Ferron, Axel Laurance e quel ponte. Una storia a lieto fine

11.02.2023
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Momenti. Pochi secondi. Attimi nei quali tutta la tua vita ti passa davanti. A Valentin Ferron è capitato pochi giorni fa. Era il 3 febbraio, seconda tappa dell’Etoile de Bessèges, a 24 chilometri dalla conclusione. Un momento era in bici a controllare la corsa, in mezzo al gruppo. Neanche qualche secondo dopo era sul bordo del ponte, ma non affacciato ad ammirare il panorama, no, appeso con le braccia al parapetto, le gambe penzoloni, con il forte rischio di cadere senza sapere che cosa ci fosse sotto.

Oggi Ferron ci ride sopra, divertito da quelle immagini che si ripetono di continuo su Internet senza soluzione di continuità. Allora però non rideva. In quei secondi gli è passato davanti di tutto: gli inizi in bici, il seguire la sua passione trovando approdo a 19 anni nel Vendee U Pays de la Loire, i lunghi anni di apprendistato alla TotalEnergies dove milita dal 2019 e con la quale ha conquistato una tappa al Tour du Rwanda nel 2021 e al Delfinato l’anno successivo. Tutto bello, tutto giusto, ma rischiava di finire tutto anzitempo.

L’ultimo successo del 25enne di Vienne, all’ultimo Giro del Delfinato
L’ultimo successo del 25enne di Vienne, all’ultimo Giro del Delfinato

Una tragedia scampata

Il ciclismo non è nuovo a storie tristi. Ne abbiamo raccontate fin troppe sulle strade. In corsa, come Simpson cotto dal sole del Ventoux o Casartelli su quel maledetto paracarro del Portet d’Aspet. Fuori corsa, come le scomparse di Scarponi e Rebellin che gridano ancora vendetta. Di raccontarne un’altra, francamente si faceva anche a meno. Ferron rischiava di essere l’ennesimo, l’ultimo prima che la serie riprendesse.

E’ stato proprio lui a raccontare come tutto è successo, appena dopo l’arrivo di tutta la carovana e la neutralizzazione della corsa (foto di apertura). Con voce calma, ma quel leggero tremolio faceva capire che dentro, la paura ancora era padrona del suo corpo.

«C’è stato un grosso incidente mentre eravamo sul ponte – racconta – io sono rimasto coinvolto, poi altri corridori da dietro si sono ammucchiati su di noi. Sembravano non finire mai, come un’onda del mare. Io sono stato spinto sulla destra contro il muro, poi mi sono staccato dal suolo e riversato oltre. Neanche mi sono accorto di come sono finito fuori dal ponte…».

Una voce indimenticabile

Secondi interminabili, aspettando che qualcuno si accorga della situazione. Ma da quel caos di uomini misti a carbonio e tubolari, trovare qualcuno che riuscisse nel bailamme a sentire la sua voce non era semplice.

«Era una brutta situazione – dice – solo dopo mi sono accorto che il ponte non era poi così alto. Ma se fossi caduto, come minimo mi facevo molto male a caviglie e ginocchia. E io con le gambe ci lavoro… In quei momenti è difficile mantenere la calma. A un certo punto ho sentito una mano che con forza mi ha preso e mi ha tirato su, non dimenticherò mai quella voce».

Quella voce era di Axel Laurance, uno dei tanti coinvolti, uno dei giovani appena passati al team Devo dell’Alpecin Deceuninck, che era stato chiamato proprio per la corsa francese a rinforzare la squadra maggiore. Un esordio fra i pro’ davvero indimenticabile, ma per motivi inaspettati.

«Ho cercato di liberarmi dal groviglio prima possibile – ricorda – avevo visto che nella caduta qualcosa era andato storto. Il ponte era abbastanza stretto e i bordi non così alti. Ho sentito gridare e mi sono accorto che Valentin non era in una bella situazione. Lì non pensi certo a chi sia, a che maglia indossi, se è un compagno di squadra. In quei frangenti il ciclismo passa in second’ordine, eravamo uomini coinvolti nello stesso casino».

Un sorridente Laurance all’arrivo della tappa “incriminata”. Un giorno da ricordare
Un sorridente Laurance all’arrivo della tappa “incriminata”. Un giorno da ricordare

Alla fine fortunato

Quelle mani lo afferrano, forse per l’adrenalina, forse per quella voglia di dire no a un destino infausto, Axel lo tira su quasi fosse un fuscello. Altri si accorgono, si precipitano a dare una mano. Ferron è in salvo.

«Alla fine sono stato fortunato – sentenzia davanti ai giornalisti – c’è chi in quella baraonda se l’è passata peggio di me». Il riferimento è ai due principali infortunati della gigantesca caduta, Lars Van den Berg con una frattura al gomito e Ben Healy che si è rotto una mano.

Di fatto la corsa è finita lì. Claudine Fangille, che ha raccolto l’eredità dal padre nell’allestimento della prima corsa a tappe francese dell’anno, non ha avuto dubbi nella scelta: «I corridori erano rimasti fermi per più di 10 minuti, erano ormai freddi e non aveva più senso ripartire. Tanto più che le 3 ambulanze al seguito della gara avevano dovuto lasciare la carovana per portare i feriti al più vicino ospedale, non c’erano quindi le condizioni di sicurezza per far ripartire la corsa».

