Sabatini 2021

Professor Sabatini, ci spieghi l’ultimo uomo…

12.10.2021
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A 36 anni, Fabio Sabatini dice basta, chiudendo una carriera da pro’ durata ben 16 anni. Se si guarda il suo palmarés, i numeri dicono che non c’è neanche una vittoria, ma i numeri talvolta mentono, perché i successi del toscano sono stati tantissimi. Sono le vittorie dei suoi capitani, dei velocisti che hanno dopo anno ha lanciato verso il traguardo, diventando quello che, insieme al danese Morkov, è considerato il più grande “ultimo uomo” della storia recente del ciclismo. Tante volte ha tagliato il traguardo alzando le braccia, perché quei successi erano anche suoi.

La sua figura nel gruppo mancherà e nel ripercorrere la sua storia si capisce come attraverso di lui il ruolo di ultimo uomo sia diventato un cardine delle volate, ma anche qualcosa che la frenesia del ciclismo attuale sta divorando, come tanto altro, nella ricerca spasmodica del campione giovane, del nuovo Pogacar o Evenepoel, dimenticando che questo sport è fatto di tante altre cose.

Iniziamo dalla Milram…

La nostra chiacchierata parte dall’ormai lontano 2006 e dal suo approdo alla Milram, team Professional nel quale Sabatini si ritrovò con un particolare vicino di casa, Alessandro Petacchi: «Lui è di Montecatini Terme, io sono a Camaiore, eravamo a un tiro di schioppo così ci allenavamo insieme. Con lui ho iniziato la gavetta e con Ongarato, Sacchi, Velo, Zabel costruimmo uno dei primi grandi treni per le volate. Al tempo io ero per così dire il primo vagone, ma imparai tantissimo, poco alla volta, gara dopo gara. Capii che le volate sono un meccanismo delicatissimo, dove ci sono mille incastri che devono funzionare».

Sabatini Petacchi
Compagni, avversari, ma sempre amici e vicini di casa: Sabatini e Petacchi hanno condiviso molte battaglie
Sabatini Petacchi
Compagni, avversari, ma sempre amici e vicini di casa: Sabatini e Petacchi hanno condiviso molte battaglie
Nessuno più di te può spiegare che cos’è essere l’ultimo uomo…

Devi capire tantissime cose, essere sempre attento: ci sono variabili che condizionano ogni volata, come dove spira il vento oppure le traiettorie scelte dal gruppo. Bisogna studiare le strade nei minimi particolari: oggi c’è Google Map, ci sono le tecnologie che aiutano, prima dovevi vederle con i tuoi occhi. Ricordo che alla Vuelta mandavamo l’addetto stampa Agostini a visionare gli ultimi chilometri, lui che era stato ciclista e ci raccontava la strada per filo e per segno, curva dopo curva, come prendere le traiettorie, dove chiudere la propria porzione e così via.

Ripercorriamo la tua carriera attraverso i velocisti che hai accompagnato. Iniziamo da Petacchi…

Alessandro è un fratello maggiore. Da lui ho imparato tantissimo, basti dire che per due anni mi ha anche ospitato a casa sua. Mi ha insegnato tantissimo, mi spiegava per filo e per segno la volata in ogni particolare. E’ stato il mentore ideale, quello che purtroppo tanti ragazzi che arrivano oggi al professionismo non vogliono più avere, non ascoltano più…

Daniele Bennati significa parlare del periodo alla Liquigas. 

Con lui ho iniziato davvero a fare l’ultimo uomo. Con il Benna la comunicazione era continua, diceva quando partire, quando aspettare e questa partecipazione era totale, mi sentivo veramente parte delle sue vittorie perché era il compimento di una volata fatta bene.

Sabatini Conti 2021
Sabatini è sempre stato benvoluto nel gruppo, anche dagli altri team: qui è con Valerio Conti
Sabatini Conti 2021
Sabatini è sempre stato benvoluto nel gruppo, anche dagli altri team: qui è con Valerio Conti
Poi arrivò la Cannondale e Peter Sagan…

Grande Peter, un vero funambolo. Con lui il lavoro era particolare, non serviva tanto tirargli la volata, quanto metterlo in posizione buona per partire. Capitava magari che non te lo trovavi più a ruota e dovevi andarlo a recuperare. Ma alla fine il risultato arrivava…

Hai lavorato anche per Mark Cavendish…

Non sono state molte le volate nelle quali abbiamo lavorato insieme, inoltre già allora era Morkov l’uomo deputato a tirarlo per ultimo. E’ stata però un’esperienza utile e siamo rimasto in buoni rapporti.

Poi due anni con Marcel Kittel…

Con lui si lavorava di potenza, lo portavo dai 400 ai 200 metri, ma la volata iniziava già prima dei 2 chilometri finali. Mi sono trovato bene con lui anche se il nostro era un rapporto molto professionale.

Sabatini Viviani
Con Elia Viviani tante vittorie condivise e un’amicizia profonda, che li ha resi complementari
Sabatini Viviani
Con Elia Viviani tante vittorie condivise e un’amicizia profonda, che li ha resi complementari
Infine è arrivato Viviani, alla Deceuninck e poi alla Cofidis.

E’ stato il compimento del mio lavoro: con Elia ci lega un’amicizia profonda, fatta di gioie e dolori, nottate a parlare, a condividere tutto. Quando stai oltre 100 giorni in giro per il mondo s’innesca un legame profondo. Le nostre volate sono sempre state meccanismi particolari, avevamo una parola concordata, quando la sentivo significava che dovevo lanciarlo a tutta velocità, oppure che si stava sganciando e andava recuperato. Per questo le sue vittorie mi hanno dato gioie enormi. 

Mettiamo tutto insieme: con che spirito chiudi?

Senza rimpianti, penso di essere stato bravo a capire che potevo sì forse vincere qualche corsa, trovare spazi diversi in piccole squadre, ma io volevo il meglio e potevo dare molto di più in quel ruolo specifico. Sono sempre rimasto con i piedi per terra, conscio del mio ruolo e contento di quel che ho fatto.

E’ una questione di approccio dei giovani?

