Tante novità, ma alla base è sempre il Cycling Team Friuli

04.12.2021
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L’estate e poi l’autunno del Cycling Team Friuli sono stati montagne russe. Avendo preso il giovane Milan dalla squadra di Bressan e Boscolo e avendolo gestito bene fra Artuso e Fusaz, capo del CTFLab, i manager del Team Bahrain Victorious a un certo punto hanno proposto alla squadra bianconera di diventare il suo vivaio.

Avrebbe significato sciogliersi e perdere l’identità che negli ultimi anni hanno fatto della squadra un riferimento fra le continental europee. Qualcuno era favore. Qualcuno era contrario. Qualcun altro era nel mezzo. Richiesto di un parere nel cuore dell’estate, anche Giovanni Aleotti era sembrato perplesso.

«Probabilmente – aveva detto – smetterebbe di essere la piccola famiglia che ha portato al professionismo tanti di noi e che è sempre stata la sua chiave. Ci sarebbe da valutare e capire se ne vale la pena».

Andrea Pietrobon, qui con Boscolo, correrà dal prossimo anno nella Eolo-Kometa continental
Andrea Pietrobon, qui con Boscolo, correrà dal prossimo anno nella Eolo-Kometa continental

Le voci d’estate

Fra cose non dette e cose che si dicevano, a settembre in giro la raccontavano come cosa fatta. Ne parlavano i direttori sportivi dei pro’, ne parlavano i corridori, anche se di definito non c’era nulla. Tra l’altro l’offerta della squadra guidata da Miholjevic, il cui figlio Fran corre proprio nel CTF, aveva nel frattempo permesso di capire che il regolamento tecnico legato ai Development Team dell’UCI poneva una serie di paletti molto stringenti sul rapporto fra la squadra WorldTour e quella prescelta per esserne il vivaio. E dato che il CTFriuli non voleva perdere la sua identità, alla fine, fra cose dette e cose che non si possono dire, sembrerà di rivivere la collaborazione che per un po’ legò la Lampre-Merida e il Team Colpack. La squadra bergamasca infatti mantenne colori e prerogative, corse con bici e materiali del team di Saronni e alla fine del 2016 fece passare nelle sue file Consonni, Ganna, Ravasi e Troìa.

Su bici Merida

Perciò, in attesa di vedere la nuova maglia, il Cycling Team Friuli riparte con bici Merida, un corridore dall’Oriente, ma la filosofia di sempre. Renzo Boscolo sull’ammiraglia. I ragazzi del CTFLab che sono ormai un pool tecnico di primissimo piano. E Roberto Bressan a dettare la rotta dall’alto della sua esperienza.

«Abbiamo fatto una bella campagna acquisti – racconta Boscolo – con una serie di giovani molto interessanti, fra cui Bryan Olivo e Daniel Skerl che arrivano diretti dalla Uc Pordenone, in cui li avevamo messi perché crescessero. Purtroppo la squadra ha chiuso, quindi è decaduto il discorso della filiera. Il Friuli si salva grazie al fatto che ha numeri contenuti, ma dovremo trovarci un’altra squadra juniores. Avendo gli allievi, il passaggio fra gli junior è decisivo».

Parlavi di Olivo, che è campione italiano juniores di cross, ma non sta correndo…

Per quest’anno abbiamo deciso di non fare cross. Lui non l’ha presa bene, ma ci siamo accorti che va forte anche in pista e non poteva seguire tre discipline, dato che ha anche la scuola. Per cui, visto che anche nel cross avrebbe accusato il salto di categoria, per il primo anno ci concentreremo su strada e pista. Il secondo posto al mondiale dell’inseguimento a squadre è stato un bel segnale e forse, se avesse fatto anche l’europeo, sarebbero arrivati alla finale con più esperienza.

Matteo Milan vince a Reda tra gli juniores con una lunga fuga. E’ il 2 maggio 2021
Matteo Milan vince a Reda tra gli juniores con una lunga fuga. E’ il 2 maggio 2021
Di Skerl cosa dici?

Vedrete se non sarà una rivelazione. Fino agli allievi ha corso in mountain bike, ora va su strada. Non ha vinto, ma ha nove piazzamenti nei cinque da marzo a ottobre.

Fra i nuovi c’è anche Matteo Milan, fratello di Jonathan?

Quest’anno ha vinto due corse in modo non banale. Una con 40 chilometri di fuga solitaria, l’altra partendo sin dai primi chilometri con un gruppetto. E’ completamente diverso da “Johnny”, più maturo in rapporto all’età. Proprio il fratello ci raccontava che tutte le mattine si alza e fa ginnastica, perché forse ha visto che Jonathan ha iniziato a fare seriamente la differenza quando ha iniziato a seguire alla lettera le indicazioni di Andrea Fusaz.

Chi altri arriva?

Longato e Andreaus, due bei corridori. Il secondo lo ha portato Fondriest e ci ha fatto una bellissima impressione. Poi sempre dalla scuderia di Maurizio arriverà un inglese che si chiama Oliver Stockwell. Nel 2021 era al primo anno, ha partecipato al Tour of Britain dei pro’ con la nazionale, segno che anche loro ci credono parecchio.

Donegà rimane?

Certo, perché non abbiamo voluto privarci di un pistard che abbiamo seguito molto, ma per lui sarebbe sicuramente meglio se riuscisse a entrare in un gruppo militare.

E poi c’è Miholjevic…

Credo che il 2022 sarà il suo anno. Ha finito la scuola e potrà dedicarsi al ciclismo a tempo pieno.

Invece Pietrobon?

Come forse pochi sanno, Andrea ha avuto qualche problema di salute, un’intossicazione virale che gli ha tolto la forza per parecchio tempo. Nonostante questo, nel 2022 correrà nella continental della Eolo-Kometa e poi diventerà professionista con loro. Il fatto che ci abbiano creduto depone a loro favore. Ho già degli ottimi report sul loro lavoro da parte di Davide Bais, sono contento se riusciranno a crescere ancora.

Un altro anno da Ct Friuli, dunque?

Il nostro modo di lavorare con i giovani è piaciuto. Abbiamo avuto carta bianca sui nomi da prendere e per il resto saremo sempre noi. Con una maglia particolare, ma sempre nel nostro stile. E il resto si vedrà dal 2022.

