Laurance, un iridato alla corte di VDP. Ora punta più in alto

10.02.2024
6 min
Salva

Quando vinci alla tua seconda gara nel team principale WorldTour, portandoti addosso il fardello di responsabilità del mondiale U23 vinto l’anno precedente, significa che c’è davvero stoffa. Axel Laurance ha iniziato la sua stagione come meglio non si poteva, mettendo la firma sulla prima tappa dell’Etoile de Bessèges.

Una volata imperiosa, lasciandosi alle spalle l’ex campione del mondo Mads Pedersen. Un successo che ha il sapore dolce delle belle avventure al loro inizio, che Laurance ha accolto con la consapevolezza di chi sa di valere. «Quando parti speri sempre di vincere e così è stato il giorno di Rousson. Poi penso che tutti sappiano che è molto, molto difficile vincere tra i professionisti, ma su quello strappo ho corso con intelligenza, cercando di risparmiare le energie per sparare tutto negli ultimi 150 metri».

La volata di Laurance stroncando Pedersen negli ultimi 150 metri. Nella corsa a tappe ha chiuso 12°
La volata di Laurance stroncando Pedersen negli ultimi 150 metri. Nella corsa a tappe ha chiuso 12°
Che cambiamenti hai notato passando dal devo team alla squadra principale dell’Alpecin Deceuninck?

Ovviamente, quest’inverno, c’è stato molto più seguito per me e ovviamente mi è stata anche data molta più fiducia. E’ chiaro che con il titolo mondiale molto è cambiato rispetto allo scorso anno, quando avevo vissuto un inverno complicato, dato che ero piuttosto teso per l’evoluzione della mia carriera. Sono tranquillo, ho trascorso un inverno intero e sono stato ben seguito.

Come hai iniziato a fare ciclismo?

Ho cominciato all’età di 4 anni e mezzo con la bmx. Ho continuato circa otto anni e poi sono passato al ciclismo su strada, alla pista e al ciclocross, tutte e tre le discipline contemporaneamente. Poi gradualmente ho interrotto la pista e ora faccio ancora un po’ di ciclocross di tanto in tanto in inverno. Il tutto finalizzato alla strada, che è diventata lo sport principale.

Laurance, 22 anni, è approdato all’Alpecin lo scorso anno, nel team di sviluppo
Laurance, 22 anni, è approdato all’Alpecin lo scorso anno, nel team di sviluppo
Ripensandoci oggi, che cosa ti è rimasto impresso della vittoria ai mondiali?

Penso che mi abbia fatto imparare molto sullo stress che una gara può causare, sulla pressione che viene esercitata. Riflettendo ho capito che alla fine, quando ero davvero rilassato e non avevo alcuna pressione, facevo le mie gare migliori.

Una lezione utile per il futuro?

Certamente mi aiuterà a gestirmi nei grandi appuntamenti, anche perché i campionati del mondo sono una grande gara, ci sono molte persone, tutti i media. Un po’ quello che succede nelle classiche o nei grandi Giri, con l’attenzione sempre a mille e dovendo gestire tutti gli aspetti.

Glasgow 2023. La lunga fuga sembra ormai fallire. Laurance se ne accorge e riparte
Glasgow 2023. La lunga fuga sembra ormai fallire. Laurance se ne accorge e riparte
Che cosa pensavi sul rettilineo finale quando Morgado e gli altri stavano rimontando, avevi paura?

E’ stato abbastanza difficile perché era già difficile pensare, ero davvero concentrato sullo sforzo perché ero a tutta. Tutto il mio corpo era lì solo per premere sui pedali. Ma sapevo che non erano molto lontani e speravo con tutto il cuore che quel che stavo facendo fosse sufficiente. Sapevo benissimo che ce n’erano parecchi dietro, ma anche che quando sono in tanti c’è in palio il titolo di campione del mondo, non tutti danno il 100 per cento. Quindi speravo che non ci fosse tanta coesione nel gruppetto inseguitore.

Hai visto giusto, insomma…

Avevo il mio vantaggio nell’essere tutto solo davanti. Dietro, anche se a volte collaboravano, spesso perdevano tempo guardandosi. Sono stato più di 27 chilometri davanti e pensavo che comunque non dovevo avere rimpianti: «Se mi prendono – dicevo a me stesso – è così: questa è la vita».

La caratteristica principale di Laurance è la sua propensione ad andare all’attacco, ma saper anche giocarsi la volata
La caratteristica di Laurance è la propensione ad andare all’attacco, ma saper anche giocarsi la volata
Che tipo di corridore sei?

Sono un ciclista piuttosto incisivo. Penso che la bmx mi abbia aiutato molto. Mi piacciono gli sforzi piuttosto brevi e intensi, come abbiamo visto a Bessèges. So di essere abbastanza veloce nello sprint quando la gara è un po’ difficile. Dopo sono abbastanza completo, ma devo continuare a lavorare sui punti forti e anche su quelli deboli per migliorare.

Molti ti paragonano ad Alaphilippe: in che cosa gli assomigli e in che cosa sei diverso?

Penso che la somiglianza con Julian ci sia in termini di potenza, impatto, esplosività. Quando attacchiamo, siamo esplosivi e facciamo la differenza. Ma poi penso che Alaphilippe sia ancora più completo di me. L’abbiamo visto, al Tour de France, superare bene le montagne. Contro il tempo è molto bravo. Rispetto a lui forse sono un po’ meno scalatore e un po’ più veloce nello sprint. Chiaramente non parlo del curriculum, ci vorrà tantissimo per raggiungere i suoi livelli. Lui ha già avuto buona parte della sua carriera con grandi vittorie. E’ uno dei più grandi corridori francesi e ha ancora tanto da fare.

I complimenti di Pedersen battuto dal giovane francese. Un ingresso trionfale nel ciclismo che conta
I complimenti di Pedersen battuto dal giovane francese. Un ingresso trionfale nel ciclismo che conta
Quanto è importante la vicinanza con Van der Poel, vi allenate mai insieme?

Sì, pedaliamo insieme nei raduni che abbiamo avuto. E’ anche bello vedere come lui, come corridore, gestisce le gare, perché c’è molta pressione da parte dei media. Posso imparare molto, osservendo ciò che sta attraversando e guardando come funziona. Penso che la cosa più importante sia che abbiamo il miglior esempio nella squadra.

Hai un programma molto ricco, con Sanremo e tante classiche del Nord. Quali sono quelle più adatte a te e che cosa ti aspetti?

Per il momento non posso sapere quale gara mi si addice meglio, perché non le ho mai fatte. Quest’anno mi permetterà di scoprire molte gare, classiche e non, e vedere cosa fa per me. Penso che potrei farmi un’opinione a fine stagione e dirmi a quali posso puntare, che cosa mi si addice per il futuro.

Festeggiamenti da tutta la nazionale a Glasgow dopo la grande impresa mondiale
Festeggiamenti da tutta la nazionale a Glasgow dopo la grande impresa mondiale
Hai fissato un obiettivo da qui a fine stagione?

L’obiettivo era ovviamente vincere. Ne ho già vinta una, quindi è fantastico, ma penso che l’obiettivo sia vincerne di più. Non mi pongo un obiettivo perché come ho detto è un po’ una scoperta, per cui adotto una visione più globale e mi dico che l’obiettivo è cercare di vincere il più possibile.

In Francia tutti aspettano un corridore che possa rivincere il Tour de France. Per voi giovani questo porta maggiore pressione addosso?

