MCipollini Dolomia e MCipollini RB1K AD.ONE sono i “cavalli di battaglia” della Bardiani Csf Faizanè per questa stagione, iniziata ieri sulle strade della Clasica Comunitat Valenciana 1969. Continua dunque la collaborazione tra il brand legato alla famiglia Zecchetto e la squadra della famiglia Reverberi.
Una partnership che negli anni ha visto successi importanti e la presenza nelle maggiori corse italiane, a partire dal Giro. Scopriamo più nel dettaglio questi due modelli.
La Dolomia, bici leggera che si esalta non solo in salita (foto Cpstudio.net)
Forcella in 3K con steli aero, anche per la Dolomia (foto Cpstudio.net)
Foderi e pendenti sono dritti, ma meno larghi rispetto all’AD.ONE. I perni passanti sono in titanio (foto Cpstudio.net)
La Dolomia, bici leggera che si esalta non solo in salita (foto Cpstudio.net)
Forcella in 3K con steli aero, anche per la Dolomia (foto Cpstudio.net)
Foderi e pendenti sono dritti, ma meno larghi rispetto all’AD.ONE. I perni passanti sono in titanio (foto Cpstudio.net)
Dolomia, versatilità top
Partiamo dalla Dolomia, la bici che, anche per nome, evoca le grandi salite dolomitiche ed è quindi dedicata agli scalatori. Anche se c’è subito da fare un chiarimento. Più che la bici per la salita questa è la bici più versatile. Pensate che è stata la prima scelta di ben 16 corridori su 22. Tra questi anche capitan Giovanni Visconti.
Cerchiamo pertanto di capire perché questa bici è così gettonata.
Si tratta di un telaio in fibra HD rifinito in 3K che punta tutto sulla leggerezza. Pensate che nella taglia pesa M l’ago della bilancia si ferma a 780 grammi (chiaramente forcella esclusa). Davvero un qualcosa di eccellente, se si pensa che si tratta di una bici per freno a disco.
Peso leggero, okay, ma non a discapito della rigidità. Questo è un aspetto che in una bici ideata e pensata da MarioCipollini non verrà mai meno. Fu lo stesso Re Leone lo scorso anno durante il ritiro del “Greenteam” a dirci che la rigidità, e di conseguenza la reattività, non sarebbero mai mancate su una sua bici. Anche in quelle per la salita. La reattività infatti è stata un pilastro della sua carriera.
Ogni Dolomia ha una sezione dei tubi diversa per ogni taglia. Una scelta la cui finalità è quella di mantenere inalterate le qualità di rigidità al variare dei centimetri dei tubi. In questo modo, il carro posteriore, mantiene la sua lunghezza di 410 millimetri in tutte le taglie (come la AD.ONE).
Reattività e comfort sono possibili anche grazie alla tecnologia TCM (True Carbon Monocoque), che permette la perfetta connessione del carro posteriore, appunto, con gli altri due fulcri di stress a cui è chiamato il telaio stesso, vale a dire il movimento centrale e il tubo di sterzo. In pratica l’assenza “d’incollaggi” e uno ispessimento del materiale la rendono un vero “sasso”.
La AD.ONE: linee davvero “massicce” (foto Cpstudio.net)
Spazi sfruttati al massimo per l’aerodinamica, ma anche per esaltare tutti i vantaggi dei tubi oversize come comfort e rigidità (foto Cpstudio.net)
Il profilo dell’obliquo è talmente alare che è stata fatta una “risega” per il passaggio della ruota anteriore (foto Cpstudio.net)
La AD.ONE: linee davvero “massicce” (foto Cpstudio.net)
Spazi sfruttati al massimo per l’aerodinamica, ma anche per esaltare tutti i vantaggi dei tubi oversize come comfort e rigidità (foto Cpstudio.net)
Il profilo dell’obliquo è talmente alare che è stata fatta una “risega” per il passaggio della ruota anteriore (foto Cpstudio.net)
RB1K AD.ONE, quasi da crono
E dalla bici leggera passiamo a quella per i velocisti, la bici che più risponde alla personalità e alle caratteristiche del campione del mondo di Zolder 2002: la MCipollini RB1K AD.ONE, la bici aero. E non a caso Filippo Fiorellie SachaModolo scaricheranno i loro tanti watt su questo modello.
