Di colpo sembra tutto vuoto. Il pezzo su Evenepoel in ricognizione sulle strade del Giro, la fretta per uscire. Di colpo cade la voglia di fare, se ne perde il senso. Davide Rebellin travolto e ucciso da un camion che ha tirato dritto a Montebello Vicentino. Come Silvia Piccini lo scorso anno, perché il conducente aveva fretta e magari dirà di non essersi accorto, se mai lo prenderanno o sceglierà di consegnarsi. La bicicletta accartocciata toglie il fiato.
Insieme a Fabio
Domenica a Monaco c’era un bel sole e mentre guardavamo il girare dei bambini, non ci eravamo accorti che Davide si era fatto sotto per un saluto.
«Ciao giovane, alla fine ce l’hai fatta ad andartene in pensione…».
La solita risatina garbata e timida, le rughe attorno agli occhi.
«Bè, giovane, dai… Forse rispetto a te!».
Ci si conosceva dal 1992, tre anni scarsi di differenza, da quando il gruppo degli azzurri di Zenoni iniziò la rincorsa alle Olimpiadi di Barcellona. Andarono in tre, di loro oggi resta soltanto Mirko Gualdi a guardarsi intorno. Fabio Casartelli se lo portò via il Tour, Davide se lo sono preso oggi.
«Durante tutta la preparazione per le Olimpiadi di Barcellona – raccontò qualche anno dopo – risi molto. Dividevo la camera con Fabio Casartelli, un ragazzo tranquillo, con cui mi trovavo bene. Aveva dei numeri importanti, anche se fino alla corsa olimpica io ero quello che andava di più. Zenoni giocò proprio su questo. Approfittò del controllo su di me e fece andare Fabio in fuga. Lui anticipò e vinse le Olimpiadi. Pensare che non ci sia più e che neanche Marco ce l’abbia fatta è spesso un motivo di dolore».
La molla della rivalsa
Di colpo sembra tutto vuoto, anche il doverne o volerne scrivere, come automi chiamati per forza a dire qualcosa. Pensi a quanti ne hai visti cadere e hai quasi paura di fare torto a qualcuno non citandone il nome. Torna il sorriso di Michele, tornano tutti a galla. Allora acchiappi il flusso dei ricordi e ti lasci portare via.
«Gli anni non mi pesano – disse 14 anni fa – ma mi basta guardarmi attorno per capire che sono passati. Il ciclismo mi ha dato tanto e quindi gli devo tanto e non so neanche immaginare in che modo sdebitarmi. Non so cosa farò quando smetterò, non so neanche in che modo capirò che è giunta l’ora. Probabilmente ci sarà un segnale e dirò basta, magari per una delusione. Anche se le delusioni finora sono durate poco, poi è sempre scattata la molla della rivalsa».
Il fratello Carlo
Non sapeva ancora attraverso quali forche sarebbe dovuto passare, il motivo per cui avrebbe continuato fino a 51 anni. Caro Davide, quanto amaro hai dovuto mandare giù?
«Pechino – disse poco tempo fa – è stato un momento di snodo. Prima c’è stata la carriera dei risultati migliori e delle grandi squadre. Dopo ho rincorso un contratto per partecipare alle corse più adatte a me e un calendario normale. Sono stato discriminato, mi sono state chiuse in faccia tante porte. Ero ancora competitivo e le squadre che avrebbero voluto prendermi non hanno potuto farlo. Ho continuato a correre anche per quello. Forse se avessi potuto riprendere nel modo giusto, mi sarei fermato già da 10 anni».
C’è un dramma nel dramma: quello di suo fratello Carlo, il più piccolo. Aveva sentito dell’incidente in cui era rimasto coinvolto un ciclista e ha riconosciuto a terra la bicicletta di Davide.
Gualdi, Nando e Michele
Piovono messaggi di ragazzi diventati uomini con cui si sono divise pagine importanti. Prima Mirko Gualdi: «Sono distrutto….. I miei 2 amici di Barcellona in cielo». Chiama Michele Bartoli, incredulo: «Proprio adesso che cominciava una vita che non ha mai avuto e mai avrà. Ma come fai a immaginarti una cosa del genere?». Squilla il telefono, è Nando Casagrande. Si ha voglia di parlarne, di condividere le emozioni dopo aver condiviso strada e sfide.
«Lo avevo sentito venerdì – racconta – mi aveva chiesto se avessi voglia di fare qualche gara di gravel insieme. Eravamo rimasti per risentirci, io adesso sto di nuovo bene, si poteva anche fare. Invece adesso… Quante volte ha dovuto rialzarsi, povero Davide! Anche l’ultima volta, si era tutto rotto. Avrebbe potuto smettere, invece ha voluto rialzarsi e ripartire. Un altro di noi che se ne va, ti viene paura a pensarci…».
Cari ministri del Governo
Dopo lo smarrimento inizia a montare la rabbia. In cosa ci stiamo trasformando? In nome di quale barbarie si può immaginare una tale massa di morti senza fare nulla? Numeri peggiori di ogni altra piaga e certo non meno violenti. Più delle violenze sulle donne. Più di tutto quello di cui si parla con giustissima enfasi, mentre dei nostri morti non parla nessuno.
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza prevede ciclabili e investimenti per rendere le nostre città a misura di bici, ma intanto cosa si fa per insegnare che la strada è di tutti?
Non basta un metro e mezzo per insegnare il rispetto, servirebbero pattuglie a ogni incrocio per verificare il rispetto dei limiti di velocità, delle precedenze, del divieto di uso del cellulare. Invece in questa sorta di far west, fatto di strade abbandonate e automobilisti sempre più aggressivi, la bicicletta rischia di non trovare più posto. E a chi dice che stanno sempre in mezzo alla strada, rispondiamo con una provocazione: se un bambino infastidisce il campione del mondo dei pesi massimi, quello ha il diritto di metterlo a posto con un pugno in faccia? Il rapporto di peso e forza è lo stesso di quando un ciclista si trova sulla traiettoria di un’auto o di un camion.
Caro ministri del Governo, caro Salvini, nel mettere mano alle infrastrutture e alla mobilità sostenibile di cui dovrà occuparsi, vuole buttare uno sguardo sui nostri morti e chiedersi cosa si possa fare di più? Mi sarebbe piaciuto presentarle Davide Rebellin, forse pensare a lui in questo momento le avrebbe fatto capire meglio la gravità della situazione.