L’operaio Donegà sogna le Fiamme e fa punti per gli altri

25.11.2021
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C’è un corridore che sta passando questi mesi sugli anelli delle piste europee (in apertura a Brno) per incamerare più punti possibili e rafforzare la sua leadership nel ranking UCI. Quello di Matteo Donegà è un inverno intenso, pure troppo forse, se si considera che anche in primavera ed estate, oltre alla strada c’era sempre anche la pista. 

Attualmente l’atleta del Cycling Team Friuli (riconfermato anche per il 2022) è impegnato nella Quattro giorni di Ginevra (dal 25 al 29 novembre) in coppia con Paolo Simion, con cui ha già condiviso tante gare su pista nel 2021. Corsa a punti, omnium, madison, eliminazione e scratch. Questo il suo menù nel velodromo svizzero. Annullata invece, causa restrizioni Covid da parte del governo olandese, la prestigiosa Sei Giorni di Rotterdam a cui Donegà avrebbe dovuto partecipare in coppia con l’elvetico Nico Selenati.

In testa al ranking

Il 23enne ferrarese di Bondeno – che vanta tre argenti europei nella corsa a punti da elite, under 23 e juniores – è stato in testa nella classifica internazionale con circa 1.200 punti totali, uno dei migliori risultati italiani tra tutte le prove e specialità. Riassumendo, in pratica sta raccogliendo punti nelle gare di classe 1 e 2 sia per sé sia per la nazionale in ottica qualificazioni per europei, mondiali e Olimpiadi.

Matteo Donegà, Jonathan Milan europei 2020
Matteo Donegà e Jonathan Milan, rispettivamente argento nella corsa a punti e nell’inseguimento agli europei di Plovdiv 2020
Matteo Donegà, Jonathan Milan europei 2020
Donegà e Milan, argento nella corsa a punti e nell’inseguimento agli europei di Plovdiv 2020

Qualcosa da rivedere

Roberto Bressan e Renzo Boscolo, rispettivamente presidente e diesse del CTF, sono contenti dell’attività del loro corridore, ma contemporaneamente irritati perché così facendo è arrivato fuori forma agli europei di Grenchen (12° posto nella corsa a punti) e mondiali di Roubaix (non convocato). Per loro qualcosa andrebbe rivisto, nella programmazione e nella considerazione.

Perché però Donegà sta facendo tutto ciò? C’è anche un altro motivo e ce lo siamo fatti spiegare meglio da lui proprio mentre stava affrontando le prime ore del viaggio verso Ginevra.

Matteo, concedici subito una battuta. Fortuna che non hai anche la Champions League della pista, così puoi riposarti.

Eh, ce l’avrei fatta stare (ride, ndr), mi sarebbe piaciuto farla. Avevo fatto richiesta perché ho i requisiti necessari per partecipare, ma non so poi come abbiano scelto. Credo che lo abbiano fatto sulla base di quattro specialità (keirin, velocità, eliminazione e scratch, ndr), due delle quali non mi appartengono e le altre due in cui ho pochi punti.

Quest’anno hai corso tanto su pista ma negli appuntamenti importanti non sei arrivato al top. Come mai?

Per fare in modo di raggiungere tutti questi punti, abbiamo deciso di gareggiare molto, specialmente nella seconda metà di stagione. Gli obiettivi erano europei e mondiali e volevo arrivarci con una buona condizione. Invece si è rivelato controproducente. Sono arrivato più stanco del solito, non ho potuto dare il meglio di me agli europei dove volevo ripetere o migliorare l’argento dell’anno scorso in Bulgaria. Di conseguenza non mi sono guadagnato la convocazione per Roubaix. 

Prossimi impegni?

Dovrei tornare in Svizzera il 17 e 18 dicembre per altre gare di classe 1 che danno punti per il ranking. Poi chiederò al cittì Villa che programmi ha in mente.

In mezzo a tutte queste gare, un pensierino ai Giochi di Parigi 2024 ce lo stai facendo?

Certo, quello è il sogno che ho da sempre. Adesso ho la possibilità di entrare in un corpo militare. Sono in trattativa con le Fiamme Oro, sto aspettando che aprano il concorso. Avrò una risposta entro l’inverno.

Visto che servono determinati requisiti, stai correndo tanto anche per questo obiettivo?

Esatto, sto facendo tutto per iscrivermi al concorso. Tengono conto di medaglie nelle rassegne internazionali, anche degli stessi punti del ranking. Quindi questo è il motivo. Senza contare che da questa mia attività trae vantaggio anche la nazionale, perché posso aiutarla a qualificarsi alle prossime Olimpiadi.

In sostanza stai facendo il gregario della pista? 

Sì, se mi passate il termine, in queste gare sto facendo un po’ di lavoro sporco. Perché anche se i punti li faccio io, può correre qualcun altro. L’importante che sia qualificata la Nazione. 

In maglia azzurra alla Sei Giorni delle Rose del 2021 (foto Cantalupi)
In maglia azzurra alla Sei Giorni delle Rose del 2021 (foto Cantalupi)
Sei nel giro azzurro da tempo, come stai vivendo tutto questo?

Dipende tutto dal fatto di entrare o meno nel corpo militare. Spero che i miei sacrifici vengano ripagati. E se dovesse andare male, penserò a cosa fare perché ormai sono un secondo anno elite ed è difficile trovare ancora squadra. Il CTF mi ha riconfermato e li ringrazio, ma loro giustamente hanno un’altra politica, più improntata sui giovani.

Nel 2022 cosa farai?

Avrò lo stesso principio che ho da tre anni a questa parte. Correre su strada aiutando la squadra e per preparare al meglio gli appuntamenti in pista

Fin da giovane su strada hai dimostrato grandi potenzialità. Perché hai scelto la pista?

La facevo già nelle categorie giovanili e andavo bene. Poi ho avuto la fortuna di correre nel CTF insieme a Fabbro ed Aleotti ed ho visto la differenza tra loro e me. Ho capito che su pista potevo avere più futuro rispetto alla strada. Lamon, Scartezzini e Bertazzo sono un fulgido esempio. E penso che la pista possa dare un guadagno notevole in termini economici. Mi piacerebbe entrare nel giro delle Sei Giorni, è uno dei miei obiettivi.