Non solo. Tutti guardano solo i dati, quel che dicono i preparatori, che in base ad essi decidono se farti correre oppure no, ma si dimentica che la corsa ti accresce la condizione per quella successiva e che anche inconsciamente, in allenamento non darai mai quel “di più” che ti viene naturale in gara. I numeri non dicono tutto.

Sabatini 2010
Giro d’Italia 2010, l’americano Farrar batte Sabatini allo sprint a Bitonto. Resterà il suo risultato più alto
Sabatini 2010
Giro d’Italia 2010, l’americano Farrar batte Sabatini allo sprint a Bitonto. Resterà il suo risultato più alto
Come saranno le volate del futuro?

Io dico che presto i treni non ci saranno più. All’ultimo Tour io non c’ero e spesso abbiamo guardato le tappe con Cipollini, eravamo d’accordo che alla fine era tutta una confusione, molti sprint vedevano i velocisti compiere mille errori. Cavendish ha vinto tanto proprio perché aveva un treno eccezionale, ma quella gente, i Morkov o i Sabatini della situazione, chi li sostituirà? Io ad esempio ho cercato d’insegnare tanto a Simone Consonni, sarebbe un grande ultimo uomo.

In sintesi, che cosa serve per essere “l’ultimo vagone del treno”?

Innanzitutto acquisire esperienza nel corso del tempo e ne serve tanto. Quell’esperienza ti consentirà di improvvisare quando sei nella m…. perché raramente le cose vanno esattamente come vuoi e devi decidere in pochissimi secondi che cosa fare, sapendo che da te dipende la volata del compagno e la possibile vittoria.

Che cosa farà adesso Fabio Sabatini?

Non lo so, intanto penso di prendere il 1° livello a Firenze, vicino casa, per un futuro da diesse. Quel che è certo è che il ciclismo non lo lascio…

Chris Anker vive ancora nelle parole di chi gli ha voluto bene

22.09.2021
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Le strade nella campagna fra Bruges e il mare sembrano dipinte. Casette senza recinzioni. Alberi e zone in ombra lungo i canali. Cavalli e mucche che trascorrono placidamente il tempo. Eppure, per un motivo che sarà difficile decifrare, sabato in questo quadro idilliaco di pace e verde, Chris Anker Sorensen ha perso la vita mentre era sulla bici che, pur avendo smesso di correre, portava sempre con sé.

«Amico dolce, premuroso e talentuoso – scrive Brian Nygaard su Twitter, addetto stampa alla Saxo Bank – è insopportabile pensare che non ci vedremo mai più. Eri sempre lì per tutti gli altri, anche quando stavi facendo le cose più belle per te stesso nella tua vita e nella tua carriera. Riposa in pace, Chris Anker Sorensen. Non c’è consolazione, solo amore».

Sorensen infreddolito nella postazione di commento della Roubaix (foto Instagram)
Sorensen infreddolito nella postazione di commento della Roubaix (foto Instagram)

Gregario col sorriso

Vinse la tappa del Terminillo al Giro d’Italia del 2010. Raramente gli riusciva di alzare le braccia, pur essendo uno di quelli sempre all’attacco, quando non aveva da aiutare il capitano. Quella volta staccò Simone Stortoni e Xabi Tondo, altro gregario dal sorriso che l’anno dopo avrebbe incontrato una fine anche peggiore. Nel 2008 invece era arrivato da solo a La Toussuire, nel Delfinato vinto da Valverde su Cadel Evans.

Però sapeva far vincere e nella Saxo Bank in cui corse gli anni migliori, non mancarono le occasioni di fatica per condurre il capitano al successo. Come alla Vuelta 2014 al fianco di Contador e il Tour del 2010, quello vinto da Contador sulla strada e poi passato a Schleck per la squalifica dello spagnolo.

E Chris Anker Sorensen era sempre pronto agli ordini di Riis, con il suo sorriso sempre in faccia. Danese che sapeva anche lasciarsi andare al confronto del ben più gelido team manager

Alla Vuelta del 2014 ha lavorato sodo fino alla vittoria della maglia rossa di Alberto Contador
Alla Vuelta del 2014 ha lavorato sodo fino alla vittoria della maglia rossa di Alberto Contador

La casa a Lucca

Il dolore ha viaggiato subito sui social e ha riportato alla memoria altre storie identiche. Un uomo giovane che stava vivendo la sua passione e lascia a casa una moglie e due bimbe.

«Penso proprio alle sue bimbe – racconta Pino Toni, che di Sorensen fu a lungo l’allenatore – perché mia figlia faceva loro da baby sitter. Aveva comprato casa fuori le mura di Lucca, una bifamiliare col suo giardino intorno. La moglie aveva preso l’aspettativa dal lavoro per seguirlo in Toscana, poi quando finì di correre decisero di tornare in Danimarca. Io l’ho conosciuto che era già in Toscana e so che mi riteneva un amico. Di noi toscani aveva preso il gusto di mangiare, ma essendo un corridore alle dipendenze di Bjarne Riis non era il tipo che esagerava. Non faceva chissà quale vita fuori dalla bici, stava tanto in famiglia. Avevamo legato molto, per come si può legare con un danese».

Bennati e l’altro Sorensen

Ricorda Daniele Bennati, che con Sorensen ha corso quattro anni, che si era così radicato in Toscana da aver preso anche delle sfumature dell’accento.

«Assieme a lui – ricorda Daniele – abbiamo vinto la Vuelta del 2014 con Contador. Era uno di quei corridori che un capitano vorrebbe averse sempre, Alberto compreso. Dio solo sa quante borracce e quanti chilometri in salita gli toccò tirare, mentre Tosatto e io facevamo il lavoro in pianura. Sabato ero nel Chianti alla partenza della Gran Fondo Gallo Nero e c’era anche Rolf Sorensen, il “biondo”. Era distrutto. Il fatto era appena successo. Doveva andare anche lui in Belgio per commentare i mondiali e raccontava che la tv danese avrebbe lasciato ai suoi uomini la possibilità di scegliere se andare o fermarsi qualche giorno per assorbire il dolore».

La sua bici anche al Tour, per pedalare sul circuito dei Campi Elisi (foto Instagram)
La sua bici anche al Tour, per pedalare sul circuito dei Campi Elisi (foto Instagram)

Guida per i giovani

L’altro giorno il vincitore danese della cronometro under 23, Johan Price-Pejtersen, ha parlato di Chris Anker come di un’ispirazione per i giovani ciclisti danesi.

