OPFIKON (Svizzera) – Sabato mattina. Le donne stanno uscendo per andare alla partenza, i professionisti hanno un rendez vous con i giornalisti presenti e poi dovranno decidere se uscire in bici o far girare le gambe sui rulli. Fuori ci sono 15 gradi e piove forte, non l’ideale per una sgambata. Tiberi ha il solito ritmo da battito calmo, che in tanti colpi d’occhio ricorda i passi lenti di Nibali. Sorride e si vede che sul suo cielo brilli adesso una buona stella. La vittoria al Giro del Lussemburgo gli ha permesso di salire un altro scalino, in una stagione che lo ha visto crescere nelle sicurezze e nella considerazione generale. Difficile capire se ci sia stato un solo motivo a far scattare la scintilla, la sensazione è quella di una crescita coerente globale.
«Per me è stato tutto un seguirsi di cose – spiega – a partire dalla brutta vicenda che mi ha portato a cambiare squadra. Quell’esperienza mi ha fatto crescere e dato tanti insegnamenti. Alla Bahrain Victorious sin da subito hanno puntato tanto su di me, con l’idea di farmi crescere come corridore da corse a tappe. Ho incontrato Michele Bartoli, con cui mi sono trovato veramente subito tanto bene e si è visto subito che ho avuto un bel miglioramento. E poi da cosa nasce cosa. I risultati portano fiducia in se stessi e più consapevolezza dei propri mezzi. E alla fine sono arrivato qui».
Hai visto il percorso, che impressione ti sei fatto?
E’ tanto tanto impegnativo, più che altro per la lunghezza e la quantità di giri che affronteremo sul circuito finale. Secondo me verrà fuori una gara tanto impegnativa. L’unico aspetto positivo è che non dovrebbe piovere. Per il resto, il percorso mi ha ricordato molto le strade che abbiamo affrontato in Lussemburgo. Salite non troppo lunghe, ma comunque abbastanza ripide. Un percorso che richiede tanta potenza e anche abilità di guida, perché è abbastanza tecnico. A parte gli ultimi due chilometri, non c’è un metro di pianura. Sempre sali, scendi, destra, sinistra… E’ veramente un percorso nervoso, dove sarà fondamentale la posizione.
Hai detto in una precedente intervista su bici.PRO di aver vinto il Lussemburgo con un attacco rischiatutto: o la va o la spacca. Questo è un percorso in cui rischiare allo stesso modo?
Questo è esattamente uno di quei percorsi da “adesso o mai più”: ancora più che in Lussemburgo. In primis perché siamo in un mondiale, poi per il livello che c’è. Sicuramente è un circuito dove bisogna essere sempre con il coltello fra i denti e sempre pronti. Bisogna saper leggere la gara e cogliere il momento giusto.
In Lussemburgo c’era Van der Poel ed è finito dietro. Che effetto fa ritrovarsi al mondiale in messo a certi nomi e provare a giocarsela?
Sicuramente un bel effetto, anche se ancora non mi sento al loro livello. Però al Lussemburgo ho capito che, senza aver paura o il timore di provare a fare qualcosa, ho le possibilità e le forze per sorprendere appunto corridori di quel calibro. Questo mi dà tanto morale e tanta fiducia. So che se si presenterà l’occasione e la gamba sarà buona, non avrò paura. Proverò qualche buona azione o qualcosa che comunque sorprenda i diretti avversari.
Qualche scelta tecnica particolare su questo percorso?
Più o meno sempre la stessa configurazione, cercando di replicare le scelte già fatte in Lussemburgo. Magari con qualche dettaglio simile a quelli che usiamo nelle gare a tappe sui percorsi di salita. Quindi la bici più leggera con ruote da 45. Un profilo né troppo alto né troppo basso, perché comunque è un percorso duro, ma anche tanto veloce. E poi i soliti rapporti, 54-40 davanti e 11-33 o 34 dietro.
Con tante curve, salite e discese, ci sarà abbastanza tempo per mangiare?
Anche quello sarà un aspetto da non sottovalutare e che bisognerà sempre tenere a mente. Su un percorso così lungo e con una temperatura che sicuramente non sarà troppo alta, l’alimentazione sarà fondamentale se non cruciale per arrivare nelle battute finali con energia sufficiente. Non sarà facile alimentarsi su questo percorso perché è tanto tecnico, veloce e duro. Quindi anche questo potrebbe essere un aspetto che darà vantaggio nel finale a chi riuscirà a curarlo meglio.
Invece quello strappo ripido del circuito l’hai provato?
E’ duro, ma sembra duro o durissimo in base alle gambe che uno ha. Lo abbiamo provato in allenamento, va su al 15-17 per cento. Forse per le mie caratteristiche sarà meglio farlo in agilità, viste anche le tante volte che lo faremo. Agili le prime volte e poi con più in potenza nelle fasi finali.
Ricordi quando a novembre scorso venimmo a casa tua per fare il test della tua Merida?
Sì, certo.
Se ti avessimo detto allora che saresti stato il miglior giovane del Giro, che avresti vinto il Lussemburgo e saresti stato una delle punte per i mondiali, che cosa avresti pensato?
Avrei pensato a un bell’augurio, però forse non l’avrei presa troppo sul serio. Sarebbe stata una cosa in cui sperare. Invece essere qui come uno dei leader azzurri al primo mondiale da professionista, dopo aver vinto in Lussemburgo davanti a nomi come Van Der Poel, sicuramente mi dà tanta felicità e consapevolezza dei miei mezzi.
Fuori ancora piove, lasciamo l’hotel in direzione di Uster per la partenza delle donne elite. Le ragazze di Sangalli hanno ottime carte da giocare, per seguire gli azzurri di Bennati dovremo aspettare ancora un giorno.