Aleotti e il CT Friuli: il metodo olandese funziona anche qui

08.08.2021
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Non solo quelli della Jumbo Visma sanno lavorare con i giovani. La differenza, rispetto ad alcune realtà italiane, è che loro lo fanno avendo davanti una squadra WorldTour. Che non è poco. Però alcune delle dinamiche di cui ci ha parlato nei giorni scorsi Robbert de Groot le abbiamo viste svolgersi anche da noi. E se del Team Colpack e di come ad esempio abbia gestito Tiberi e Ayuso vi abbiamo parlato nei mesi scorsi, questa volta tiriamo in ballo uno dei talenti più belli che abbiamo in Italia e che già al primo anno di professionismo ha fatto un bel Giro d’Italia e ha vinto il Sibiu Cycling Tour: Giovanni Aleotti (in apertura secondo dietro Nizzolo al Circuito di Getxo). Ricordando il modo in cui è stato seguito al Cycling Team Friuli, le assonanze con il metodo olandese saltano agli occhi.

Un selfie dopo il tricolore del 2020 a Zola Predosa con Mattiussi, Baronti e Boscolo
Un selfie dopo il tricolore del 2020 a Zola Predosa con Mattiussi, Baronti e Boscolo

Da domani al Polonia

Giovanni è all’immediata vigilia del Giro di Polonia, che scatterà domattina e che bici.PRO vi racconterà con i servizi di Simone Carpanini, e si presta volentieri all’approfondimento.

«Il paragone ci può stare – dice – perché anche al CTF prima di prendere un corridore lo vogliono conoscere, a prescindere dai risultati. Quando andai lassù per la prima volta, non si può dire che fossi lo junior più vincente d’Italia, nemmeno il secondo. Cercavano un carattere che ben si integrasse con il loro progetto. Si accorsero di me, dai report della Sancarlese, la squadra in cui correvo, e grazie a quello che gli dissero Melloni e Donegà, che ci erano arrivati prima di me. Andai per la prima volta a Udine proprio con Donegà e parlai con Andrea Fusaz e Alessio Mattiussi. Non avevo grandi richieste, ero abbastanza uno qualunque».

Alla Jumbo parlano di conoscenza dell’ambiente familiare: i tuoi genitori incontrarono mai i dirigenti del team?

La prima volta andai da solo, ma a novembre quando si trattò di andare su per fare il posizionamento in sella, mi accompagnarono e conobbero l’ambiente. Non rimasero molto, mentre io restai su per qualche giorno in casetta.

I primi contatti li avesti con Fusaz e Mattiussi, oppure anche con Boscolo e Bressan, il diesse e il manager?

No, con Fusaz e Alessio. Boscolo e Bressan li lasciano fare, anche perché quelle prime fasi sono molto di competenza del CTF Lab. Con Renzo feci la conoscenza in un secondo momento.

Come faceste a capire che il tuo carattere si integrava con il loro progetto?

Te ne accorgi dai primi giorni di allenamento. Ci trovammo subito d’accordo, non era uno scambio di tabelle e dati, ma si crea un bel rapporto personale con gli allenatori. Come adesso alla Bora con Szmyd. C’è un bel rapporto umano e un buono scambio di feedback. Anche al CTF ci seguivano ogni giorno. Infine le trasferte per le corse cementano l’intesa.

La Jumbo cerca, così almeno dicono, corridori di carattere e con caratteristiche per brillare su tutti i terreni. Li chiamano corridori moderni.

Anche al CTF Lab cercano la completezza. Nel mio caso, andavo bene in salita ed ero veloce. Anziché spingere su una piuttosto che sull’altra, abbiamo lavorato sodo cercando di non snaturarmi, per migliorare in salita, tenendo lo spunto veloce, che mi è sempre stato utile. Ho sempre lavorato a tutto tondo, facendo corse impegnative già al primo anno, che fanno migliorare.

Un altro esempio del loro lavoro può essere Milan?

Johnny è l’esempio forse più lampante. Non so quanta pista avesse fatto prima di incontrarli e non è nemmeno facile gestire un ragazzo quando arriva al primo anno. Però lui come me si è affidato, perché ha visto un direttore e un allenatore che avevano una visione. Il primo anno magari non sei nelle condizioni di entrare nel merito delle scelte, dal secondo inizia lo scambio di idee, che ha permesso a loro di affinare la preparazione e a me di prendere coscienza dei miei mezzi. Anche Jonathan è arrivato che era molto acerbo e dopo due anni è diventato campione olimpico.

La Jumbo lavora per trovare corridori da inserire nella squadra WorldTour, quali sono gli stimoli del CT Friuli secondo te?

Lo fanno per passione, secondo me, e perché per Andrea Fusaz aver lanciato tanti atleti nel corso degli anni sia una bella soddisfazione. E’ una famiglia, si respira il clima di una famiglia. Mi piace pensare che sia così.

Cambierebbe qualcosa se ad esempi il CT Friuli diventasse il vivaio di una squadra WorldTour?

Non saprei (riflette per qualche secondo, ndr), ci sarebbero tanti fattori da valutare. Probabilmente smetterebbe di essere la piccola famiglia che ha portato al professionismo tanti di noi e che è sempre stata la sua chiave. Ci sarebbe da valutare e capire se ne vale la pena.

Milan
Andrea Fusaz, responsabile del CTF Lab, al lavoro con Milan per il posizionamento in sella
Milan
Andrea Fusaz, responsabile del CTF Lab, al lavoro con Milan per il posizionamento in sella
Che corsa vai a fare al Polonia?

La gamba c’è e ci sono tappe molto adatte. Dopo la pioggia di San Sebastian ho preso un po’ di raffreddore, spero di non aver perso troppo. Farò corsa parallela con Fabbro e poi vedremo. E di fatto, il Polonia sarà l’ultima corsa a tappe della mia prima stagione da pro’. Poi correrò a Plouay, in Vallonia e tutte le corse italiane fino al Lombardia. Il Giro è andato molto bene, la vittoria a Sibiu ci voleva. Insomma, non posso proprio lamentarmi.

E l’università?

Ecco, abbiamo trovato di cosa lamentarsi. In realtà d’estate è praticamente impossibile studiare. La sessione estiva c’era a maggio, in pieno Giro d’Italia. Vediamo se dall’autunno in avanti riuscirò a mettermi in pari.

Boscolo, Pietrobon, il CTF e un appello per la sicurezza

01.05.2021
4 min
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Per salire al piano di sopra spesso, nel ciclismo, serve una rampa di lancio. Questa è la metafora che potrebbe rappresentare la stagione di Andrea Pietrobon, passista-scalatore classe ’99 del Cycling Team Friuli, in vista del suo eventuale passaggio tra i professionisti la prossima stagione. E’ lui che ha corso il recente Giro di Romagna con i gradi di capitano (con un terzo posto di tappa e il settimo nella classifica generale) raccogliendo l’eredità lasciata, cronologicamente, da Giovanni Aleotti, Jonathan Milan, Davide e Mattia Bais, Nicola Venchiarutti, Matteo Fabbro e Alessandro De Marchi. Tutti talenti, ora tra i big, cresciuti ed usciti dal serbatoio del CTF.