«E lui proprio con i giovani dava il meglio – ricorda ancora Pino Toni – perché riusciva a spronarli in modo incredibile. Ricordo che mi trovai a fare il direttore sportivo da solo nel Giro di Polonia del 2013 che partiva dal Trentino. E ricordo che grazie a lui riuscimmo a prendere la maglia di leader con Majka in cima al Pordoi, dove finiva la prima tappa. Chiaro che dei morti si parla sempre bene, ma lui era bravo davvero. L’ultima volta che l’ho visto, eravamo alla Vuelta del 2019 e mi fece un’intervista sui sistemi di navigazione delle ammiraglie».

I corridori danesi che finora hanno brillato ai mondiali del Belgio hanno rivolto una parola al gioviale gregario di 37 anni che proprio per raccontare meglio i percorsi delle cronometro che sarebbe iniziate di lì a poche ore, nella mattinata di sabato 19 settembre aveva deciso di percorrerne in bici i chilometri. In un bel mattino fresco di sole, che annunciava ignaro un’altra giornata meravigliosa…

Bennati e i fenomeni che stanno riscrivendo le regole

03.08.2021
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Nell’epoca in cui il velocista faceva il velocista, quello delle classiche pensava alle classiche e il cronoman era sempre in posizione, c’è stato in Italia un professionista che da junior e U23 era fortissimo a cronometro, che sognava di vincere le classiche e che in volata vinse persino la tappa di Parigi al Tour de France. Quando ridendo diciamo a Daniele Bennati che a suo modo è stato un precursore di Wout Van Aert e dei fenomeni di oggi, il toscano sta guidando e probabilmente sbanda. Eppure, al di là del valore oggettivo degli atleti, la differenza fra quelli di ieri e questi di oggi è che nessuna convenzione è riconosciuta. Il velocista fa le crono, vince le classiche e se si ritrova davanti il Ventoux, si rimbocca le maniche e se lo mangia. Lo scalatore fa lo stesso e in mezzo vince le Olimpiadi di mountain bike.

Corridori moderni

Quei tre in particolare non hanno paura di niente e nessuno e sono andati avanti per tutta la stagione incrociandosi e scambiandosi… gentilezze di ogni genere. Con il Benna oggi parliamo proprio di loro, perché l’anomalia ha tratti comuni. Sono versatili, vincenti a 360 gradi, ambiziosi e sfrontati. Sono probabilmente quello che Robbert De Groot della Jumbo-Visma ha definito “corridori moderni”, con le caratteristiche e il carattere per fare sempre la differenza.

«Da professionista – dice Bennati – non mi sono mai specializzato nelle crono, salvo andare bene in qualche cronosquadre. Non ho fatto cross e neppure podismo, come ho visto fare su Instagram a Van Aert. Però grazie a loro le corse sono diventate esplosive e belle da seguire. Era da un po’ che non si vedeva gente così versatile. Quando correvo io c’era la specializzazione estrema, forse prima ancora era così…».

Mathieu Van der Poel, Wout Van Aert, Namur 2020
Mathieu Van der Poel contro Wout Van Aert, scontro diretto a Namur. Nel cross sono fenomeni indiscussi
Mathieu Van der Poel, Wout Van Aert, Namur 2020
Mathieu Van der Poel contro Wout Van Aert, scontro diretto a Namur. Nel cross sono fenomeni indiscussi

Occhio da cittì

Il tema è caldo. Per la sua capacità di analizzare i corridori, Bennati meriterebbe a buon titolo il ruolo di tecnico della nazionale, ma è chiaro che in questo momento chiunque riceva l’incarico di succedere a Cassani (sempre che Davide sia da sostituire) rischi di beccare in faccia un boomerang piuttosto veloce. E poi siamo sicuri che il ruolo del cittì azzurro in Italia resterà come l’abbiamo sempre conosciuto?

Cominciamo da Van Aert, cosa te ne pare?

E’ veloce, al punto da vincere le volate di gruppo. Però spesso sbaglia. Parte sempre lunghissimo e rischia di farsi rimontare, succede quando ti senti il più forte. Sono contento per Carapaz, ma alle Olimpiadi il più forte era Van Aert. Che oltre ad andare bene in volata, vince le crono.

Pidcock ha 4 anni meno di entrambi, è alla pari in salita e anche veloce
Pidcock ha 4 anni meno di entrambi, è alla pari in salita e anche veloce
Invece Van der Poel?

E’ molto più esplosivo, però ha meno fondo. E poi commette delle leggerezze. Non so a chi attribuire la colpa, ma quella della pedana a Tokyo è stata troppo grande. Lui ha subito detto che avrebbe dovuto esserci, ma lo sapevano tutti che sarebbe stata tolta.

Si dice che fra i due, Van der Poel sia quello con più talento.

Sarà, ma Van Aert è quello che l’anno scorso al rientro ha vinto Sanremo e Strade Bianche e nello scontro diretto ha perso il Fiandre ma solo in volata. A parte gli errori di partire lungo nelle volate, secondo me Van Aert corre meglio.

Pensi che finirà nel mondo dei grandi Giri?

Se lo fa, secondo me sbaglia. In salita non può essere al livello degli scalatori, ma in questo ciclismo mai dire mai. Secondo me, un tentativo lo farà.

Sembra che gli venga tutto facile.

Sono giovani, sono indubbiamente dei fenomeni, ma con tutte le specialità che fanno, raschiano in continuazione il limite delle energie. Lo vedete Van der Poel agli arrivi, sempre distrutto? Arriva morto, riesce a dare l’anima e si vede che il cross gli dà la possibilità di fare questi fuori giri. Più degli altri. Van der Poel mi piace tanto, ma a volte non lo capisco. Potrebbe vincere con molto meno, invece parte a 60 chilometri dall’arrivo…

Al Tour è stato lucido…

Vero, con Van Aert che per contro è partito un po’ in sordina. C’è da capirlo, era in Francia per aiutare Roglic, ma vincere la crono del sabato e la volata di Parigi il giorno dopo è tanta roba. Stanno cambiando il ciclismo…

Thomas Pidcock, Giro d'Italia U23, Aprica 2020
Pidcock ha vinto il Giro d’Italia U23 2020: quest’anno malgrado i risultati già raccolti è un neopro’. Anche lui nel club dei fenomeni
Thomas Pidcock, Giro d'Italia U23, Aprica 2020
Pidcock ha vinto il Giro d’Italia U23 del 2020: quest’anno malgrado i risultati già raccolti è un neopro’
In che senso?