No, non credo. Penso che noi della stessa generazione siamo molto lucidi al riguardo e sappiamo cosa dobbiamo fare. Poi, ovviamente, le dimensioni fisiche e le capacità faranno sì che alcuni corridori forse un giorno saranno capaci di vincere il Tour rispetto, ad esempio, a me. Sappiamo tutti che la Francia è una grande Nazione nel ciclismo, ma alla nostra età è difficile immaginarlo, dire: «Ok, un giorno forse vincerò il Tour de France». E’ un obiettivo così alto che quando sei giovane e vuoi emergere, è meglio non averlo troppo in giro per la testa.

Cataldo racconta Skjelmose, il nuovo bambino terribile

27.02.2023
5 min
Salva

Ha solo 22 anni, lo scorso anno si era messo in mostra sorprendendo tutti al Giro del Lussemburgo, portando a casa tappa e classifica finale. Quest’anno è partito alla grande, con vittorie all’Etoile de Besseges e al Tour des Alpes Maritimes e il podio alla Faun-Ardeche Classic di sabato dietro Alaphilippe e Gaudu, ma soprattutto con una condotta di gara sempre all’attacco, giorno dopo giorno, com’è solito fare un certo Tadej Pogacar. Il suo nome è Mattias Skjelmose e sul suo conto c’è molto da dire.

E’ alla Trek Segafredo dal 2020, nel team è entrato in piena era Covid, è stata una scommessa che lo squadrone americano ha voluto fare a tutti i costi seguendo da tempo questo ragazzo, sin da quando era ragazzino.

«Era stato Kim Andersen a portarlo in squadra – ricorda Dario Cataldo – lo teneva d’occhio sin dalle categorie giovanili. I suoi risultati e soprattutto il suo comportamento in gara dimostrano che aveva colto nel segno».

Podio alla Faun-Ardeche Classic, primo inseguitore di Alaphilippe e Gaudu
Podio alla Faun-Ardeche Classic, primo inseguitore di Alaphilippe e Gaudu
Tu sei uno dei più esperti in carovana, che cosa ti ha colpito di lui?

Ha una straordinaria determinazione e voglia di emergere, è difficile vedere uno così giovane tanto attento a ogni aspetto della nostra professione: l’allenamento, l’alimentazione, la cura della bici. Non molla mai la concentrazione e s’impegna sempre al massimo, ha una maturazione soprattutto mentale inconsueta per la sua età.

C’è qualcosa da cui si desume che è così giovane?

Beh, in gara in certi frangenti è ancora un po’ acerbo, soprattutto nella lettura della corsa, ma sarebbe strano il contrario considerando i suoi 22 anni. Un esempio si è visto lo scorso anno al Giro: era partito motivatissimo, voleva spaccare il mondo e puntava apertamente alla maglia bianca, ma poi ha capito che una corsa di tre settimane è qualcosa di molto diverso da come se la aspettava. Ma è stata un’esperienza utile, ha imparato.

Due vittorie in Francia per il giovane Skjelmose, 22enne di Copenhagen già primo in Lussemburgo nel 2022
Due vittorie in Francia per il giovane Skjelmose, 22enne di Copenhagen già primo in Lussemburgo nel 2022
Che corridore è Mattias?

Uno scalatore, ma di quelli di nuovo stampo, con un buon spunto veloce. Anzi è proprio su questo punto che deve lavorare, perché spesso da giovani si hanno punte di velocità che poi si perdono nel corso della carriera, lui deve lavorare per mantenerlo pur progredendo in salita. Io dico che ha un gran motore, è quasi un ibrido, di quelli che possono far bene sia nelle classiche che nei grandi Giri, deve solo maturare tatticamente.

E’ un giovane che ascolta?

Tantissimo, è molto attento, rispettoso, accetta i consigli. E’ chiaro che un po’ dell’esuberanza tipica della sua età c’è, qualche piccolo peccato di presunzione può anche capitare, ma è uno che accetta le critiche, analizza che cosa ha sbagliato insieme ai tecnici e ai più anziani, recepisce e applica. E’ consapevole che per crescere bisogna anche saper ascoltare.

Cataldo è chiamato spesso a guidarlo, nelle fasi di approccio alle salite
Cataldo è chiamato spesso a guidarlo, nelle fasi di approccio alle salite
In questo momento qual è la sua dimensione ideale?

Quella delle brevi corse a tappe, come si è visto anche in questo avvio di stagione. La cosa importante è che faccia di queste corse non un fine, ma un mezzo. Spesso gli faccio l’esempio di Richie Porte, grandissimo corridore, forse il miglior interprete nelle corse a tappe brevi per un buon periodo di tempo, ma nei grandi Giri ha sempre faticato, trovando il podio solo a fine carriera. Lui deve usarle per maturare, per affinare la sua resistenza.

In queste due stagioni ti sei trovato con lui in gara, a gestirlo, accompagnarlo in salita?

Beh, in salita ormai, per tenere il passo dei più forti devi essere anche tu uno scalatore. Nelle salite importanti, nei frangenti importanti ci sono anche altri deputati a sostenerlo, ma capita nel corso della gara di affiancarci, guidarlo, indirizzarlo. Io cerco di portarlo nelle migliori condizioni all’attacco delle salite. Lui segue molto, ma non per imposizione. E’ capace anche di prendere le sue iniziative, di muoversi nel gruppo anche se è stressante e qualche volta si vede che morde un po’ il freno.

Per il danese della Trek Segafredo un Giro ’22 buono (40°), ma non come sperava
Per il danese della Trek Segafredo un Giro ’22 buono (40°), ma non come sperava
Per emergere nelle corse a tappe serve affinare le sue doti a cronometro. Come se la cava?

Non è uno specialista, quindi ci deve lavorare, non ha neanche avuto molte occasioni per cimentarvisi. E’ però molto attento, guarda alla posizione in bici e a tutti quei piccoli ma fondamentali aspetti che servono a limare secondi. Ci si sta dedicando, per questo attende con molta curiosità le occasioni contro il tempo che verranno.

E fuori gara com’è?

Molto socievole, con tanti interessi, ci si sta bene insieme, si è integrato con tutti. Soprattutto è di carattere, non posso dimenticare un episodio dello scorso anno. In discesa era caduto da un dirupo, davvero brutta roba: quando è tornato su era pieno di lividi ed escoriazioni, dall’ammiraglia volevano controllare le ferite, lui invece smaniava per avere la bici e ripartire. E’ fatto così…

Ferron, Axel Laurance e quel ponte. Una storia a lieto fine

11.02.2023
5 min
Salva

Momenti. Pochi secondi. Attimi nei quali tutta la tua vita ti passa davanti. A Valentin Ferron è capitato pochi giorni fa. Era il 3 febbraio, seconda tappa dell’Etoile de Bessèges, a 24 chilometri dalla conclusione. Un momento era in bici a controllare la corsa, in mezzo al gruppo. Neanche qualche secondo dopo era sul bordo del ponte, ma non affacciato ad ammirare il panorama, no, appeso con le braccia al parapetto, le gambe penzoloni, con il forte rischio di cadere senza sapere che cosa ci fosse sotto.

Oggi Ferron ci ride sopra, divertito da quelle immagini che si ripetono di continuo su Internet senza soluzione di continuità. Allora però non rideva. In quei secondi gli è passato davanti di tutto: gli inizi in bici, il seguire la sua passione trovando approdo a 19 anni nel Vendee U Pays de la Loire, i lunghi anni di apprendistato alla TotalEnergies dove milita dal 2019 e con la quale ha conquistato una tappa al Tour du Rwanda nel 2021 e al Delfinato l’anno successivo. Tutto bello, tutto giusto, ma rischiava di finire tutto anzitempo.