Renzo Boscolo, team manager della formazione Continental che ha sede ad Udine, ci descrive il ragazzo nato a Pieve di Cadore non prima di specificare che «abbiamo in squadra altri corridori interessanti che, una volta completata la propria maturazione, come ad esempio Gabriele Petrelli, potrebbero far comodo ai team professionistici».

Boscolo con Venchiarutti nel 2019: il friulano correrà il Giro con l’Androni
Boscolo con Venchiarutti nel 2019: il friulano correrà il Giro con l’Androni
Renzo, partiamo dalle ultime prestazioni di Pietrobon.

Ha disputato un buon Giro di Romagna, nel quale ha fatto un po’ le prove generali da nostro leader per il Giro d’Italia U23. In realtà ha pagato oltre misura la giornata storta vissuta nella frazione con arrivo in salita a San Leo, dove ha preso più di un minuto da Ayuso. Finora ha fatto gare concrete che vanno oltre i risultati.

Quali?

Aveva già dato ottimi segnali sia al Trofeo Piva che al Belvedere, nonostante avesse ottenuto solo due ottavi posto.

Cosa manca ora a Pietrobon?

Andrea sta crescendo bene, sia di condizione, sia come atleta e anche a crono ha fatto buone prove. Non è veloce e non so se migliorerà a dovere il suo spunto. Già l’anno scorso si era messo in evidenza in Romania al Sibiu Tour e al Tour di Slovacchia dove c’erano anche tante formazioni WorldTour, ma deve trovare più continuità.

Si può migliorare?

Ci stiamo lavorando. Poi se sarà un corridore adatto alle gare a tappe lo vedremo proprio al Giro baby.

Andrea Pietrobon, classe 1999, è nato a Pieve di Cadore
Andrea Pietrobon, classe 1999, è nato a Pieve di Cadore
Il resto della stagione che programmi prevede?

Farà un periodo in altura prima della corsa rosa di giugno, poi calendario internazionale più o meno come l’anno scorso, dove dovrà confrontarsi con i professionisti. E la speranza per lui è che possa andare al Tour de l’Avenir o guadagnarsi una convocazione azzurra.

Visto che avete sfornato tanti corridori negli ultimi anni, il passaggio di Andrea al cosiddetto piano superiore a che punto è? C’è già qualcosa in ballo?

A fine anno sarà maturo per il salto. Dipende solo da lui perché deve dimostrare il suo valore anche se sostengo che non sempre il corridore che va forte sia poi giusto per i professionisti.

Che cosa significa?

Ogni ragazzo ha la sua storia, qualcuno deve adattarsi alla squadra in cui andrà o viceversa, qualche formazione deve adattarsi in base al ragazzo che prende. In ogni caso fa parte della scuderia dell’agenzia di Raimondo Scimone e il futuro è nelle mani del suo procuratore, che gestisce già altri nostri ex come Aleotti, Fabbro e De Marchi.

A proposito, la lista dei vostri prodotti made in Ctf è sempre lunga. Come fate a sceglierli, in base a quali criteri?

In pratica facciamo dei casting. Battuta a parte, manteniamo viva una filiera già dagli allievi con alcune società e il legame si rafforza con gli junior, in particolare con l’Uc Pordenone e il Team Bannia, con cui abbiamo una collaborazione, ma teniamo sotto controllo anche tanti altri. Ma c’è altro…

Che cosa?

Negli ultimi anni abbiamo selezionato i nostri ragazzi attraverso il CTF Talent, ovvero un ritrovo a fine stagione in cui facciamo fare tre giorni nella nostra foresteria, dove creiamo il team-building. Al termine di questo periodo vediamo chi è più adatto alle nostre esigenze e chi gradisce venire con noi. Anzi, in merito ai nostri ex ragazzi ci terrei ad aggiungere un’ultima cosa che non riguarda alcun aspetto tecnico.

De Marchi e Fabbro: friulani entrambi ed entrambi colpiti dalla morte di Silvia Piccini
De Marchi e Fabbro: friulani ed entrambi colpiti dalla morte di Silvia Piccini
Prego Renzo, spiegaci pure.

Mi vorrei collegare all’argomento sicurezza che anche voi state trattando a più riprese. Lo sapete, qui in Friuli siamo stati tutti toccati dalla tragedia della povera Silvia Piccini e appena ho saputo dell’incidente ho scritto a Fabbro e De Marchi che erano impegnati al Tour of the Alps per informarli. Ho chiesto loro che facessero sentire la propria voce, assieme ai loro colleghi, in corsa, nelle interviste e attraverso i vari canali social per sostenere Silvia (inizialmente è stata trasportata in ospedale in fin di vita, ndr) e per sensibilizzare il rispetto verso i ciclisti. Qualche giorno dopo purtroppo è morta, ma non dobbiamo mollare la presa perché questa situazione è davvero grave.

Dopo il cross, che fine ha fatto Bryan Olivo? Vediamo…

09.04.2021
3 min
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Di Francesca Baroni vi raccontiamo qualcosa ogni tanto (anche perché la ragazza sta andando davvero forte!), ma dove sono finiti gli altri crossisti che d’estate corrono su strada? Dov’è ad esempio e cosa fa Bryan Olivo? Lo avevamo lasciato col tricolore conquistato a Lecce e ci eravamo poi fatti raccontare da Alessio Mattiussi del Cycling Team Friuli in che modo si sarebbe preparato per la stagione calda. Cosa dite se riallacciamo i fili?

Bryan è a casa e ha ricominciato a correre la scorsa settimana. Il ritardo è stato dovuto prima a un problema di iscrizioni eccessive che gli ha impedito di partire alla prima corsa, poi a un risentimento al ginocchio Superato tutto, la scorsa settimana il friulano ha riattaccato il numero.

Bryan Olivo, campionati italiani juniores Lecce 2020
Per Bryan Olivo, la stagione del cross è stata coronata dai campionati italiani di Lecce
Bryan Olivo, campionati italiani juniores Lecce 2020
Bryan Olivo, tricolore juniores di cross a Lecce 2020
E come va?

