Van der Poel ai box. Mondiali a rischio e gruppo in fermento

29.12.2021
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Non poteva essere solo per il mal di gambe. Infatti dopo la battuta d’arresto di Van der Poel nel Superprestige di lunedì, ecco giungere puntuale la comunicazione della Alpecin-Fenix. L’olandese ha ancora mal di schiena e domani non sarà all’Azencross di Loenhout. Il dannato dolore derivante dalla caduta di Tokyo continua a seguirlo come una maledizione.

«E’ frustrante – dice l’olandese – ma è quello che è. Il problema esiste da un po’ di tempo e sono parzialmente sollevato dal fatto che ci sia una causa identificabile che può essere risolta con riposo e trattamento extra. Tutti sanno che i mondiali negli Stati Uniti sono il primo grande traguardo del 2022, ma non sono certo l’unico né l’ultimo. Sono il primo a voler recuperare, ma senza la pressione del tempo, in modo da poter giocare tutte le mie possibilità. Riprenderò quindi le gare solo quando sarò completamente pronto. Se arrivo ai mondiali, è meglio. In caso contrario, non vedo l’ora che cominci la stagione primaverile su strada».

Vermiglio è stato il terzo cross di Van Aert, rientrato già vincente ai primi di dicembre
Vermiglio è stato il terzo cross di Van Aert, rientrato già vincente ai primi di dicembre

Rodaggio rapido

La schiena preoccupa e per la prima volta da quando lo si conosce ad alto livello, dovendo scegliere Mathieu ha anteposto la strada al cross. Se a questo si unisce la perplessità di Van Aert sulla trasferta iridata per il rischio di quarantene, lo scenario attorno al mondiale di Fayetteville riapre la porta agli specialisti del cross che si stavano già rassegnando alle briciole

Se infatti fino allo scorso anno Van Aert, Van der Poel e Pidcock avevano avuto bisogno di qualche gara di adattamento, quest’anno la fase di rodaggio è parsa ben più rapida e la cosa non ha mancato di suscitare riflessioni fra i colleghi, che pure gareggiavano già da due mesi. Da quando la stagione su strada era ancora in corso: il 10 ottobre si è corsa la prima Coppa del mondo negli Stati Unici, mentre Tadej Pogacar vinceva il Lombardia, una settimana dopo la vittoria di Colbrelli a Roubaix. Se a ciò si aggiunge che, proprio per aver iniziato così presto, le Feste di fine anno coincidono con un calo degli specialisti, ecco spiegata la frustrazione dell’ambiente.

Adrie Van der Poel (qui ai mondiali 1988) ha parlato della poca attività estiva dei crossisti
Adrie Van der Poel (qui ai mondiali 1988) ha parlato della poca attività estiva dei crossisti

Provocazione Van der Poel

Al danno si è aggiunta di recente la beffa, almeno dal loro punto di vista. Sposando un parere che aveva già trovato cittadinanza su bici.PRO dopo la gara di Vermiglio, Adrie Van der Poel, padre di Mathieu, ha parlato dell’attività degli specialisti del cross.

«Dovrebbero avere un programma su strada più consistente in estate – ha detto – per migliorare contro Wout e Mathieu nel ciclocross. Non è misurandosi contro i dilettanti su strada ad agosto che potranno gareggiare in inverno contro questi due».

I crossisti puri si dedicano quasi esclusivamente alla loro disciplina per sei mesi all’anno, tra settembre e febbraio. Raramente compaiono nelle gare su strada in estate. Corrono tutti con squadre continentali, il cui budget è quasi interamente dedicato al ciclocross e il cui calendario è evidentemente limitato.

Iserbyt è realista: sbagliato cercare lo scontro diretto
Iserbyt è realista: sbagliato cercare lo scontro diretto

La risposta di Iserbyt

Letto il parere di VdP senior, Iserbyt ha voluto rispondere, sentendosi forse preso di mira.

«Basterebbe che Adrie Van der Poel – ha detto – guardasse l’altro suo figlio (David, ndr) che si sta godendo un buon programma su strada con la Alpecin-Fenix, senza avere lo stesso livello di Wout e Mathieu. Devi sapere dove sei nella gerarchia. Non ho aspettato che Wout o Mathieu raccogliessero vittorie, altrimenti oggi il mio bilancio sarebbe a zero. Conosco il loro livello, è ben al di sopra di quello di Nys o Stybar ai loro tempi. All’inizio della mia carriera il mio sogno era batterli, ma ora ho capito che non aveva senso. Meglio vincere cinque gare senza di loro che due contro di loro. L’ho fatto due volte la scorsa stagione e anche Aerts ha battuto Mathieu, ma tutti si sono dimenticati di lui. Sappiamo tutti che quando tornano al ciclocross, inizia un’altra stagione. Se mi metto a seguirli, rischio di esplodere. Tanto vale riuscire a conquistare un posto d’onore per continuare a prendere punti in Coppa del mondo».

Nys Thibau Sven
Sven Nys con suo figlio Thibau, campione europeo U23 a Trento 2021
Nys Thibau Sven
Sven Nys con suo figlio Thibau, campione europeo U23 a Trento 2021

Nys rassegnato

E’ infatti innegabile che, al netto di ogni possibile osservazione, a fare la differenza sia il talento naturale di Van Aert e Van der Poel, con Pidcock in rapida ascesa. Per anni campioni come Sven Nys, Niels Albert o Erwin Vervecken sono rimasti padroni dell’inverno, oggi la tendenza si è completamente invertita. Forse solo il tre volte campione del mondo Zdenek Stybar era riuscito prima di loro ad avere un buon livello anche su strada, perdendo però le sue potenzialità nel cross. E la conferma viene proprio da Sven Nys, campione di tre mondiali, 13 Superprestige e tre Coppe del mondo e ora tecnico di Aerts e Van der Haar.

