Finalmente è arrivato aprile con le sue lunghe domeniche da dedicare all’unica cosa più bella di pedalare in prima persona: guardare pedalare i campioni nella settimana santa del ciclismo. A cominciare, naturalmente, dal Giro delle Fiandre.
L’organizzazione
Per godersi al meglio queste giornate campali occorre, come per tutto, una certa organizzazione. La prima cosa è individuare il luogo. Fondamentale che vi sia uno schermo che proietti la gara, sia esso tv (meglio) o computer: nessun telefonino vale quando ci sono in gioco le Monumento sulle pietre. Poi, la compagnia. Personalmente chi scrive preferisce godersi questi momenti con un gruppetto ristretto di amici il cui numero può variare tra uno e tre.
Infine, i rifornimenti. Difficile godersi un Giro delle Fiandre senza qualche birra, meglio se belga d’accordo, ma l’importante è che ci siano. Il loro numero varia secondo le abitudini personali, ma l’esperienza insegna che l’intensità dell’assunzione segue il ritmo della corsa. Velocità di crociera nella prima parte (quasi 270 km sono lunghi) poi accelerazione costante via via che ci si avvicina ai muri decisivi.
Primo brivido, la caduta di Van der Poel
Con queste promesse si può cominciare a godersi un Giro delle Fiandre secondo tutti i crismi che un evento del genere merita. Chi scrive si è sintonizzato verso ora di pranzo, attorno alle 13 (ma i veri puristi, onore a loro, erano davanti allo schermo già dalle 9:45). In tempo per vedere il vantaggio della fuga di giornata, controllare chi tira il gruppo, la posizione dei favoriti.
Da lì è iniziata una lunga attesa verso i momenti clou, animata comunque dal brivido della caduta di Van der Poel: sospiro di sollievo, il divino non mostrava segni di ferite e dopo un po’ di trambusto è rientrato in gruppo. Lo spettacolo era salvo. Ma ormai abbiamo imparato che in quest’epoca quasi ogni momento può essere un momento clou. E infatti dai -100 km non c’è stato quasi mai un attimo di respiro.
La faccia di Pogacar e telefonate inopportune
L’attacco del gruppo di passistoni tra cui Ganna, Kung, Benoot e compagnia. Dunque la Visma era belligerante, ottima notizia. Solo la UAE non aveva qualcuno in fuga: sarebbero riusciti i compagni di Pogacar a non far prendere troppi minuti a quei cavalloni lì davanti? Ma i (pochi) dubbi sulle chance del campione del mondo non sono durati molto.
Quando il gruppo volava ad altissima velocità verso l’inizio del 2° Kwaremont, Morgado si è portato in testa per dare un’ultima trenata. L’ha fatto con tutto l’impegno possibile, quindi anche un po’ scomposto nella pedalata, con la testa ciondolante.
In quel momento Pogacar l’ha visto passare e ha riso, gli ha fatto il verso divertito, come fosse seduto al bar, o sul divano a fianco a noi. Dalla tv si è visto benissimo, poco dopo è stato riproposto anche il replay. In quel momento chi scrive ha pensato: “Non c’è niente da fare, salvo cataclismi, oggi vincerà lui”.
Un’amica ha telefonato giusto quando i migliori erano all’imbocco del Kwaremont. Errore da principianti, durante il Fiandre il telefono va spento e basta. Da quel momento in poi è stato puro show, il massimo che questo sport può regalare agli spettatori seduti (o anche in piedi o, perché no, sdraiati) in ogni parte del mondo.
Tutto lo spettacolo dei grandi
Pogacar che attaccava talmente tante volte che anche a riguardare la gara è stato quasi impossibile tenere il conto. Van der Poel che lo seguiva sempre, e sembrava sarebbe stata di nuovo una sfida tra loro due. Il commovente Pedersen che come al solito provava ad anticipare, si staccava ma poi rientrava. Van Aert finalmente lì davanti giocarsela: gaudium magnum, il belga era tornato tra i grandi.
Ma quell’espressione sul viso del campione del mondo non lasciava dubbi, infatti all‘ultimo passaggio sul Kwaremont lo sloveno ha salutato tutti e se n’è andato, anche il divino Mathieu ha dovuto cedere. Nei chilometri tra il Paterberg e il traguardo l’amico con cui guardavo la gara ha posto una domanda che tecnicamente non faceva una piega.
La legge del Fiandre (e della Roubaix?)
«Com’è possibile che uno scalatore guadagni in pianura contro quattro tra i passisti più forti al mondo?». Perché questa è la legge del Giro delle Fiandre, la gara che inaugura la settimana santa della bicicletta. Una gara di 269 chilometri, zeppa di insidie, pietre e muri in cui si sfidano tutti i migliori corridori del mondo, in cui però il più forte, alla fine, può piegare le leggi che normalmente regolano il ciclismo.
E tra pochi giorni, in questo inizio aprile che tutti ricorderemo per molti anni, c’è la Parigi-Roubaix: un’altra grande domenica da santificare davanti alla tv.