Bene, grazie. Dopo il cross ho fatto le due settimane di pausa di cui vi aveva parlato Mattiussi e poi ho ripreso. L’idea iniziale era di partire subito forte, avendo come obiettivi i mondiali su pista e la Roubaix, ma a causa del Covid non si sono fatti e allora abbiamo optato per una ripresa più soft. Avrei dovuto fare come Van der Poel e Van Aert (ride, ndr) che avevano subito gli obiettivi importanti, invece adesso è tutto spostato più avanti.

Allora andiamo con ordine. Dicci della pista…

Quando mi chiamano, vado giù a Montichari. L’anno scorso, avendo fatto gli europei, andavo a settimane alterne. Quest’anno, come è giusto che sia, sono molto concentrati sulle Olimpiadi, per cui per ora sto andando di meno. Mi piace molto l’inseguimento, individuale e a squadre. Mi piace fare fatica, sono un po’ masochista. Da esordiente non vedevo l’ora di fare le crono. Quei 20 minuti a tutta erano la cosa che preferivo. Ho l’agonismo addosso.

Bryan Olivo, campionato italiano crono juniores, 2020
Bryan Olivo al campionato italiano crono juniores 2020, chiuso al 6° posto
Bryan Olivo, campionato italiano crono juniores, 2020
Nel 2020, sesto ai campionati italiani
Roubaix e mondiali saltati, quali sono gli obiettivi?

Vincere gare, andare in nazionale, provare a vincere gli italiani crono e strada. E poi passare U23.

Sei già candidato a una maglia del CT Friuli, no?

Ma devo guadagnarmela, anche perché la squadra nel frattempo è diventata tanto prestigiosa e non ci sono passaggi automatici.

Farai gare a tappe?

Di sicuro il Giro del Friuli. Non so il Lunigiana, perché capita nei giorni dei mondiali pista che soni finiti a settembre.

C’è un momento della stagione in cui inizierà a mancarti il cross?

Quando sarà finita la stagione, come a fine cross inizia a mancarmi la strada. Ho messo in moto il meccanismo perfetto (ride, ndr). Quest’anno però il cross lo inizierò molto tardi, perché fino a ottobre voglio correre bene su strada, soprattutto il campionato italiano della cronosquadre che mi piace molto.

Bryan Olivo, campionati europei juniores, 2020
In gara au campionati europei juniores del 2020
Bryan Olivo, campionati europei juniores, 2020
In gara au campionati europei juniores del 2020
Dicesti che il cross è bello, ma per mangiare in Italia funzionano meglio strada e pista…

Lo confermo. Però è anche bello vedere dei professionisti di grande nome dedicarsi ad altre discipline, facendo capire che la multidisciplina è praticabile. Quando ci penso, non mi illudo di poter diventare come loro, ma forse quello che sto facendo alla lunga mi darà dei riscontri positivi.

Van der Poel e Pidcock correranno le Olimpiadi in mountain bike, a te in effetti manca…

Ho corso in Mtb fino agli esordienti, poi l’ho mollata perché la preparazione era troppo diversa da tutto il resto. Mi bastano le mie tre discipline, non credo che avrei posto per altro…

La risposta di Reverberi: in due anni si vede tutto

20.01.2021
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La pubblicazione del pezzo su Umberto Orsini non è passata inosservata. Quando un corridore di belle speranze smette di correre a 26 anni, si tende tutti a simpatizzare per lui e sui social i commenti si sono moltiplicati. C’è chi ha sostenuto che il ragazzo non fosse pronto per passare e chi invece ha puntato il dito verso il team. Chiamato direttamente in causa, Roberto Reverberi ha cercato di spiegare le sue ragioni, ma come spesso accade in determinate piazze, il dibattito si è fermato ai prevedibili commenti non sempre concilianti. Ma visto che il caso di Orsini non è isolato, questa volta abbiamo pensato di partire proprio da lui.

Nel 2017 da U23, Pessot vince la Carpatian Couriers Race, Pogacar miglior giovane
Nel 2017 Pessot vince la Carpatian Couriers Race, Pogacar miglior giovane

«Non è detto – spiega il figlio di Bruno Reverberi – che il contratto sia sempre biennale. Un corridore come Battaglin, che avevamo visto andare molto forte già da stagista, ha avuto subito un triennale. In assoluto però, quelli buoni li vedi già al primo impatto, perché lanciano segnali interessanti. Penso a Modolo, che al primo anno arrivò 3° nella volata di San Benedetto alla Tirreno e 4° alla Sanremo. Penso a Colbrelli, 2° alla Bernocchi al primo anno e vincitore in una tappa del Giro di Padania. Il problema di Orsini è che non era molto concentrato e probabilmente non faceva la vita da atleta come avrebbe dovuto».

Altri 2 nomi

Rispetto al 2020 però, all’appello in casa Reverberi mancano però anche Francesco Romano, Alessandro Pessot e Marco Benfatto. Se l’ultimo ha comunque 33 anni e nelle gambe 6 stagioni nel professionismo, i primi due sono stati lasciati liberi alla conclusione della seconda, ricordando che il 2020 è stato condizionato pesantemente dal Covid.

«Per come la vedo io – dice Reverberi – erano corridori in forse anche dalla stagione precedente, però avevano un contratto biennale ed era giusto dargli una possibilità. Nel fare certe valutazioni, ci basiamo anche su quello che dicono i compagni, per cui un corridore come Savini è rimasto, per quello che di buono ha lasciato intravedere. Il problema con Romano è che non si è mai inserito nel nostro modo di correre, faceva un po’ il furbino. Al Giro d’Italia non è neanche andato male, ma ricordo il giorno in Romagna in cui ha dato tutto per fare un traguardo volante e poi si è staccato dalla fuga, facendoci fare davvero una bella figura…

«I corridori devono anche integrarsi nella squadra – prosegue Reverberi – ad esempio abbiamo lasciato andare Canola e Pasqualon perché correvano per i fatti loro. Pessot aveva problemi anche ad andare in discesa e poi parlava poco. Se fossero così forti, perché non li avremmo tenuti? Quando fai passare quelli di seconda fascia, si deve mettere in conto la possibilità che smettano. D’altra parte, dove sono quelli che noi abbiamo lasciato liberi e che poi hanno sfondato?».

Tour de Langkawi 2019, Pessot a disposizione della squadra nel primo anno da pro’
Langkawi 2019, Pessot a disposizione della squadra

Quali fasce?