«Hanno raggiunto una tale perfezione – ha ammesso – da costringere gli altri a porsi obiettivi realistici. Se corrono come Wout durante i suoi primi due ciclocross, rischiamo di vivere un periodo natalizio senza vittorie».

Bart Wellens, vincitore di due mondiali, parla di motori evidentemente più potenti
Bart Wellens, vincitore di due mondiali, parla di motori evidentemente più potenti

Più cavalli e gomme nuove

Alla frustrazione sportiva, par di capire che si sommi anche quella finanziaria. Se infatti i tre stradisti ottengono rimborsi a quattro zeri, i ciclocrossisti puri sono costretti a mettere in fila quasi tutte le prove del calendario per ottenere un reddito accettabile. Per questo la comunicazione dello stop di Van der Poel ha spento i suoi tifosi, ma ha ridato il sorriso ai protagonisti della scena invernale.

«E’ come in Formula Uno – ha detto Bart Wellens, ex star del cross a Het Nieuwsblad – se arriva qualcuno con cinque cavalli in più e le gomme nuove. Non serve essere grandi esperti di automobilismo per capire che avrà un enorme vantaggio».

Ma a volte anche le monoposto più veloci si inceppano. Al ritmo di impegni e prestazioni cui si sottopongono quei due, c’è da augurarsi che siano sempre in salute. Altrimenti anche il recupero dal più banale infortunio diventa un calvario.

Gravel e ciclocross, sempre più vicini

28.12.2021
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Il gravel ed il ciclocross sono due universi paralleli, tecnicamente molto vicini e diametralmente opposti in fatto di approccio. Ma molto sta cambiando anche in questo senso. Gravel e ciclocross: si tratta di andare sullo sterrato con una bicicletta che, concettualmente, sembra da strada. Quest’ultima considerazione, se pur banale, permette di comprendere l’accostamento tecnico dei due segmenti ed è facile capire che gli stessi possono convivere.

A Vermiglio abbiamo visto biciclette che nascono per gravel e cross. La Specialized Crux ne è un esempio
La Specialized Crux è un esempio di bici per il doppio impiego

Differenze e dettagli da valutare

Il presupposto è la storia delle due discipline. Da una parte il ciclocross, sport antico e ancorato alle tradizioni (lo è stato per tanti anni), anche per quanto concerne la tecnica della bicicletta. Dall’altra il gravel, con un’interpretazione più moderna e aperta. Come mettere a confronto la strada e la Mtb.

Nel gravel sono confluiti un po’ tutti: dagli stradisti ai crossisti, dai biker agli enduristi, agonisti e semplici appassionati, fino ad arrivare ai neofiti. Ognuno di loro ha portato idee e contaminazioni, più o meno valide, necessarie e talvolta inutili.

La X-Master Strada di Ktm nasce come gravel. In configurazione gara pesa 8,3 chili, la bici usata dal team dei Samparisi
La X-Master Strada di Ktm nasce come gravel. In configurazione gara pesa 8,3 chili, la bici usata dal team dei Samparisi

Focalizziamoci sulla bicicletta, sulle geometrie e sulle chiavi di lettura che interessano il mezzo meccanico. Ed ecco la prima differenza che è necessario considerare: qual è l’obiettivo? L’agonismo e le competizioni, oppure il viaggio e l’experience?

Road endurance e gravel

Volendo fare un accostamento, il gravel (quello originale, quello delle tante ore in sella dove è meglio essere autosufficienti) ed il bikepacking occupano la stessa posizione delle bici road endurance. Il focus principale sono il comfort e il piacere di stare sulla bicicletta. Protagonisti sono la guida rilassata, l’experience ed il viaggio.

Non si tratta di biciclette di second’ordine, semplicemente non hanno l’agonismo come obiettivo primario. Tecnicamente queste bici hanno il rake delle forcelle proteso in avanti (tra 4,5 e 6 centimetri, in base al marchio e alla taglia) e angoli dello sterzo più aperti (per gli amanti dei numeri, una media tra 69,5 e 70°). La stessa tubazione dello sterzo è più alta (aumenta lo stack, ovvero la quota verticale misurata tra la battuta superiore dello sterzo ed il movimento centrale), in modo da non obbligare a schiacciarsi eccessivamente verso il basso.

Una delle caratteristiche delle biciclette gravel è il carro posteriore più lungo e un passo totale maggiorato. Però queste biciclette si possono usare in modo gratificante anche nelle gare più lunghe ed esigenti. Lachlan Morton insegna.

Ciclocross e gravel racing

Ma come spesso capita, l’agonismo e le competizioni, quel DNA racing che è insito nel ciclismo diventano una sorta di spartiacque. Ad esempio per lo sviluppo dei “progetti bici”. Sempre più aziende intraprendono questa strada, perché, al di là delle opportunità ed esigenze di mercato, le soluzioni mutuate dall’una e dall’altra parte (le contaminazioni per l’appunto) sono utili ad entrambe le categorie.

