Juniores e U23, siamo fermi! Bragato va giù duro…

03.11.2022
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Non si possono prendere a paragone Pogacar, Evenepoel, Ayuso e Vingegaard. Ma alle loro spalle non ci sono italiani e soprattutto italiani giovani in arrivo dagli juniores e gli under 23. Nibali ha chiuso il Giro al quarto posto a 38 anni. Colbrelli ha vinto la Roubaix a 31. Dove sono i nostri ragazzi? Ieri un corridore ci ha detto che se ne parla tanto e alla fine non si capisce più niente, eppure nei giorni scorsi Ulissi e poi Trentin hanno tirato fuori argomenti decisamente concreti. E noi con questi abbiamo bussato alla porta di Diego Bragato, che ha da poco concluso con Salvoldi delle batterie di test sugli juniores ed è responsabile della performance alla Scuola Tecnici, che ha recentemente preso il posto del Centro Studi.

Questo pezzo sarà lungo da leggere, ma il ragionamento non fa una grinza. Può essere il punto di inizio per il cambiamento. Se a qualcuno, soprattutto nelle squadre juniores e U23, sta a cuore la salute del nostro ciclismo.

Bragato sostiene Viviani al via dell’eliminazione che vedrà Elia campione del mondo anche nel 2022
Bragato sostiene Viviani al via dell’eliminazione che vedrà Elia campione del mondo anche nel 2022
Non hai la sensazione che si punti ad alzare troppo il livello della prestazione degli juniores, lasciandogli pochi margini per quando passano di categoria?

Come sempre non si può fare di tutta l’erba un fascio, ma di certo c’è troppa enfasi sulla categoria juniores. Enfasi legata ai volumi, al simulare quello che fa il professionista, invece di costruire una formazione a lungo termine. Purtroppo il nostro movimento spinge per la ricerca del risultato da junior, piuttosto che per la costruzione di un atleta che avrà risultati dopo 5-6 anni.

All’estero fanno più corse a tappe e meno gare di un giorno…

Noi siamo l’ultima fra le Nazioni di alto livello che corre ancora per le gare della domenica. Quindi a vari livelli, non solo negli juniores ma anche molto negli under 23, lo schema è sempre quello. Corsa la domenica. Lunedì, recupero. Martedì, un po’ di lavoro di forza. Mercoledì, distanza. Giovedì, un po’ di lavoro easy. Venerdì, velocizzazione. Sabato, recupero. Domenica, gara. E cosi per tutto l’anno, aspettandoci una condizione che porti a vincere più gare possibili. Ma questo ciclismo non esiste più. Le altre Nazioni hanno ridotto di molto il numero di gare durante l’anno, a vari livelli: da junior in su. E insegnano agli atleti a costruire la prestazione in funzione di un obiettivo.

Per Herzog, 30 giorni di corsa nel 2022 e la vittoria del mondiale juniores, a capo di un avvicinamento mirato
Per Herzog, 30 giorni di corsa nel 2022 e la vittoria del mondiale juniores, a capo di un avvicinamento mirato
Da noi invece?

I nostri ragazzi crescono come si faceva una volta. Trovano la condizione con le gare, quindi continuando a correre, hanno dei risultati a livello giovanile, ma non imparano ad allenarsi. Così arrivano in un mondo professionistico in cui giustamente, come descrive Trentin, ormai non puoi più sfruttare le gare per allenarti, perché devi arrivarci già in condizione. E noi non siamo capaci, né fisicamente né mentalmente. Fisicamente magari i preparatori possono anche aiutarci, ma mentalmente è un’altra cosa.

In che senso?

I nostri ragazzi non sono pronti ad allenarsi per arrivare pronti alle gare, perché nessuno glielo insegna. Gli insegniamo solo a correre. Ad andare in fuga e non tirare e aspettare la volata. Invece il ciclismo non è più questo.

Trentin ha parlato anche di volumi di lavoro a suo avviso eccessivi…

Spesso è così, il problema è che anche tra gli allievi si allenano quasi come dilettanti. Fanno volumi di lavoro più grandi degli juniores. Poi da juniores si allenano come gli under 23 o gli elite. E quando sono under 23 non hanno più margini. Purtroppo è così. Si predilige la quantità piuttosto che la qualità del lavoro. E la multidisciplinarità, come giustamente dice Trentin e come dimostra la pista, è un modo per preservare le qualità a discapito della quantità. La quantità si può mettere anche dopo. La qualità, invece se non viene preservata, poi non la ripeschi più.

Vittoria al Gp FWR Baron per la Work Service, una delle squadre plurivittoriose (photors.it)
Vittoria al Gp FWR Baron per la Work Service, una delle squadre plurivittoriose (photors.it)
E che cosa succede?

Abbiamo degli atleti che diventano degli ottimi gregari, cioè persone in grado di subire un carico a lungo termine per tanto tempo, ma non di imporre il proprio ritmo. Purtroppo diventano, tra virgolette, dei soldati. Gente che ha gran volume sulle spalle, ma non fa la differenza.

A livello di comunicazione con le società si può far qualcosa? 

In realtà sono parecchi anni che nei corsi di formazione, il Centro Studi prima e la Scuola Tecnici adesso continua a battere su questi messaggi. Cioè sul preservare il talento, ridurre i volumi in generale, intesi come chilometri e ore fini a se stessi, puntando invece sulla qualità. Ma sembra che questo messaggio non passi o meglio non passa in toto. Ci sono delle squadre che hanno cambiato ritmo, bisogna dirlo. E se le squadre estere ritengono i nostri juniores appetibili è perché comunque vedono che in determinati ambienti si inizia a lavorare nel modo giusto, quindi quello bisogna riconoscerlo.

Come leggi il fatto che alcuni vadano all’estero?

Fa specie il fatto che li vengono a prendere da juniores, probabilmente per… salvarli dalla nostra categoria under 23, dove invece alcune squadre ancora lavorano per vincere la gara della domenica, invece di costruire un atleta pronto a maturare per diventare un valido professionista.

Lorenzo Germani è diventato tricolore U23 passando alla Groupama-FDJ e con loro ora approda fra i pro’
Lorenzo Germani è diventato tricolore U23 passando alla Groupama-FDJ e con loro ora approda fra i pro’
Secondo te la svolta continental cambia un po’ gli atteggiamenti, oppure si chiamano continental ma fanno le stesse cose di prima?

Io ho paura che continuino a fare le stesse cose. A meno che non riesca a tornare in Italia una squadra di riferimento che detti le regole, perché questi atleti possono essere appetibili per loro. Sennò rischiamo di aver semplicemente cambiato l’etichetta, ma di lavorare come prima. Non a caso, me lo insegna chi ha la memoria storica migliore della mia, atleti come Nibali, lo stesso Viviani, Caruso, Guarnieri, Bettiol, Cimolai e Bennati, che adesso è cittì della nazionale, sono tutti ragazzi venuti fuori dall’ultima scuola italiana, che era la Liquigas. Poi abbiamo avuto ben poco. C’è Ganna, ma lui è un fenomeno a parte con caratteristiche completamente diverse. Gli ultimi atleti di un certo livello, soprattutto per le gare a tappe, venivano fuori da una squadra che gli ha dato il tempo, come giustamente diceva Ulissi, di crescere da capitani, non di crescere da gregari. Moscon e company sono andati nelle squadre dove vengono pagati parecchio, dove devi rendere per quello che la squadra ti dice. Così crescono per aiutare gli altri. Quindi sviluppano le abilità e la mentalità da gregario e non da capitano che dovrà emergere.

Se sei forte non emergi lo stesso? Oppure il problema è di mentalità?