La volata della terza tappa. Ferron è subito protagonista, ma De Lie lo priva del successo
La volata della terza tappa. Ferron è subito protagonista, ma De Lie lo priva del successo

Senza quel De Lie…

Capita anche che le storie più difficili possano avere un lieto fine. Ferron nella notte ha messo da parte tutte le paure e il giorno dopo è tornato in carovana come se nulla fosse, anzi si è messo a battagliare fino alla volata finale è c’è voluto il sontuoso Arnaud De Lie di questo inizio stagione per togliergli quella vittoria che avrebbe avuto un sapore particolare. In mezzo al gruppo, 33°, arrivava Laurance, la sua vittoria più bella l’aveva avuta 24 ore prima…

Quella caduta di Pidcock all’esame di Franzoi

07.01.2023
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La caduta di Tom Pidcock all’X2O Trophee Baal merita di essere approfondita. E vista la particolarità, oltre alla spettacolarità, di quel capitombolo per farlo serve un occhio critico. Un occhio di spessore come quello di Enrico Franzoi, grande ex del ciclocorss italiano e non solo.

Riavvolgiamo il nastro per un momento. Siamo a Baal e il campione del mondo guida saldamente la corsa, quando su una serie di gobbe, piuttosto veloci, perde il controllo della bici e addirittura rovina fuori dalle transenne.

Enrico Franzoi (classe 1982) è stato bronzo iridato nel 2007 e 4 volte campione italiano
Enrico Franzoi (classe 1982) è stato bronzo iridato nel 2007 e 4 volte campione italiano

Concentrazione giù

Come mai quindi è caduto Pidcock? Come si può spiegare la dinamica? Lui è veloce e nella gobba prima aveva messo di traverso la bici, ma tutto sommato su quella gobba sembrava tutto normale.

«Vedendola da fuori – dice Franzoi – sembra una caduta banale con effetti molto importanti. Una caduta avvenuta in un momento in cui stava controllando il suo vantaggio. A mio avviso c’è stato un calo di concentrazione».

Per Franzoi alla base di questo incidente c’è in primis una questione di concentrazione, di tensione agonistica venuta meno. In effetti si era all’ultima tornata e Pidcock era saldamente in testa.

Velocità alta

In quel punto, come tutti gli altri del resto, Tom ci era già passato più volte, dunque conosceva il fondo e le velocità con cui si affrontava.

«Sempre dalle immagini – va avanti Franzoi – sembra che dopo l’atterraggio finisca in una canalina e si sbilanci nel momento della decompressione. Lì perde l’equilibrio. Ma, ripeto, mi sembra più una sua leggerezza. A volte è capitato anche a me di scivolare quando ero in testa perché mi deconcentravo.

«Riguardo alla velocità, io conosco quel percorso e quel punto, ma ai miei tempi le gobbe non c’erano. La velocità però era alta, si tratta di una bella discesa che un po’ tende a portare in fuori.

«E poi – riprende Franzoi – essendo il percorso asciutto non è che cambiasse così tanto (come a dire che non c’è neanche questa giustificazione, ndr) e questo mi fa pensare ancora di più al fatto della distrazione. Magari essendo così avanti si è rilassato, ma di scivolare poteva succedergli anche in una normale curva prima o dopo quel punto».

Pidcock tecnica
Pidcock è un vero funambolo in bici e poco importa che sia una mtb, una bdc o una da cross. L’inglese aveva rinunciato al mondiale prima della caduta
Pidcock tecnica
Pidcock è un funambolo in bici: che sia una mtb, una bdc o una da cross. L’inglese aveva rinunciato al mondiale prima della caduta

Nessuna “bikerata”

Pidcock sa guidare bene, molto bene. Troppo bene secondo alcuni. In molti hanno detto che il folletto della Ineos-Grenadiers abbia pagato le sue “whippate”, cioè quelle messe di traverso della bici per dare spettacolo, qualcosa che i biker fanno spesso. E sappiamo che più volte Tom si è dichiarato “biker inside”.

Però a rivedere bene le immagini lui non cade quando whippa, ma sul dosso successivo, quando sembra essersi rimesso in assetto standard.

E infatti lui stesso ha detto che la caduta è stata stupida non tanto per le whippate, ma perché voleva fare forte l’ultimo giro e di essere andato volutamente forte in un punto veloce che sapeva essere pericoloso.

«Per uno del suo calibro – conclude Franzoi – fare certe cose è del tutto normale. Non rischia, ha controllo totale della bici. Anzi, per me è stato anche bravo a limitare i danni!».

Bastianelli: gomito a posto, grazie a medici e infermieri

11.11.2022
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Il 28 luglio scorso, al Tour Femmes si correva la quinta tappa, quando in un punto non particolarmente insidioso a 45 chilometri dall’arrivo, una caduta di massa ha fermato il gruppo. Ad averne la peggio è stata Emma Norsgaard della Movistar, ritirata. Ma fra le tantissime ragazze cadute, anche Marta Bastianelli ha picchiato violentemente il gomito destro.

I corridori si alzano e ripartono. Così anche la romana è ripartita, ha tagliato il traguardo 34ª nel gruppo compatto alle spalle di Lorena Wiebes. E il giorno dopo è arrivata seconda, questa volta alle spalle di Marianne Vos.

La caduta ha coinvolto tutto il gruppo a 45 chilometri dall’arrivo della 5ª tappa
La caduta ha coinvolto tutto il gruppo a 45 chilometri dall’arrivo della 5ª tappa

La ferita sul gomito

Eppure la ferita sul gomito continuava ad essere brutta e a darle fastidio. Però anche in questo caso, la soglia del dolore molto alta, ha avuto la meglio e Marta ha continuato a correre sino a fine stagione.

«Ho sottovalutato la caduta», racconta, mentre guardiamo la foto che la ritrae all’uscita dall’ospedale, circondata da infermieri e dottori (immagine di apertura).

«Con noi al UAE Team Adq c’era la dottoressa Mossali – prosegue – e da casa anche il dottor Sprenger diceva giustamente di andare a fare un controllo. Dicevano che anche se non avevo dolore, sarebbe stato il caso di andare…».

Dopo le varie medicazioni, Bastianelli riparte: qui con il meccanico Longhi
Dopo le varie medicazioni, Bastianelli riparte: qui con il meccanico Longhi
Ci sei andata?