Come i maggiori team WorldTour, anche in Bardiani i corridori hanno a disposizione due bici: quella “da salita” e quella appunto aero. Una scelta che non è solo legata al marketing ma anche alle necessità imposte da medie orarie sempre più elevate. “Fiumi” di dati, hanno ormai certificato come anche in tappe di 2.000-2.500 metri di dislivello la componente aerodinamica sia preponderante su quella del peso.
Ebbene, la RB1K AD.ONE risponde a queste esigenze. Si tratta sempre di un telaio monoscocca ma stavolta la fibra utilizzata è ancora più pregiata. Si tratta infatti della T1000, tra le più rigide in commercio.
Ogni tubo ha un disegno per il quale si è pensato ad ottimizzare lo scarico dell’aria. La sezione dei tubi è alquanto marcata verticalmente, tanto che il profilo della bici è massiccio. Quasi da sembrare pesante. Invece il peso del telaio è di 1.010grammi.
All’anteriore, in corrispondenza del tubo di sterzo, l’angolo interno forma quasi una carenatura tra obliquo e orizzontale. Un qualcosa che sarebbe proibito dai regolamenti UCI, ma derivando dai tubi stessi è una soluzione del tutto lecita. I vantaggi aerodinamici sono concreti.
Discorso simile vale per il carro, ma qui più che la sezione dei tubi (drittissimi e “triangolareggianti”), a colpire è l’attacco dei pendenti sul tuo piantone. Un attacco abbastanza basso e robusto che rendono la RB1K AD.ONE una vera freccia.
La trasmissione della forza dai pedali alla ruota posteriore è pressoché istantanea. Anche in questo caso, l’aerodinamica è super ricercata. Merito del tubo piantone che ha una protuberanza verso la ruota posteriore che riduce al massimo gli spazi e quindi le turbolenze.
Il manubrio Alanera, uno dei prodotti in assoluto più graditi dai pro’ non solo della Bardiani (foto Cpstudio.net)
Al top anche le ruote: cerchi Deda SL 45 e coperture Pirelli P Zero (foto Cpstudio.net)
A disposizione l’intera gamma di Selle SMP, ma la F30c è la più gettonata (foto Cpstudio.net)
Il manubrio Alanera, uno dei prodotti in assoluto più graditi dai pro’ non solo della Bardiani (foto Cpstudio.net)
Al top anche le ruote: cerchi Deda SL 45 e coperture Pirelli P Zero (foto Cpstudio.net)
A disposizione l’intera gamma di Selle SMP, ma la F30c è la più gettonata (foto Cpstudio.net)
Integrazione totale
Infine per due telai tanto pregiati la componentistica non poteva essere da meno. Partiamo dal gruppo: lo Sram Red AXS con misuratore di potenza Quarq. Tutto senza fili, per una massima pulizia estetica (e ancora una volta anche aero).
In più forcella e manubrio, sono stati progettati con la collaborazione tra MCipollini e DedaElementi, affinché l’integrazione di tutti i fili e di tutti i cavi fosse totale con il celebre manubrio integrato Alanera. Sempre griffate Deda sono le ruote, le SL 45 TDB (ma il team ha in dotazione anche altri modelli).
Le coperture sono le Pirelli P Zero Velo Tube da 25 o 28 millimetri (sulle due bici possono alloggiare gomme fino a 29 millimetri). Mentre le selle sono di Selle SMP.
Tonelli e rivi in fuga da Milano al Poggio di Sanremo. Una giornata lunghissima in favore di vento e telecamere. Le loro storie intrecciate verso la Liguria
Kevin Rivera è passato troppo presto e ne ha pagato lo scotto. A 24 anni è già pro' da cinque. Cerca gradualità, ma è maturato. E in salita va davvero forte
«Dicono che il movimento ciclistico italiano – inizia subito con verve la nostra chiacchierata con Alessandro Monaco – corra a rilento, ma non è così».