Secondo me il problema non è tanto fisico, perché gli atleti ce li abbiamo. E’ proprio mentale. Crescere con la mentalità di costruirsi, di essere responsabile della propria prestazione in funzione di un obiettivo e non in funzione di un valore medio che ti garantisca di essere un buon atleta tutto l’anno. Costruire un obiettivo e vincerlo. Come Van Aert. Va bene che lui è un fenomeno fisicamente, ma anche di testa è uno che sa puntare un obiettivo, arrivare pronto a qualsiasi gara decida. Non è mica così facile, già Van der Poel lo soffre un po’ di più. Invece Van Aert è una macchina, veramente una macchina. E noi dobbiamo insegnare ai nostri ragazzi a essere responsabili della loro performance, ascoltarsi e costruirla in funzione di un obiettivo. Non semplicemente a vincere più gare possibili durante l’anno.

Il Piva Junior è una delle classiche per juniores, vinto quest’anno da Scalco, passato in Bardiani (photors.it)
Il Piva Junior è una delle classiche per juniores, vinto quest’anno da Scalco, passato in Bardiani (photors.it)
Tanti sono passati, hanno vinto e hanno smesso presto. Vedi i corridori del 1990…

Ci sono situazioni diverse, perché io vedo dei ragazzi che da under 23 sono seguiti in tutto e per tutto, anche troppo e più dei professionisti. Vanno forte, poi passano e non hanno più chi li porta ad allenarsi ogni giorno e gli dice di svegliarsi, di stare attento a cosa mangiano. Da pro’ devono essere responsabili di se stessi. Solo che non sono in grado perché non nessuno l’ha mai insegnato. E quindi per un anno o due vivono di rendita e poi spariscono. Quello che hai fatto per un po’ ti resta , ma se poi non continui ad allenarlo, sparisce e loro cambiano completamente tipologia  di atleta.

Hai parlato di situazioni diverse…

Sì, ci sono anche quelli che da under 23 lavorano troppo, fanno volumi enormi e vincono perché si allenano molto più degli altri. Poi quando passano professionisti e trovano quelli che si allenano come loro, si appiattiscono.

Nei test che fate è possibile valutare il tipo di attività che gli viene proposta?

Quando facciamo i test degli juniores, vediamo che atleti interessanti ce ne sono. Però guardandoli anno per anno, monitorandoli da junior di primo e secondo anno e poi da under 23, vediamo che spesso i valori di forza, quelli che fanno la differenza nel ciclismo moderno, vengono appiattiti. Dico spesso e non sempre, perché alcuni lavorano bene. Gli altri, ragazzi e ragazze, vanno a fare solo volumi, solo chilometri e ore.

L’attività della tedesca Auto Eder U19 è concentrata prevalentemente su gare a tappe
L’attività della tedesca Auto Eder U19 è concentrata prevalentemente su gare a tappe
E cosa succede?

Non fanno più lavori di qualità e quindi si vede che diventano meno forti. Si abbassano proprio a livello di forza. Magari sono in grado di fare 3-5 ore. Vincono le gare juniores perché sono abituati a distanze superiori, ma poi quando passano ed è ora di fare la differenza su uno strappo o su una serie di muri, non ne hanno più. Passano dai 1.600 watt che facevano in volata da juniores ai 1.300 che fanno da under 23, che è quindi la differenza tra vincere una volata e tirarla.

Come se ne esce?

Bisogna tornare a rendere i ragazzi responsabili della loro performance, legandosi anche alle sensazioni. E’ fondamentale. Il misuratore di potenza serve a noi preparatori per avere un occhio in più, ma loro devono capire quando stanno bene, quando stanno male, quali sono le cose che li portano in condizione. Quali sono le strategie per mantenere la condizione e capire che durante l’anno ci sono dei periodi di picco, periodi di lavoro, periodo di scarico. Questo bisogna insegnargli, altrimenti fanno stagioni intere a cercare più vittorie possibili. E pensano che più vincono e più possono passare under. Oppure la nazionale li convoca per i mondiali, perché hanno vinto 20 corse.

I convocati per il mondiale juniores in quali condizioni arrivano al grande appuntamento?
I convocati per il mondiale juniores in quali condizioni arrivano al grande appuntamento?
E al mondiale come vai?

Quando uno vince 20 gare in un anno, al mondiale non sarà mai al 110 per cento. Vai a scontrarti con Nazioni che prendono un gruppo di atleti e lo preparano in funzione del mondiale e quindi quel giorno andranno forte, perché hanno lavorato sull’obiettivo. Noi non abbiamo questa mentalità, ma lavoriamo in funzione della domenica. Di vincere più gare possibili…

Ai tempi di Fusi, questo gruppo di lavoro che limitava anche l’attività di club esisteva: può essere un aspetto da rivalutare?

Può essere un buon modo di tutelarli ed è quello che abbiamo fatto in questi anni con il gruppo pista under ed elite e qualcosina anche con gli juniores. Il fatto di iniziare a dare la mentalità del lavoro in funzione di qualcosa, quindi con dei richiami continuativi in settimana e con gare a tappe messe nei posti giusti che servono per determinati aspetti. Questo è un lavoro che con quel gruppo abbiamo fatto. Tuttavia, con la realtà ciclistica che abbiamo a livello nazionale, non è facile perché gli interessi delle squadre sono importanti. Ma penso anche che ormai stia diventando un’esigenza e che non possiamo più nasconderci. Dobbiamo assolutamente riprendere in mano questa situazione.

Pietro Mattio, come pure Belletta, passerà U23 nella Jumbo Visma Development
Pietro Mattio, come pure Belletta, passerà U23 nella Jumbo Visma Development
Come se ne esce secondo Bragato?

Sarebbe importante secondo me che ci fosse un collegamento tra squadre. Dagli junior agli under, fino ad arrivare alle squadre pro’. Servirebbe un collegamento serio, con un responsabile che segua il percorso degli atleti e sappia quando un ragazzo è pronto per passare. In questo modo, l’obiettivo degli juniores non sarà vincere tante gare, ma essere pronti per la squadra pro’. Il ragazzo viene tutelato e non ha più il bisogno di vincerne 20 a stagione per essere sicuro di passare, ma può prendersi il tempo di crescere, di sbagliare e provare a lavorare in funzione di quello che diventerà poi come atleta. Che questo sia un percorso creato da una nazionale o dai vivai in collegamento con le squadre, purché sia un collegamento solido e continuo e non per interesse stagionale, può essere la svolta.

Questa potrebbe essere la chiave anche per trattenere i nostri in Italia…

Il fatto che gli altri vengano a prendere i corridori italiani è perché non sono stupidi. I nostri sono forti, lo sanno tutti che sono forti. Ma se li prendono da junior è per tutelarli il prima possibile. Perché ovviamente qualcosa noi sbagliamo. E loro se ne sono accorti

Gruppo performance: il progetto per i successi azzurri

25.09.2022
5 min
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Dal Centro Studi al Gruppo Performance (in apertura foto Fci): è una delle rivoluzioni della Federazione ciclistica italiana. Un cambio firmato Diego Bragato. Si tratta di una struttura che molto può dare e sta dando, in tempi in cui l’asticella si è alzata parecchio.

Oggi si parla di multidisciplinarietà. In questo caso si dovrebbe parlare anche di tecnici “multidisciplinari”. Alla base del Gruppo Performance, che tra l’altro come vedremo non è solo, c’è una grande condivisione di conoscenze e d’informazioni con tecnici e atleti.

Bragato (a destra) con Elisabetta Borgia e Federico Ventura del freestyle. Lo scambio d’informazioni è centrale in questo progetto
Bragato con Elisabetta Borgia, lo scambio d’informazioni è centrale in questo progetto
Diego, cerchiamo di capire meglio questo interessante cambiamento. In precedenza c’era il Centro Studi. E adesso?