No, la mia testardaggine… Il gomito secondo me non era rotto, anche se due giorni fa il dottore in ospedale ha tolto delle piccole schegge di osso. In pratica si è creata una borsite che col tempo si è andata calcificando. E alla fine è servito un intervento per rimettere a posto il gomito.

Hai anche aspettato parecchio…

Prima ho fatto delle terapie dal nostro fisioterapista di fiducia Bartolacci che, poveretto, ha fatto quello che poteva. Lui è sempre molto ottimista, però questa volta mi ha detto: «Guarda Marta, la situazione è che la borsite si è calcificata. Quindi forse le onde d’urto non bastano e va fatta una visita più approfondita».

Questa volta gli hai dato ascolto?

Questa volta sì. Abbiamo deciso di andare da un amico e grande amante della bicicletta, nonché responsabile di Ortopedia all’ospedale di Sant’Omero: il dottor Vittorio Di Cesare. E guardando la risonanza, lui mi ha detto che con la calcificazione si era formato uno strato duro superiore ed era da togliere. In realtà me l’aveva detto anche il dottor Corsetti agli europei, dicendo che non si sarebbe riuscito ad aspirare, ma ormai era da asportare.

Questo il gomito a fine stagione, prima dell’intervento
Perché non l’hai fatto subito?

Perché inizialmente ho pensato che potevo aspettare. Poi, quando finalmente è finita la stagione e ho fatto la risonanza, è arrivata la diagnosi giusta.

Non ti faceva un male cane?

Avvertivo fastidio aprendo e chiudendo il braccio. Era più forte facendoci pressione con il peso e allora mi dava scosse e faceva male. Ad esempio quando poggiavo il gomito sui braccioli in macchina, oppure quando non riuscivo a tenerlo sul tavolo. Per il resto, in bici ad esempio, non era così insopportabile. Sennò il giorno dopo non arrivavo seconda.

Alla fine però hai capitolato…

Negli ultimi tempi qualcosa mi ha portato a dire basta. Hanno iniziato a farmi male i tendini, quindi ho capito che c’era da fare qualcosa. Però dal punto di vista della bici, riuscivo a fare quasi tutto. Noi corridori siamo particolari. Quando ci dicono che non è rotto, stringiamo i denti e tiriamo dritti. Passerà? La speranza è sempre quella, solo che questa volta non è passato. Mentre io, convinta che non fosse rotto, continuavo a fare tutto come al solito.

Dopo la risonanza, è arrivato l’intervento.

Esatto, giovedì mattina. E se adesso ne parlo è per ringraziare tutta questa categoria di persone fondamentali per il nostro lavoro, specialmente gli ortopedici. Tra clavicole rotte e vari altri incidenti, ci aspettano sempre a braccia aperte, soprattutto durante la pausa invernale, quando siamo tutti da aggiustare.

Il giorno dopo la caduta, Bastianelli ha avuto le gambe per sprintare dietro Marianne Vos
Il giorno dopo la caduta, Bastianelli ha avuto le gambe per sprintare dietro Marianne Vos
Hai fatto tutto in day hospital?

Sono andata in ospedale la mattina presto e mi hanno fatto l’anestesia locale. Un po’ mi hanno anche sedata, proprio perché non sentissi davvero nulla. A fine giornata sono uscita. Sicuramente ora dovrò aspettare un po’ per pedalare sul serio. Vediamo nei prossimi giorni come andrà il dolore e poi valuteremo insieme al dottore. Nel dubbio mi hanno fatto una fasciatura abbastanza importante, in modo che se dovessi anche fare una camminata, non mi dia fastidio. 

Come va col dolore?

Un po’ fa male. Ovviamente adesso che si è risvegliato dopo l’anestesia, dà fastidio, ma era così anche prima dell’intervento. Ormai era diventato normalità. Perciò adesso speriamo che torni tutto a posto per ricominciare bene la preparazione.

Venturelli più forte del dolore per lo staff e per la squadra

20.09.2022
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Ha deciso di partire dopo il riscaldamento, ma dire che Federica Venturelli avesse certezze sulle sue condizioni sarebbe poco credibile. Coraggio tanto, quello ha lasciato tutti a bocca aperta. Cerotti su entrambi i gomiti. Una garza sul ginocchio destro. Le mani ferite. E un’abrasione sull’addome che sfregando contro il body le dava un gran fastidio. Tutto per la caduta violentissima del giorno prima. E quando dopo la gara è rientrata al box azzurro, l’applauso con cui è stata accolta ha fatto capire la paura e il sollievo che hanno attraversato il clan azzurro nelle ultime 24 ore.

Brutta caduta

La notizia è arrivata intorno alle 12 con un messaggio. Caduta Federica Venturelli, la stanno riportando in hotel. E’ piuttosto malconcia, non si sa se domani farà la crono. Aspettiamo le radiografie.

«Stavo andando in discesa – racconta mentre gira le gambe sui rulli – forse un po’ troppo forte. C’era un tratto di strada disconnesso, che non era stato segnalato. E purtroppo sono finita in questa parte di strada piena di buche. Ho perso le mani dal manubrio. Sono caduta e intanto ho visto un furgone che saliva dalla parte opposta. Proprio per cercare di evitarlo e scongiurare il peggio, mi sono procurata un bel po’ di abrasioni, cercando di aggrapparmi all’asfalto per non finire dall’altra parte».

Durante il riscaldamento, Federica Venturelli si è confrontata con Velo su come gestire la crono
Durante il riscaldamento, Federica Venturelli si è confrontata con Velo su come gestire la crono

Test sui rulli

Infilare le maniche nel body le è sembrato un supplizio, ma nulla in confronto a quando ha provato a salire sulla Cinelli montata sui rulli. Aveva lo sguardo impaurito e dolorante, così pure quando ha iniziato a pedalare, sentendo il ginocchio e il gomito, sentendo la mano quando ha provato a cambiare e non riuscendo a sfilare la borraccia. Attorno a lei prima Elisabetta Borgia e poi Rossella Callovi accompagnavano le sue smorfie con parole rassicuranti, finché Federica ha iniziato a raddrizzarsi e ad aumentare il ritmo di pedalata.