  • Si tratta di biciclette che talvolta utilizzano il medesimo frame-kit e la grossa variabile è l’allestimento.
  • Rispetto alle gravel originali hanno uno stack ridotto; significa che obbligano ad una guida più bassa e aggressiva.
  • Hanno un reach inferiore, perché sono più compatte; ovvero sono più agili, rapide e briose.
  • Nel complesso si tratta di bici con geometrie compatte e una ciclistica race oriented.
  • Hanno un’altezza da terra che potremmo quantificare con una media di 28 centimetri (più o meno, con la variabile del brand e della taglia), quindi simili ad una bici cx di vecchio stampo. Certamente utile a saltare gli ostacoli senza il pericolo di impattare con il movimento centrale.
  • Hanno un angolo delle sterzo più chiuso e un rake della forcella aperto, a favore di guidabilità e stabilità.
  • E poi agevolano il passaggio degli pneumatici “ciccioni” fino a 40/45, talvolta 47c. Impensabile per una bici da ciclocross delle generazioni precedenti.

Verso il futuro della bicicletta

Specialized con la nuova Crux, Cannondale con l’ultima SuperSix EVO CX e SE, ma anche Wilier con la Rave SLR, ci offrono una sguardo anticipato di quello che vedremo in un futuro prossimo, nel gravel race e nel ciclocross, ma anche in quel settore road. Perché le immagini della Serenissima Gravel sono ancora fresche e nitide. Se è vero che prima di tutto contano le gambe, il cuore e i polmoni, ma anche la testa, è pur vero che abbiamo imparato che il mezzo meccanico può fare la differenza, considerazione che è stata proprietà della mtb per troppi anni. Il gravel ha portato delle nuove soluzioni e il ciclocross le ha fatte proprie, ma pure il segmento stradale non è stato a guardare.

Guerciotti Lembeek Disc, tutto parte da qui

28.12.2021
4 min
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Se l’Eureka CX è la top di gamma del catalogo Guerciotti, per quello che riguarda il segmento ciclocross, la Lembeek Disc è da considerare la capostipite di una generazione di prodotti che vede il freno a disco protagonista. La Lembeek è “solo” per il ciclocross? Declinata anche al gravel racing non è peccato!

Uno dei due foderi orizzontali del carro, con il disco da 160 millimetri
Uno dei due foderi orizzontali del carro, con il disco da 160 millimetri

Lembeek Disc, come è fatta

E’ necessario fare un inciso; la Guerciotti Lembeek è la bicicletta che ci ha accompagnato durante la prova esclusiva del percorso di Coppa del Mondo di Vermiglio, quello della neve. Il suo telaio è un full carbon con un valore alla bilancia di 1130 grammi (dichiarati), con una scatola del movimento centrale asimmetrica e larga 86,5 millimetri. Ha i perni passanti tradizionali, 100×12 anteriore e 142×12 millimetri posteriore. Le sue forme ci mostrano uno slooping appena accennato, con uno shape delle tubazioni più abbondante sull’avantreno e nella zona della scatola centrale. Il punto del nodo sella è magro e sfinato. I foderi bassi del retrotreno sono muscolosi.

Lambeek Disc di Guerciotti: provata in varie situazioni, dal ciclocross al gravel
Lambeek Disc di Guerciotti: provata in varie situazioni, dal ciclocross al gravel

Con o senza deragliatore

Il tubo piantone è in grado di supportare il deragliatore per l’eventuale doppio plateau. Proprio il deragliatore può essere rimosso senza problemi ed ha un alloggio ben fatto. E’ giusto ricordare che la trasmissione Ekar non prevede la doppia corona, ma solo la mono. Il seat-post ha un diametro di 27,2 millimetri. La forcella è tutta in carbonio con i foderi dritti.

L’allestimento

Una chicca è la trasmissione Campagnolo Ekar, con la monocorona anteriore da 40 denti e 13 pignoni posteriori 9/42, ricordando che è Ekar è di natura meccanica. Tutto il cockpit è FSA in alluminio (reggisella Gossamer, stem Omega e piega Vero Compact). La sella è la Selle Italia X. Le ruote sono le Ursus Orion Disc in alluminio, gommate Challenge Grifo clincher 33. Il peso rilevato della bici in test è di 9,4 chilogrammi (pedali Shimano inclusi) e il prezzo di listino è di 4327 euro. È disponibile anche il solo frame-kit, al prezzo di listino di 1.880 euro.

guerciotti.it

Masciarelli ci racconta il Vanthourenhout dietro le quinte

27.12.2021
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Quando hai diciotto anni e vivi in Belgio per respirare ed imparare il ciclocross, devi avere buoni esempi da seguire. Lorenzo Masciarelli è un talento nato in una famiglia di ciclisti e per lui uno di quegli esempi è Michael Vanthourenhout, suo compagno alla Pauwels Sauzen-Bingoal. 

Il belga classe ’93 è una garanzia di risultato anche se forse, dopo il titolo europeo U23 nel 2013 e mondiale U23 nel 2015, tra gli elite ha raccolto meno di quello che avrebbe dovuto o potuto. La concorrenza poi di due Dioscuri come Van Aert e Van der Poel non l’ha aiutato molto.

Lo scorso 19 dicembre, però, Vanthourenhout ha saputo ritrovare il sorriso conquistando la prova di Coppa del mondo a Namur, la seconda dopo quella di Tabor a novembre 2020, e centrando così l’undicesima vittoria in carriera.

Contattiamo il giovane Masciarelli – ormai fisso ad Oudenaarde nel cuore delle Fiandre, che nella foto di apertura è il primo da sinistra, con Vanthourenhout e il grande capo Mario De Clercq – per parlarci di questo alto e magro crossista. Siamo al termine del collegiale, nel giorno deputato alla cosiddetta distanza per chi fa questa disciplina. Due ore scarse su strada, una e mezza di ciclocross e, se le temperature non sono troppo basse, un’altra mezzora su strada per rientrare a casa.

Lorenzo com’è allenarsi con Vanthourenhout?