Qui il discorso tuttavia rischia di diventare scivoloso. Un po’ perché Pasqualon ha fatto e sta facendo un’ottima carriera e poi perché, giusto ieri, Raimondo Scimone ci ha spiegato le difficoltà di ricollocare un corridore lasciato a piedi dalla squadra precedente.

Quando Alessandro Pessot passò professionista, di lui si diceva che sarebbe diventato un novello De Marchi. Potente, forte a crono, coraggioso, amante delle fughe. Nel 2017, aveva vinto il Carpathia Couriers Race da U23, battendo un giovanissimo Pogacar. Non era un corridore di prima fascia, come ha detto Reverberi, ma potrebbe ancora diventare un eccellente uomo squadra.

Una raccomandata

«A settembre – dice il friulano – ho ricevuto una raccomandata con cui mi comunicavano che non sarei stato confermato. Senza altre spiegazioni. Capisco che la squadra abbia bisogno di visibilità e questa viene dalle fughe. Capisco anche che il 2020 non sia stato il mio anno migliore, come non lo è stato per molti altri. Ma posso dire di aver sempre dato il massimo, in allenamento e in corsa, senza essere seguito come al CTF Lab con cui continuo a prepararmi. In questi due anni ho anche avuto dei problemi e ho colto l’occasione sapendo che il tempo era poco. De Marchi e Fabbro mi avevano avvertito che non si può stare ad aspettare perché è facile perdere il treno. Posso aver commesso qualche errore, credo sia normale quando cerchi di imparare un mestiere, ma non ho rimpianti con me stesso, a parte quello di aver corso soltanto 25 giorni nel 2020. Qualche giorno in più mi avrebbe aiutato a trovare la condizione e a migliorare l’esperienza. Quanto ai problemi in discesa, confermo che sul bagnato non sono mai stato un drago, ma anche che ho avuto problemi a trovare il giusto feeling con i materiali. Non solo io, anche altri compagni. Tanto che quest’anno oltre alle biciclette sono state cambiate anche le gomme».

Francesco Romano ha corso il Giro d’Italia 2020: è nato nel 1997
Francesco Romano ha corso il Giro d’Italia 2020: è nato nel 1997

Romano, 23 anni

Francesco Romano, dal canto suo, si ritrova di nuovo nella Palazzago in cui corse fino ai 21 anni, avendone ora 23. Passato dopo il secondo anno da U23, il siciliano ha raccontato di essere diventato professionista troppo presto e che un ragazzino come lui non aveva ancora le armi per difendersi.

Due anni e via

Ma il punto è proprio questo. Che cosa si chiede ad un neoprofessionista oltre all’impegno e al garantire una buona immagine alla squadra? Che sia già in grado di vincere? Oppure che si faccia vedere? E se si prende un corridore così giovane, non avrebbe più senso proseguire nell’investimento e costruirlo nella sua professionalità? I corridori che non fanno la vita potrebbero semplicemente essere demotivati? E se così fosse, non sarebbe utile mettergli accanto qualcuno che non vanifichi gli stipendi mese dopo mese?

A ben guardare anche De Marchi era una seconda fascia e come lui Ballan. Per loro fortuna tuttavia, quando passarono professionisti, il tempo non era scandito a ritmo di social.

Neopro’ precoci e giovani a piedi: Scimone perché?

19.01.2021
4 min
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Raimondo Scimone era il procuratore (e ottimo amico) di Michele Scarponi e lo è oggi, fra gli altri, per De Marchi, Fabbro, Pozzovivo e Aleotti. Nelle squadre, degli U23 come dei professionisti, quelli che fanno il suo lavoro godono di reputazioni piuttosto diverse. C’è chi li vede come dei commercianti di uomini e ne sta alla larga e chi invece se li tiene stretti, per averne il favore e i corridori migliori. Scimone non è di quelli super invadenti e forse proprio la sua discrezione ne ha fatto il riferimento per il Cycling Team Friuli.

«E questo – dice – è una grande soddisfazione. Serve rispetto per gente che guida corridori da trent’anni, come può essere Bressan, che ne sa sicuramente più di me. Non avrebbe senso che entrassi in ambiti che non sono miei e forse questo ha costruito la fiducia. Al punto che a volte sono loro a chiedere la mia presenza nelle riunioni tecniche, per permettermi di conoscere meglio i corridori».

Ci siamo rivolti a Scimone per avere un’altra opinione sulla tendenza di far passare corridori giovanissimi, col rischio di vederli sparire altrettanto precocemente.

Matteo Fabbro
Matteo Fabbro e Giovanni Aleotti, entrambi corridori di Scimone, entrambi alla Bora-Hansgrohe
Matteo Fabbro
Fabbro e Aleotti, entrambi atleti di Scimone
Come funziona il passaggio di un corridore poco noto o molto giovane?

Ci sono due dinamiche basate sulla reciproca conoscenza. La prima: il team manager conosce il corridore e lo prende. La seconda: il team manager non lo conosce e si fida del suo agente. In entrambi i casi parleranno i risultati di quei primi due anni.

Se invece il corridore è più conosciuto?

Si cerca di scegliere fra le squadre WorldTour che fanno le loro proposte. Per quelli buoni spesso ci sono più due anni per far vedere qualcosa e c’è anche maggiore indulgenza da parte dei team

Che cosa succede nelle professional alla fine dei due anni?

Tirano una riga e decidono, dato che ognuno è padrone in casa sua. Due anni sembrano tanto, ma possono essere anche poco se ad esempio uno dei due è stato falsato dal Covid. In certi casi, fra prendere un neopro’ tutto da costruire e tenersi un corridore che ha già fatto esperienza, io sceglierei il secondo. Anche perché la differenza di costi non è enorme.

Di quanti soldi parliamo?

In una professional, da lavoratore dipendente, si passa da 26.849 euro lordi a 32.102. Questo per il 2020, per come indicato nell’accordo paritario.

Come ti regoli davanti al corridore molto giovane che riceve un’offerta: batti il ferro finché è caldo o suggerisci di aspettare?

La seconda. Se si guarda alla mia storia, uno dei corridori più precoci è stato proprio Aleotti, che ha comunque fatto 3 anni da U23. In giro si vedono forzature, che a mio parere servono per tenere il passo delle WorldTour, che hanno battezzato la tendenza di far passare il fenomeno molto giovane. La differenza è che certe squadre hanno gli osservatori, il vivaio e gli allenatori che li fanno passare quando li reputano pronti. Anche su Evenepoel si è fatta una valutazione. Non dobbiamo confondere i veri fenomeni con la tendenza di accaparrarsi dei possibili talenti prima degli altri.