«Ho deciso di partire – conferma – quando ho finito il riscaldamento, perché comunque avevo ancora male al gomito. Scaldandomi però, un po’ è passato e quindi ho deciso di provarci. Inizialmente avevo paura di non riuscire a far le curve o guidare la bici. Però poi ho visto che ero in grado, anche se non ero al top della mia condizione. E allora ho deciso di partire».

Senza borraccia

Così si è avviata, dopo aver provato a fare un paio di curve, con la certezza che difficilmente sarebbe riuscita ad alzarsi sui pedali. Senza borraccia, perché non potendola prendere, ha chiesto a Giuseppe Campanella, il suo meccanico, di smontare tutto. E forse la spinta decisiva è venuta proprio dall’attaccamento al gruppo azzurro.

«Quando sono caduta – conferma – non è stata tanto la sensazione di vedermi sfuggire il mondiale, perché comunque non ero qua per vincere. C’erano avversarie molto più forti di me, ma per fare esperienza. E’ stato il dispiacere nei confronti dello staff e della squadra che ha fatto tanti sacrifici e quindi ero dispiaciuta di non poter dare il meglio di me. Ieri sera ero abbastanza giù. Però comunque, dopo il controllo in ospedale e la radiografia in cui mi hanno detto che era tutto a posto, mi sono un po’ ripresa. Ho iniziato a pensare che magari sarei riuscita a partire e quindi ho passato una notte non troppo travagliata».

Il mondiale crono delle donne junior è stato vinto da Zoe Backstedt (Gran Bretagna), su Czapla e Joriis
Il mondiale crono delle donne junior è stato vinto da Zoe Backstedt (Gran Bretagna), su Czapla e Joriis

Dolore e adrenalina

L’hanno accolta come se avesse vinto, anche se il 24° posto a 2’59” da Zoe Backstedt è decisamente al di sotto delle aspettative di partenza: il quarto posto agli europei induceva a sperare in qualcosa di meglio e certamente Federica si sarebbe fatta valere. Probabilmente però essere partita aiuterà nella prova su strada, cui arriverà con la certezza di poter pedalare.

«L’adrenalina è servita parecchio – racconta – sentivo solo la fatica. Il male era in secondo piano. Più di tutti, probabilmente mi ha dato fastidio il gomito, soprattutto con le vibrazioni. Oppure dover spostare le braccia per fare le curve o alzarmi in piedi e rilanciare. Infatti la salita è stata la parte in cui ho sofferto di più e ho sentito di non riuscire ad andare come volevo. Adesso so di riuscire a stare in bici e questo è qualcosa che mi mette più tranquilla. Nei prossimi giorni vedrò di riabituarmi a spingere e lavorare anche sulla posizione delle mani sul manubrio, che sicuramente è qualcosa che in discesa o comunque nei momenti un po’ nervosi in gruppo sarà necessario. E tutto sommato è andata anche bene senza borraccia. Di solito bevo molto, ma oggi non era particolarmente caldo. E sono arrivata senza avere la gola secca».

Cavalli, le ragioni della scelta: meglio sorridere e ripartire

07.09.2022
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Un post di poche righe, metà in italiano e metà in inglese, per dire che al mondiale non ci sarà. Così Marta Cavalli – vincitrice quest’anno dell’Amstel, della Freccia Vallone e del Mont Ventoux – ha chiuso la porta sulla sfida di Wollongong, con parole che devono esserle costate veramente tanto. Anche perché la caduta che l’ha messa fuori combattimento e la traiettoria dell’australiana Nicole Frain che l’ha provocata continuano a non trovare una spiegazione accettabile.

Colpo di frusta

Ci eravamo sentiti quando tutto sembrava essersi incanalato nella giusta direzione, invece le cose si sono inceppate nuovamente. E davanti all’evidenza e al rischio di compromettere la ripresa, Marta ha alzato bandiera bianca.

«Clinicamente sono a posto – dice – ma in bici ho delle difficoltà quando inizio a ricercare l’alta intensità. Nella caduta ho riportato un colpo di frusta che ancora adesso mi impedisce di stare bene dopo tante ore di sella. Ho aspettato sino all’ultimo, ma già da qualche giorno mi rendevo conto che il tempo era sempre meno e le cose da fare sempre quelle. So cosa e quanto mi serve per andare in forma. E non avrebbe avuto senso azzardare tanto, andare laggiù e stare via per due settimane, senza riuscire ad essere pronta».

Seconda al Giro, in salita è stata la sola in grado di impensierire Van Vleuten
Seconda al Giro, in salita è stata la sola in grado di impensierire Van Vleuten
Quanto è stato duro scrivere quel messaggio?

Potevo andare al mondiale con ambizioni vere, quindi è costato parecchio. Non avrei mai pensato che i problemi della caduta si sarebbero protratti tanto a lungo. Da un primo controllo sembrava tutto a posto, poi quando siamo ripartiti, sono venuti fuori dei disturbi che ho tutt’ora. Sto lavorando in palestra per la mobilità, vedo fisioterapisti e osteopati. Sto migliorando, ma non abbastanza.

Sei stata a casa in questa fase o con la squadra?

Dopo la caduta, sono rimasta per 16 giorni senza toccare la bici e ne ho approfittato per andare quattro giorni al mare. Per la prima volta da quando corro in bici, sono riuscita a fare il mare d’estate come il resto del mondo. Poi sono andata in altura, ma non potendomi allenare sul serio, è stato il pretesto per prendere un po’ di aria fresca.