L’ultimo successo del 25enne di Vienne, all’ultimo Giro del Delfinato
L’ultimo successo del 25enne di Vienne, all’ultimo Giro del Delfinato

Una tragedia scampata

Il ciclismo non è nuovo a storie tristi. Ne abbiamo raccontate fin troppe sulle strade. In corsa, come Simpson cotto dal sole del Ventoux o Casartelli su quel maledetto paracarro del Portet d’Aspet. Fuori corsa, come le scomparse di Scarponi e Rebellin che gridano ancora vendetta. Di raccontarne un’altra, francamente si faceva anche a meno. Ferron rischiava di essere l’ennesimo, l’ultimo prima che la serie riprendesse.

E’ stato proprio lui a raccontare come tutto è successo, appena dopo l’arrivo di tutta la carovana e la neutralizzazione della corsa (foto di apertura). Con voce calma, ma quel leggero tremolio faceva capire che dentro, la paura ancora era padrona del suo corpo.

«C’è stato un grosso incidente mentre eravamo sul ponte – racconta – io sono rimasto coinvolto, poi altri corridori da dietro si sono ammucchiati su di noi. Sembravano non finire mai, come un’onda del mare. Io sono stato spinto sulla destra contro il muro, poi mi sono staccato dal suolo e riversato oltre. Neanche mi sono accorto di come sono finito fuori dal ponte…».

Una voce indimenticabile

Secondi interminabili, aspettando che qualcuno si accorga della situazione. Ma da quel caos di uomini misti a carbonio e tubolari, trovare qualcuno che riuscisse nel bailamme a sentire la sua voce non era semplice.

«Era una brutta situazione – dice – solo dopo mi sono accorto che il ponte non era poi così alto. Ma se fossi caduto, come minimo mi facevo molto male a caviglie e ginocchia. E io con le gambe ci lavoro… In quei momenti è difficile mantenere la calma. A un certo punto ho sentito una mano che con forza mi ha preso e mi ha tirato su, non dimenticherò mai quella voce».

Quella voce era di Axel Laurance, uno dei tanti coinvolti, uno dei giovani appena passati al team Devo dell’Alpecin Deceuninck, che era stato chiamato proprio per la corsa francese a rinforzare la squadra maggiore. Un esordio fra i pro’ davvero indimenticabile, ma per motivi inaspettati.

«Ho cercato di liberarmi dal groviglio prima possibile – ricorda – avevo visto che nella caduta qualcosa era andato storto. Il ponte era abbastanza stretto e i bordi non così alti. Ho sentito gridare e mi sono accorto che Valentin non era in una bella situazione. Lì non pensi certo a chi sia, a che maglia indossi, se è un compagno di squadra. In quei frangenti il ciclismo passa in second’ordine, eravamo uomini coinvolti nello stesso casino».

Un sorridente Laurance all’arrivo della tappa “incriminata”. Un giorno da ricordare
Un sorridente Laurance all’arrivo della tappa “incriminata”. Un giorno da ricordare

Alla fine fortunato

Quelle mani lo afferrano, forse per l’adrenalina, forse per quella voglia di dire no a un destino infausto, Axel lo tira su quasi fosse un fuscello. Altri si accorgono, si precipitano a dare una mano. Ferron è in salvo.

«Alla fine sono stato fortunato – sentenzia davanti ai giornalisti – c’è chi in quella baraonda se l’è passata peggio di me». Il riferimento è ai due principali infortunati della gigantesca caduta, Lars Van den Berg con una frattura al gomito e Ben Healy che si è rotto una mano.

Di fatto la corsa è finita lì. Claudine Fangille, che ha raccolto l’eredità dal padre nell’allestimento della prima corsa a tappe francese dell’anno, non ha avuto dubbi nella scelta: «I corridori erano rimasti fermi per più di 10 minuti, erano ormai freddi e non aveva più senso ripartire. Tanto più che le 3 ambulanze al seguito della gara avevano dovuto lasciare la carovana per portare i feriti al più vicino ospedale, non c’erano quindi le condizioni di sicurezza per far ripartire la corsa».

La volata della terza tappa. Ferron è subito protagonista, ma De Lie lo priva del successo
La volata della terza tappa. Ferron è subito protagonista, ma De Lie lo priva del successo

Senza quel De Lie…

Capita anche che le storie più difficili possano avere un lieto fine. Ferron nella notte ha messo da parte tutte le paure e il giorno dopo è tornato in carovana come se nulla fosse, anzi si è messo a battagliare fino alla volata finale è c’è voluto il sontuoso Arnaud De Lie di questo inizio stagione per togliergli quella vittoria che avrebbe avuto un sapore particolare. In mezzo al gruppo, 33°, arrivava Laurance, la sua vittoria più bella l’aveva avuta 24 ore prima…

Dalla KTM alla Bianchi: Luca Mozzato e la nuova Oltre

08.02.2023
7 min
Salva

Da un paio di giorni Luca Mozzato è sull’Etna, cercando di dribblare la perturbazione annunciata sul vulcano e preparando nel frattempo la Kuurne-Bruxelles-Kuurne, dopo il debutto all’Etoile de Besseges. Il vicentino è approdato alla Arkea-Samsic (che giusto ieri ha annunciato il prolungamento della sponsorizzazione fino al 2025) dopo la chiusura della B&B Hotels ed ha avuto veramente poco tempo per abituarsi alla nuova squadra.

«A livello generale – spiega – non ho trovato grosse differenze. Gli ambienti sono molto simili, il modo di lavorare, la mentalità sono un po’ quelle. Poi ovviamente ci sono delle cose che funzionano meglio, altre che funzionano un po’ peggio, però mi trovo bene. Quello che è successo alla vecchia squadra è stato una bella bastonata. Zero preavviso, era da metà stagione che si parlava di questo gran progetto. Invece da quello che si è capito, erano stati presi degli accordi senza avere niente di scritto. E noi siamo rimasti in mezzo alla strada».

Luca Mozzato ha 24 anni, è alto 1,78 e pesa 67 chili. Dal 2023 è alla Arkea-Samsic. E’ pro’ dal 2020
Luca Mozzato ha 24 anni, è alto 1,78 e pesa 67 chili. Dal 2023 è alla Arkea-Samsic. E’ pro’ dal 2020

La curiosità che ci ha spinto a cercare Mozzato riguarda il passaggio dalla KTM Revelator Alto alla nuova Bianchi Oltre, di cui avevamo già parlato con Warren Barguil, ricordando che da junior Mozzato aveva già usato le bici Bianchi alla Contri Autozai.

«Mi aspettavo di prenderla in ritiro – racconta – solo che la mia situazione è stata gestita molto in fretta, quindi a dicembre la bici non era ancora pronta. Mi è arrivata a casa ai primi di gennaio, già montata nella scatola. Ho dovuto solo stringere due viti e poi era pronta da usare».

E’ stato difficile abituarsi?

E’ tanto diversa dalla KTM, però sono uno che non ci mette tanto ad abituarsi ai cambiamenti. Abbiamo fatto piccoli interventi sulla posizione. Avendo lo sterzo tanto più basso, sono riuscito ad abbassarmi parecchio. Già in precedenza avrei voluto essere più aerodinamico, ma non era possibile perché avevo lo sterzo in battuta. Quindi non c’erano spessori da togliere e non riuscivo ad andare più in basso.

Non potevi mettere un attacco con l’angolo negativo?