Van Aert vince la volata di Parigi, mentre Pogacar, che ha vinto due Tour, quasi lo batte in volata alle Olimpiadi. Sanno fare tutto al livello più alto, sono dei grandi.

E Pidcock come lo incastoniamo nel mosaico?

E’ appena passato, difficile valutarlo su strada. Certo però, uno che vince il Giro U23 e l’anno dopo fa quello che ha fatto l’inglese, tanto comune non è. Ha vinto la Freccia del Brabante, battendo Van Aert partito troppo lungo. E per lo stesso motivo stava per vincere l’Amstel. Su strada resta da verificare, nel cross spesso le ha beccate, ma ha anche qualche anno in meno ed è fra quelli che se la gioca. Uno dei fenomeni, insomma. E’ proprio un bel ciclismo, è dura andare ai mondiale a giocarsela con gente così. Dura davvero…

L’occhio di Bennati: «Colbrelli nervoso. Chapeau Deceuninck»

06.07.2021
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La tappa numero dieci del Tour de France è finita da pochissime ore. Una corsa un po’ insolita per come era stata nervosa sino ad oggi la Grande Boucle. Oggi invece ha regnato la tranquillità… almeno fino agli ultimi 25-30 chilometri, quando in pochissimo tempo è successo di tutto. La Deceuninck – Quick Step che attacca, la BikeExchange che si porta davanti e Colbrelli che fora. Ci sono gli spunti per fare un’analisi con Daniele Bennati. Il toscano, da ex corridore, con il suo occhio mette in evidenza dei punti tecnici affatto scontati.

Colbrelli, l’occhio in avanti, tra le ammiraglie cerca di recuperare dopo la foratura
Colbrelli, l’occhio in avanti, tra le ammiraglie cerca di recuperare dopo la foratura

Sonny nervoso e sfortunato

E con Bennati partiamo proprio da Sonny Colbrelli, oggi vittima di una foratura proprio nel momento in cui la Deceuninck affondava il colpo.

«Con Sonny ci ho parlato anche ieri sera – dice Bennati – siamo amici e ci sentiamo spesso. Lui si agita. E anche oggi purtroppo è stato così. Non è un velocista puro e per lui non è facile prendere le posizioni. In più è sempre solo, Mohoric lo guida fin quando può. E chiaro che con quei 7-8 velocisti che vogliono prendere la ruota di Cavendish c’è una grande lotta. E’ successo anche a me vivere una situazione simile. Lui però ha una gamba supersonica e per questo deve stare tranquillo. Può prendere anche un po’ di vento. Anche perché lui non deve vincere le volate di gruppo, ma deve piazzarsi. Deve stare dietro e solo negli ultimi 2-3 chilometri andare avanti e, come ripeto, prendere anche un po’ d’aria se ce n’è bisogno.

«Colbrelli ha davvero la possibilità di conquistare la maglia verde ma deve piazzarsi. Su carta va più forte Matthews. Solo che Michael fa sì secondo alle sue spalle nei traguardi volanti, ma poi fa 5°-6° nelle volate di gruppo e raccoglie più punti. Ohi, posto sempre che davanti c’è Cavendish. Solo che in prospettiva di Parigi Mark la maglia verde se la deve guadagnare sulle salite, mentre Sonny se la cava molto meglio».

Rischio di pioggia e vento, hanno contribuito ad accendere la corsa nel finale della tappa 10
Rischio di pioggia e vento, hanno contribuito ad accendere la corsa nel finale della tappa 10

Bennati e quel Tour del 2015

Si parla poi della foratura di Colbrelli: è solo sfortuna oppure anche in quel caso c’è lo zampino del nervosismo? Può succedere che ci si tocchi con qualcuno, non si riesca ad evitare una buca…

«Non so di preciso dove Sonny abbia forato – riprende Bennati – magari era troppo sulla banchina per risalire e può aver preso dello sporco, però spesso e volentieri è sfortuna e basta. Mi ricordo di una tappa del Tour 2015, che vinse Kristoff. Quel giorno era il compleanno di mio figlio. Io già non avevo più la volata di un tempo, ma volevo comunque fare qualcosa. Così al mattino progetto di partire agli ultimi due chilometri. Davanti c’è Tony Martin, lo riprendo e lo stacco… Poi ad un tratto sento che la ruota anteriore va giù. Non ci potevo credere: avevo forato. Avevo preso una di quelle fascette di plastica che era saltata da una transenna. Magari non avrei vinto, però…».

L’abbraccio tra Cavendish e Alaphilippe appena dopo l’arrivo di Valence. In squadra c’è un bel clima
L’abbraccio tra Cavendish e Alaphilippe appena dopo l’arrivo di Valence. In squadra c’è un bel clima

“Cav” e la Deceuninck

«Un ritorno così non me lo aspettavo – continua Bennati – ma occhio: se la Deceuninck-Quick step lo convoca per il Tour si poteva immaginare che il livello di Cav fosse al top. Però da qui a vincere una, due, tre tappe non se lo aspettava neanche lui! Giù il cappello. Viene da due anni no, in cui ha superato anche la depressione. Ha vinto 33 tappe al Tour: nel ciclismo moderno è il velocista più forte dopo Cipollini e Petacchi. Io sono rimasto impressionato dalla sua voglia di dimostrare soprattutto a se stesso che c’era ancora. Agli altri non doveva dimostrare nulla, visto che per le sue caratteristiche ha vinto tutto: tappe nei tre grandi Giri, Sanremo, mondiale… E’ stato un grande ad andare da un team manager e dirgli: corro gratis ma dammi una possibilità».

E aggiungiamo noi, e Daniele è d’accordo, è stato anche merito dell’ambiente Deceuninck se è tornato il Cav di un tempo. «Ha ritrovato un ambiente ideale. Pertanto giù il cappello anche alla squadra che ha creduto in lui».