Si è chiusa la sua parentesi in Bardiani-CSF dopo solamente due stagioni (2020 e 2021, ndr), ora riparte con la Giotti Victoria di Giuliani. «Si è persa la pazienza di far maturare i giovani corridori, non parlo solamente di me. I ragazzi ci sono, basta pensare a quelli che hanno corso con me il mondiale di Innsbruck nel 2018 (foto di apertura): Bagioli, Covi, Battistella e Fedeli, più Affini e Sobrero che hanno fatto parte del gruppo squadra fino all’ultimo».
Monaco e Lonardi durante un ritiro con la Bardiani nel febbraio del 2021 Monaco e Lonardi durante un ritiro con la Bardiani nel febbraio del 2021
Un percorso ad ostacoli
«La mia avventura tra i professionisti – spiega – è iniziata nel 2020 e con la pandemia ho corso solamente due mesi. Nel 2021, invece, mi sono preso il Covid, penso nel viaggio di ritorno dalla Vuelta al Tachira. E’ stata una brutta esperienza che mi ha condizionato molto. Mi sono fermato completamente per 10 giorni, ma per un paio di mesi sono stato perennemente stanco ed affaticato.
«Mi sarebbe piaciuto fare un terzo anno da professionista, questa volta intero, senza impedimenti, ma purtroppo non è stato così. Ognuno fa le sue scelte, io con i diesse e lo staff della Bardianisono comunque rimasto in buoni rapporti».
Da under 23 hai corso 3 stagioni sempre ad alto livello…
Sì, al primo anno ho fatto subito bene al Giro d’Italia under 23 e quello della Valle d’Aosta, finendo sesto e settimo nella classifica dei giovani. Al Valle d’Aosta sono arrivato anche terzo in una tappa.
Nelle due stagioni successive hai corso molto anche con la nazionale, arrivando a disputare il mondiale nel 2018, come ci hai detto prima.
Mi sono sempre mantenuto costante nei risultati entrando spesso nei dieci e questo mi ha permesso di indossare anche la maglia azzurra. Con Amadori ho corso molto tra il 2018 e il 2019: Tour of the Alps, Corsa della Pace, il Tour de l’Avenir e anche qualche altra gara in preparazione ai mondiali.
Monaco ha corso due stagioni in maglia Bardiani, qui alla Settimana Internazionale Coppi e Bartali Monaco ha corso due stagioni in maglia Bardiani
Li hai nominati prima i tuoi compagni al mondiale di Innsbruck (Bagioli, Covi, Battistella…) loro ora sono in squadre WorldTour, cosa ti è mancato per raggiungere il loro livello?
Io sono molto autocritico con me stesso, se loro ora sono a quel livello ed io no un motivo c’è. Alla fine di tutto mi è mancata la vittoria, sono un corridore che ha vinto poco anche da under, infatti io sono andato alla Bardiani e loro in squadre WorldTour. Quel che però voglio dire è che io sono sempre stato costante ed i numeri li ho fatti vedere…
Alessandro Monaco si è piazzato undicesimo in classifica generale al Giro d’Italia under 23 del 2019 (foto Scanferla) Monaco è stato 11°al Giro d’Italia under 23 del 2019 (foto Scanferla)
Adesso c’è tanta fretta nel cercare i giovani campioni e come dici anche tu manca pazienza.
Quello che devono capire è che non siamo dei robot o delle macchine, ma esseri umani e che soprattutto non siamo tutti uguali. Anche Bagioli e Covi sono stati messi in dubbio qualche volta… Guardate che Bagioli è davvero forte, quello tra due anni vince il Giro d’Italia. Io non mi voglio paragonare a loro, ci mancherebbe, altrimenti non sarei dove sono ora. Allo stesso tempo non mi sento neanche di definirmi un “bocciato”, come si può bocciare un corridore che non ha avuto occasioni?
I corridori nati tra il ‘97 ed il ‘98 sono quelli che hanno subito più danni dal Covid.