L’ho sempre avuto così, infatti, almeno finché c’erano cannotti della forcella rotondi, per cui si riuscivano a montare attacchi di tutte le misure e tutti gli angoli. Invece nell’ultimo periodo, ogni marchio sta provando a fare dei pezzi esclusivi, soprattutto attacco manubrio e reggisella. Ormai sono personalizzati per ciascun telaio, quindi non è facile fare certe variazioni.

Come si comporta la nuova bici?

Sono contento. Stando in mezzo al gruppo nelle prime gare, la sensazione è che quando si va veramente forte, quindi sopra i 45-50 orari, la bici sia veramente veloce. Magari non si lancia proprio subito, però una volta che ha raggiunto la velocità di crociera, senti che la tiene bene.

Merito delle ruote o del telaio?

Del pacchetto completo. Sentendo parlare gli altri che lo scorso anno avevano già Shimano, vedo che anche loro globalmente sono contenti. Al momento ho preso un paio di ruote abbastanza standard, le Shimano da 50 millimetri. Non ho ancora fatto tapponi di alta montagna o grandi piattoni, per cui con quelle da 50 si va dovunque. Magari il giorno in cui andremo alla Scheldeprijs, che è un biliardo, allora magari potrò partire con le ruote da 60 o anche più alte. Quando invece ci sarà in ballo una tappa del Giro con 4.000 metri di dislivello, magari passerò alle ruote da 30.

Hai provato a fare qualche volata?

E’ molto reattiva, almeno io ho la sensazione che nel momento in cui sprigioni la forza oppure quando esci di ruota, la bici acceleri velocemente

I corridori dell’Arkea, qui all’Etoile des Besseges, hanno offerto buoni feedback sulla nuova Oltre
I corridori dell’Arkea, qui all’Etoile des Besseges, hanno offerto buoni feedback sulla nuova Oltre
E’ tanto diversa dalla Bianchi che avevi da junior?

Sono due concetti diversi. Da junior usavo principalmente la Bianchi Sempre, un modello abbastanza ibrido. Invece per il mondiale a Doha, la squadra, mi aveva fornito una delle prime Oltre XR4 che era appena uscita. Già allora si cominciava a spingere verso la ricerca dell’aerodinamica e quella era una bici veloce, anche se non leggerissima. Se ben ricordo, era più verso gli 8 chili, però in pianura andava forte. Non ho in mano tutti i dati, sono sensazioni personali, però secondo me rispetto ai modelli precedenti, la nuova Oltre è ancor più polivalente. Magari è un po’ meno reattiva sul fatto di alzarsi in piedi in salita, però sui tratti pedalabili, a velocità intorno ai 20-25 e pendenze fra il 4 e il 6 per cento, senti che la bici va.

Secondo te è una bici con cui potresti fare anche le corse del Nord?

E’ una bella domanda, perché soprattutto per la parte anteriore, quindi la forcella e il manubrio integrato, potrebbe essere un problema. Proprio in questi giorni, un gruppo di corridori con dei tecnici Bianchi sono andati a fare dei test sulle strade del Nord. Hanno fatto ricognizioni sul percorso della Gand, di Harelbeke e della Roubaix, per provare due o tre tipologie differenti di telaio, le ruote, le pressioni, forse anche il manubrio. E quindi a seconda di quello che concluderanno, avremo le informazioni per partire il più preparati possibile.

Usi le ruote con tubeless, tubolari o copertoncini?

Ci lasciano liberi. Io negli ultimi tre anni ho usato il tubeless e mi sono sempre trovato bene. In ritiro a gennaio ho provato il tubolare per 2-3 giorni e la sensazione è stata completamente diversa. La prima uscita è stata non dico traumatizzante, però ti rendi conto che a parità di velocità, le sensazioni sono completamente diverse. Il tubolare è molto più diretto, il tubeless, anche a livello di tenuta, ti perdona qualcosa di più. Secondo me è dovuto anche al fatto che il tubeless si può gonfiare meno, quindi quando ci sono piccole sconnessioni dell’asfalto, hai una maggiore tolleranza. Così sono tornato al tubeless.

Nel ritiro di gennaio, Mozzato ha usato ruote con tubolari, ma ha preferito rimanere sulla scelta dei tubeless
Nel ritiro di gennaio, Mozzato ha usato ruote con tubolari, ma ha preferito rimanere sulla scelta dei tubeless
Quindi si guida anche meglio?

In discesa soprattutto, fra le curve la bici dà grande fiducia. Prima avevo spesso l’impressione di andare molto più forte, nel senso che sentivo di essere spesso vicino al limite di sicurezza. Invece adesso ho l’impressione che la bici ti dia talmente tanta fiducia, che nelle parti guidate e nelle curve veloci ti spinga maggiormente verso il limite e di fatto vai più forte. Il problema è che quando ti molla, magari ti molla forte.

Hai cambiato anche sella e pedali?

Ho cambiato tutto. Per la sella sono su un modello standard di Selle Italia, la SLR classica col buco e al momento mi trovo bene. Per i pedali sono tornato a Shimano dopo tre anni con Look e non ho faticato a riabituarmi.

Tornando alla posizione, visto che ti sei abbassato, ti sei anche allungato?

In teoria sarebbe così, ma il telaio è un po’ più corto, quindi di conseguenza la distanza fra sella e manubrio rimane molto simile. Poi ovviamente c’è stato qualche aggiustamento sia a livello di arretramento che di altezza di sella, però si parla di millimetri. Due anni fa ho avuto un fastidio al ginocchio, quindi l’idea per quando vado a toccare la posizione è di non stravolgerla mai. Piuttosto meglio cambiare poco a poco.

Quindi contento della nuova bici?

In squadra siamo tutti veramente contenti. L’arrivo di Bianchi è stato proprio una bella notizia. Quando è arrivata l’informazione, abbiamo cominciato a vedere qualche video e abbiamo visto che c’era questo progetto nuovo. Sembra che ci abbiano investito parecchio e che ci siano delle idee innovative che funzionano. 

Il mondo nuovo di Verre tra campioni e staff giganti

19.02.2022
6 min
Salva

«E’ tutto un altro mondo, tutta un’altra organizzazione nella squadra, tutto un altro modo di correre e di stare in gruppo». Alessandro Verre ci racconta il suo approccio con il circus dei professionisti e del professionismo. Un mondo che in qualche modo lo ha già rapito.

Il lucano è passato nella fila dell’Arkea-Samsic e ci racconta questi primi passi con entusiasmo. Lo stesso che aveva ai tempi della Colpack-Ballan, anche se con la sua timidezza magari non lo dava a vedere.

Verre (maglia lunga nera) alla Comunitat Valenciana 1969, la sua prima gara da pro’ con l’Arkea-Samsic
Verre (maglia lunga nera) alla Comunitat Valenciana 1969, la sua prima gara da pro’ con l’Arkea-Samsic

Gruppo più rispettoso

«Il modo di correre rispetto ai dilettanti è molto più tranquillo – spiega Verre – in gruppo c’è più rispetto. Ognuno di noi ha un ruolo assegnato prima del via e sa quello che deve fare. Tra dilettanti anche se si fa la riunione prima di partire c’è chi cerca un po’ il risultato, c’è sempre qualcuno che fa il furbo.

«E poi c’è proprio più rispetto tra avversari. Per esempio, quando c’è un ostacolo tutti lo chiamano, tutti lo segnalano. Aumenta la sicurezza e c’è una certa solidarietà in merito».

L’Arkea-Samsic ha già lasciato un po’ di spazio a Verre. E’ accaduto nella tappa del Mont Bouquet all’Etoile di Besseges, nonostante il capitano Connor Swift fosse messo bene in classifica. Eppure questa possibilità di potersi giocare le sue carte così presto non ha sorpreso del tutto Alessandro.