Alaphilippe e la Deceuninck hanno cercato di aprire dei ventagli. Occhio a Carapaz: pronto in seconda ruota.
Alaphilippe e la Deceuninck hanno cercato di aprire dei ventagli. Occhio a Carapaz: pronto in seconda ruota.

Tattiche da rivedere

Ma se la tappa è stata tranquilla per moltissimi chilometri, il finale è stato caotico. O se non altro si sono viste tattiche non del tutto chiare, a partire dalla super trenata di Julian Alaphilippe. Insomma ventagli sì o no? Treni che scappano o tira e molla?

«Partiamo dal presupposto che nonostante molti siano andati a casa, c’erano una decina di sprinter buoni per la volata e la squadra serviva. La Deceuninck è stata eccezionale. Quando hai un treno composto dal campione mondo, da Asgreen che ha vinto il Fiandre, da Cattaneo che ha dato delle menate incredibili e da Ballerini che ha portato l’ultimo uomo (Morkov, ndr) ai 200 metri…. va da sé che il velocista possa vincere e che si sia lavorato in un certo modo.

«Guardate – spiega Bennati – che oggi con quel vento in faccia era difficilissimo gestire la situazione. In questa situazione chi sta dietro è facilitato a rimontare. I Deceuninck invece hanno fatto 4-5 chilometri davanti e per farlo servivano degli uomini superiori a tutti gli altri. Se le altre due tappe Cavendish un po’ se le è dovute guadagnare, oggi per lui vincere è stato un gioco da ragazzi. Avrà fatto 80 metri al vento, forse… (Morkov ha tirato dai 200 ai 100 metri ad una velocità pazzesca, ndr)».

Okay ma perché Alaphilippe ha dato quella menata quando mancavano una ventina di chilometri all’arrivo?
«Secondo me l’ha data perché glielo ha chiesto Cavendish – conclude Bennati – se andiamo a rivedere lui ha sofferto su una salitella. La BikeExchange ha fatto un forcing per metterlo in difficoltà. Mark si è sfilato, ma ha tenuto e quando ha ripreso le prime posizioni ha detto ad Alaphilippe di tirare subito, magari c’era vento, si andava forte e voleva sfruttare l’occasione. Anche perché Mark è molto bravo con i ventagli».

Bennati: «Fermi tutti, vi dico io chi è davvero Carapaz»

21.06.2021
4 min
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«Parliamoci chiaro, Carapaz può vincere il Tour de France». Si apre con il colpo di scena la chiacchierata con Daniele Bennati su Richard Carapaz. I due hanno corso per tre stagioni insieme nel team Movistar. Il “Benna” conosce bene il talento ecuadoriano.

Il sudamericano viaggia spedito verso il Tour. Ha vinto il Giro del 2019, è fresco re dello Svizzera, è salito sul podio della Vuelta l’anno scorso, ha vinto tappe qua e là e sa è essere uomo squadra. Ma noi vogliamo saperne di più di questo ventottenne delle Ande.

Bennati (al centro nella fila in alto) e Carapaz (secondo da sinistra nella fila centrale) insieme nella Movistar del 2017
Bennati (il quarto da sinistra nella fila in alto) e Carapaz (il secondo da sinistra nella fila centrale) insieme nella Movistar del 2017

“Cattivo” in bici

«Anche se da fuori non sembra – racconta con piacere Bennati – posso garantirvi che in corsa Carapaz ne guarda in faccia ben pochi. Ha la giusta dose di cattiveria agonistica. Si fa rispettare. Quando attacca il numero sulla schiena cambia. Mentre al di fuori dalle corse è un ragazzo super tranquillo, molto educato e rispettoso.
«Una volta eravamo alla Vuelta, c’era il giorno di riposo e alloggiavamo sulla costa Cantabrica. Quel giorno uscimmo insieme per la sgambata… Io e lui da soli. Facemmo un’oretta e mezza, ci fermammo a prendere una Coca Cola e poi passando su un tratto di costa bellissimo a picco sul mare ci fermammo a fare le foto. Lui le faceva a me, io le facevo a lui. Per dire che tipo di ragazzo sia: tranquillo, disponibile e generoso».

Bennati ricorda una delle prime gare che corse proprio con Richard. Erano al Tour de l’Occitaine del 2017 (ex Route du Sud), Silvan Dillier, che giusto ieri ha vinto il titolo nazionale svizzero, era in testa alla generale.

«Dillier – racconta Bennati – aveva preso la maglia con una fuga da lontano. Carapaz era secondo e noi tiravamo per lui. L’ho visto subito molto determinato, forse anche troppo, per quel che riguarda qualche alzata di voce in gruppo, “entrate” dure… Ma ha dimostrato subito il suo talento e il suo carattere battagliero, che poi è quello che fa la differenza tra un campione e un corridore normale. Questa sua determinazione mi impressionò».

Carapaz è un ottimo scalatore, ma ha anche caratteristiche da finisseur
Carapaz è un ottimo scalatore, ma ha anche caratteristiche da finisseur

Il Giro non è stato una sorpresa

«Io non sono rimasto stupito quando Richard ha vinto il Giro d’Italia. Hai voglia a dire che Nibali e Roglic si sono controllati, ma lui nei giorni successivi ha continuato a guadagnare. In salita dimostrò di essere molto forte. Io quel Giro dovevo farlo, ma ero messo male…

«Lo incontrai all’aeroporto di Madrid. Io andavo in Spagna dopo l’infortunio per farmi vedere. Avevo le vertebre rotte. Lui invece stava venendo in Italia. Mi disse che avrebbe voluto fare bene, che avrebbe voluto vincere delle tappe. Poi invece si è portato a casa la maglia rosa!

«Quando è arrivato in Movistar, i tecnici dicevano che aveva dei valori addirittura migliori rispetto a Quintana. Per me in confronto a Nairo lui è un po’ meno scalatore ma è certamente più completo. Richard è un corridore in grado di partire anche agli ultimi due o tre chilometri. Ricordo quando vinse la tappa sotto la pioggia a Frascati e batté gente tipo Ewan».