Cosa succede al ragazzo lasciato libero dopo i primi due anni?

E’ difficile da ricollocare. Oggi c’è l’estrema difficoltà della pandemia che ha ridotto gli organici e poi c’è il discorso tecnico: se è stato lasciato a piedi dalla tale squadra, perché dovremmo prenderlo noi? Per cui, dopo aver provato con tutte le professional, gli interlocutori diventano le continental, che vedono in questi ragazzi degli elementi di esperienza subito pronti per correre tra i professionisti. Spendendo una cifra inferiore al minimo della squadra professional. Il guaio è che c’è sovraffollamento e non tutte le continental fanno attività tra i professionisti.

Davide Bais, Mattia Bais, Rovereto 2020
I fratelli Bais sono entrambi pro’: Mattia alla Androni, Davide alla Eolo
Davide Bais, Mattia Bais, Rovereto 2020
I fratelli Bais, Mattia alla Androni, Davide alla Eolo
Pensi che quelli… buoni siano ancora in gruppo o qualcuno abbia smesso prima?

Sicuramente qualche stortura si è verificata, ma secondo me nessun buon talento è andato perso. Non sempre i ragazzi hanno la capacità di tenere la concentrazione e magari i due anni non bastano. Possiamo aver perso qualche buon corridore, ma del resto i team manager possono fare quel che ritengono più giusto.

Due anni sono pochi?

No, credo che siano abbastanza giusti. Se un corridore esplode deve avere la possibilità di essere valorizzato. Anche noi passiamo da una prima fase da amici, a quella in cui, essendo riconosciuto il loro valore, abbiamo un ritorno anche noi.

E’ possibile che tanti corridori vengano fatti passare per accrescere le vostre percentuali?

Nel mio contratto c’è un allegato in cui si scrive che al di sotto di certe cifre, non ci sono compensi da versare. Così nella prima fase posso fare da talent scout e creare il legame con l’atleta. Non so se alcuni colleghi si muovano diversamente.

Quanto corridori hai?

Una ventina, compresi quelli che l’anno scorso erano juniores e ora sono U23. Avrei preferito non rivolgermi a ragazzi così giovani, ma visto che lo fanno tutti e che qualcuno si spinge fino agli allievi, ho dovuto adeguarmi. Però se mantieni un’etica, è anche divertente. Sei una sorta di fratello maggiore che lavora per immaginare il ragazzo, anni dopo, nel gruppo che conta. Devi avere un buon rapporto con le famiglie, dato che per un po’ hai a che fare con un minorenne. Non devi sembrare uno che punta ai soldi ed è meglio stare alla larga dalle famiglie che puntano soltanto a quelli.

Nicola Venchiarutti, fiume Tagliamento, inverno 2020

Venchiarutti, come stai? Facciamo due parole…

02.12.2020
4 min
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Anno peggiore per passare professionista, Nicola Venchiarutti non poteva trovarlo. E come lui tutti i ragazzi che alla fine del 2019 brindavano al grande salto. Intendiamoci, già essere di qua è una gran cosa, ma certo la gradualità, l’adattamento, il fatto di imparare dai più grandi, il prendere le misure al modo di correre sono stati per tutta la stagione una bella suggestione. Perché nessuno ci ha capito molto, soprattutto i più grandi.

La sua stagione è iniziata a gennaio con la Vuelta al Tachira e il 5° posto nella seconda tappa. Poi il Tour de Langkawi e… il lockdown. Alla ripresa, 14° posto al Circuito di Getxo e altre sette corse fra cui la Sanremo, fino alla Parigi-Camembert. Perciò adesso, con la tipica concretezza friulana e lo sguardo da furbino sotto il ciuffo (che nella foto di apertura si affaccia sul fiume Tagliamento dal Monte Cumieli), il “Venchia” affronta il primo inverno da professionista tenendosi salde le certezze e lavorando per scoprire l’ignoto.

Nicola Venchiarutti, Genting Highlands, Tour de Langkawi 2020
Salendo verso Genting Highlands al Tour de Langkawi 2020
Nicola Venchiarutti, Genting Highlands, Tour de Langkawi 2020
Genting Highlands al Langkawi 2020
Quali sono le certezze?

Il CTF Lab e Andrea Fusaz per la preparazione. Stiamo lavorando già da qualche giorno per costruire una bella base. Al momento mi sto regolando sugli stessi volumi dello scorso anno, dato che ho appena cominciato. Poi gradualmente si andrà ad aumentare. Non sapendo quando si comincia, è anche difficile prevedere quanto crescere e in che tempi. Per cui esco da solo e con calma, dato che nel ritiro del CT Friuli non c’è ancora nessuno. La regione è arancione e i ragazzi che vengono da fuori non possono spostarsi.

Che cosa ti resta in tasca di questa stagione?

A parte il periodo, ma non vorrei ripetere quello che dicono tutti, ho fatto delle belle garette. Ma soprattutto ho cominciato a capire come funziona la squadra, come è organizzata. E’ diverso. Il CT Friuli era una grande famiglia, nel professionismo la squadra è più una ditta di lavoro. E anzi, all’Androni c’è un bel clima fra compagni e anche con lo staff.

Con quale tecnico hai legato di più?

Ellena è veramente bravo, ma anche con Canciani ho un bel rapporto. Anche lui è friulano, zona di Gorizia. Con Cheula sono andato alle prime corse e anche Spezialetti è in gamba.

Quale corsa ti è piaciuta di più?

La Sanremo, senza dubbio. La partenza con tutti quei campioni. Riconoscere accanto a me Sagan e Alaphilippe che fino all’anno scorso vedevo in televisione è stato incredibile. Ma allo stesso modo in cui mi ha entusiasmato in partenza, mi ha svuotato dopo 270 chilometri. Si è proprio spenta la luce e mi sono fermato. Non avevo mai fatto una corsa così lunga…

Nicola Venchiarutti, Falcade, Giro d'Italia U23 2019 (foto Scanferla)
Falcade, vince in volata una tappa di media montagna al Giro U23 del 2019 (foto Scanferla)
Nicola Venchiarutti, Falcade, Giro d'Italia U23 2019 (foto Scanferla)
Falcade, Giro U23 del 2019 (foto Scanferla)
Senti di essere cresciuto atleticamente?