Per un anno non si è corso, ma le squadre di questo non si sono curate. I contratti sono stati trattati come se la stagione 2020 fosse stata normale. Basti guardare a chi come me è tornato nei dilettanti (Francesco Romano, Nicolas Dalla Valle, Nicola Venchiarutti, ndr). E pensate che ci sono tanti altri che l’occasione di passare non l’hanno nemmeno avuta…
Un derby tutto siciliano. In rigoroso ordine alfabetico, ecco i protagonisti del confronto nella mitica formula dell’intervista doppia: Vincenzo Nibali e Giovanni Visconti. Amici, qualche volta anche “nemici”, compagni di squadra, corridori di classe ed entrambi con una tifoseria ben definita.
Le loro sfide sono iniziate da bambini, quando forse neanche sapevano cosa fosse il professionismo. Oggi sono due dei veterani del gruppo.
Corridori internazionali, ma restano sempre un messinese, Nibali, e un palermitano, Visconti. Come dire un pisano e un livornese, un laziale e un romanista. Ecco quindi una lunga serie di domande, alcune anche extraciclistiche, rivolte al corridore dell’Astana Qazaqstan e a quello della Bardiani Csf Faizanè.
Giovanni Visconti, classe 1983, è oggi nella fila della Bardiani. Il palermitano ha esordito tra i pro’ nel 2005
Vincenzo Nibali, classe 1984, è tornato all’Astana. Anche il messinese ha esordito tra i pro’ nel 2005
Giovanni Visconti, classe 1983, è oggi nella fila della Bardiani. Il palermitano ha esordito tra i pro’ nel 2005
Vincenzo Nibali, classe 1984, è tornato all’Astana. Anche il messinese ha esordito tra i pro’ nel 2005
Si presenti…
NIBALI: Vincenzo Nibali, nickname Squalo.
VISCONTI: Giovanni Visconti.
Professione?
NIBALI: Ciclista professionista
VISCONTI: Ciclista.
E se non fossi stato un ciclista cosa avresti voluto fare?
NIBALI: Domanda da un milione di dollari! Non lo so neanch’io. Forse meccanico o forse sarei entrato in un Corpo di Stato. A Messina, città di mare, c’è il nautico e mi ispirava. Mio cugino si era iscritto lì. Magari sarei entrato in marina.
VISCONTI: Non ne ho idea. Da bambino quello che mi passava per la testa: fruttivendolo, camionista. Ma dagli otto anni in poi c’è stata la bici e sin da subito sono cresciuto con questa convinzione.
Il primo ricordo che ti lega alla bici?
NIBALI: Ho l’immagine di mio papà che ancora correva. Mi ricordo che stava lavorando su una Colnago, in particolare stava montando i famosissimi freni Campagnolo Delta. Teneva la bici ferma su uno di quei rulli con le ventoline piccole.
VISCONTI: Ho il ricordo della prima gara. Arrivai ultimo, fui battuto persino da una bimba. Mio papà mi prese di nascosto durante la Comunione di mia sorella. Di fatto scappammo da casa! Ricordo che andai a correre con questa biciclettina, una Olmo bianca e azzurra.
Il primo ricordo che hai di Vincenzo/Giovanni?
NIBALI: Me lo indicarono in una gara in Sicilia. Fu il mio compagno di allora Carmelo Materia. Noi eravamo allievi di primo anno e Giovanni di secondo. Carmelo mi disse: vedi, quelli sono i cugini Visconti e vanno fortissimo.
VISCONTI: Io ero junior di primo anno, lui era allievo di secondo e si iniziava a parlare di questo Nibali. Lo andai a vedere al campionato italiano a Palermo. Vincenzo era in fuga da solo. Fu ripreso e poi scattò ancora.
Preferisci una donna in leggins o in minigonna?
NIBALI: Minigonna.
VISCONTI: Jeans! Leggins dai…
Dopo le battaglie nelle categorie giovanili, specie in Sicilia, eccoli protagonisti anche tra i pro’ (qui il Giro 2008)Dopo le battaglie nelle categorie giovanili, specie in Sicilia, eccoli protagonisti anche tra i pro’ (qui il Giro 2008)
Piatto preferito…
NIBALI: Pizza ma non non so quale, dipende dal menu. Difficilmente prendo la stessa.