In pratica il Centro Studi è stato sostituito da due gruppi: la Scuola dei tecnici, di cui fa parte tra gli altri anche Paolo Slongo, e il Gruppo Performance di cui faccio parte e ne sono il responsabile. Sono stato io a chiedere a  Roberto Amadio (team manager delle squadre nazionali della Fci, ndr) un gruppo a parte. La Scuola dei tecnici resta aggiornata sulla parte scientifica, gli studi, le evoluzioni delle preparazioni. Noi del Gruppo Performance invece curiamo la parte pratica di questi studi.

Qual è la funzione del Gruppo Performance?

Lavoriamo per i vari commissari tecnici e le loro nazionali. In quest’ottica ho chiesto un gruppo di persone al nostro supporto per poter collaborare appunto con i vari cittì. E per questo abbiamo indetto una selezione per titoli e colloquio con il fine di individuare altre figure. Si sono presentate 80 persone, ne abbiamo prese quattro

Chi sono i tecnici presenti?

Ci sono Marco Compri, che è esperto in termini di palestra, forza. C’è Mattia Michelusi che in passato faceva parte del Centro Studi e successivamente ha avuto delle esperienze con dei team WorldTour. Mattia è un esperto nell’analisi dei file, dei dati e delle prestazioni. Si passa poi a Luca Festa, la new entry. Oltre alle sue lauree in Scienze Motorie e dello Sport, è anche un ricercatore e vanta persino delle pubblicazioni. Anche lui ha avuto esperienze in squadre di club. E’ molto bravo in quella che è la fisiologia dell’esercizio, nel monitoraggio dei carichi di lavoro, nella programmazione a lungo raggio e per questo è importante nel lavoro con i giovani. Marco Decet invece è un esperto dei test e delle valutazioni funzionali. Inoltre lui viene dal mondo dell’offroad, gravity ed era importante una presenza di questo genere, per tornare a curare bene quel settore.

Le videonalisi sono importanti. Di questi aspetti se ne occupa Fabbioni
Le videonalisi sono importanti. Di questi aspetti se ne occupa Fabbioni
Una bella squadra…

E non vanno dimenticate altre due figure fondamentali. Fausto Fabbioni, che cura la parte logistica, i video, i software… Ed Elisabetta Borgia, alla quale è affidata l’area psicologica, che fa parte a tutti gli effetti della prestazione.

Qual è il’obiettivodel Gruppo Perfomance?

Affiancare i commissari tecnici in base alle loro richieste e dare loro un servizio di supporto. Faccio un esempio. Due anni fa il cittì della downhill ci aveva richiesto una figura per gestire lo stress degli atleti. E quindi ecco che abbiamo coinvolto la Borgia. Serviva qualcuno per la palestra ed è stato chiamato Compri.

Insomma il Gruppo Perfomance è un po’ come il settore tecnico di una squadra WorldTour?

L’idea è proprio quella, ma con molta più flessibilità verso tecnici e atleti. Noi infatti non abbiamo a disposizione i corridori tutto l’anno.

Nulla è lasciato al caso. Qui i test a crono a Monza. Dati preziosi per il Gruppo Performance e per i cittì (immagine Instagram)
Nulla è lasciato al caso. Qui i test a crono a Monza. Dati preziosi per il Gruppo Performance e per i cittì (immagine Instagram)
Lo scambio d’informazioni è vitale in questo progetto. Come fate?

Recentemente abbiamo fatto una due giorni a Montichiari. Siamo stati tutti insieme. Ho voluto coinvolgere tutti i tecnici per condividere il modus operandi, conoscere i loro punti di vista. I pareri esterni, derivanti da esperienze diverse, sono ben accetti. Compri per esempio non è mai andato in bici, viene dalla pesistica e dalla pallavolo, eppure il suo metodo e il suo approccio di lavoro hanno dato ottimi frutti. Sono stati un valore aggiunto.

Vi vedete online, avete una chat?

Chiaramente abbiamo una chat nostra. E ne fa parte anche Josè Dantas, il responsabile del reparto scientifico, proprio per fare da ponte con la Scuola dei tecnici. Passiamo poi molto tempo al telefono. Siamo un gruppo unito e ciò che voglio è avere idee lineari.

E infatti proprio di quest’ultimo aspetto ti avremmo chiesto. Con tanti tecnici di provenienza differente è importante individuare una direttrice, una “lingua comune”. Bisogna incanalare tutte queste teorie e per farlo serve un “collettore”…

Ed è proprio questo il mio ruolo. Mi devo assicurare che il gruppo vada nella stessa direzione ed anche per questo io non voglio ruoli etichettati o predefiniti: deve esserci interscambio. Ho detto di Compri tra bmx e pista, ma questo deve avvenire anche con altre discipline.

Bragato, autore della foto, durante la due giorni del Gruppo Performance a Montichiari
Bragato, autore della foto, durante la due giorni del Gruppo Performance a Montichiari
Come nasce questa idea del Gruppo Performance? Ed è una tua idea?

Sì, è una mia idea. Negli anni passati in Federazione vedevo che c’era un grande potenziale degli atleti e dei tecnici in tutte le discipline, ma mancava qualcosa per fare il salto di qualità. Mancava qualcosa da un punto di vista scientifico che desse ai ragazzi una base solida. Non volevo che le prestazioni o le vittorie fossero frutto di un exploit del talento dell’atleta o del tecnico. No, volevo che fossero frutto di un sistema. Una volta che quel tecnico o quel corridore lasciano, poi salta tutto. Quindi ho creato questa struttura, questo staff lineare e trasversale al tempo stesso. Uno staff che vorrei fosse abile anche nello scovare talenti.

E’ importante avere nuovi ricambi e allargare la base…

Faccio l’esempio di quanto accaduto fra pista e mtb: questo è stato possibile perché c’erano occhi su entrambe le discipline. Analizzando i dati, i test, abbiamo visto che alcuni atleti potevano andare bene anche per l’altra disciplina. Dobbiamo capire la disciplina più adatta ai ragazzi. E monitorarli è importante. Si lega anche alla loro crescita. 

La chiave, Diego, è tutta in quella frase: “Bisogna vincere non per il talento, ma per il sistema”…

Io sono convinto che si possa fare bene e che passo dopo passo si possa andare parecchio avanti. Serve continuità. Per ora Amadio e la Federazione ci hanno dato fiducia.

Gestione del sonno: il protocollo della Fci per abbattere il jet-lag

17.09.2022
4 min
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Con Laura Martinelli ieri abbiamo parlato di alimentazione per il lungo viaggio verso l’Australia, oggi con Diego Bragato, del settore performance della Federazione, parliamo invece del sonno, della sua particolare gestione in relazione all’ampio fuso orario che ci separa da Wollongong: siamo otto ore indietro. Quando lì sono le 18 da noi sono le 10, per fare un esempio.

Bragato ci dice subito che non hanno lasciato nulla al caso e che su questo aspetto lavoravano già da un po’. Già, lavoravano, al plurale. Perché si è trattato di un vero gioco di squadra composto da lui come coordinatore, ma anche dal dottor Roberto Corsetti e Josè Luiz Dantas, responsabile scientifico della Fci.

Diego Bragato con le ragazze juniores ai recenti mondali di categoria in pista (foto Instagram)
Diego Bragato con le ragazze juniores ai recenti mondali di categoria in pista (foto Instagram)
Diego, ci avete lavorato dunque sul fuso orario…

E’ stato un bel lavoro di squadra. E’ emerso ciò che Roberto Amadio (team manager delle squadre nazionali della Fci, ndr), ha voluto: una struttura come questa con staff e ruoli ben definiti. In questo modo io ho potuto seguire i ragazzi e le ragazze nei tanti impegni estivi: europei under 23, Giochi del Mediterraneo, europei elite… Riguardo all’Australia, volevamo dare ai ragazzi le giuste info sul fuso orario.