E il fatto che sia esplosivo è un grande vantaggio anche per gli uomini di classifica nel ciclismo moderno. Essere veloci nei finali vuol dire accumulare secondi, poter prendere abbuoni. E alla fine tutto conta.

Sorridente ed educato fuori dalle gare, l’ecuadoriano in corsa… “morde”
Sorridente ed educato fuori dalle gare, l’ecuadoriano in corsa… “morde”

Quali margini?

Ma dove può arrivare Carapaz? L’anno scorso, dopo il passaggio alla Ineos Grenadiers, sembrava destinato ad una vita da gregario, di lusso, ma sempre gregario. Sembrava si fosse adagiato. Adesso invece sembra essere addirittura il capitano dello squadrone inglese per la Grande Boucle.

«Prima – riprende Bennati – ho detto che Richard può vincere un Tour, magari non è quello di quest’anno, potrà essere il prossimo, ma è un qualcosa che comunque è nelle sue corde. Corre in una squadra fortissima e potrà attaccare. Thomas potrà essere più attendista. Ma tanto sarà la strada a dire chi dei due sarà il leader.

«Margini? Sul piano mentale credo che come un po’ tutti sudamericani sia già maturo. Loro a 22 anni spesso hanno già messo su famiglia. Ricordo Bernal, che anche se non è sposato, a 21 anni al suo primo Tour sembrava un trentenne. Sul piano fisico invece non so che margini possa avere Carapaz. In questo ciclismo si è visto che si può sempre migliorare un po’, ma una cosa è certa: lui handicap della cronometro. E morfologicamente più di tanto non potrà fare. Non potrà arrivare ai livelli di Thomas o Roglic. Però, è nella squadra giusta per poter migliorare in questa specialità… E di certo già avrà iniziato a lavorarci su».

Prove segrete di Bennati per The Unique Shoes di Q36.5

01.04.2021
4 min
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Bennati ha l’occhio fino. E quando già lo scorso anno quelli di Q36.5 lo avevano contattato proponendogli di diventare loro ambassador, il toscano aveva apprezzato i capi di abbigliamento, ma essendo già uomo immagine di un’altra azienda, aveva dovuto declinare l’offerta. Era tuttavia solo questione di tempo e all’approccio successivo, l’accordo è stato trovato. A quel punto, oltre all’abbigliamento, Bennati ha cominciato a sentir parlare delle nuove scarpe in arrivo e si è incuriosito…

Le scarpe sono proposte in tre colori: bianco, nero, orange fluo
Le scarpe sono proposte in tre colori: bianco, nero, orange fluo

Le nuove scarpe

Il mistero è risolto da questa sera alle 18,30 con il lancio di The Unique Shoes, la scarpa che in qualche modo ha chiuso il cerchio. Grazie ad essa infatti, Q36.5 ha ora in catalogo The Unique Bib Shorts (la salopette senza cuciture che proprio grazie a questo aiuta nel miglioramento delle prestazioni), The Unique Gloves (i guanti senza cuciture sul palmo grazie a un tessuto tridimensionale) e le calzature. I tre punti di contatto sulla bici sono stati raggiunti e a ciascuno è stata data un’impronta di nuova tecnologia.

«Mi sono trovato subito bene – dice Bennati, che le ha provate sulla sua Wilier Filante – certo non faccio più in bici quello che facevo prima, ma il comfort è giusto. Le scarpe hanno due boa per la chiusura e sono stati eliminati totalmente i materiali in eccesso. Sembra di indossare un guanto, senza cuciture né linguetta».

Carbonio e schiuma compongono il perfetto mix fra rigidità e comfort
Carbonio e schiuma compongono il perfetto mix fra rigidità e comfort

Il progetto

Lo scopo di Q36.5 era progettare una scarpa (da strada, ma anche mountain bike e gravel) che offrisse termoregolazione e traspirabilità. Allo stesso modo, si è lavorato e indagato parecchio sulla rigidità del sistema suola-scarpa, in riferimento al sistema più ampio costituito dal corridore e dalla sua bici. 

Per la suola si è scelto dunque un composto in fibra di carbonio, con una differenziazione del suo comportamento in base alla posizione. Si raggiunge la rigidità più elevata nella parte anteriore della scarpa, mentre la parte posteriore concede maggiore flessibilità. Questo crea a sua volta un’elasticità dal basso verso l’alto, migliorando la circolazione e conferendo più comfort e meno sovraccarico tendineo

Il supporto Power Wrap avvolge il piede e accresce la compattezza
Il supporto Power Wrap avvolge il piede e accresce la compattezza

Schiuma nel plantare

Il plantare interno è forse uno dei punti di forza di queste scarpe. Q36.5 ed Elastic Interface hanno infatti brevettato e convertito la leggerezza e l’elasticità della schiuma ad alta densità che di solito si utilizza per i fondelli in camoscio. Il plantare che se ne ottiene riesce ad adattarsi molto bene alla forma del piede, tenendone memoria, e assorbendo contemporaneamente le microvibrazioni dalla strada, aumentando a dismisura il comfort.

«C’è il giusto compromesso – conferma Bennati – fra rigidità e comfort. Per un professionista questi due aspetti devono conciliarsi e credo che presto si cercherà anche qualche testimonial in attività che possa metterle alla prova e apprezzarle a fondo. Forse non sono le più leggere sul mercato, ma con 250 grammi (scarpa da strada misura 42, ndr) sono assolutamente competitive. Il corridore guarda il peso, ma soprattutto il comfort. Io stesso ci avrei corso, perché le trovo comode e reattive».

Doppio boa e niente linguetta: scarpa molto comoda
Doppio boa e niente linguetta: scarpa molto comoda

Tomaia in microfibra

Lo studio del movimento del piede, derivato dalla somma delle esperienze raccolte, ha permesso disegnare la scarpa in modo che segua e assecondi il corridore durante la pedalata. 

La tomaia è un pezzo unico realizzato in microfibra naturale, dallo spessore di un solo millimetro, e come detto è priva della linguetta. Essa avvolge il piede, lo mantiene ventilato e pur essendo molto leggera, ha dei rinforzi che garantiscono la sua rigidità. 