Molto bello, si impara sempre qualcosa. E io lo studio bene da vicino. Ho la fortuna di essere in una squadra molto forte. Anche Iserbyt, seppur più solitario nelle uscite, e Sweeck sono dei riferimenti per noi giovani.

Lo conoscevi già da prima?

No, mi piaceva curiosare su Instagram. E ho iniziato a farlo quando da allievo, venendo qui in Belgio, mi sono reso conto di quanto fosse seguito dal pubblico. E poi, naturalmente, va fortissimo.

Che tipo di crossista è?

Tecnicamente è pazzesco, è un esempio di completezza. Ma è sulla sabbia, sul fango alto o nella neve, quindi dove si scende tanto con la ruota, che dà veramente il meglio di sé. E’ uno dei migliori in quelle condizioni. Poi è forte e velocissimo nel saltare gli ostacoli con la bici, anche più di Van Aert e Van der Poel. Su alcuni percorsi può guadagnare tanti secondi rispetto agli avversari con queste manovre. Gli manca forse un po’ di potenza. Rispetto a Iserbyt o al solito Van Aert, riesce a spingere un po’ meno.

A Vermiglio, nella Coppa del mondo corsa sulla neve, è arivato secondo
A Vermiglio, nella Coppa del mondo corsa sulla neve, è arivato secondo
Fra voi ci sono dieci anni di differenza. Che rapporto hai con lui?

Splendido. Siamo diventati buoni amici e per me, che lo vedevo come un idolo, è davvero una grande emozione. Alla fine di ogni allenamento mi fermo a parlare con lui, ci scambiamo impressioni. Mi dà sempre consigli sulla pressione delle gomme, sul vestiario o su altro. Pensate che lo scorso ottobre a Fayetteville, nella prova di Coppa del mondo, lui era tutto concentrato nel riscaldamento pre-gara. E quando mi ha visto passare accanto, mi ha fermato per darmi gli ultimi suggerimenti sulle gomme. Non me lo sarei mai aspettato, aveva altro a cui pensare.

Ci sembra di capire che caratterialmente sia una persona alla mano…

Sì, molto. Con lui ho molto dialogo. E’ un ragazzo cui piace stare in compagna e scherzare, anche in allenamento. Si vede poi che ama andare in bici. Si diverte quando pedala, come se stesse giocando.

Secondo te su strada potrebbe fare bene?

Va molto forte anche lì, ha caratteristiche da scalatore. Di gare su strada ne fa, ma non gli interessano tanto. La realtà del ciclocross qui in Belgio è clamorosa, è lo sport nazionale. Credo guadagni di più che andando su strada. Qua gli ingaggi alle corse per i crossisti forti come lui sono alti, secondo me anche migliori di qualche stradista.

A proposito di Fayetteville, dove Vanthourenhout ha fatto terzo a ottobre, il 30 gennaio ci saranno i mondiali. Che risultato può fare?

Bisogna vedere se cambieranno o meno il percorso, so che gli organizzatori ci stavano pensando. Forse non è un tracciato molto tecnico, come potrebbe piacere a lui. Secondo me può lottare per la top five e Iserbyt lo vedo un po’ più avvantaggiato di lui. Attenzione però, se ci sarà il fango, allora è Michael ad essere favorito. Ha già fatto un secondo posto ad un mondiale col fango (dietro a Van Aert a Valkenburg nel febbraio 2018, ndr). Poi la vittoria di Namur gli ha dato tanto morale e quando lui sta bene è sempre là davanti per la vittoria.

Lorenzo chiudiamo con te. Come sta procedendo la tua crescita?

Bene, sono contento. Sto facendo tanta esperienza e sto migliorando. La squadra mi dà tranquillità, non ho pressioni da nessuno.

Van Aert scaccia l’incubo, ma Van der Poel è vicino

27.12.2021
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Sfogliando i giornali, stamattina Van Aert avrà la sensazione di aver scacciato un incubo. Uno a zero per lui e palla al centro. Il rientro di Van der Poel nel cross di Dendermonde per i primi giri lo ha fatto tremare, poi il primo confronto fra i due ha tenuto fede alla logica. E anche se l’olandese per mezz’ora ha corso al ritmo dell’eterno rivale, alla lunga la sua poca preparazione e la grande condizione del belga sono venute a galla. Non succedeva dal 22 novembre del 2015 che Mathieu non vincesse il cross di esordio.

Per quasi metà gara, Van der Poel ha tenuto il passo di Van Aert
Per quasi metà gara, Van der Poel ha tenuto il passo di Van Aert

«Queste statistiche sono belle – ha detto il campione del mondo – ma ovviamente prima o poi dovevano finire. Ho dovuto lasciare che l’infiammazione al ginocchio guarisse. Era proprio necessario posticipare il mio ritorno e sono felice di averlo fatto. Ed è stato necessario ricominciare più tardi, perché avevo bisogno di recuperare dopo la stagione su strada. Mi manca la resistenza. Potevo andare a un bel ritmo, ma non tenerlo sino in fondo. Nelle ultime settimane, Van Aert è stato fortissimo. Sono felice di essere riuscito a resistere così a lungo su questo percorso. Non ero male sulle parti pedalate, ma c’è ancora da lavorare».

Il gatto col topo

Di nuovo senza pubblico per il Covid e nel fango, con il solito Van der Poel minaccioso. Un incubo. Il campione belga, appena tornato dal ritiro di Girona con la Jumbo-Visma, si aspettava che il grande rivale fosse già vincente.