Raccontaci come è andata…

Dantas e Corsetti hanno creato un decalogo-diario con le informazioni necessarie per i ragazzi. Un decalogo che riguardava i comportamenti da assumere cinque giorni prima del via e cinque dopo l’arrivo in Australia. E una sorta di diario su cui appuntare le sensazioni e quanto fatto quattro giorni prima del via e tre giorni dopo l’arrivo. Una volta messo a punto tutto ciò, Dantas e Corsetti hanno riferito a tutti i commissari tecnici in un incontro su Zoom. A loro volta i cittì hanno parlato con i ragazzi.

E cosa diceva questo decalogo?

Dava dei consigli su come gestire principalmente il sonno in vista della trasferta. Quindi anticipare l’orario del sonno, vale a dire andare a letto prima. Di fare molta attenzione soprattutto dopo le 18, divenute le 16 a ridosso della partenza. Di prestare attenzione alla luce. Bisognava infatti “far capire” al corpo che era sera. Dovevano poi anticipare la cena. E da due giorni prima del volo dovevano anticipare notevolmente la sveglia, esponendosi velocemente alla luce una volta svegli così da dare un certo imput al fisico e stimolare subito gli ormoni. 

In conferenza stampa le atlete hanno ringraziato la Fci per averle fatte arrivare in Australia con un buon anticipo (foto Instagram)
In conferenza stampa le atlete hanno ringraziato la Fci per averle fatte arrivare in Australia con un buon anticipo (foto Instagram)
Un lavoro certosino…

In più Corsetti ha informato i ragazzi su come gestire la melatonina e la caffeina. Non dovevano esporsi alle luci blu di smartphone e tablet mezz’ora prima di andare a dormire. E poi le indicazioni sul viaggio: fare piccoli esercizi di stretching, camminare durante gli scali, la pulizia in volo…

Pulizia in volo?

Siamo pur sempre con lo spettro del Covid, quindi Corsetti spiegava ai ragazzi come igienizzare il tavolinetto su cui mangiavano, per esempio, le mani, cosa toccare in aeroporto. L’attenzione è massima.

E il sonno vero e proprio, sempre durante la fase del viaggio?

E’ stato detto loro di allinearsi sugli orari australiani al momento della partenza. E se dormivano fuori orario, anche una volta arrivati, dovevano fare dei pisolini non più lunghi di 30′. Un altro aspetto che non abbiamo trascurato è stato quello del bere. Sin dai giorni prima abbiamo detto agli atleti di bere di più, acqua chiaramente, perché spesso quando si è in uno stato confusionale e si è in viaggio ci si scorda di idratarsi. Ed essere oltre che stanchi anche disidratati è ancora peggio.

C’è un orario migliore per prendere il feeling con i nuovi orari?

Sono stati favoriti coloro che sono atterrati in Australia per l’ora di cena e magari erano già un po’ stanchi. 

Il protocollo del sonno messo appunto dalla Fci prevede di bere molto, in volo e non solo…
Il protocollo del sonno messo appunto dalla Fci prevede di bere molto, in volo e non solo…
La domanda può sembrare banale: ma perché è così importante adeguarsi subito al fuso orario? Anche ieri in conferenza stampa i ragazzi hanno sottolineato più volte l’aspetto del jet-lag…

Il nostro corpo si basa sulle abitudini e così anche le prestazioni. Pertanto è necessario riprendere quanto prima le proprie abitudini. Bisogna adeguare quanto prima i cicli, quello ormonale e quello circadiano, ai nuovi orari, perché appunto influiscono sulla prestazione. E’ fondamentale.

I ragazzi come li hai visti di fronte a tutto ciò?

Erano interessati. Soprattutto gli juniores. Ero in pista con loro per degli allenamenti e abbiamo ripassato il tutto, facevano domande. E poi va detto che con quattro scaglioni di partenze e con le ragazze impegnate alla Vuelta non era semplice per loro seguire tutto ciò e soprattutto applicarlo. In generale li ho visti partecipi e concentrati e soprattutto contenti di questo supporto da parte della Federazione.

Nutella, thè, gel e tanta testa: la ricetta di Viviani per Monaco

16.08.2022
6 min
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«Oggi in bici ho avuto un giorno di down – dice Viviani – abbiamo fatto 50 minuti in pista per provare i rapporti della madison, ma non ne avrei avuto per fare di più».

E’ il pomeriggio dopo l’eccezionale accoppiata fra la prova su strada e l’oro europeo nell’eliminazione. Viviani parla con tono sereno e ancora rimugina sul settimo posto nella volata di Monaco. Il prossimo impegno è l’americana di oggi con Scartezzini, ma la curiosità sulla domenica di Elia è ancora tanta. Soprattutto in relazione a come abbia fatto per recuperare dopo le 4 ore e mezza su strada, prima di scendere finalmente in pista.

Viviani è stato schierato su strada per sostituire Nizzolo, dolorante per una caduta
Viviani è stato schierato su strada per sostituire Nizzolo, dolorante per una caduta

Pane, Nutella e thè

«Il giorno prima della corsa su strada – racconta Viviani – ho chiesto a Diego Bragato (responsabile azzurro della performance, ndr) se fosse fisiologicamente possibile sostenere il doppio impegno. Quando mi ha detto di sì, è scattato il piano. Perciò finita la corsa, abbiamo fatto il debriefing sul pullman e in quelle fasi, invece di mangiare come si fa dopo una corsa, ho bevuto acqua e zuccheri. Poi sono salito in macchina con Amadio e sono andato nell’hotel vicino alla pista. Siamo partiti alle 16 e arrivati alle 16,30. Massaggio alle 17, per cui in quella mezz’ora, ho mangiato quel che ho trovato. Un toast. Una fetta di pane e Nutella e due biscotti. E ho bevuto del thè».

Dopo l’allenamento alla vigilia, Viviani ha chiesto a Bragato se fosse possibile il doppio impegno strada-pista (foto FCI)
Dopo l’allenamento alla vigilia, Viviani ha chiesto a Bragato se fosse possibile il doppio impegno strada-pista (foto FCI)

Da Montichiari a Monaco

Bragato si aggancia al discorso e spiega perché abbia risposto di sì alla domanda di Elia sulla fattibilità del doppio impegno. Dimostrando che spesso al dato oggettivo si debba sommare la personalità dell’atleta.

«La settimana scorsa – dice – avendo saputo che Elia non avrebbe corso su strada, a Montichiari abbiamo lavorato per l’eliminazione. Abbiamo ricreato le situazioni di gara, lui in bici e io in moto. Soprattutto abbiamo simulato le dinamiche di corsa. L’eliminazione non è il computo dei watt medi, ma il modo in cui si ottengono. E’ molto particolare da allenare, per questo si studiano i dati. E devo dire che Elia stava molto bene. Tanto che quando mi ha chiamato Bennati, per chiedermi se fosse in condizione per correre su strada, io gli ho risposto che era pronto.

«Da quel momento, Viviani si è concentrato sulla strada, mettendo l’eliminazione nel cassetto. Solo il giorno prima, come ha detto, ha cominciato a pensare all’accoppiata. Gli ho detto che se la corsa su strada non fosse stata particolarmente dura, piena di scatti e di attacchi, allora avrebbe avuto il tempo per recuperare. Una situazione che in qualche modo mi ha ricordato quello che si fa nei turni fra un quartetto e l’altro. Fisiologicamente l’eliminazione non era da fare. Ma quando uno così si mette in testa di volerlo fare, tutto diventa possibile. Il campione è fatto così!».

La corsa di Monaco ha avuto un andamento regolare e questo ha reso possibile il recupero di Viviani
La corsa di Monaco ha avuto un andamento regolare e questo ha reso possibile il recupero di Viviani

Le cosce doloranti

Elia prosegue nel racconto, facendo sembrare appunto assolutamente normale quel che al pubblico e agli addetti ai lavori è parso davvero sorprendente.