La parte superiore è poi foderata con materiale termoplastico, modellato per assicurare comunque l’aderenza e rendere più resistente la microfibra al suo interno. Il supporto Power Wrap infine circonda il collo del piede che viene mantenuto nella posizione più redditizia e comoda, a tutto vantaggio della spinta.

«Sono scarpe con un imprinting particolare – conclude Bennati – l’azienda sta molto attenta ai materiali, che siano 100% Made in Italy e riciclati. Luigi Bergamo, il titolare di Q36.5 dice che provengono tutti da un raggio di 350 chilometri da casa sua. Puntano su qualità e comfort. La scarpa era il loro cruccio e adesso che è nata, devo dire che il quadro è proprio completo».

Daniele Bennati

Q36.5 accoglie nella propria famiglia Daniele Bennati

25.03.2021
3 min
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Q36.5 è un marchio di abbigliamento dedicato al ciclismo estremamente giovane, nato nel 2013 da un’idea di Luigi Bergamo, oltre vent’anni di esperienza ad alti livelli nel settore, desideroso di dare forma ad una propria visione dell’abbigliamento da ciclismo. Nella mente del suo ideatore Q36.5 non doveva infatti essere un semplice brand, quanto piuttosto un veicolo per una continua sperimentazione ed innovazione finalizzata alla realizzazione di capi da ciclismo di altissima qualità.

L’esperienza di Bennati

Sperimentazione ed innovazione passano anche dalla collaborazione con figure professionali in grado di portare idee nuove. Nasce così l’incontro con Daniele Bennati (foto di apertura Photo Credit @oureaproductions). Daniele Bennati porta in Q36.5 la propria esperienza di ciclista maturata in 17 anni di carriera ad alti livelli che gli ha permesso di essere apprezzato e riconosciuto da tutti per la propria professionalità e serietà. Bennati entra oggi a far parte del Q36.5 Veloce Club, una vera e propria community che unisce fra loro ciclisti di tutto il mondo accumunati dalla stessa voglia di pedalare e raggiungere risultati sia a livello individuale che collettivo, pedalando fisicamente insieme oppure anche sfidandosi virtualmente.

Daniele Bennati Q36.5
Daniele Bennati vanta una notevole esperienza (Photo Credit @oureaproductions)
Daniele Bennati Q36.5
Daniele Bennati vanta una notevole esperienza (Photo Credit @oureaproductions)

Una maglia unica

Per entrare nel Q36.5 Veloce Club è necessario acquistare una membership. L’acquisto dà diritto ad avere una maglia da ciclismo davvero unica. Si tratta infatti di un capo molto leggero, traspirante e altamente performante. Ogni membro del club avrà ricamati sulla maglia il proprio nome unitamente al numero e alla nazionalità. Non va poi trascurato il fatto che la maglia è realizzata con fibre riciclate seguendo uno dei principi cardine dell’azienda: innovazione e sostenibilità devono procedere di pari passo.
Per chi decide di entrare nella community del Q36.5 Veloce Club non mancano benefit come la possibilità di acquistare in anteprima nuovi prodotti Q36.5 e partecipare ad eventi in esclusiva. Sono infatti in programma nei prossimi mesi delle pedalate sulle Dolomiti e per l’autunno un evento gravel attorno al lago di Caldaro.

Q36.6 Veloce Club
La maglia del Q36.5 Veloce Club
Q36.6 Veloce Club
La maglia del Q36.5 Veloce Club è altamente tecnica e con ricamato il proprio nome

In arrivo anche le scarpe

Daniele Bennati entra quindi a far parte del Q36.5 Veloce Club. Il suo ruolo però non sarà solo quello di semplice ambassador. L’ex professionista toscano metterà infatti la propria esperienza a disposizione dell’azienda fornendo consigli e feedback utili a migliorare ogni nuovo capo. In questi giorni sta provando i primi prototipi della collezione invernale 2021/2022 ma soprattutto sta calzando un nuovo modello di scarpa prodotto da Q36.5 che sarà presentato ufficialmente il prossimo 1 Aprile.

Q come ricerca

Prima di chiudere, concludiamo con una curiosità e spieghiamo per chi non lo sapesse cosa si nasconde dietro la sigla Q36.5. Ebbene, Q deriva dal latino «quaerere» che significa ricerca. Mentre 36.5° indica la temperatura ideale di un corpo sano. In Q36.5 ritengono infatti che sia indispensabile mantenere stabile la temperatura corporea ideale durante un’uscita in bicicletta.

q36-5.com

Un giorno a tutta col Bala. Bennati racconta…

05.03.2021
5 min
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«Il mio compito è stato portarlo forte ai piedi delle salite», racconta Bennati. «Alejandro mi ha chiesto di spingere sul serio e poi lui faceva i suoi lavori. Sta bene, non so se per vincere o arrivare nei dieci, ma sta bene. E io… ho fatto una faticaccia».

La telefonata

Comincia così il racconto della giornata inattesa con Valverde trascorsa mercoledì dal toscano, che si è ritirato ormai da due anni e forse a certi sforzi non era più tanto abituato. Ma succede che il lunedì lo chiama Alejandro da Abu Dhabi e gli dice che sta tornando a Madrid, dove riceverà un premio dal Re di Spagna. Però scenderà la sera stessa a Siena assieme al massaggiatore Escamez, per provare il percorso della Strade Bianche e gli chiede se abbia voglia di accompagnarlo. Bennati che alla Movistar era stato preso proprio per aiutare il murciano, ovviamente dice di sì.

Fase tranquilla su asfalto, c’è tempo per un selfie
Fase tranquilla su asfalto, c’è tempo per un selfie

Da Taverna d’Arbia

«Mi ha chiesto di fare gli ultimi 110 chilometri di gara – racconta – quindi un buon alleamento. Mi ha fatto piacere, per cui mercoledì mattina sono andato al suo hotel. Ci siamo preparati. Ho messo il Gps giusto per uscire dalla città. E poi siamo andati giù verso Taverna d’Arbia, un tratto prima di Monte Sante Marie e di lì fino a Siena, di settore in settore. Da quel punto non c’è voluto Gps, anche perché il percorso è tutto frecciato».