Le vittorie di primavera hanno reso Marta Cavalli una delle atlete più popolari. Il bimbo è uno dei nipoti di Elisa Longo Borghini
Le vittorie di primavera hanno reso Marta Cavalli una delle atlete più popolari. Il bimbo è uno dei nipoti di Elisa Longo Borghini
Più che altro, la preoccupazione riguarda la salute, giusto?

Infatti se da un lato mi dispiace per il mondiale, dall’altro sono contenta di avere il tempo giusto per guarire. Il consiglio dei medici è stato quello di ascoltare il mio corpo e di andare gradualmente. Tante volte per la fretta si rischia di compromettere salute e carriera. Così adesso riparto e punto a fare due corse di qui a fine stagione. Per fortuna ho già ottenuto i miei obiettivi. Se fossero stati tutti nella seconda parte di stagione, sarei stata fritta.

In pratica si tratta di ripartire da zero?

Più o meno, sì. Anche quando stacco d’inverno, non sto mai così tanto tempo senza muovermi, qualcosa faccio sempre. Perciò ora si tratta di fare allenamenti tranquilli e ricostruire la base, puntando sull’endurance in attesa di migliorare del tutto. Farò dei test per valutare la sopportazione della fatica. Con il mio preparatore facciamo aggiornamenti quotidiani. Sarà importante correre a ottobre, per non arrivare alla nuova stagione dopo cinque mesi senza gare.

Una bici e i cerchi olimpici dopo Tokyo: il ciclismo è la passione più grande
Una bici e i cerchi olimpici dopo Tokyo: il ciclismo è la passione più grande
Hai già un’idea di programma per il 2023?

Non ancora, ma ne parleremo a breve. Non credo di partire dall’Australia, ma con il mondiale anticipato ad agosto, si dovrà capire bene come fare con Giro e Tour (i mondiali 2023 si terranno a Glasgow dal 3 al 13 agosto e saranno una sorta di Olimpiade del ciclismo, ndr). Dovremo fare delle scelte.

Guarderai il mondiale in tivù?

Certo che sì, anzi mi stavo già organizzando per capire come fare con il fuso orario. Il mondiale è una delle corse che non puoi perdere.

Paolo Sangalli è stato vicino a Marta Cavalli nel prendere la difficile decisione
Paolo Sangalli è stato vicino a Marta Cavalli nel prendere la difficile decisione
Quando l’hai detto al cittì Sangalli?

Con Paolo c’è stato un contatto quasi quotidiano, la decisione l’abbiamo presa insieme. Anzi, il suo consiglio è stato decisivo. Mi ha detto che secondo lui la strada migliore fosse proprio questa, che gli dispiaceva, ma era giusto per me. L’abbiamo maturata con tutto il mio entourage, ma Paolo mi ha tolto la pressione che avrei avuto a prendere la decisione da sola. Mi ha rincuorato. Devo dire che si è creato attorno l’ambiente giusto, di persone sensibili, che mi hanno dato la serenità per fare la scelta giusta.

Roglic dal capolavoro all’inferno. Il racconto di Remco

06.09.2022
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Un gran casino, altro non si può dire della tappa della Vuelta. Doveva essere affare per velocisti, ma Roglic ha lanciato la bomba attaccando secco sull’unico strappo. Il tempo di rendersene conto e anche Evenepoel ha realizzato di avere una ruota bucata, senza che si vedesse arrivare l’ammiraglia. E mentre il belga dietro aspettava flemmatico la bici di scorta, davanti lo sloveno faceva il diavolo a quattro.

Pedersen vince la tappa, sullo sfondo si intravede Roglic che si rialza
Pedersen vince la tappa, sullo sfondo si intravede Roglic che si rialza

Caduta in volata

Non restava che la volata per dare una dimensione al vantaggio, quando Roglic si è toccato con Wright ed è caduto rovinosamente a terra. Escoriazioni, sangue e lo sguardo stordito.

Primoz è rimasto sull’asfalto per un tempo eterno. Poi si è rialzato, mentre accanto sfilavano quelli che aveva staccato. Ha raggiunto faticosamente il traguardo cercando di spingere l’undici. Poi si è seduto nuovamente per terra. Ha bevuto. E ha dato a lungo la sensazione di essere sotto shock.

Roglic ha appena attaccato, quando Evenepoel si accorge di aver bucato: l’ammiraglia non arriva
Roglic ha appena attaccato, quando Evenepoel si accorge di aver bucato: l’ammiraglia non arriva

Giuria al lavoro

La giuria ha impiegato un tempo altrettanto eterno per riscrivere la classifica. Essendo caduto negli ultimi 3 chilometri, Roglic è stato accreditato del tempo del gruppo in cui si trovava: quello dei primi. Per lo stesso motivo, Evenepoel è stato cronometrato con i primi inseguitori.

Per cui Roglic ha guadagnato 8 secondi sul leader, ma c’è da scommettere che avrebbe preferito mantenere il distacco di prima, senza farsi male. Le prime analisi escludono fratture, ma colpi del genere lasciano segni profondi. E domani si arriva in salita.

«Avevo un po’ paura degli ultimi cinque chilometri – racconta Evenepoel – abbiamo fatto la ricognizione nel giorno di riposo e sapevo che le strade erano davvero scivolose. La corsa negli ultimi tre chilometri è stata molto frenetica. Nella discesa siamo arrivati anche a 90 all’ora. Non è stato divertente. Ho perso alcune posizioni, poi ho scoperto che la mia gomma posteriore era a terra. Non stavo davvero guardando i chilometri, quindi non sapevo dove fossi rispetto al traguardo. In ogni caso sono contento che esista la regola dei 3 chilometri, altrimenti oggi avrei perso molto tempo».