«Aver fatto quella settimana in pista – racconta – è stato decisivo, ma sono certo che se non fosse stata l’eliminazione, ma ad esempio la madison, probabilmente non avrei corso. L’eliminazione è una gara breve, era forse l’ultima occasione di mettere la maglia iridata e sarebbe stata la prima maglia di campione europeo per l’Italia in questa edizione.

«Per cui, dopo aver mangiato, sono andato ai massaggi. Sentivo di avere in particolare le cosce affaticate, per cui ho chiesto che con il massaggio si lavorasse di più lì, confidando nel fatto che poi avrei avuto i rulli per sciogliere. E intanto ho riguardato per dieci volte la volata, massacrandomi per capire che cosa avremmo potuto fare di diverso. Alle 18,30-18,40 sono arrivato in pista».

Bragato gli ha confermato che il doppio impegno fosse fisiolgicamente possibile e Viviani ha deciso di provare
Bragato gli ha confermato che il doppio impegno fosse fisiolgicamente possibile e Viviani ha deciso di provare

L’incubo dei primi giri

Bragato lo ha lasciato in hotel mentre iniziava a reintegrare, con la raccomandazione di darci dentro con i carboidrati. Non era il pasto di uno che deve recuperare, ma la base di uno che doveva correre ancora.

«E’ arrivato in pista un’oretta prima di correre – spiega il tecnico veneto – anche per vedere la pista, che non aveva mai provato. Si è vestito, è salito sui rulli e a quel punto ha iniziato a fare mente locale sulla gara, perché fino a quel momento aveva continuato a parlare della corsa su strada. Di sicuro era stanco, le gambe erano provate. Gli ho detto che avrebbe dovuto tenere duro nei primi 10-15 giri. Ed ero convinto che se fosse riuscito a… scollinarli, avrebbe potuto vincere. I primi giri, anche quelli a vuoto, sono così veloci che possono diventare una trappola. Se Elia aveva la gamba, con quella motivazione non c’era nulla che in pista potesse fermarlo.

«Ma confermo che aver girato in pista la settimana prima lo abbia aiutato per abituarsi al colpo di pedale e al rapporto della pista. A parti invertite, cioè uno stradista messo in pista senza preparazione specifica, non avrebbe tirato insieme nulla. I lavori specifici hanno pagato. E anche se nei primi giri non ci ha capito molto, aver fatto il punto con Villa sugli avversari è stato utile. Senza contare che nell’eliminazione erano gli altri a doversi preoccupare di lui».

I primi giri velocissimi potevano essere il punto debole per Viviani, che invece ha stretto i denti
I primi giri velocissimi potevano essere il punto debole per Viviani, che invece ha stretto i denti

Le scale di corsa

Viviani completa il racconto. E’ ormai nel velodromo e ha indossato il body. Le gambe fanno ancora un po’ male e sono il grosso punto interrogativo.

«Prima di salire sui rulli – racconta – dovevo andare al bagno e c’erano le scale. Le ho fatte di corsa per capire le mie sensazioni. Poi sono salito sui rulli e ho fatto 30 minuti di riattivazione e lavoro sulla cadenza. Non ho mangiato niente di più. Trattandosi di uno sforzo di 10 minuti, ho preferito arrivarci leggermente vuoto. Così ho preso un gel prima di iniziare a girare sui rulli e uno 15 minuti prima di correre.

«Nei primi giri, più che la fatica, mi sono sentito confuso dallo stare in pista. Ho rischiato a girare in basso, ma ho risparmiato tante energie. Ho corso con il 60×16 e sicuramente sono riuscito ad adattarmi grazie ai lavori fatti prima a Montichiari. E alla fine è andata bene. Avrei preferito vincere su strada, ma siamo contenti lo stesso. Pronti per la madison e poi per Amburgo».

L’adattamento al 60×16 della bici da pista è stato possibile grazie ai lavori specifici della scorsa settimana
L’adattamento al 60×16 della bici da pista è stato possibile grazie ai lavori specifici della scorsa settimana

Un settembre caldissimo

La classica tedesca è saltata nelle ultime due edizioni a causa della pandemia e Viviani ne è stato il vincitore nelle tre stagioni precedenti.

«Mi piacerebbe che fosse la corsa del ritorno a un certo livello – sorride – poi andrò a Plouay, anche se è un po’ dura. E poi c’è da capire se andrò al Tour of Britain. Quello per noi della Ineos Grenadiers è come il Tour de France, il posto bisogna guadagnarselo. Per cui il programma di settembre sarà da vedere. Andrò là oppure farò le classiche italiane e magari anche il mondiale. E soprattutto farò ancora tanta pista. A ottobre ci sono i mondiali, un altro momento molto caldo della mia stagione…».

Il bronzo di Vece nei 500 metri, antipasto del mondiale

15.08.2022
3 min
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«No, non ho rimpianti. So che fare la velocista è stata la scelta migliore – dice Miriam Vece – e quella che mi si addice di più. Brucia un po’ perdere l’argento per così poco. Mancano due mesi al mondiale di Parigi e ho tempo per preparare la rivincita».

Le parole dell’azzurra arrivano da Monaco dopo il bronzo nei 500 metri ai campionati europei. Il podio rappresenta un altro tassello importante nella sua scalata ai vertici della specialità. E se nei giorni scorsi Diego Bragato confermava come nel maschile ci sia da vincere ancora la resistenza della strada, parlando con Miriam è evidente l’orgoglio per la scelta che l’ha portata via da casa

Il bronzo ha dato soddisfazione nell’immediato, poi si è trasformato in un bel… rodimento
Il bronzo ha dato soddisfazione nell’immediato, poi si è trasformato in un bel… rodimento

Argento sfumato

Vece ha 25 anni, viene da Crema ed è tesserata per la Valcar-Travel&Service. Il suo bronzo nei 500 metri è venuto con il tempo di 33”434, che non è bastato per battere l’ucraina Olena Starikova, argento con 33”403, e la tedesca Emma Hinze, campionessa europea con 32”668. 

«Sono arrivata agli europei in buona forma -conferma – forse mi aspettavo di più dalla velocità, ma il ciclismo è anche questo. Non ho fatto molte di tappe in preparazione, solo le due Coppe delle Nazioni e una gara in Germania».

L’obiettivo di Vece sono ora i mondiali di Parigi che si correranno a ottobre
L’obiettivo di Vece sono ora i mondiali di Parigi che si correranno a ottobre

Supporto alla FCI

Il racconto di Bragato sull’aiuto della lombarda all’impostazione del settore velocità azzurro trova conferme nelle parole di Miriam, che ad Aigle vive a tempo pieno la dimensione del velocista.

«Sono orgogliosa e contenta – conferma fra un turno e l’altro degli europei – del nuovo gruppo che si sta creando in Italia con i velocisti. Posso solo esserne contenta e sono super fiera di tutti loro. Per quanto io possa aiutare Ivan (Quaranta, ndr) e Diego (Bragato, ndr), se hanno bisogno di qualsiasi consiglio sanno che possono contare su di me. Quindi certo, ho dato e sicuramente darò ancora una mano a entrambi».

Sul podio dei 500 metri, Vece è terza dietro Starikova e Hinze
Sul podio dei 500 metri, Vece è terza dietro Starikova e Hinze

Il test di Parigi

I mondiali di Parigi si svolgeranno a metà ottobre nel velodromo di Saint Quentin en Yvelines, in una sorta di test nel velodromo che ospiterà le Olimpiadi del 2024.

«C’è tempo per lavorare – prosegue Miriam Vece – con l’obiettivo di scendere sotto i 33 secondi. Negli ultimi 12 mesi tante cose sono cambiate e soprattutto è cresciuta la consapevolezza dei mezzi che ho! Niente di nuovo quanto a rapporti e bici, sono sempre gli stessi! Questo podio soddisfa, ma non al 100 per cento. Quando si è così vicini, si vuole sempre di più e quell’argento sfumato per 0.034 brucia, molto. Ma so anche che per l’oro bisogna lavorare molto. Emma Hinze si è confermata la regina anche di questa specialità».