Sicuramente, anche se mi è mancata qualche corsa a tappe dopo la ripresa. A parte il periodo sui rulli, credo di essere riuscito a migliorarmi.

Hai parlato di costruire la base. Lavori solo in bici?

Qua non è come nelle Marche per Carboni, che da tesserato può andare in palestra. Qua forse anche per contenere i costi, le palestre sono tutte chiuse. Per cui mi sono attrezzato in casa e comunque è un problema. Finirà che faremo tutto aumentando le ore e i lavori in bici, con l’handicap che non andremo in ritiro in un posto caldo.

Ti alleni davvero sempre da solo?

Di solito sì, ieri però ho incontrato Fabbro, De Marchi e Milan che passa anche lui professionista.

La Androni Giocattoli-Sidermec ha tagliato i corridori più esperti, da chi si impara adesso?

Con i più grandi ho corso poco o niente, non posso dire di averli conosciuti. A questo punto è positivo che siamo tutti giovani, per il clima e per il modo di lavorare in cui siamo tutti abbastanza vicini.

Cosa resta dell’istinto vincente di Venchiarutti?

C’è sempre, ma è difficile all’inizio fare quello che si poteva da under 23. Come la tappa di Falcade al Giro d’Italia, vinta in volata in mezzo agli scalatori. Ma il mio obiettivo è restare davanti nelle gare durette che finiscono in volata. Ci tengo a impormi e ho visto che mi viene lasciato spazio. Anche se non è affatto un problema tirare, quando serve.

Bressan e la mentalità del Cycling Team Friuli

10.11.2020
4 min
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Quando si parla di dilettanti e si dice Cycling Team Friuli si ha subito la sensazione di essere di fronte ad una realtà diversa. Quasi una terra di mezzo tra chi è professionista nel WorldTour e una realtà che di dilettantistico ha davvero poco. In tanti anni di corse all’estero, i corridori che sono arrivati nel grande ciclismo passando da qui hanno fatto di questo sodalizio l’oggetto del desiderio di molti giovani.

Giovanni Aleotti all’ultima tappa del Giro U23
Giovanni Aleotti all’ultima tappa del Giro U23

Quel podio sfiorato

«E’ stata una stagione intensa – dice il patron del team, Roberto Bressan – Cosa è stato brutto e cosa bello? Il covid è stato brutto, perché ciclisticamente parlando è stata un’annata positiva. L’unico neo semmai è l’aver perso il podio del Giro U23 con Aleotti all’ultimo giorno. Questo ancora non ci dà pace. Ed ha portato ognuno di noi a diverse spiegazioni. Che Giovanni sia più da Tour che da Giro, visto che è più adatto a certe pendenze. Che è più per corse di un giorno. Che per fare grandi prestazioni ha bisogno di fare prima un grande Giro. Quest’ultima è la mia interpretazione e nasce dal fatto che lo scorso anno al Giro gli dissi dopo l’ennesima caduta di mollare la generale e di puntare ad una tappa. Ne è uscito bene e al Tour de l’Avenir ha fatto secondo. Posto sempre, sia chiaro, che stiamo parlando di un ragazzo di 21 anni che deve ancora maturare».

Mentalità CTF

Bressan e il suo team non vanno alla ricerca delle vittorie. Roberto lo dice apertamente. L’importante è formare un corridore. Il “rientro” di tanto investimento è vedere che un loro atleta arrivi maturo al professionismo.

«Il percorso al CFT dura quattro anni, per chi ha gli attributi, crede nel progetto e acquisisce la nostra mentalità di lavoro. Ma alla fine nella bici o nella vita si arriva. Pensiamo a Yankee Germano, mio ex corridore. Non è diventato un professionista, ma è uno dei massaggiatori più apprezzati del gruppo, è alla Deceuninck-Quick Step.

I ragazzi del CTF sul podio tricolore della cronosquadre
I ragazzi del CTF sul podio tricolore della cronosquadre

«Quest’anno abbiamo vinto titoli su strada, a crono e in pista. Sono orgoglioso di aver conquistato quello della cronosquadre. Da ex pistard posso dire che il polso di un team o di una Nazione si vede dal quartetto. E lo stesso vale su strada. Abbiamo presentato anche un secondo team quest’anno, proprio perché volevamo dare un messaggio di quanto sia importante fare questa disciplina. E il prossimo anno farò lo stesso.

«Chi passa deve essere completo. Ci sono professionisti che non hanno mai fatto una cronosquadre. Rischiano anche di buttare giù tutti. Non avevamo mai partecipato prima a questa prova perché si disputava in un momento dell’anno in cui non c’erano uomini in forma o non c’erano mezzi, e noi le cose vogliamo farle per bene. Questa volta c’erano le premesse per far bene ed eccoci».

Il 2021 già pieno

Per il prossimo anno i bianconeri saranno in 14 . Ai tre che passano (Davide Bais, Aleotti e Milan) subentrano tre juniores. Lascia Ferronato, che però potrebbe essere un futuro Ds del team (ed ecco che ritorna il discorso fatto prima per Germano) e arriva Nicola Buratti.

«Questo ragazzo doveva venire con noi l’anno scorso. Poi ci sono state delle incomprensioni col suo vecchio team juniores e non lo abbiamo più tesserato. Lui però ci teneva e così lo abbiamo “appoggiato” presso un team amico. Lo ha preparato Andrea Fusaz. Volevamo che acquisisse la nostra mentalità e solo allora lo avremmo preso. Ha vinto una gara in Piemonte da primo anno e colto un podio in una gara durissima in Toscana.

«In più ci sarà Fran Miholjević. Suo papà, ex pro’ e ds della Bahrain McLaren, ci ha chiesto di prenderlo perché crede nel nostro metodo di lavoro. Io ho lasciato carta bianca ai miei preparatori e loro mi hanno dato l’okay sui numeri dell’atleta. Il fatto che ci sia lui magari può essere come mettere il dito di un piede in una WorldTour, anche se io prima voglio vedere i fatti».

Il calendario del CTF ricalcherà, covid permettendo, quello fatto nel 2019. Quindi gare all’estero e prove continental di qualità. «Gare in cui l’atleta – conclude Bressan – può crescere e non solo vincere. Penso ad una Adriatica Ionica Race, al Giro di Val d’Aosta, al Giro U23… E volendo avremmo anche l’invito al Giro di Slovenia, gara molto importante».