Dopo l’arrivo, lo sloveno si siede nuovamente a terra e sembra sotto shock. Lo puliscono dal sangue
Dopo l’arrivo, lo sloveno si siede nuovamente a terra e sembra sotto shock. Lo puliscono dal sangue

Un capannello giallo

Di Roglic ovviamente non ci sono dichiarazioni e anche l’ufficio stampa della squadra non ha ancora fornito aggiornamenti. Sta di fatto che quando Evenepoel ha tagliato il traguardo, si è accorto del capannello di corridori Jumbo Visma davanti a una transenna e si è accostato per guardare. Capendo subito la portata del problema.

«Ho visto che Primoz è caduto – dice – spero che stia bene e che possa continuare la gara. Dopo il traguardo l’ho visto seduto per terra. Gli ho chiesto se stava bene, ma sembrava un po’ sotto shock per l’incidente e non ha risposto subito.

«Mi aspettavo il suo attacco. Tutti sanno che è molto esplosivo. Il finale era fatto per lui, anche più che per Pedersen. Nel momento in cui ho sentito che stava attaccando, ero piuttosto stressato. Solo il mio direttore sportivo Klaas mi ha confermato che avrebbero applicato quella regola. E allora mi sono calmato un po‘».

Dopo l’arrivo Evenepoel si avvicina e chiede come stia il rivale: gesto di grande sportività
Dopo l’arrivo Evenepoel si avvicina e chiede come stia il rivale: gesto di grande sportività

La notte dei dubbi

Ora le attenzioni si spostano sulla tappa di domani. Un Roglic così pimpante sarebbe stato una mina vagante, il rischio ora è che come al Tour tutto sia finito qui.

«Spero che possa partire – dice Evenepoel – anche se a prima vista non sembrava messo molto bene. Non è divertente per lui. Soprattutto con le salite in arrivo. La caduta è stata simile alla mia la scorsa settimana in discesa. Improvvisamente ti ritrovi per terra. Chissà, forse anche lui ha perso la concentrazione per un momento e il momento dopo sei messo così male…».

Poi, dopo aver confermato di essere di nuovo vicino a una buona condizione, il leader della Vuelta si è dedicato alle formalità del protocollo che ogni giorno gli portano via tempo prezioso. Sapremo nel corso della notte se ci saranno novità per lo sfortunato Roglic e se domattina sarà al via o sarà nuovamente costretto ad alzare bandiera bianca…

Raffica di vento improvvisa, caduta inevitabile

06.03.2022
5 min
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Sempre Strade Bianche. L’impresa di Tadej Pogacar è ancora calda. Il gelo della notte senese non ha raffreddato quella che è stata un’impresa con la “I” maiuscola. Un’impresa nata non solo dal genio e dalle gambe dello sloveno, ma anche da un momento specifico della gara: la maxi caduta avvenuta verso metà corsa.

Chilometro 84 di gara, 100 al traguardo. La carovana sta affrontando il settore di sterrato numero 5, quello di Lucignano d’Asso. Si tratta del settore più lungo (11,9 chilometri), ma soprattutto uno dei più esposti in “quota”.

Ambiente per raffiche

Togliendo infatti il picco di Montalcino, questa è la porzione di gara più elevata della Strade Bianche. Si viaggia sul filo dei 400 metri di altezza, appena sotto. Ma soprattutto la corsa in corrispondenza di questa quota corre sulle crete senesi.

Le crete sono queste colline scoperte. Solo campi e prati. Non ci sono neanche i tipici cipressi del paesaggio toscano, ma solo questa lingua bianca che corre come un filo su e giù per le crete. Ed è qui che avviene la caduta più importante quella che incide nell’economia della corsa. E’ qui che avviene il capitombolo, ormai famoso, di Julian Alaphilippe che fa un 360 gradi seguito da un tuffo nell’erba.

Ed è sempre qui che cadono almeno 30 corridori, che scivola persino Pogacar e va a casa Tiesj Benoot, vincitore nel 2018. 

Il punto di Vendrame

«Siamo entrati nello sterrato e c’era già del vento – racconta Andrea Vendrame – Ad un tratto abbiamo girato verso sinistra e c’è stata una raffica laterale fortissima. Inaspettata. Una raffica che ci ha fatto cadere in tanti. Sono caduto anche io. Era davvero impossibile restare in piedi e purtroppo è andata così».

E questo è un elemento molto importante per l’analisi della caduta. Quando Vendrame dice: “abbiamo girato verso sinistra”, si riferisce al punto più ad Est della corsa. E’ lì che è avvenuta la caduta. E’ lì che la Strade Bianche ha cambiato direzione. Magari quello che fino a pochi chilometri prima era stato vento contro moderato, in una svolta è diventato laterale. Tutto torna.

«E’ stata fortissima – riprende Vendrame stremato all’arrivo – incredibile. Il vento ci ha spostato verso sinistra, verso il bordo della carreggiata, sul ciglio. La strada al lato era finita e a quel punto mettendo le ruote sullo sconnesso (di terra ed erba, ndr) siamo caduti. Io ero nei primi trenta, neanche troppo dietro. Davanti erano caduti. Vedevo bici che cadevano di fronte a me e altre al mio fianco. Vedevo corridori che volavano e scarpette che si sganciavano».

Questione di ruote?

E la questione vento è emersa già prima del via. Poco dopo lo start delle donne, avvenuto alle 9:10, ecco le prime folate su Siena. «Se qui è così, chissà sulle crete», aveva fatto una battuta uno degli steward del posto. Si stima, che la raffica da Nord Est possa aver superato i 70 chilometri orari (dati MeteoAm).

E infatti all’arrivo dei bus qualcuno si è domandato se non fosse il caso di cambiare le ruote. Ma la maggior parte sono partiti con quelle alte da 50-45 millimetri, anche se più del solito si è visto il “basso” profilo da 32-35 millimetri (a seconda del marchio). Gli Specialized per esempio avevano scelto le ruote Roval Alpinist da 33. Ciò nonostante non è bastato ad evitare la caduta.

