Dice Garzelli che dopo il Delfinato, Vingegaard ha capito di dover lavorare sui cambi di ritmo e che avrà le prossime due settimane in altura per mettersi a posto. Pogacar invece l’ha detto da sé: dovrà lavorare sulla crono, perché il quarto posto di Saint Peray non gli è andato giù. Al punto da essere sceso dai rulli subito dopo e aver saggiato la leggerezza della bici del rivale. Ma se questi sono stati gli esiti fisici del confronto, che cosa è rimasto nelle loro teste dopo il confronto appena vissuto? Quali sicurezze in più ne ha tratto Pogacar? E a Vingegaard è convenuto sfidarlo dopo un anno di batoste, col risultato di essersi ritrovato esattamente deve l’aveva lasciato l’ultima volta?
Sono sfumature su cui si ragiona fra amici e addetti ai lavori. E così, avendo la fortuna di poter interpellare il meglio fra gli esperti che operano nel professionismo mondiale, ci siamo rivolti a Elisabetta Borgia, psicologa e mental coach della Lidl-Trek e della nazionale, portando con noi le stesse domande.
Si può dire secondo lei che Vingegaard abbia preso le misure a Pogacar anche sul piano psicologico e ne sia uscito con qualche certezza in più oppure si è fatto male?
Bisogna analizzare più aspetti. Il primo è che sicuramente un campione come Vingegaard ha molto chiaro il suo piano di avvicinamento all’obiettivo, che si basa su di sé e non sugli avversari. Va da sé che lavorando sulla tua fiducia e la tua efficacia, hai bisogno di dati oggettivi, tuoi personali. Banalmente vedere che cresce l’allenamento o che cresci in base alle tempistiche che ti sei dato col coach e con la squadra. Però ogni tanto è importante avere anche delle reference esterne. Non solo tue, ma anche nel confronto con l’altro, prendendo sempre tutto con le pinze, nel senso che immagino nessuno conosca il tipo di allenamento e avvicinamento che hanno fatto al Delfinato e nessuno sappia quanto margine reale abbia l’altro.
Qualche dato ce l’hanno…
Immagino di sì, anche se non li seguo nello specifico. In ogni caso sono entrambi in altura e Vingegaard ha chiare le cose su cui migliorare per essere performante nei confronti di Pogacar. E’ sicuramente qualcosa che lo può aiutare a far uscire la parte più aggressiva e agonistica che c’è nel pensiero quando fai dei blocchi di lavoro da solo o con la squadra e che nel momento dello scontro diretto col tuo avversario esce di più. Quindi credo che Vingegaard, cosciente del valore suo e di Pogacar, dal Delfinato abbia preso soltanto il buono. Sa su cosa lavorare, se evidentemente ha previsto altro lavoro per crescere. Sappiamo che in 2-3 settimane c’è anche il rischio di arrivare ai corti, per cui da un lato è molto positivo ragionare in un’ottica di crescita, ma bisogna anche ragionare in un’ottica di calo all’interno delle tre settimane. E per questo è bene avere dei buoni punti di riferimento.
Bene i riferimenti, ma ha senso, progettando l’appuntamento più importante, cercare il confronto con uno che ultimamente ti ha sempre surclassato?
Vingegaard sta cercando di arrivare al Tour nella sua migliore espressione possibile, indipendentemente da Pogacar. Come pubblico guardiamo sempre loro due, ma chi lo dice che non arrivi un altro che non abbiamo considerato? E’ fuori discussione che nel momento in cui costruisci l’autoefficacia, quindi la fiducia nel poter far bene, parti dal lavoro che stai facendo, dei feedback che ottieni in allenamento, ma anche partendo dallo storico. Vai a vedere gli scontri precedenti e puoi anche fare il conteggio delle volte che hai vinto tu e quelle che ha vinto l’altro. E’ chiaro che devi avere una lettura di quello che è stato e contestualizzarlo. Io credo che anche per questo Vingegaard ne sia uscito consapevole di poter crescere ancora. Tre settimane sono lunghe, bisognerà che giri bene tutta una serie di cose. Avere la squadra, avere la vicinanza dei compagni giusti, far le cose come si deve, recuperare bene. Stiamo parlando di dettagli, perché nessuno a quel livello fa le cose sbagliate. Magari uno le perfeziona, le ottimizza, perché stiamo parlando di professionisti di un livello stellare. Quindi che tu lo veda o ce l’abbia nella testa, Pogacar c’è e non si dissolve.
Allora mettiamoci per un attimo nei panni di Tadej, che corre sempre per vincere. In certe dimostrazioni di forza ci sono anche dei messaggi che manda al rivale?