«Sospettavo che Mathieu sarebbe stato il mio più grande concorrente – ha raccontato – ho provato ad accelerare una prima volta e a farlo andare fuori giri, ma non ha funzionato. Allora ho rallentato un po’ e ho provato una seconda volta. Ha funzionato ed è stato divertente. Nell’ultimo quarto di gara sono stato il più forte. Curva dopo curva ho controllato il mio vantaggio. Ogni volta diventava più grande. Alla fine ho potuto prendermela comoda e non ho dovuto correre altri rischi. Ma comunque è stata una vittoria combattuta».

A testa alta

Van der Poel è schizzato avanti dalla terza fila, mentre Toon Aerts è stato il primo a forzare il ritmo. L’allievo di Sven Nys non si è voltato indietro e ha provato a fare subito corsa dura. Quando Van der Poel ha preso la sua ruota, Van Aert si è reso conto del pericolo e dopo il primo giro si è messo a spingere e ha rapidamente chiuso il buco. E per il resto della gara ha continuato a darci dentro, prendendo subito un grande vantaggio. Per fare un esempio, dopo tre giri Pidcock aveva già perso un minuto.

Poker Van Aert

Nel frattempo e per la goduria degli appassionati di lassù, è andato in scena lo sperato duello Van Aert-Van der Poel. Toon Aerts ha dovuto gradualmente piegarsi e scavare nelle riserve per stare al passo con i due, mentre alla lunga anche l’iridato è stato costretto a piegarsi.

A tre giri dalla fine il podio era già fatto. Van Aert ha potuto iniziare a festeggiare da lontano la sua quarta vittoria di stagione. Mentre Van der Poel, buono, ma non ancora eccezionale, non ha vinto al debutto per la prima volta dopo sei anni.

Subito rivincita

«Si può vedere che si è allenato duramente nelle ultime settimane» ha detto Van Aert commentando comunque la prova dell’avversario, che ha chiuso a 49 secondi e già oggi nel Superprestige di Heusden-Zolder potrebbe prendersi la rivincita. Secondo i bookmakers di lassù infatti la quinta vittoria di Van Aert non è affatto scontata, mentre l’olandese in maglia iridata, che già nella conferenza di qualche giorno fa era parso piuttosto fiducioso, guarda avanti senza ansia apparente.

«Non c’è bisogno di andare in panico – dice – sto ancora crescendo e prima dei mondiali ci sarà ancora un ritiro di preparazione. Dopo il periodo natalizio e dopo questo il periodo di lavoro, la differenza sarà grande. A Fayetteville ci sarò completamente».

Qualcuno pensa che la differenza sarà grande anche oggi. Van Aert ha raccontato ai giornalisti di lassù di non aver più spinto a tutta negli ultimi tre giri. Vedremo se oggi gli servirà dare fondo a più energie.

Realini, la crescita passa da (tanta) strada

25.12.2021
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Prosegue il viaggio tecnico sui nostri atleti, e in questo caso, atlete del ciclocross. L’importanza di creare un motore grande per sfidare i protagonisti e le protagoniste del Nord Europa diventa sempre maggiore. Per un Dorigoni che punta sulle marathon, c’è una Gaia Realini che invece ha insistito, e molto, sulla strada.

E stando ai profili dei maggiori interpreti, sia maschili che femminili, del cross sembra proprio essere questo il viatico vincente: appunto fare la strada d’estate. La portacolori della Selle Italia – Guerciotti è partita molto bene, tanto da raggiungere quattro podi (una vittoria, quella di Brugherio) e si è assicurata una maglia azzurra per i campionati europei.

L’abruzzese, classe 2001, impegnata negli ultimi campionati europei (sesta tra le U23)
L’abruzzese, classe 2001, impegnata negli ultimi campionati europei (sesta tra le U23)
Gaia, questa estate hai fatto parecchia strada, come ti stai trovando in questa stagione del cross?

Sicuramente non avendo staccato al termine della stagione su strada e avendo tirato dritto, la gamba nelle prime gare girava molto bene. Poi dopo Tabor, ho staccato tre settimane e ho ripreso l’8 dicembre.

Questo stacco è stato totale?

No, no… Comunque mi sono allenata normalmente. Ho solo preso una pausa dalle gare. Adesso piano, piano sto riprendendo il ritmo. La mancanza dalle corse un po’ si è sentita.

Hai notato differenze nel cross con l’aumento del volume su strada? Vedendo i migliori interpreti, Lucinda Brand, Marianne Vos… sembra che sia la strada a tracciare la via vincente nel cross…

Per me dipende anche dal fisico, ma quei nomi che avete citato voi effettivamente fanno pensare che sia meglio passare dalla strada. Però c’è anche qualche bravo crossista che viene dalla mountain bike.

Realini Riale 2021
Al Giro Donne, Gaia è arrivata undicesima nella generale e seconda tra le giovani (nella classifica per la maglia bianca)
Realini Riale 2021
Al Giro Donne, Gaia è arrivata 11ª nella generale e 2ª tra le giovani
A te è piaciuto fare la strada?

Molto, io facevo sempre davvero poche gare, invece da quando sono con il team di Fidanza (Isolmant – Premac, ndr) ho potuto conoscere meglio questo ambiente e questa disciplina. E ne ho scoperto un altro lato che mi è piaciuto.

Da zero a dieci quanto pensi di essere cresciuta?

Difficile quantificare, posso dire però che sono due anni che sto lavorando bene. Ma il mio obiettivo è quello di migliorarmi anno dopo anno.

In percentuale quanto è aumentato il tuo volume su strada nell’ultimo anno?