Filippo di Spagna conferisce a Valverde il Premio Rey Felipe: la sera stessa Alejandro verrà in Italia
Filippo di Spagna conferisce a Valverde il Premio Rey Felipe

Caffè e crostata

I due parlottano, ma Bennati capisce subito che Valverde vuole allenarsi sul serio. La giornata è splendida, corridori sul percorso ancora non ce ne sono.

«Specialmente su Sante Marie ha davvero aperto il gas – prosegue Bennati – per fortuna ci siamo fermati per due break caldi. Caffè e crostata. Il problema è che dopo ripartiva subito a tutta, per cui la crostata faceva fatica a scendere. E allora la seconda volta ho preso solo il caffè. E’ venuto fuori un bell’allenamento. E dopo essere arrivati in Piazza del Campo, abbiamo allungato un’altra mezz’ora e siamo tornati in hotel. Doccia. Un boccone insieme, un pranzo essenziale alla Valverde che non sgarra mai. Abbiamo guardato Laigueglia e poi sono tornato a casa».

Nessuna nostalgia

Un giorno come una volta, sul sottile filo della nostalgia. Oppure un bel giorno, senza particolari sussulti al di là dell’occasione di rivedere un vecchio amico?

«Valutando la fatica che ho fatto – dice – nessuna nostalgia. Forse ne avevamo già parlato. L’anno scorso al Giro, dato che il palco del Processo alla Tappa era proprio sugli arrivi, nei giorni delle volate ho sentito la mancanza di quell’adrenalina. Solo uno che ha vissuto certe cose può capire, perché sono sensazioni troppo belle. Poi però pensi a tutto quello che c’è dietro. Non tutti nascono Sagan o Valverde e vi assicuro che anche loro lavorano come matti. Ho fatto 18 anni da pro’, manca un po’ il rapporto con i compagni, ma va bene così».

Sosta crostata con Escamez, massaggiatore di sempre
Sosta crostata con Escamez, massaggiatore di sempre

Alejandro e Alberto

Alejandro è del 1980 come lui e continua a correre, portando i segni del tempo sul volto e nelle gambe, ma divertendosi da matti.

«Siamo passati lo stesso anno – ricorda – abbiamo fatto la prima Vuelta entrambi nel 2002. E anche se non ci siamo mai scontrati in corsa, tranne qualche tappa qua e là, è venuta fuori una bella amicizia. Insisteva per avermi alla Movistar già da due anni, ma io ero con Contador. Anche con lui c’è una bella amicizia e abbiamo condiviso di più. Con Alberto ho passato quattro anni bellissimi in cui sono diventato più popolare rispetto a quando vincevo le volate. La gente si ricorda più certe tirate al Tour col vento laterale che le vittorie al Giro».

Sull’ammiraglia di Valverde domani ci sarà Max Sciandri, altro toscano alla corte degli spagnoli. Alejandro ha sempre saputo scegliere bene i suoi uomini.

VIDEO/Bennati sulla gravel? Guida come una… Jena

16.12.2020
3 min
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Dopo aver provato con Daniele Bennati la sua Wilier Filante, eccolo alle prese con la Jena, gravel della casa veneta. Un'insolita cavalcatura per il toscano che, da buon velocista e uomo del Nord, sui sassi era solito andarci con i tubolari da corsa. Ma le cose cambiano...

Bennati sulla gravel è una foto inusuale, anche se lui ammette che l’esercizio lo attiri parecchio. Dalle sue parti in Toscana le strade bianche abbondano. E anche se potrebbe passarci sopra con la bici da strada, il comfort e la sicurezza delle ruote più grosse e scolpite della Wilier Jena, che gli è stata consegnata dalla casa vicentina, sono un valore aggiunto tutt’altro che trascurabile.

Test nel Piceno

Il teatro scelto per il test sono le colline marchigiane nei dintorni di Ascoli Piceno, paradiso ciclistico già saggiato da Vincenzo Nibali che sulle stesse strade lo scorso anno girò i promo per la Regione Marche di cui è testimonial.

«Vi presento al mia Wilier Jena», inizia Bennati, poi la giornata prosegue mettendo alla prova la bici leggera e maneggevole, con geometrie che possono ricordare visivamente quelle di una bici da strada.

«Ma sbaglia – prosegue il toscano – chi pensa di poter riportare qua sopra le quote della bici da strada. Davanti è molto più alta, come è giusto che sia. Però di certo si tratta di una bici che si guida molto bene. Su strada il mio manubrio era da 42, questo nella parte bassa arriva a 50 e permette di impugnare la bici nella massima sicurezza».

Campagnolo Ekar, gravel, 2020
La Jena è montata con il Campagnolo Ekar per gravel
Sulla Jena, il Campagnolo Ekar

Solida ed essenziale

La bici, che abbiamo già visto tra le mani di Jerome Cousin alla conquista dell’Algarve, ha una grafica essenziale, come si addice a una bicicletta disegnata per avanzare su fondi sconnessi, costi quel che costi.

«Certo – prosegue Bennati – non mi avventuro su single-track estremi in cui la mountain bike avrebbe decisamente la meglio, ma di sicuro sono pochi i terreni in cui questa bici non possa portarmi».

Il telaio è realizzato in 5 taglie con l’impiego di carbonio monoscocca 60TON. Il tubo di sterzo ha, come diceva anche Bennati, un angolo più aperto che garantisce stabilità di guida anche sui terreni più impegnativi. Il carro invece è stato progettato per avere una spiccata risposta alle sollecitazioni, assorbendo buona parte delle vibrazioni provocate dai fondi sconnessi.

Daniele Bennati, Jena gravel Wilier Triestina, 2020
Foto ricordo a Casteltrosino, borgo medievale piceno
Daniele Bennati, Jena gravel Wilier Triestina, 2020
Foto ricordo a Casteltrosino, borgo medievale

Pignone a 9 denti

«Questa Jena – chiude Bennati, rimandando alla visione del video – è montata con il nuovo gruppo per gravel Campagnolo Ekar. Un gruppo 1×13 velocità, che ha un pignone minimo da 9 denti. Incredibile».

La presenza di 13 pignoni al posteriore ha reso possibile l’adozione della corona singola all’anteriore, che è un bel vantaggio nei contesti off-road dove lo sporco può sempre dare noie meccaniche.  I pacchi pignoni disponibili sono tre: 9-36, 9-42 e 10-44.