VISCONTI: Pizza, in questo momento crudo e gorgonzola.
Il tuo allenamento preferito
NIBALI: La modalità esploratore c’è?! Magari in Mtb.
VISCONTI:Sono i 20”-40”. E’ un esercizio che mi fa fare sempre i miei migliori 10′. E li miglioro durante l’anno. Diventano un po’ il metro per la condizione in base ai watt finali che faccio. I test non mi piacciono, ma approfitto proprio di questi 10′ per ricavarne una Ftp, soprattutto nei primi mesi dell’anno. Tolgo il 10% e viene fuori un dato valido.
Ancora donne: more o bionde?
NIBALI: Non bionde…
VISCONTI: More!
Il giorno in cui hai fatto più fatica?
NIBALI: Vuelta del 2018: avevo un fortissimo mal di schiena. Mi sentivo il Van der Poeldella situazione! Non volevo abbandonare la Vuelta per cercare di arrivare bene al mondiale.
VISCONTI: Volta Catalunya 2006. Quel giorno stavo malissimo. Arrivai ultimo, al limite del tempo massimo, staccato quasi di un’ora. Si arrivava ad Andorra. Ero già indietro e vidi il cartello d’inizio salita, pensai: adesso smetto.
La volta che avresti tirato una borraccia a Vincenzo/Giovanni?
NIBALI: Io non ho mai tirato la borraccia a lui, era Giovanni che la tirava a me! Io lascio fare. In questi casi sorrido e faccio arrabbiare ancora di più chi è di fronte a me. Una volta Giovanni era arrabbiato e io gli ridevo in faccia.
VISCONTI: Mondiale di Melbourne. A due giri dalla fine eravamo in fuga in quattro: Boonen, lui, io e un altro che non ricordo chi fosse. Io stavo mangiando, Vincenzo mi chiedeva il cambio ma io non glielo davo. E lui insisteva. Gli avrei tirato il panino più che la borraccia! Ma nei primi anni c’era più competizione tra noi, lui pensava che io mi stessi risparmiando.
La volta che invece vi siete aiutati?
NIBALI: Al mondiale di Firenze. Lui andò in fuga e fu un gran bell’aiuto.
VISCONTI: Al Trofeo Pantani in cui si fece vincere Ulissi. Facemmo 50-60 chilometri in tre e andammo davvero d’accordo. Diego stava attraversando un brutto momento personale e senza neanche troppo accordarci gli lasciammo la vittoria.
Cenetta elegante romantica o avventura wild?
NIBALI: Avventura dai…
VISCONTI: Avventura.
Quel famoso Memorial Pantani 2015, Ulissi tra Visconti e NibaliQuel famoso Memorial Pantani 2015, Ulissi tra Visconti e Nibali
Cosa pensi del grande volume di attività di Van der Poel e Van Aert?
NIBALI:Van der Poel ha finito l’anno oltre i 30.000 chilometri mi sembra, lo ha messo su Strava. Anche io ne ho fatti 32.000: non mi stupisce. Sicuramente lui fa più gare di me col fatto della Mtb e del cross, ma in quanto a giornate di allenamento siamo lì. Piuttosto mi colpisce il fatto che alla sua età io non facevo quel volume di lavoro. Mi allenavo molto poco. Spesso restavo a dormire quando gli altri si allenavano e vincevo lo stesso. E non lo dico io…
VISCONTI:Inizialmente mi piaceva tantissimo vederli sempre attivi, adesso meno. Con certi ritmi così elevati mi chiedo quanto possano durare. Non so se sia giusto. Magari si bruciano qualche anno di carriera.
Come hai vissuto la sconfitta di Roglic nella famosa crono del Tour di due anni fa? Ti sei immedesimato?
NIBALI: Non mi ha fatto molta impressione. Anche al Giro io l’avevo battuto nella crono finale quando lui invece era dato per favorito a Verona e tutti si preoccupavano. Come non andò fortissimo l’anno precedente sempre nell’ultima a crono del Tour: fu quarto. In pochi ricordano questi numeri.
