vederlo dal vivo.

Torniamo alla bici attuale. Ti piace anche la crono?

Sì, sì. E vado bene. Non sono uno specialista, però nei confronti degli altri scalatori vado bene.

Ad inizio marzo Tercero ha vinto la Aiztondo Klasika (foto @naikefotosport)
Ad inizio marzo Tercero ha vinto la Aiztondo Klasika (foto @naikefotosport)
Beh, il fisico e le leve lunghe per spingere le hai…

Infatti non sono messo male sulla bici. In più ci lavoriamo. Dopo il Giro farò il campionato nazionale e spero di fare bene.

Quando potrai passare nel team maggiore?

Bueno, non so! Però credo che se continuo a raccogliere dei buoni risultati e ad essere costante, alla fine passerò pro’ con loro. Quello è il mio sogno sin da piccolo. Io aspetto che si compia.

Cosa prevede il tuo programma dopo il Giro?

Adesso il campionato nazionale e poi punterò al Valle d’Aosta e dopo se la nazionale di Spagna mi porta all’Avenir sarò contento, altrimenti ci saranno altre corse.

In nazionale tra Juan Ayuso e Carlos Rodriguez hai un bella eredità da raccogliere. Un compito non facile.

Andavano forte. L’anno scorso era una nazionale “troppo potente”. Però penso che anche quest’anno possiamo fare bene.