Gianluca Brambilla aveva ragione quando gli abbiamo fatto notare delle sue ruote alte e del vento che si alzava. «Ma se è forte davvero cambia poco», ci aveva detto prima del via.

La ferita di Covi. Nonostante la botta, Alessandro era felicissimo per la vittoria di Pogacar
La ferita di Covi. Nonostante la botta, Alessandro era felicissimo per la vittoria di Pogacar

Parla Covi

Un’altro corridore che ci ha lasciato un po’ di pelle è stato Alessandro Covi. All’arrivo il corridore del UAE Team Emirates si tocca il gomito sinistro, anche se a catturare l’attenzione è il suo ginocchio sanguinante e impolverato.

«C’è stata questa folata e siamo caduti in tantissimi – dice Covi – Io sono stato uno dei primi, penso… Ero abbastanza davanti. Ho preso una bella botta. Non credo sia stata una questione di ruote alte o basse. E’ stato un vento talmente forte che anche se avessimo avuto le ruote basse ci avrebbe spazzato via.

«E penso anche che sarebbe successo sull’asfalto. Ci avrebbe spostato lo stesso (le immagini tv mostrano come ci sia uno scarto di almeno 5 metri verso sinistra del gruppo, ndr), ma sullo sterrato era ancora più difficile tenere la bici chiaramente».

«Vedevo i corridori a cui partiva la ruota davanti talmente il vento era teso. E poi iniziavamo ad andare forte. Eravamo in un falsopiano, penso sui 35-40 allora».

Consonni e le cadute in gruppo, inesperienza o distrazione?

Giada Gambino
12.02.2022
4 min
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Una sfumatura rosa, improvvisamente, colora l’asfalto della Vuelta CV Féminas in Spagna. E’ quella di Chiara Consonni (nella foto Instagram di apertura) che sembra non poter far altro che cadere e rotolare per terra lasciandosi sfilare la bici dalle gambe. Ecco cosa è successo il 6 febbraio alla tigre della Valcar-Travel&Service… 

Vuelta CV Feminas, il piano della Valcar-Travel&Service di fare la volata con Consonni finisce così
Vuelta CV Feminas, il piano della Valcar-Travel&Service di fare la volata con Consonni finisce così
Cos’è successo esattamente? 

E’ stata un’incertezza. Sono innocente (ride, ndr )! La mia caratteristica è quella di buttarmi nelle volate senza pensare a nulla. Adesso, post gara, penso che magari avrei potuto prendere una linea diversa. La Guarischi ha cambiato traiettoria un po’ bruscamente, ma non è stata colpa di nessuno, dai… 

In gruppo sono tutte capaci di gestire le mischie? 

Noi che facciamo gare UCI, partecipiamo a davvero tante competizioni, ci sappiamo muovere in gruppo e facciamo pratica. Siamo tutte capaci di guidare la bici. Però sì, magari ci sono atlete che hanno iniziato questo sport da poco e altre come me che è da una vita che stanno in sella. Alcune per un po’ di non abitudine e inesperienza causano delle cadute. Per la maggior parte in gruppo ci conosciamo, siamo tutte più o meno esperte e cerchiamo di muoverci per creare meno problemi possibili

Caduta innescata da uno sbandamento per il quale Barbara Guarischi, a destra, è stata retrocessa forse ingiustamente
Caduta innescata da uno sbandamento che ha coinvolto anche Barbara Guarischi
Tu sei una tigre della pista, hai il colpo d’occhio, per le altre… è lo stesso ?

Io riesco ad essere molto spigliata, soprattutto in volata. Tante volte ho sbagliato e mi hanno insegnato come ci si muove e come ci si può posizionare nel miglior modo per prenderla bene. Il colpo d’occhio l’ho sicuramente grazie alla pista e riesco a capire bene dove essere nel momento giusto. Questo è possibile anche grazie alla presenza del treno che fanno le mie compagne. Quindi sì, magari ho il colpo d’occhio, ma mi fido anche ciecamente delle mie compagne, soprattutto Ilaria (Sanguineti che ha concluso in seconda posizione la corsa spagnola, ndr) che è la mia “ultima donna”. 

Nelle cadute quando realizzi ciò che sta succedendo? Hai paura? 

In questa, ma in tutte quelle che ho fatto, sono caduta abbastanza bene. Ho rivisto il video e ho capito che mi stavo infilando in un buco che si era creato tra una ragazza alla mia sinistra e Barbara alla destra, che non mi aveva vista e mi ha tagliato la strada. Non potevo fare altro, non ho avuto la prontezza di frenare anche un minimo, in quegli istanti hai proprio pochi attimi di secondo per reagire. Fortunatamente sono riuscita a coprire la faccia e sono rotolata. Ho abrasioni sia sul ginocchio destro che sinistro. Forse sbaglio, ma la mia indole di buttarmi e fare ciò che mi dice la testa in quel momento è impossibile da placare. 

Prima di partire, per Consonni un selfie con la nuova maglia della Valcar-Travel&Service (foto Instagram)
Prima di partire, un selfie con la nuova maglia della Valcar-Travel&Service (foto Instagram)
Cadere e farsi male è un prezzo che bisogna essere disposti a pagare quando si fa questo sport?

Sì! Correndo da quando avevo sei anni mi sono rotta il radio e mi sono operata, anche l’ulna e ho tutt’ora la placca di metallo, il capitello, il naso. Insomma, mi sono rotta a metà (ride, ndr )! E’ un punto a sfavore che gioca questo sport, ma fa parte di esso. Talvolta sono stata messa da parte per qualche gara importante proprio a causa di qualche mia caduta. Ma fa parte del gioco e bisogna accettarlo. 

Quale consiglio daresti alle altre cicliste per far sì che si evitino il più possibile le cadute in gruppo?