Direi l’80%, senza esagerare. Negli altri anni facevo sei o sette gare, quest’anno ne ho fatte davvero tante e sì, è stato un impegno crescente.

Beh, passare da qualche garetta al Giro d’Italia… Questo ti ha reso anche diversa, più conosciuta, agli occhi delle avversarie?

Non credo, nel cross non sono una molto in vista, soprattutto a livello internazionale.

In Italia però sei una delle ciclocrossiste più importanti, tutto ciò ti responsabilizza?

Veramente no. Io guardo molto sia alle più grandi che alle più piccole, a chiunque abbia qualcosa in più. E al termine delle gare analizzo tutto e mi chiedo: perché quella ragazza in quel punto è andata meglio di me? Perché su quel tracciato è stata più brava? Motivi tecnici? Motivi atletici?

In Val di Sole, seconda gara dopo la pausa autunnale, la Realini è stata 20ª
In Val di Sole, seconda gara dopo la pausa autunnale, la Realini è stata 20ª
Che crossista sei? Prediligi i percorsi stretti e tecnici o quelli dove c’è da spingere?

Adesso quelli dove c’è da spingere…

E tu ti senti più crossista o stradista?

Bella domanda – sorride la Realini – più stradista… E non l’avrei mai detto!

Visto che sei così votata alla causa, il prossimo anno resterai con Fidanza. Lui era sicuro che il tuo futuro fosse sull’asfalto…

Sì, resto con la sua squadra. Poter fare il Tour sarebbe una bellissima esperienza dato che è una gara tutta nuova.

Per adesso la piccola, ma grintosissima, abruzzese resta concentrata sul ciclocross. L’obiettivo è certamente quello di far bene ai campionati italiani – come ci ha detto lei stessa – e ai mondiali. Ma conoscendo la sua grinta e la sua tenacia tra qualche anno potremmo trovarci tra le mani un’ottima stradista.

Pontoni e i “bestioni”: «Cercarli tra i pro’ o formarli tra i giovani»

23.12.2021
5 min
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Alto, possente, potente, magari che viene dalla strada: l’identikit del ciclocrossista moderno. Il cittì Daniele Pontoni lo ammette chiaramente: «E’ quello il profilo da ricercare». 

La discussione entra subito nel vivo. Il tecnico friulano ha capito esattamente dove vogliamo andare a parare e non rinuncia a rilanciare la discussione. La sua passione diventa subito contagiosa.

Il cittì Pontoni ha le idee chiare per il futuro: bisogna aumentare chili e potenza e lavorare con i giovani (se non “giovanissimi“)
Il cittì Pontoni ha le idee chiare per il futuro: bisogna aumentare chili e potenza e lavorare con i giovani (se non “giovanissimi“)
Daniele, dicevamo di questo profilo dal quale spiccano potenza e se possibile anche una certa stazza…

Esatto ed è quello che sto cercando. Un corridore potente e se ha anche tecnica è il massimo. Oggi chi riesce a fare più pedalate e a spingere rapporti più duri fa la differenza. E’ il cross moderno. La potenza paga e io sono alla ricerca di un profilo così. E se non lo trovo guardo ai più giovani.

Se non lo trovo…

Spero di coinvolgere qualche professionista dalla strada con queste caratteristiche e se non lo troviamo, ripeto, dobbiamo essere bravi noi a ricercarli già tra gli esordienti e tra gli allievi. E’ lì che li dobbiamo pescare, ma soprattutto, chiaramente, formare.

Un po’ però viene da pensare: possibile che in Italia non abbiamo più il bestione da un metro e ottanta e 70 chili?

Eh pare proprio di no. Anche qui dobbiamo andare a vedere tra gli allievi. Avremmo Ettore Fabbro, che adesso è 1,78 metri, o Federica Venturelli, tra le ragazze. Comunque anche con profili più piccoli, come potevo essere io, si può lavorare e cercare di mettere su watt. Io a situazioni così non “davo del lei” e spingevo forte lo stesso.

La direzione da prendere è chiara insomma…

Vi dico questa, proprio l’altro giorno abbiamo fatto l’ordine a Castelli per le divise della nazionale. Bene, non abbiamo una L. Il nostro problema è che arriviamo solo alla taglia M! Può sembrare una battuta ma è così.

Prima, Daniele, hai parlato di professionisti della strada. Hai già qualche nome in mente?

Sì, ho mente dei nomi ma non li dico tutti. Però posso dire che uno di questi è Covi e già ne avete parlato! Ma poi penso anche ad altri ragazzi per i quali stravedo e che ricordo in azione: De Pretto, Verre e lo stesso Trentin. Ma anche Lorenzo Masciarelli: ecco lui potrebbe avere queste caratteristiche che dicevamo, ma bisogna dargli tempo per fargliele esprimere. Io spero possa crearsi un piano con la Federazione per lavorare e coinvolgere loro e anche i cronoman.

I cronoman: giusto quello che abbiamo scritto qualche giorno fa. Tra le due discipline c’è molto in comune…

Esatto: potenza, sforzi di 45 minuti, un’ora “a blocco”. Per me un cronoman si adatterebbe bene al ciclocross, semmai nel fuoristrada ci sono da fare più cambi di ritmo, ma siamo lì.

Prima hai fatto dei nomi importanti, ma non dei super big della strada. Come mai? Sono quelli che non vuoi dire?

Quelli sono dei nomi, dei ragazzi, che piacciono a me. Ma lo dico più da tifoso, da appassionato che da tecnico. E quando li vedo fare certi numeri su strada sono contento. Per gli altri nomi non mi sembra neanche carino farne, diciamo così.