Le cinque ore di Viviani fra la corsa su strada e l’oro in pista

15.08.2022
6 min
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Come si fa a correre un europeo su strada di 210 chilometri, piazzarsi in volata e solo qualche ora dopo vincere il titolo continentale in pista nell’eliminazione? Semplice, basta essere Elia Viviani. E se non è un piccolo record, è senz’altro qualcosa di straordinario quello compiuto dall’azzurro nel ciclismo moderno.

A Monaco di Baviera il 33enne veronese ha vissuto una domenica intensa, che in cuor suo – e segretamente per tutti – sapeva e sperava di vivere. Al mattino, prima della partenza della prova su strada, alla nostra precisa domanda di quali fossero i suoi programmi in pista dopo la corsa, ci aveva giocato un dribbling degno della playstation.

«Martedì (16 agosto, ndr) farò la madison con Scartezzini. Ho fatto qualche allenamento – diceva – l’anello è di 200 metri, non è pericoloso, anzi bello rotondo. Vedremo cosa fare».

Un bluff ben riuscito

Fine, nessun riferimento all’eliminazione. Invece ecco cosa si inventa Viviani nell’arco di cinque ore. Alle 15,09 Elia chiude settimo nell’europeo vinto da Jakobsen, al termine di quasi 4 ore 40′ di gara ad oltre 45 di media. Si concede la classica routine tra interviste e meeting post-gara prima di tornare in hotel. Alle 20,06 scende in pista per la finale dell’eliminazione con la maglia iridata conquistata l’anno scorso a Roubaix. Alle 20,21, Viviani ha la medaglia d’oro al collo.

E’ come se il velocista della Ineos-Grenadiers avesse proseguito il proprio sprint fatto in Odeonplatz fino al velodromo di Messe Munchen. Così, dopo la premiazione, mettiamo nel mirino sia Viviani che Villa. Elia ha poco tempo e ci chiede di sentirlo mentre è sui rulli a defaticare, il cittì ci fa cenno che aspetta il suo turno.

Dopo la vittoria, recuperando sui rulli assieme a Diego Bragato, regista con Villa dello switch da strada a pista
Dopo la vittoria, recuperando sui rulli assieme a Diego Bragato, regista con Villa dello switch da strada a pista
Al mattino strada, alla sera pista. Partiamo dall’inizio della giornata.

L’obiettivo di oggi (domenica, ndr) era sicuramente la strada. Da quando sono stato ripescato da Bennati per correre non c’era nessun pensiero all’eliminazione. Siamo delusi del piazzamento, ma sapevamo anche che dovevamo fare un treno perfetto per portare una medaglia all’Italia. E rivedendo la volata, Jakobsen ha vinto con il sigaro in bocca. Vincere era difficile, ma è ovvio che volevamo di più. Meritavamo di più. Nel momento in cui io e Dainese siamo saltati sulle ruote degli altri, le gambe erano quelle. Non c’è nessuna scusa, lo spazio sulla destra ce l’avevo. Dispiace per questo settimo posto perché una gara su strada rappresenta un po’ l’Italia e vogliamo sempre raccogliere tanto. Venivamo da quattro titoli consecutivi, non era facile riconfermarsi ancora.

Il dopo gara come è stato?

Sul bus c’era delusione. Abbiamo fatto subito il meeting per capire cosa avessimo fatto di sbagliato e cosa di giusto. Il gruppo è forte. C’è un bel mix tra giovani ed esperti, che ha funzionato bene. Ha detto bene Jacopo (Guarnieri, ndr) a fine corsa. Siamo stati uniti, ci siamo ritrovati nei momenti giusti. A tre chilometri dall’arrivo sembravamo tutti persi. A due invece siamo comparsi tutti, dove c’era il giro di boa per tornare indietro. Ci è mancata la coordinazione. Avevamo la superiorità numerica nel finale, ma probabilmente l’abbiamo usata male. Peccato non aver fatto un risultato migliore ma guardiamo alle prossime gare con la nazionale.

Quando hai iniziato a pensare alla gara in pista?

Quando sono salito sui rulli al velodromo (sorride, ndr). Ho iniziato a riscaldarmi cercando di capire le sensazioni che avevo. L’eliminazione in cui bisogna stare e capire quando si può risparmiare qualcosa o quando c’è da spendere più energie. Poi quando si resta in 5-6 atleti diventa una questione di gambe e lì la devi gestire bene.

E tra una gara e l’altra cos’hai fatto?

Quando sono arrivato in hotel ho pensato a recuperare. Ho mangiato qualcosa, sono salito sul lettino per i massaggi. Avevo cinque ore di buco. In camera ripensavo alla gara in strada. Avrò riguardato quello sprint almeno dieci volte per capire cosa potevo fare. Diciamo che mi sono logorato tutto il pomeriggio prima di venire in pista e scaricare un po’ di adrenalina.

Ora per Viviani si apriranno le porte della madison, da correre il 16 agosto
Ora per Viviani si apriranno le porte della madison, da correre il 16 agosto
E a livello atletico questo doppio sforzo come lo avevi immaginato?

Avevamo pensato con l’head performance della federazione (Diego Bragato, ndr) che ci fosse il tempo per riprendersi, a meno che su strada non fosse stata una gara veramente pazza. Devo dire che se fosse stata una qualsiasi altra gara in pista, forse non avrei mai corso. Ma l’eliminazione in maglia di campione del mondo no. Dovevo provarci.

Questo alloro continentale che valore ha in generale per te?

E’ la maglia che mancava alla nostra federazione in questa trasferta. Abbiamo raggiunto un livello altissimo in pista. Le ragazze hanno fatto un lavoro magnifico col quartetto. Altrettanto la Guazzini nell’inseguimento individuale e la Zanardi poco prima di me nella corsa a punti. O ancora i ragazzi nell’inseguimento individuale. In questa vittoria un pensiero va a Letizia (Paternoster, ndr) che ieri nella stessa mia gara, anche lei in maglia di campionessa del mondo, è caduta male andando in ospedale. Siamo sicuri che tornerà più forte di prima e la aspettiamo.

Il progetto del doppio impegno era chiaro nella testa di Villa, ma non era stato annunciato
Il progetto del doppio impegno era chiaro nella testa di Villa, ma non era stato annunciato

Doppia gara già studiata

Tocca a Villa darci le proprie impressioni. E’ contento per la vittoria di Elia, che non era scontata. Lo reputa un esempio per tutti. A vederlo c’erano anche i suoi compagni del mattino Milan, Ganna e Guarnieri.

«Tra una corsa e l’altra non l’ho nemmeno chiamato per sentirlo – spiega il tecnico cremasco – perché era già stato deciso così sabato sera. Domenica mattina, prima che iniziasse il programma in pista, dovevo toglierlo o lasciarlo. Lui sapeva che doveva correre. Questa decisione ce la siamo tenuta per noi. Per rispetto della prova su strada e per lasciarlo concentrato. Dopo l’arrivo la sua concentrazione è passata di qua. A questo punto, stasera Consonni, che avevo già inserito come riserva ed ha avuto l’ok dalla sua squadra per venire qua, correrà l’omnium che avrebbe dovuto fare Elia, che invece chiuderà martedì con la madison».

La rinascita della velocità azzurra spiegata da Bragato

10.08.2022
5 min
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La differenza nel settore velocità azzurro l’hanno fatta la volontà di cambiare marcia, il tempo speso e l’entusiasmo di Ivan Quaranta. Parlando con Diego Bragato che segue la preparazione degli sprinter azzurri, il succo è proprio questo, a conferma che ci fosse soprattutto da rimboccarsi le maniche.