Certamente, ma dico una cosa. Essere quello che vince sempre, da un certo punto di vista può essere anche un limite. Prima o poi questo filotto finirà, è più probaile che finisca prima o poi piuttosto che continui all’infinito. Quindi è qualcosa che hai in testa e sai che succederà: per alcune mentalità può diventare un limite. Sai bene che se non vinci, hai perso: per te e per l’immaginario collettivo. La realtà è che la mentalità di Pogacar è proprio l’opposto. Non ha paura di perdere: ho sempre vinto, continuerò a farlo ancora.
Non ha paura di perdere, ma quando accade (come nella crono) mastica molto amaro.
Certo. E’ fuori discussione che la crono sia un elemento sempre più importante nei Grandi Giri, però lo sappiamo che non è il suo cavallo di battaglia. E’ forte, ci mancherebbe, però il pubblico se lo aspetta in altre condizioni e in altre situazioni. Nelle tappe di salita, nelle più tappe dure. Quindi davanti a quel quarto posto, avrà pensato che avrebbe potuto perdere meno. Però oltre a questo, io credo che la mentalità vincente sia proprio quella: ho visto che sono meno performante, ma studio e la prossima volta vengo e te le do. Anche il siparietto in cui va a guardare la bici di Vingegaard fa capire la sua voglia di tornare dominante: vediamo se c’è qualche dettaglio, qualcosa di diverso cui ci si possa ispirare. E questo da un certo punto di vista è la conferma del suo essere assolutamente uno che vuole vincere e fa di tutto per continuare a farlo. Non è uno che si siede, nonostante abbia vinto praticamente tutto. Continua ad avere grandi motivazioni, la cattiveria agonistica per continuare a spingere a fondo e cercare di migliorarsi, cambiare, crescere.
Quando devi sfidare la tua bestia nera, esiste un metodo di lavoro per non farsene schiacciare?
E’ chiaro che se vai in una gara e conosci gli avversari, nella tua testa hai una potenziale classifica. Sai dove potresti posizionarti all’interno di un gruppo. E’ un’aspettativa che può diventare un’arma a doppio taglio e allora io cerco sempre di sottolineare due aspetti.
Quale il primo?
La necessità di partire senza memoria. E’ un po’ una provocazione: dirsi di restare nel presente, anche se fino a ieri le hai sempre buscate. Riparti con le stesse possibilità di darle, piuttosto che con la rassegnazione di prenderle ogni giorno. Devi fare sì che la testa non diventi un limite, perché se pensi che ogni giorno il rivale ti ha dato 3 minuti, sei morto. Devi riuscire a riattivare ogni giorno una nuova pellicola, sennò il rischio di vedere il solito film è altissimo. Magari si ripresenta, perché oggettivamente sei meno forte, però questo è un altro conto.
E il secondo aspetto?
Mi è successo anche in altri sport, magari in situazioni in cui hai l’atleta che cresce e che affronta grandi campioni o atleti che gli sono sempre state superiori. E allora dico ai miei atleti che l’avversario non deve avere un nome. A volte si potrebbe dare di più, ma c’è quello che in psicologia si chiama “senso di impotenza acquisito”.
Vale a dire?
Sei tu che ti dici: ci ho sempre provato e non ha funzionato perché l’altro è sempre stato superiore. Quindi se fa uno scatto, non lo segui con la stessa convinzione, come faresti se fosse un’altra persona che consideri più vicina a te in termini di livello. Per questo dico sempre di togliergli il viso e di pensare che hai davanti un avversario su cui non devi avere pregiudizi di alcun tipo. Non si lotta per il secondo posto, ma se vogliamo vincere, stringiamo i denti per seguirlo quando scatterà. E’ chiaro che stiamo parlando di due atleti di altissimo livello…
Quindi?
Quindi magari puoi focalizzarti sul fatto che sia proprio l’altro che ti fa uscire l’aggressività in più che non avresti con un altro avversario. Sono meccanismi che ti danno un click in più, permettono di accedere a qualche percentuale supplementare di grinta. Però, in linea generale, soprattutto parlando di coloro che stanno costruendo la loro efficacia e la loro fiducia, dobbiamo ragionare nell’ottica di dire che a me non interessa chi sia il mio avversario, soprattutto per quelli che sono in fase di crescita. Anno dopo anno, non sai mai quanto cresci. E magari gente che era lontanissima, l’anno dopo si avvicina molto di più. Oppure riesci a battere le persone che vedevi in televisione fino a qualche anno prima e ora sono i tuoi avversari. Se inizi a subire questo ti po di pressione, il rischio è che tu non riesca a esprimerti al 100 per cento. Sappiamo bene tutti che c’è dietro anche un aspetto mediatico, per cui per Vingegaard non si tratta solo di vincere un duello, ma di battere Pogacar. E per l’altro non solo aver vinto, ma averle suonate nuovamente a Vingegaard.