«Me lo aspettavo sì e no – confida Verre – In ritiro avevo visto che stavo bene, ma non sapevo quali fossero i miei limiti, specie in corsa. Però mi ero reso conto che avevo tutt’altra gamba rispetto a quando ero a casa. Lo sentivo quando si alzava il ritmo e rientravo in hotel in buone condizioni. Sarà che stando a casa da solo un po’ mi “finivo” in allenamento. In ritiro invece ci si alterna in testa, a volte si molla un po’».

Alessandro stremato all’arrivo di Le Mont Bouquet all’Etoile de Besseges (foto Instagram – F. Machabert)
Alessandro stremato all’arrivo di Le Mont Bouquet all’Etoile de Besseges (foto Instagram – F. Machabert)

Piedi per terra

Alessandro si è concentrato molto su se stesso. Ha fatto spesso il confronto con le sensazioni rispetto all’anno precedente. E queste sensazioni erano buone. Ma alla Comunitat Valenciana 1969 in cui c’erano molte squadre WorldTour la fatica si è fatta sentire.

«Eh sì – racconta Verre – è cambiata la musica con tante squadre WorldTour in gara. Però è anche vero che essendo noi una professional avevamo meno responsabilità di fare la corsa. Il lavoro spettava ad altri, tuttavia bisognava cercare di fare risultato lo stesso».

Verre ha fatto il suo. Non ha mancato le consegne dategli dal team e in gruppo ci stava benone. E questi sono segnali molto importanti. Segnali che danno fiducia al corridore e al team nei confronti del ragazzo. Magari pensando anche a convocazioni per gare più prestigiose che non erano in programma.

Verre (maglia Colpack-Ballan) durante l’ultimo ritiro ha sentito ottime sensazioni e ha capito di essere sulla strada buona (foto Instagram)
Verre (maglia Colpack-Ballan) durante l’ultimo ritiro ha sentito ottime sensazioni e ha capito di essere sulla strada buona (foto Instagram)

Voglia di Giro

In questi giorni si parla del probabile forfait dell’Arkea-Samsic al Giro d’Italia. Un Giro che piaceva moltissimo a Verre con la settima tappa che passava davanti l’uscio di casa sua. Fare il Giro nell’anno in cui diventi pro’ è un piccolo sogno. E forse un sogno dovrà rimanere.

«Quello che so su questo argomento l’ho letto dai giornali e dai siti – dice Verre – all’interno del team non ne abbiamo parlato. Se lo vorrei fare? Certo che sì! I francesi non so, loro tirano tutti a fare il Tour, ma tutti gli altri ragazzi sono certo vorrebbero facessimo il Giro. Se ci saremo o no, sinceramente non so rispondere a questa domanda».

Ragionando dunque su quel che c’è di concreto rivedremo Verre all’Ardeche e a Laigueglia, che tra l’altro disputò anche lo scorso anno con la Colpack-Ballan.

«Andiamo per gradi comunque. Già nelle ultime gare ero un po’ affaticato, non stavo benissimo. Non ci sono ancora del tutto abituato a fare tante corse e a questa nuova vita. Ormai torno a casa tre giorni e poi riparto».

Già in Colpack-Ballan Alessandro gestiva con cura il pasto di recupero dopogara. Eccolo al Val d’Aosta 2021
Già in Colpack-Ballan Alessandro gestiva con cura il pasto di recupero dopogara. Eccolo al Val d’Aosta 2021

Cuoco, coach e nutrizionista

Torniamo al viaggio del neopro’. Delle sue “scoperte”. Verre riprende il discorso dell’organizzazione così curata. Racconta di quanto tutto sia ben strutturato e ogni cosa ponderata.

«La programmazione della giornata è sempre ben cadenzata e definita – dice il lucano – Il programma arriva già la sera prima e poi in corsa ognuno sa già cosa deve fare, più o meno. Anche il dopocorsa è deciso: i trasferimenti, le navette per dirigersi agli aeroporti, il cibo…

«A Besseges per la prima volta abbiamo avuto il cuoco con il camion cucina al seguito. E i nutrizionisti e i medici che ci seguivano passo passo. Siamo controllati su tutto. Cose che ero abituato a vedere in tv e che mi sono ritrovato a vivere in prima persona.

«Il nutrizionista ci fa un piano strategico personalizzato per l’intera giornata, dalla colazione al pranzo, dalla corsa al dopocorsa per il recupero, coi famosi 6 grammi di carboidrati per chilo a corridore. La mattina dopo ci pesano e ci fanno la plicometria per vedere le variazioni col passare dei giorni di gara».

A livello di alimentazione Verre fa un bel paragone. In linea di massima si gestisce nello stesso modo, ma in corsa, dice, mangia più rice cake.

«Il dopo corsa è molto simile a quel che mangiavo da under 23. Ci sono anche le caramelle gommose! La cosa con la quale stiamo ancora facendo delle prove semmai è la colazione con il porridge e l’avena, ma io sono più da pasta! Mi riempie di più e anche in corsa sento una gamba diversa, più piena.

«In squadra abbiamo la fortuna di avere a tavola anche l’olio extravergine italiano, anche se io comunque mi adatto abbastanza e non ho mai avuto problemi con il cibo e con il peso. Ho notato invece che i francesi utilizzano moltissimo il burro. Quello che per noi è pane e olio, per loro è pane e burro».

Verre (classe 2001) ha firmato questa estate con l’Arkea-Samsic (foto Instagram – F. Machabert)
Verre (classe 2001) ha firmato questa estate con l’Arkea-Samsic (foto Instagram – F. Machabert)

Affacciato sui campioni

Il sogno di Alessandro Verre è appena partito. Il ragazzo di Marsicovetere piano piano si sta affacciando sempre di più nel mondo dei grandi. Si tratta di acquisire sicurezza, fare e rifare, provare, sbagliare, capire. In una parola: esperienza. E a proposito di affacciarsi…

«In queste prime gare – racconta Verre – eravamo nello stesso hotel della Ineos-Grenadiers. Dalla finestra ho visto Ganna e Carapaz e mi sono detto: cavolo, sono a correre con loro. Mi sono emozionato. Poi in corsa per fortuna sono stato più tranquillo e tutto è stato più “normale”.

«Ma c’è una cosa che mi ha colpito. Un giorno, dopo che è partita la fuga, in testa al gruppo si è fatto il “barrage” e anche io sono andato davanti. Mi sono spostato su un lato e sono capitato vicino a Trentin e lui mi ha fatto: “Allora, giovane, com’è? Come ti sembra?”. “Eh – ho sospirato – è un altro mondo”, gli ho detto. E lui si è fatto una risata».

Coquard 2022

Arriva il nuovo Coquard, non più solo un velocista…

19.02.2022
4 min
Salva

Tra coloro che hanno già vinto più volte in questo avvio di stagione c’è Bryan Coquard, ma i suoi due successi, all’Etoile de Besseges (nella foto di apertura complimentato da Mads Pedersen) e al Tour de la Provence, hanno un sapore speciale. Soprattutto il primo e quando ci ripensa, un sorriso beffardo si disegna sul suo volto. Non era stata una mattinata facile, quella della partenza della seconda tappa: Cedric Vasseur, il team manager della Cofidis, era arrivato alla partenza molto nervoso, non aveva chiuso occhio la notte per come la squadra aveva gestito la tappa precedente. Bisognava dargli una risposta sul campo.

Di risposte ne doveva a tanti. Anche a Jerome Pineau, manager della B&B Hotels, la sua squadra precedente. C’era stato per quattro anni e non ha mai nascosto di essersi trovato molto bene nel team professional, ma a 29 anni era arrivato il tempo di giocarsi le sue carte nel WorldTour.