«Parlavamo con Miriam Vece che lavora ad Aigle con il suo allenatore – racconta Bragato – e ci rendevamo conto che lassù facessero le stesse cose nostre, ma tutti i giorni. Invece noi ci limitavamo a raduni meno frequenti e a programmi più blandi. Eravamo più concentrati sui corridori di endurance, che hanno la loro routine fatta di pista e strada. E quando venivano a Montichiari bastavano dei richiami. Invece per i velocisti la continuità palestra-pista è fondamentale. Ma c’erano poche risorse. Invece adesso Ivan si è buttato e di colpo le cose sono cambiate».

Bragato non ha dubbi: la svolta nella velocità è venuta con l’interesse federale e l’impegno di Quaranta (foto FCI)
La svolta nella velocità è venuta con l’interesse federale e l’impegno di Quaranta (foto FCI)
Da dove siete partiti?

Dai corridori che già conoscevamo e poi abbiamo iniziato ad allargare il campo degli juniores. Avendo buone prospettive siamo andati a parlare con atleti e squadre, proponendo loro di entrare nel gruppo velocità. Sul fronte della preparazione, fra Marco Compri e il sottoscritto c’era già il bagaglio di esperienze messe a punto prima con Ceci e poi con Matteo Bianchi, per cui programmare l’attività non è stato impossibile.

In che modo siete stati accolti?

Prendiamo la Campana Imballaggi, una delle società più coinvolte. Abbiamo detto loro che avremmo fatto più raduni, proponendogli che fossero ancora loro a gestire la componente strada per ottenere una formazione globale degli atleti. Si è creato un bel clima.

Le partenze, i cambi, l’affinità per gi europei, costruiti in ritiro a Montichiari (foto FCI)
Le partenze, i cambi, l’affinità per gi europei, costruiti in ritiro a Montichiari (foto FCI)
Quindi il velocista ha comunque bisogno della strada?

I tornei sono lunghi, le volate da ripetere sono tante. Predomo agli europei ha ottenuto nelle volate dei tempi migliori rispetto alle qualifiche (in apertura il bolzanino agli europei di Anadia, foto UEC). Segno che aveva una base migliore rispetto agli avversari.

Si è trattato quindi di intensificare la loro presenza in pista?

Sono sempre collegati con ritiri più o meno lunghi. Come base, c’è Montichiari per due volte a settimana. Ma prima degli europei, abbiamo fatto un ritiro di tre settimane. E in quella fase, si guardavano i video degli avversari, si facevano prove delle batterie uno ad uno. Potevano confrontarsi fra loro e il confronto in queste fasi aiuta a crescere. Chiedete a quelli del quartetto di ogni volta che ci sono selezioni da fare e che tirate danno…

Le indicazioni di Miriam Vece sono state cruciali per il rilancio del settore velocità (foto FCI)
Le indicazioni di Miriam Vece sono state cruciali per il rilancio del settore velocità (foto FCI)
Il ruolo di Miriam Vece qual è stato?

Abbiamo sempre parlato e ci dava le informazioni di quello che fanno a Aigle. Il progetto velocità è nato così. Lei adesso è legata al suo allenatore, ma abbiamo bisogno che torni in Italia. Speriamo di poterla riportare presto a casa.

Le sinergie con la Bmx sono così efficaci?

Sono contento dei risultati di Tugnolo. Abbiamo copiato dal sistema olandese, grazie a un cittì come Lupi che ha una buona apertura mentale. Siamo passati dal fatto che la pista possa essere per loro una buona fase di preparazione, al capire se siano possibili degli sviluppi diversi. Tugnolo è stato il primo a crederci e a raccogliere risultati.

E’ un processo bidirezionale? Un pistard potrà passare alla Bmx?

Negli juniores e a salire, temo sia unidirezionale. Per correre nella Bmx serve un livello tecnico altissimo, che non costruisci da grande se non l’hai fatto da bambino. Difficilmente uno junior può passare dalla pista alla Bmx. Ma lo stesso Tugnolo, ad esempio, per un po’ potrà ancora farle entrambe, perché nella Bmx è uno dei migliori. Poi penso che dovrà scegliere.

Quali sono i punti comuni?

Entrambi lavorano tanto sulla forza. L’atleta della Bmx nasce facendo palestra e partenze da fermo, il modo in cui dovrebbero crescere i velocisti. Con palestra e volumi di forza crescenti. Il problema è la paura di non andare più in salita e non vincere le volate su strada.

Bragato segue la preparazione del gruppo azzurro, fra endurance e velocità
Bragato segue la preparazione del gruppo azzurro, fra endurance e velocità
Occorre offrirgli alternative consistenti.

Abbiamo esordienti capaci di tempi ottimi a livello internazionale, titubanti davanti alle scelte da fare. La strada in Italia è un richiamo fortissimo. La nostra preoccupazione ora è consolidare questo percorso, per proporre loro un’alternativa.

Cosa ci fa Bennati con la nazionale di BMX? Andiamo a vedere…

14.02.2022
6 min
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Mentre arriviamo a Padova, dai finestrini, si scorge un cielo terso. Le prime montagne innevate sono lontane, cosa strana da queste parti se pensiamo che è il 12 febbraio. Il sole invita a stare senza giacca, anche se il vento non ce lo permette. L’autobus numero 10, passando sui sampietrini del centro storico, ci accompagna comodamente in via Chiesanuova. Qui si trova il centro del team Bmx Panther Boys, dove si sta allenando la nazionale Bmx guidata da Tommaso Lupi. Accompagnato, in questa due giorni da Daniele Bennati, il quale ha iniziato la sua avventura sui pedali proprio da questa disciplina quando aveva 9-10 anni.

«Avevo visto una squadra di Arezzo e mi sono incuriosito così ho provato – racconta – non c’era una pista come questa e tutte le strutture di oggi. Devo dire che mi fa piacere vedere come è cresciuto il movimento».

Una strana coppia

«La Federazione – dice Tommaso Lupi – da quest’anno ci ha aperto le porte, di conseguenza le collaborazioni e le opportunità di espansione del nostro movimento sono aumentate».

C’è anche Diego Bragato con il quale Tommaso e i suoi ragazzi avevano lavorato esattamente un anno fa in pista a Montichiari.

«La Bmx – riprende Tommaso – è un mondo in continua crescita nel nostro paese, i ragazzi sono sempre più interessati e questo ci riempie di orgoglio. L’incontro tra il nostro mondo e quello della strada in questi giorni non è legato alla preparazione, ma più al fare gruppo e portare i ragazzi al di fuori della loro zona di comfort. Con l’arrivo di Daniele (Bennati, ndr) come cittì abbiamo voluto avvicinare i nostri mondi».

Il confronto tra il cittì Lupi e i ragazzi è continuo
Il confronto tra il cittì Lupi e i ragazzi è continuo

Si lavora per Parigi

«Mancano due anni e mezzo alle prossime Olimpiadi – dice con un sorriso Tommaso – e il lavoro che voglio fare è tanto. Sono orgoglioso di dire che lavoreremo anche con un gruppo femminile, anche se con loro vedo difficile una nostra partecipazione alle prossime Olimpiadi. In questo campo lavoriamo in ottica Los Angeles 2028, sarebbe bello arrivare dove la nostra disciplina è nata con una novità così importante. Intanto, il mese prossimo a Vigevano ci sarà il raduno degli allievi e giovanissimi e sarà presente anche un gruppo femminile guidato da Gaia Tormena, che mi ha più volte chiesto di provare questa disciplina».