Beh, allora se non fai tu dei nomi, te ne gettiamo noi alcuni sul piatto. Partiamo da Trentin che il cross l’ha anche fatto, ma pensiamo anche ad un Guarnieri, ad un Oss (entrambi nella foto di apertura), ad un Ballerini… Gente appunto di grande potenza e una certa “stazza”…

Come profili sarebbero perfetti, ma forse è un po’ tardi. Faccio fatica, per esempio, ad immaginare un Oss alle prese con la tecnica di guida. Tra loro direi Trentin perché viene da questa specialità. Ohi, poi magari sono interessati e io mi sbaglio sul discorso della tecnica. Me lo auguro! La verità è che dobbiamo confrontarci poi con tanti soggetti: squadre, preparatori e procuratori… Sarebbe bello che scoppiasse la scintilla del cross.

Chiaro, se c’è interesse anche il corridore è motivato e le squadre non ti danno gli atleti perché “devono”, ma perché vogliono…

Che dire, sicuramente ci proveremo. Tanto più di un “no”, non possono dirci! Tutto ciò è nei miei sogni, nei miei pensieri, nella mia volontà. Ma ci penseremo non appena è finita questa stagione, anche se in realtà già abbiamo iniziato a pensare alla prossima, tanto che vorrei essere concentrato molto di più sul presente. Questi 40 giorni sono i più importanti, tra le gare di coppa, il campionato italiano e il mondiale. Si restringono i tempi e anche i tempi delle scelte.

Arzeni sicuro: «Covi forte nel cross, ma ditelo a Gianetti!»

22.12.2021
4 min
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Alessandro Covi nel ciclocross, la suggestione continua. Una suggestione che però si fa sempre più tecnica, non vogliamo dire realistica, ma quantomeno verosimile. Soprattutto dopo aver parlato con il suo ex diesse, Davide Arzeni.

L’attuale direttore sportivo della Valcar – Travel&Service ha avuto tra le mani Covi per quattro stagioni, fino al primo anno tra gli juniores. Lo conosce bene. I due sono in ottimi rapporti. Davide lo ha visto crescere. A volte si sentono ancora, e da preparatore qual è Arzeni può ben dirci le reali possibilità di Covi nel ciclocross.

Per Arzeni Alessandro Covi era un talento nel ciclocross. E forse questo talento non lo ha perso…
Per Arzeni Alessandro Covi era un talento nel ciclocross. E forse questo talento non lo ha perso…
Davide, Covi e il ciclocross…

Alessandro su strada sta trovando una dimensione da top rider e bisogna capire i programmi che la UAE ha in serbo per lui. E a naso secondo me ha dei programmi molto importanti, pertanto bisognerà vedere quanto saranno interessati a questo discorso del cross. Sicuramente sarebbe bello vederlo. Sarebbe bello per la nazionale, per Pontoni, per il movimento… ma vallo a dire a Gianetti (CEO della UAE, ndr)!

Per te Covi avrebbe le qualità per tornare a fare il ciclocross?

Sì, certo. Però non è facile rientrare dopo tanto tempo. Servirebbe la programmazione giusta, senza contare che un po’ di tempo per riprendere il ritmo e la guida gli ci vorrebbe.

Ma il motore ce l’ha? Sarebbe all’altezza?

Certamente! Quando uno va forte su strada, va forte anche nel cross. E poi non scordiamoci che Ale ha già un passato in questa disciplina. Con me ha corso quattro anni: da esordiente al primo anno da juniores. E si vedeva che aveva dei numeri. Una volta eravamo alle Capannelle, a Roma e lo vedevamo avanzare sul rettilineo davvero con molta potenza, si vedeva proprio che sprigionava watt. Ero al fianco di Fausto Scotti, che rimase colpito. E Fausto, che la sa lunga, per l’anno successivo lo voleva a tutti costi nel progetto della nazionale, ma la squadra all’epoca (Team Giorgi, ndr) di Covi si oppose, non gli diede l’okay.

Quindi il cross era più che un semplice diversivo invernale per il varesino…

No, no… facevamo parecchia attività. Alessandro ha vinto diverse gare con me. Covi e Dorigoni, li avevo entrambi. Pensate che squadretta! Anche io ero più giovane e sentivo meno freddo quando andavo alle gare! Scherzi a parte, Alessandro si è divertito molto nel ciclocross. Ogni tanto quando ci sentiamo mi dice: ehi, Capo allora ci vediamo in qualche campo di cross!

Dorigoni e Covi ai tempi della Cadrezzate di cui Arzeni era diesse
Dorigoni e Covi ai tempi della Cadrezzate di cui Arzeni era diesse
Quindi avevi anche Dorigoni. Cosa pensi del fatto che lui punti sulla mountain bike, in particolare sulle marathon, per tenersi attivo d’estate?

Sono stato il suo preparatore fino allo scorso anno, poi Jakob ha scelto di dedicarsi alla mountain bike e abbiamo preferito interrompere il rapporto. Non per dei problemi, ma semplicemente perché io sulla mountain bike non ho la stessa esperienza che ho su strada e cross. Adesso lo segue Bramati. Che dire, io resto del parere che la migliore preparazione per il cross sia la strada.

In effetti è un po’ quello che anche noi sosteniamo, ma semplicemente perché è quello che vediamo sui campi di gara e dalle classifiche. Sono dati oggettivi…

Se io fossi un allenatore per il cross cercherei di prendere un atleta che fa strada e ogni tanto qualche gara di mtb per quelle abilità di guida che si acquisiscono con la “ruote grasse”, insomma per la tecnica. Così per me sarebbe perfetto. Poi mi rendo conto – fa una pausa Arzeni – che c’è anche chi arriva da altri mondi. Penso per esempio a Pauline Ferrand-Prevot che in un anno ha vinto i mondiali su strada, di cross e in mtb. Poi però il fisico ti presenta il conto. E lo stesso è un po’ quello che sta accadendo a Van der Poel.