«Sapevo di rischiare – affermerà nel dopo tappa – ma era importante per me salire di livello per trovare un programma di gare sicuro, importante. Dovevo affrontare la stagione su una base di serenità. L’ultimo anno è stato duro, venivo da 551 giorni senza vittorie e non nascondo che mi è pesato molto, una vera frustrazione».

Coquard Cofidis 2022
Nato il 25 aprile 1992, Coquard vanta finora 40 successi. E’ stato argento olimpico nel 2012 nell’omnium
Coquard Cofidis 2022
Nato il 25 aprile 1992, Coquard vanta finora 40 successi. E’ stato argento olimpico nel 2012 nell’omnium

La nuova preparazione

Per lui, come per i suoi nuovi compagni di squadra, è una stagione delicata, Vasseur era stato chiaro con il bisogno di risultati e di vittorie per mantenere la squadra in “Serie A”. Coquard non si è spaventato, perché quell’esigenza generale è anche la sua particolare.

«Voglio rifarmi più e più volte. Il mio sogno – ha detto – è centrare una tappa al Tour de France, ma voglio arrivare alla Grande Boucle con il carniere già pieno e ci sono appuntamenti che ho già nel mirino: la Parigi-Nizza, la Milano-Sanremo, l’Amstel Gold Race sono tutte gare che il “nuovo” Coquard può centrare».

Già, il nuovo Coquard. Da che cosa deriva questa forza, questa competitività anche in corse alle quali prima si presentava senza grandi velleità? C’è una componente psicologica, sicuramente, ma anche una tecnica. Bryan ha cambiato modo di preparazione e il suo è l’esempio lampante di come la vita dei velocisti sia cambiata.

«E’ un nuovo modo di allenarmi che ho trovato entrando in Cofidis e ne sono felice – ha raccontato a DirectVelo – Ho continuato sì a lavorare sugli sprint, ma principalmente mi sono concentrato sugli allenamenti in salita, per abbinare all’esplosività la resistenza e i risultati sono stato evidenti. Nella mia prima vittoria, sapevo che la squadra doveva lavorare per proteggere Benjamin Thomas che puntava alla generale e così mi sono dovuto inventare la volata. C’era uno strappo finale, mi sono ritrovato allo scoperto molto presto e su un tratto duro, ma ho resistito e ce l’ho fatta».

Coquard Besseges 2022
Lo sprint vincente all’Etoile de Besseges. Battuto Mads Pedersen, chiusi 551 giorni di astinenza
Coquard Besseges 2022
Lo sprint vincente all’Etoile de Besseges. Battuto Mads Pedersen, chiusi 551 giorni di astinenza

E Vasseur sorrise…

Vasseur, lo stesso Vasseur accigliato del mattino si scioglieva in un grande sorriso all’arrivo: «Bryan aveva bisogno di fiducia – ha detto – e noi non gliel’abbiamo mai negata, sa che è arrivato qui con tante aspettative sue ma anche nostre, è un pezzo importante del nostro mosaico. Voleva vincere rapidamente e c’è riuscito ma non si fermerà qui».

Infatti, una settimana dopo si è ripetuto e la sua collezione non è minimamente completa. Coquard è concentrato sul da farsi e non si è lasciato trascinare nella polemica, come detto con la B&B l’addio non è stato indolore.

«Io non ho detto una parola – ha spiegato – anche se ci sono rimasto male, ma non mi piace fare polemiche. Volevo rispondere non con le parole, ma in bici. E credo che le persone interessate capiranno».

Coquard Provence 2022
La vittoria nella seconda tappa del Tour de la Provence, battendo due campioni come Alaphilippe e Ganna
Coquard Provence 2022
La vittoria nella seconda tappa del Tour de la Provence, battendo due campioni come Alaphilippe e Ganna

Mirino sul Belgio

«Io sono una persona umile – ha continuato il ciclista di Saint Nazaire – con un grande rispetto per questo lavoro. Quando ho firmato il contratto mi sono assunto una grande responsabilità, volevo entrare in squadra in maniera positiva, costruendo subito un equilibrio utile perché se ne potessero giovare tutti. Le vittorie in tal senso aiutano molto, è chiaro».

La stagione sarà lunga. La Cofidis ha preparato per lui un calendario ricco di occasioni, con un continuo andirivieni dal Belgio: le primissime classiche come Omloop Het Nieuwsblad e Kuurne-Bruxelle-Kuurne. Poi, dopo la Parigi-Nizza e la Sanremo, di nuovo la Gand-Wevelgem, un ritorno in Francia e l’appuntamento del 13 aprile alla Freccia del Brabante. Tutti traguardi che il “nuovo” Coquard può anche far suoi, con condotta giudiziosa e un po’ di fortuna. D’altronde lo ha detto chiaramente, ha una fame di vittorie difficile da estinguere. E Vasseur si sfrega le mani…

Besseges, il terzo giorno a Baroncini s’è accesa la riserva

08.02.2022
5 min
Salva

L’altra faccia giovane dell’Etoile de Besseges, complementare a quella di Johannessen e Tiberi raccontata stamattina, è il debutto di Baroncini. Filippo è un neoprofessionista e, come il norvegese, lo scorso anno ha lasciato il segno fra gli U23 vincendo il mondiale di Leuven. Ha però un anno in meno e uno più di Tiberi, con cui condivide la maglia della Trek-Segafredo.

Il suo inverno era cominciato con una tendinite al ginocchio che lo ha bloccato per due settimane e alla corsa francese non doveva neppure andarci. Poi la positività di un compagno al Covid ha costretto la squadra a rivederne i piani. E il battesimo, originariamente previsto il 10 febbraio al Tour de la Provence, è stato anticipato di otto giorni. Ugualmente in Francia. La risposta alla prima domanda dà l’idea del clima di festa…

La squadra ha lavorato per Skujins dopo che Pedersen ha ceduto sul Mont Bouquet
La squadra ha lavorato per Skujins dopo che Pedersen ha ceduto sul Mont Bouquet
Come è andato il debutto?

Bene, a pecora per tutto il tempo (ride, ndr), però me lo aspettavo. Un po’ perché il livello era comunque alto, un po’ perché sono stato chiamato all’ultimo e mi sono mancati quei 10 giorni di rifinitura prima del debutto. Ma va bene così, sono contento di aver rotto il ghiaccio. Il ginocchio è a posto, si guarda avanti.

Livello tanto alto?

Abbastanza, per questo sono soddisfatto di me. Il primo giorno mi sono mosso bene nel ventaglio con Pedersen e gli altri. Il secondo ho tirato tutto il giorno perché Mads ci teneva a conservare la maglia e nel finale un po’ ho sofferto. Il terzo giorno ho tirato meno, ma più intensamente e si è accesa la riserva. Non sono al top. D’inverno soffro sempre un po’ a trovare la condizione. Ma poi quando carburo, mi dura a lungo.

Credi che il problema al ginocchio ti abbia rallentato?

Ho perso due settimane di allenamento che in un periodo di un mese e mezzo si sentono. Poco male, vorrà dire che avrò forze fresche più avanti.

In squadra come va?

Mi trovo molto bene, c’è tranquillità anche fra compagni, ma al contempo si lavora davvero al massimo livello. Il mio obiettivo principale di questa parte di stagione saranno le prime classiche del Belgio, dove non ci saranno Pedersen e gli altri, che entreranno in azione più avanti.

Stai parlando di Het Nieuwsblad?