Stare attente non ad inizio gara perché ci sta essere un po’ spensierate, ma fare attenzione soprattutto in discesa o quando ci sono i momenti salienti della corsa. Bisogna prestare attenzione a tutto ciò che si fa: dal parlare alla radiolina al mangiare qualcosa. Siamo su due ruote con un casco che ci salva la vita, ma non ha senso rischiare per così poco. Quindi: stare attente e non prendere nulla sotto gamba. 

Prima l’orgoglio e poi il corpo: la ripresa di Ciccone

19.10.2021
4 min
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Puoi fare tutti i programmi che vuoi, certe volte la cosa migliore è fermarsi e prendersi il tempo che serve perché tutto torni a posto. E’ il motivo per cui in estate si è fermato Giovanni Visconti ed è il motivo per cui ha dovuto farlo anche Giulio Ciccone, nell’anno in cui avrebbe dovuto lasciare i primi segni importanti. Causa di tutto è stata la caduta della Vuelta, che sembrava cosa di poco conto e invece ha innescato reazioni imprevedibili.

«Il problema più evidente – ha spiegato il medico della squadra, Gaetano Daniele – nell’immediato sembrava il trauma contusivo al ginocchio destro e la ferita profonda, nella parte interna, causata dal dente di una corona, a cui si sono aggiunti altre contusioni, in particolare alla spalla destra. Gli accertamenti svolti in Italia hanno però evidenziato un trauma distorsivo, con conseguente risentimento a carico del legamento collaterale mediale. Un problema che, di fatto, ha imposto riposo assoluto per quasi tre settimane».

Il giorno prima di fermarsi, Ciccone era arrivato 5° a El Barraco, primo del gruppo dei migliori
Il giorno prima di fermarsi, Ciccone era arrivato 5° a El Barraco, primo del gruppo dei migliori

Punto e a capo

Punto e a capo, per questo la stagione si è fermata alla 16ª tappa della Vuelta, la prima corsa a tappe in cui sarebbe stato leader della Trek-Segafredo. Per lui, oltre al riposo, il programma alternativo alle corse ha visto trattamenti fisioterapici e una blanda ripresa degli allenamenti che da un lato hanno subito acceso le speranze di un ritorno alla piena efficienza, ma dall’altro hanno fatto propendere per la chiusura anticipata.

«Prima di pensare al 2022 – ha commentato l’abruzzese – il mio obiettivo è ristabilirmi completamente e conto di completare questa fase prima dell’inizio dell’off season, a novembre. Seguirà un lavoro più di testa, di programmazione e analisi, per rimettere insieme i pezzi della stagione conclusa e fissare i traguardi di quella nuova. Ho avuto la conferma di essere cresciuto, di aver fatto passi in avanti, ma soprattutto di avere ancora margine. Ho compreso meglio i miei punti deboli, sui quali devo lavorare, e quelli di forza, sui quali devo insistere».

Sfortuna anche a Tokyo per Ciccone, caduto e costretto al cambio di bici
Sfortuna anche a Tokyo per Ciccone, caduto e costretto al cambio di bici

Un nuovo inizio

L’anno prossimo sarà più importante di quello appena concluso e sulle spalle di Giulio, al netto delle tutele che gli si vorranno concedere, la partenza di Nibali e l’assenza di un grande leader per le corse a tappe, potrebbe fare di lui il riferimento del team Trek-Segafredo.

«Per preparare il Giro e la Vuelta – ha detto – c’è stato un grande lavoro di squadra, del quale vado orgoglioso e felice. In primis con Josu, il mio preparatore, e poi con lo staff medico. C’è stato un lavoro di analisi e comprensione per capire dove indirizzare la crescita. Questa sarà la mia forza, il mio stimolo più grande. Non ho chiuso la stagione solo con performance deludenti. Di questo siamo convinti. Sarà il nuovo punto partenza».

Un anno importante

Eppure nell’ambiente, in questo mondo che ha perso la capacità di aspettare, serpeggiano da un po’ voci di sfiducia su un ragazzo che non può fare altro che piegare il capo e promettere di rifarsi. I suoi dati non sono deludenti, i risultati sì, ma sono legati a episodi incontestabili. L’allenamento fatto male puoi coprirlo con una scusa, ma certe cadute come fai a negarle?

Quarto nel tappone di Cortina al Giro d’Italia, Ciccone con ottime sensazioni anche sul Giau
Quarto nel tappone di Cortina al Giro d’Italia, Ciccone con ottime sensazioni anche sul Giau

«E’ stata comunque una stagione importante – ha spiegato il coach Josu Larrazabal – perché il lavoro di analisi delle performance indica che ci sono stati progressi. Non siamo alla ricerca di alibi per la mancanza di risultati, un’analisi lucida e obiettiva deve tenere conto di tutti gli elementi. Al Catalogna ha avuto un problema alla schiena causato da un’infiammazione al ginocchio. Al Giro d’Italia, la caduta e l’infezione. Poi la trasferta a Tokyo, con la caduta. Infine la rincorsa della condizione alla Vuelta e un’altra caduta. Però sono emersi dei segnali positivi. Non vittorie né punti UCI, ma indicazioni fondamentali per un corridore che ancora non ha espresso il suo massimo potenziale. Ha imparato la gestione di un Giro come uomo di classifica ed è migliorato a cronometro, grazie all’aiuto di Trek. Questi sono dati misurabili che ci aiutano a comprendere la stagione e segnano il punto di ripartenza per il 2022».

Con le dita incrociate perché le cose prendano il corso voluto e sperando che la iella iniziata con il Covid nel 2020 si decida a lasciarlo in pace. I 27 anni bussano alla porta, l’età giusta per venire fuori e dimostrare che i margini ci sono e la sua non è una traiettoria in fase di stallo. Conoscendo il suo spirito, in questo momento di ripresa e riassetto, il dolore più grande gli arriva dall’orgoglio.