A disposizione della nazionale di Bmx ci sono anche i mezzi della Federazione
A disposizione della nazionale di Bmx ci sono anche i mezzi della Federazione

Gli investimenti aumentano

Notiamo che sulle bici di alcuni corridori sono presenti dei ciclocomputer e ne approfittiamo per indagare…

«Stiamo iniziando ad allenarci con più strumentazione – risponde Lupi – oltre alla fascia cardio iniziamo ad usare anche i misuratori di potenza. In quest’ultimo caso quelli che si usano su strada non possono essere utilizzati con la stessa precisione per la nostra disciplina a causa della differenza di sforzo. Il misuratore di potenza che si usa su strada per noi non va bene perché ha un leggero “ritardo” nella trasmissione dei dati. La Federazione, grazie anche a Diego Bragato, ha parlato con Srm e comprato dei misuratori di potenza studiati appositamente per la Bmx.

«Unire strada e Bmx è possibile, sono sforzi differenti, ma con un buon lavoro si potrebbero vedere delle belle novità. Lo sforzo massimale che si fa in partenza supera abbondantemente i 2.000 watt e la brevità delle gare (30-40 secondi, ndr) porta a pensare che si possano anche tirare fuori dei velocisti o ultimi uomini interessanti

Passato in comune

Daniele Bennati, neo cittì azzurro, è incuriosito dalle bici degli atleti e chiede informazioni. Mentre noi, silenziosamente, ascoltiamo.

«La sella è all’altezza minima per tutti – spiega Lupi – perché nella gara non ci si siede mai, la si utilizza nei salti per mantenere l’equilibrio. I telai sono di due materiali: carbonio e alluminio. I corridori scelgono generalmente i telai in carbonio perché sono più rigidi e scaricano meglio la potenza a terra. La particolarità sta nel carro posteriore, ci sono dei marchi che li fanno separati così che gli atleti possano trovare la misura corretta per le loro esigenze».

Le spiegazioni vengono interrotte da una rovinosa caduta di uno dei ragazzi. Una volta che ci si è assicurati che stia bene, Bennati rilancia.

«Dovrebbero inserire la Bmx – dice – in tutte le squadre giovanili. Alleni tantissimo la tecnica di base e lo fai in sicurezza, lontano dal traffico. Se metti uno di questi ragazzi in sella ad una bici da strada, mountain bike o downhill vedi che si adatta prontamente. La doppia disciplina, di qualsiasi tipo, deve essere un must per i giovani. In Italia si guarda subito alla strada, ma non tutti sono portati. Bisogna dare ai ragazzi la possibilità di provare cose nuove, divertirsi e scegliere in autonomia la propria disciplina».

Bragato, ora il ruolo è chiaro. Si può cominciare…

27.11.2021
4 min
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Dopo le voci, le ipotesi e le suggestioni, quel che resta tra le mani di Diego Bragato – fino a ieri al Centro Studi Federale (in apertura ai mondiali di Roubaix con il quartetto iridato) – è il ruolo che parlando con il presidente Dagnoni aveva immaginato per sé. Responsabile dell’Area Performance, con un pool di preparatori sotto di sé con cui offrire supporto ai commissari tecnici.

Voci, suggestioni e ipotesi

Si diceva di voci, ipotesi e suggestioni perché a un certo punto si era fatta largo la voce secondo cui il trevigiano sarebbe potuto essere il tecnico delle donne della pista, una volta che il settore fosse stato sfilato di mano a Dino Salvoldi. Poi le cose hanno seguito un altro corso. La pista è stata unificata e affidata a Marco Villa, di cui Bragato sarà collaboratore assieme a Fabio Masotti. Richiesto sul tema, il cittì d’oro di Tokyo col quartetto, ha espresso una valutazione legittima che a qualcuno ha fatto storcere il naso per i toni.

«Amadio – ha detto Villa, marcando il territorio – mi consiglia di far seguire le ragazze da Bragato, ma visto che sono io il commissario tecnico, le voglio gestire in una certa maniera. Bragato sarà quello che avrà i riferimenti, ma il responsabile sarò sempre io come coi maschi. Mi toglierà quel lavoro di contatti e di programmazione settimanale. Se devo capire chi viene la settimana prossima in ritiro, non posso mettermi a fare 28 telefonate. Vorrà dire che Masotti chiamerà i 14 uomini e Bragato le 14 donne. Però il modo di allenare resta il mio, perché non voglio dividere i settori».

Compri, Bragato, Lupi: l’uomo dei pesi, il referente tecnico federale e il cittì della Mbx
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Un ruolo trasversale

Il veneto, che non ha mai puntato a un ruolo da tecnico ma a forza di sentirselo dire aveva probabilmente iniziato a pensarci, è pertanto ben contento del ruolo ricevuto.

«Un ruolo più trasversale rispetto all’ultimo periodo – spiega – e a breve verrà indetto un concorso per quattro preparatori con cui seguiremo tutti i gruppi. Sono curioso. Tra i requisiti è richiesta l’esperienza, poi ci sarà un colloquio. Voglio vedere chi si farà avanti. Sul lato dell’operatività, riceverò le richieste dei tecnici e avrò come interfaccia la Commissione Scientifica appena insediata, che in quanto Scuola Tecnici sta sistemando la parte didattica dei corsi, da cui avrò supporto scientifico».

Bragato è amico di Viviani da sempre: il progetto di coinvolgerlo in Fci nacque dopo Londra 2012
Bragato è amico di Viviani da sempre: il progetto di coinvolgerlo in Fci nacque dopo Londra 2012
Ci saranno nomi già visti?

Qualcuno c’è già, anche se con incarichi diversi. Avrei visto Tacchino con i paralimpici perché c’è già stato, mentre ad ora potrebbe andarci Cucinotta cui l’aspetto interessa personalmente, anche se per esperienza lo vedrei bene anche nel fuoristrada. Poi ci sarà da vedere se potranno crearsi conflitti di interesse fra preparatori dei club che prestano la loro opera in Federazione. Cucinotta è all’Astana, come peraltro Slongo che fa parte della Scuola Tecnici è alla Trek-Segafredo. Credo che siano tutti grandi ed esperti abbastanza da non incorrere in problemi.

Come si svolgerà il vostro intervento?

Facciamo tutti capo ad Amadio, che ci segnalerà le esigenze. Portiamo avanti il lavoro fatto, dalla palestra in avanti. Adesso stiamo per iniziare una bella fase con il cross country, perché finora non hanno mai fatto test sistemici. Celestino mi ha chiesto di essergli di supporto nel colloquio con i preparatori degli atleti, dato che finora si era mosso da selezionatore. L’idea è di estendere a tutti i settori un metodo di lavoro omogeneo.

Ispirato a quali criteri?

A quello che ho imparato con Villa nella progettazione e nella costruzione del settore pista. Credo si possa estendere agli altri. Io sarò il filtro, vaglierò le richieste e assegnerò i preparatori, spendendomi ovviamente anche in prima persona. In questi giorni ad esempio sono a Verona con la Bmx.

Bragato affiancherà Masotti (qui con Scartezzini) tra i collaboratori di Villa
Bragato affiancherà Masotti (qui con Scartezzini) tra i collaboratori di Villa
Collaborerai ancora con Villa in pista?

Certo, è una delle mie mansioni. I ragazzi chiedono, perché con alcuni di loro lavoro individualmente. Per l’alto livello in realtà non vedo grossi problemi, perché hanno i loro preparatori, invece per U23 e juniores è importante relazionarsi con le società. Con Salvoldi, che ha da poco preso gli juniores, stiamo programmando una serie di test a tappeto per avere uno screening del materiale umano di cui disponiamo. L’idea è anche di ripetere quelli in pista, ma dipenderà da quando Montichiari tornerà disponibile. E la stessa esperienza la estenderemo a tutti i settori.

Sei soddisfatto dell’incarico?

E’ quello che avevo proposto all’inizio, fu il presidente a dirmi che forse ci sarebbe stato dell’altro. Certo l’ipotesi di un ruolo tecnico mi allettava, ma sto nel mio e faccio quello che mi riesce meglio. Cresco. E chissà che non sia propedeutico ad altro per il futuro.