Quelle lì e tutte le classiche fiamminghe che portano al Fiandre. Per allora dovrò tirare fuori un po’ di gamba e sono sicuro che arriverà. Andrò all’Algarve e troverò caldo e tappe lunghe che mi torneranno utili, anche per la Strade Bianche in cui mi piacerebbe farmi vedere.

Baroncini e Tiberi, due italiani giovani che hanno scelto la Trek-Segafredo per crescere
Baroncini e Tiberi, due italiani giovani che hanno scelto la Trek-Segafredo per crescere
Come è cambiata rispetto allo scorso anno la quotidianità alle corse?

Mi sembra tutto molto più rilassato. Le tappe partono più tardi, quindi la sveglia è tranquilla. Troviamo tutto pronto sul bus, possiamo lasciare su le scarpe e il casco che da dilettanti dovevamo portarci in albergo. Il bus è davvero una seconda casa, ha tutti i comfort…

Che effetto fa arrivare ai raduni e vedere la gente che vi aspetta?

E’ divertente, ci pensavo l’altro giorno. Li vedi sotto che fanno quelle facce di ammirazione e incuriosite. Ci fa sentire importanti.

I francesi sanno presentare bene i corridori, quante volte hanno raccontato del tuo mondiale?

Ogni giorno alla partenza, nell’intervista, e questo viene davvero apprezzato molto dal pubblico. Io sono un freddo, certe cose fanno piacere, ma per fortuna non si trasformano in pressione. Mi fanno sorridere, però.

Sul bus si fa anche la riunione prima di partire?

L’abbiamo fatta tutti i giorni tranne l’ultimo. Tatticamente ci siamo giocati la doppia opzione di Pedersen all’inizio e poi di Skujins che è stato bravo a rimanere in classifica. Sapevamo che nell’arrivo in salita Mads non avrebbe retto.

A proposito di crono, l’hai fatta forte o per portare la bici al traguardo?

L’ho fatta forte, non avevo mai spinto tanto forte con la nuova bici. Ho avuto buone sensazioni e buoni wattaggi, certo non al livello di Ganna (Filippo ha chiuso a 1’15” dal piemontese che ha vinto, ndr), ma sapevo che avrei sofferto perché 5 chilometri per me sono pochi. Distanza da prologhi, in cui soffro sempre. Ma voglio lavorarci, dedicarmi ad aumentare la capacità lattacida. Invece nelle crono lunghe per ora posso difendermi meglio e quella dell’Algarve sarà lunga 32 chilometri e sono curioso di provarci.

Nella crono, Baroncini ha pagato dazio a Ganna, ma i 5 chilometri erano pochi per le sue qualità
Nella crono, Baroncini ha pagato dazio a Ganna, ma i 5 chilometri erano pochi per le sue qualità
Come va sulla bici?

Bene, ho riportato le misure e non ho pensato di cambiarle, perché mi sembrano a posto così.

C’è stato un giorno di crisi vera?

Il terzo. Ho tirato e poi sono stato il primo a staccarmi. Mancavano 25 chilometri e ancora due salitelle. Ho sudato freddo. Ho continuato. E poi per fortuna ho incontrato Oliveira e Lawless e ho capito che con loro sarei rimasto nel tempo massimo. Anzi, mi dicevano di andare più piano, che non serviva tirare tanto…

Ti sei rimboccato le maniche?

C’è da lavorare, ma c’è anche una buona base. So in cosa devo migliorare. Nella sfiga di aver anticipato il debutto, sono contento perché ho rotto il ghiaccio. E adesso ho i primi riferimenti e le idee più chiare.

Johannessen e Tiberi, storia di scelte diverse

08.02.2022
5 min
Salva

Entrano nella stessa inquadratura: uno bello a fuoco davanti con il braccio destro alzato, l’altro dietro, ancora ingobbito, a strappare il terzo posto di giornata. Tobias Johannessen, norvegese di 22 anni, vincitore dell’ultimo Tour de l’Avenir, neoprofessionista. Antonio Tiberi, italiano di 20 anni, campione del mondo juniores della crono nel 2019, secondo anno da professionista. Succedeva sabato, merita un approfondimento.

E’ l’eterna disputa fra educatori sull’opportunità o meno di andare a scuola un anno prima. E siccome non se ne viene a capo e a seconda dei casi la “primina” è un vantaggio o una condanna, anche il beneficio di anticipare o meno il passaggio al professionismo resta legato ai casi e se ne potrà parlare a pensione raggiunta. I due sono entrambi lì, sulla cima del Mont Bouquet, salita di 4,6 chilometri con dislivello di 437 metri e pendenza media del 9,5 per cento, dalla cui cima si vedono le torri di Avignone. E questo è un fatto.

L’Etoile de Besseges ha inaugurato la seconda stagione da pro’ di Antonio Tiberi
L’Etoile de Besseges ha inaugurato la seconda stagione da pro’ di Antonio Tiberi

Poca strada

Tobias Johannessen ha scoperto il ciclismo su strada solo la scorsa stagione perché, fino ad allora, con il fratello gemello Anders (7° al Tour de l’Avenir), passava il tempo lungo i fiordi norvegesi in mountain bike (ha vinto il bronzo ai mondiali juniores 2016) o la bici da ciclocross.

«Le strade di casa sono piuttosto pianeggianti – spiega – e abbiamo imparato ad andare in salita grazie alla mountain bike lungo i sentieri non asfaltati. Tuttavia non so ancora che tipo di corridore sono veramente. Questo è quello che devo cercare di scoprire. E’ solo il mio secondo anno su strada e tutte queste gare sono nuove per me».

Alla fine, Johannessen ha conquistato la maglia dei giovani e il 3° posto
Alla fine, Johannessen ha conquistato la maglia dei giovani e il 3° posto

Buone sensazioni

Antonio Tiberi al confronto mastica strada e chilometri da tempo, pur essendo dei due il più giovane: nato nel Lazio, formato in Toscana e arrivato nel WorldTour con la Trek-Segafredo dopo un assaggio di under 23 con il Team Colpack. In Italia si fa presto ad appendere etichette e già nei suoi confronti c’è chi ne ha confezionate alcune troppe frettolose. Il ragazzo è giovanissimo e avendo scelto di anticipare tutto, sta ora facendo i passi giusti.

«Sono molto soddisfatto del risultato di oggi – ha confermato dopo il traguardo – ma soprattutto delle sensazioni che ho avuto. Ho sentito un salto di qualità tangibile rispetto alla scorsa stagione, mi sentivo perfettamente a mio agio tra i big. Era una sensazione che mi era mancata l’anno scorso e averla nella prima gara dell’anno mi dà grande fiducia per i prossimi appuntamenti».

Ai 400 metri, Tiberi, che era da poco rientrato, ha provato ad andarsene da solo
Ai 400 metri, Tiberi, che era da poco rientrato, ha provato ad andarsene da solo

Più solido

Innegabile che, malgrado la minore esperienza, i due anni in più diano a Johannessen una diversa consistenza fisica. Al Tour de l’Avenir si è mangiato con astuzia e classe un predestinato come Rodriguez e il nostro Zana. La sua squadra, la professional danese Uno-X, è sponsorizzata da una compagnia che distribuisce benzina low cost e punta a salire nel WorldTour a partire dal prossimo anno. Ad ora sogna e pensa di meritare l’invito al Tour de France, che parte proprio dalla Danimarca. Anche se, a rigor di logica, ASO darà la precedenza alle francesi TotalEnergies e B&B Hotels.