Il profilo di Covi quindi cade a pennello…

Lui può far bene nel cross. Con quel motore che ha non avrebbe grandi problemi. Ha la potenza che serve. In più avendo fatto da ragazzino e ragazzo questa attività non partirebbe da zero. Se non fosse stato per una febbre a un paio di giorni dalla gara, avrebbe vinto un campionato italiano da juniores.

Van der Poel: paura, impennate e rientro a Santo Stefano

22.12.2021
4 min
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Il ritorno di Mathieu Van der Poel nel cross avverrà domenica 26 dicembre a Dendermonde senza nessun passaggio intermedio: sarà subito la sfida a tre, contro Van Aert e Pidcock. Si salvi chi può! Il debutto previsto per sabato scorso a Rucphen è stato rinviato per la scivolata dello scorso 25 novembre a causa della quale è saltato fuori un dolore al ginocchio che gli ha impedito di svolgere la necessaria preparazione.

«Il ginocchio non fa più male – racconta l’olandese in un incontro che si è svolto ieri su Zoom – la schiena invece è ancora lì che dà fastidio e dovrò conviverci. Dopo la Roubaix sono andato un po’ in vacanza e quello stupido problema al ginocchio non ci voleva. Ero in bici con un amico nel bosco, nemmeno un allenamento, piuttosto una girata. In un tratto scivoloso a ruota davanti mi è andata via e sono caduto battendo il ginocchio sulla ghiaia. Hanno pulito la pelle e tolto alcuni lembi e ho perso subito 4 giorni di allenamento. Poi sono ripartito, per ritrovare la forma, ma dopo 5-6 giorni ho dovuto fermarmi di nuovo. Ammetto di aver avuto paura. La mia stagione di cross quest’anno sarà già breve, poteva saltare del tutto, invece adesso sembra che vada tutto bene».

Il ritorno di Van der Poel, iridato nel 2021 sulla sabbia di Ostenda, avverrà il 26 dicembre a Dendermonde (foto Alpecin)
Il ritorno di Van der Poel, iridato nel 2021 sulla sabbia di Ostenda, avverrà il 26 dicembre a Dendermonde (foto Alpecin)

Volata e impennata

Tre giorni al Natale, il ragazzino con il cappello della Alpecin in testa ha l’aspetto quasi intimidito davanti all’inconveniente, ma in alcuni bagliori dello sguardo si intuisce che non veda l’ora di rilanciarsi. I giorni del ritiro hanno portato nella Alpecin il clima giusto e c’è stato anche il tempo per giocare, come quella volata vagamente… irriverente chiusa con un’impennata (foto di apertura) per battere i ragazzi della Zwift Academy che si sono allenati con la squadra.

«Volevo giocare – ride – in realtà sono veri atleti, ciascuno con le sue caratteristiche. Sono forti in salita e comunque sono stati giorni utili per allenarsi. Ma a dire la verità, non so in che modo potrò rientrare. Io parto sempre per vincere e credo di poter seguire il livello di quelli dietro Van Aert. Lui sembra per il momento molto superiore e non penso di avere le gambe per seguirlo, anche se mi piacerebbe stupirmi di me stesso…».

Voglia di stupire

La sensazione, a guardarlo negli occhi a distanza di 1.500 chilometri, è che la sua idea sia esattamente quella di rientrare in modo prepotente, mentre dopo la neve di Vermiglio Wout si sta allenando in Spagna e Pidcock, vittorioso nella prima prova di Coppa in carriera, arriva alla sfida con la giusta ispirazione. La differenza potrebbe farla il tracciato. Lo scorso anno Dendermonde, paesone fra Gand e Bruxelles, incoronò Van Aert in un giorno di acqua e fango. Quest’anno invece il meteo parrebbe meno ostile.

«In questo caso – dice Mathieu – le cose potrebbero andare bene anche a me. Non dovrebbe essere così duro, ma i percorsi cambiano. Potrebbero aver deciso di renderlo meno veloce e più scorbutico, ma se potessi scegliere io al momento lo preferirei pedalabile e con dei tratti tecnici. In Belgio ultimamente li disegnano con troppe curve che impediscono di fare velocità. Ma chiaramente è la mia opinione. Ho visto in televisione la gara di Besançon in Francia e mi è parsa molto bella, mentre da noi la migliore finora è stata Koksijde. La sabbia è il fondo che più mi si addice».

Al ritiro di Mallorca era presente anche l’ultimo acquisto Mareczko, qui al test del lattato (foto Alpecin)
Al ritiro di Mallorca era presente anche l’ultimo acquisto Mareczko, qui al test del lattato (foto Alpecin)

Mondiali a sorpresa

E così, dopo aver lanciato l’evidente guanto di sfida, che in parte sortirà anche l’effetto di aumentare l’incertezza tra i rivali, Van der Poel ha salutato con un cenno ai mondiali di fine gennaio a Fayetteville, negli Stati Uniti, che rappresentano il piatto forte della sua breve stagione offroad.

«I percorsi americani – annota – sono diversi dai nostri». I compagni di nazionale gli hanno raccontato che cosa hanno visto nella prima trasferta di Coppa, tuttavia l’olandese fa fatica a trovare un termine di paragone. Al momento il suo sguardo da killer è fisso sulla gara di domenica. Per le altre ci sarà tempo poi.