«Avevo visto che era una bella salita per me – ha detto Johannessen dopo il traguardo – sapevo che avremmo dovuto attaccare per vincere. Questa corsa è stata una bella esperienza. A parte aver perso terreno il primo giorno, poi sono arrivato per due volte terzo e alla fine ho vinto».

Mentalità vincente

Tiberi continua a crescere per gradi, convinto in modo coerente del percorso scelto. Un terzo posto lo aveva centrato anche nel 2021 nell’impronunciabile arrivo in salita di Gyöngyös-Kékestető al Giro di Ungheria, che poi gli era valso anche lo stesso piazzamento sul podio finale.

«Il nostro obiettivo per la giornata – ha detto al traguardo – era aiutare Skujins a rimanere tra i primi dieci in classifica. Quando siamo arrivati ai piedi della salita finale, le mie sensazioni erano ancora molto buone e mi sono detto: “Proviamoci!”. Ero in mezzo al gruppo e mi è costato del tempo per recuperare. Quando sono arrivato davanti, ho avuto solo un momento per respirare prima di saltare sulle ruote di Johannessen e Vine. A 400 metri, sull’ultima rampa dura, ho dato il massimo, cercando di andare in solitaria per vincere. Non ha funzionato, ma sono comunque molto contento. L’Etoile de Besseges è stato un crescendo per me. Giorno dopo giorno mi sono sentito sempre meglio. Domani c’è la cronometro, la mia specialità: un’altra occasione per fare bene». 

Alla prossima

E la crono infatti ha sorriso più all’italiano, 10° a 23″ da Ganna, che al norvegese, 15° a 34″. I due ora proseguiranno lungo il calendario deciso per loro dai rispettivi tecnici, ma non mancheranno occasioni prossime di confronto. E se la stampa francese è convinta che la Norvegia abbia trovato in Johannessen un uomo da affiancare ai giovani prodigi che ad ora spopolano nel ciclismo, perché non dovremmo pensare di averne uno quasi pronto anche noi? Due anni di differenza a questi livelli non sono esattamente uno scherzo…

Pedersen mostra i muscoli e si commuove. Bettiol cresce

03.02.2022
5 min
Salva

«Non ero solo – ha spiegato Pedersen, molto commosso dopo l’arrivo della prima tappa all’Etoile de Bessegessono sicuro che da qualche parte, lassù, Pepinho mi stesse guardando. Questa vittoria è per lui». 

Pepinho, soprannome di José Eduardo Santos, era diventato meccanico della Trek nel 2011, quando la squadra si chiamava ancora Leopard. Se ne è andato la settimana scorsa per un infarto. Era un personaggio centrale della squadra, noto perché cantava arie di fado mentre puliva le bici, la sera, nei parcheggi degli hotel.

Pepinho, meccanico nel team dal 2011, è scomparso per un infarto la scorsa settimana (foto Trek-Segafredo)
Pepinho, meccanico nel team dal 2011, è scomparso per un infarto la scorsa settimana (foto Trek-Segafredo)

Non solo quei due

E così la corsa francese si è aperta con la vittoria del campione del mondo di Harrogate 2019. Ragazzo di poche parole, che nel finale si è affidato a Tom Skujins perché lo portasse ai piedi dell’ultimo strappo e poi ha fatto da sé. E anche se la classifica finale dell’Etoile de Besseges potrebbe essere alla sua portata (malgrado la salita di Mont Bouquet di sabato e la cono finale di 10 chilometri), il suo sguardo è puntato sul Nord. Il perfetto terreno di caccia.

«Si sta commettendo l’errore – ci aveva detto a dicembre nel ritiro di Altea – di concentrarsi solo su Van Aert e Van der Poel. Ci sono un sacco di buoni corridori nel gruppo, ma se guardi sempre gli avversari, sei destinato a rimanere un passo indietro. Quei due sono come gli altri. Van der Poel era forte nella fase finale della Roubaix, ma Colbrelli lo ha battuto in modo leale. Non lo sono gli unici due di cui dobbiamo tenere conto. Certo, sono d’accordo che sono le due più grandi stelle del ciclismo in questo momento, ma non è solo perché sono forti nelle classiche. Quei due sono dannatamente forti dovunque li metti».

Sfinito dopo l’arrivo e dopo l’allungo sull’ultimo strappo, Pedersen ha parlato subito di Pepinho
Sfinito dopo l’arrivo e dopo l’allungo sull’ultimo strappo, Pedersen ha parlato subito di Pepinho

Nord rinviato

Lo scorso anno Mads Pedersen ha vinto tre corse, fra cui la Kuurne-Bruxelles-Kuurne nel weekend di apertura, ma nessuna a livello di WorldTour.

«Del 2021 ricorderò soprattutto gli incidenti – dice – perché dal Delfinato alla Roubaix sono stati per lo più problemi. Però quest’anno niente apertura in Belgio, Het Nieuwsblad e Kuurne. La Roubaix è una settimana più avanti del solito e il mio allenatore e la squadra hanno pensato che sia una buona idea spostare tutto più avanti. Hanno un grande piano per me, io lo seguo e spero che mi porti bene verso i principali obiettivi che sono Fiandre e Roubaix».

Tutto da capire

Campione del mondo a 24 anni, ora che ne ha 26 si volta indietro e inizia a vedere le cose sotto una prospettiva più matura.

«La cosa più importante che un corridore possa imparare – racconta – è risparmiare le energie ed io, facendolo, arrivo sempre meglio nei finali. Sto acquisendo esperienza, ogni cosa è esperienza, anche rientrare dopo una caduta senza sfinirsi quando se ne ha lo spazio. E quest’anno davvero assieme al mio amico Stuyven (che lo scorso anno ha vinto la Sanremo, ndr) potremmo realizzare qualcosa di importante. Siamo buoni amici e lo siamo sempre stati. Siamo onesti l’uno con l’altro, anche questa è esperienza. La guerra in squadra è come sprecare energie. E’ davvero utile invece quando una squadra ha due corridori motivati e forti che vogliono la stessa cosa».

Due volte a Roubaix

Roubaix sarà due volte, diceva in Spagna con un sorriso furbetto. Perché come ad ogni danese che sappia di ciclismo, neanche a lui è sfuggita la risonanza del Tour che parte da Copenhagen. La cronometro di 13 chilometri in partenza magari sarà troppo lunga per sperare di opporsi agli specialisti, ma l’appuntamento con il pavé della quinta tappa gli ha suggerito un’idea per nulla balzana.

«Non sono affatto un favorito per il prologo – ci ha detto – ma so di poter fare bene. Mi piacerebbe essere vicino al vincitore e poi forse il giorno di Roubaix potrei puntare alla maglia gialla e magari anche vincere la tappa. Sarebbe uno scenario da sogno per il resto della stagione. E comunque sarà bello correre davanti al pubblico di casa e speriamo di vedere molte persone sulla strada. Il ciclismo è davvero grande in questo momento, non solo con i corridori, ma anche con i pendolari e i turisti. Sta diventando sempre più grande. Saranno giorni indimenticabili».

In corsa nella Trek-Segafredo c’è anche Antonio Tiberi
In corsa nella Trek-Segafredo c’è anche Antonio Tiberi

E così dopo la vittoria con un secondo di vantaggio su un gruppetto di quattro fra cui anche Alberto Bettiol (Ganna era poco dietro, a 7 secondi) e il pensiero triste di Pepinho nel cuore, Pedersen ha riguadagnato la via dell’hotel. Oggi si arriva a Rousson dopo 156 chilometri e con due salitelle di poco conto, ma la classifica è davvero cortissima per pensare di tenere il gruppo. Anche se Skujins ridendo diceva che la vera corsa sarà nella caccia agli abbuoni.