VISCONTI: Sì, un po’ mi sono immedesimato. Roglic mi è simpatico. E’ un corridore presente da gennaio ad ottobre e non va alle corse per fare numero. In quel Tour ha avuto una giornata storta, che poi storta non è stata visto che non è sprofondato. Il problema è che la sua giornata di “crisi” ha coinciso con quella di gloria di Pogacar.
Dumoulin che lascia e che torna: cosa ne pensi?
NIBALI: È stato tanto assurdo l’abbandono improvviso quanto il suo ritorno. Ma entrambi ci potevano stare.
VISCONTI: Ci può stare. A questi livelli ci vuole la segretaria per fare il corridore con tutti gli impegni che ci sono e tutte le cose che si hanno in testa. Quindi ci sta che abbia avuto un momento di crisi. Beato lui che ha avuto la fortuna di poter mollare e riprendere, mentre altri restano soli.
La squadra del cuore…
NIBALI: Non sono un super tifoso di calcio, un fedelissimo, ma comunque Milan.
VISCONTI: Milan.
Il corridore che ti ha colpito di più tra quelli con cui hai corso?
VISCONTI:Valverde! Sarà che sono stato suo compagno di squadra e di stanza, che è in gruppo da anni… Ma tu vedi che Alejandro è fatto per la bici. Si migliora ogni anno. Gli dicevo che aveva il cervello a forma di bici! Se gli dai un pallone fa ridere, mentre vincerebbe anche con una bici in acciaio che pesa 3 chili di più.
Che differenza c’è tra i neopro’ di adesso e quelli dei vostri tempi?
NIBALI: Si sono accorciati i tempi di crescita dell’atleta. Si può avere il talento che raccoglie subito, ma si rischia anche di perdere quello che ha bisogno di più tempo per emergere. Si rischia di perderlo involontariamente. Gli dicono: aspettiamolo, ma intanto passano gli anni e finisce nel dimenticatoio.
VISCONTI: Io dico che non sono più neopro’. Sono neoprofessionisti da juniores. E quando passano hanno subito le carte in regola per battagliare in testa.
A casa sei ordinato? Katy (moglie di Giovanni)/Rachele (moglie di Vincenzo) vi sgridano!
NIBALI: Mi piace essere ordinato. Se c’è qualcosa voglio trovarla dove penso che sia. A casa ho delle “zone off limits” tutte mie. Come lo spazio per la bici o, soprattutto, la mia officina. Tutti i miei ferri sono molto ordinati.
VISCONTI: Mi sgrida! Non sono proprio disordinato, ma non piace mettere a posto.
Nibali alla Sanremo, la vittoria “secca” che lo ha emozionato di più
Giro 2013, Visconti trionfa a Vicenza dopo un’azione splendida per forza e tattica. Uno dei migliori giorni della sua carriera
Nibali alla Sanremo, la vittoria “secca” che lo ha emozionato di più
Giro 2013, Visconti trionfa a Vicenza dopo un’azione splendida per forza e tattica. Uno dei migliori giorni della sua carriera
Cosa altro ti piace oltre la bici?
NIBALI: Le auto, le moto ma un po’ di meno, in generale i motori. Mi piace viaggiare, anche se di questi tempi è una roba assurda. E mi piace il cibo!
VISCONTI: Ho delle passioni semplici: camminare nel bosco, andare a funghi e la pesca. Tutte cose tranquille che vanno contro il mio carattere focoso da “terrone”. (Mi raccomando scrivi terrone!)
Dinamiche in gruppo: cosa ti piace oggi e cosa ti fa arrabbiare rispetto a 15 anni fa?
NIBALI: Cosa mi piace di oggi: niente! Quello che manca è che non c’è più un senso di rispetto. Un po’ quello che diceva Dario Cataldo nel vostro articolo.Non esiste più la sosta parenti, per esempio. La gara è gara dal primo all’ultimo chilometro. A volte vedi dei leader che scattano a 120 chilometri dalla fine, ma poi il gregario non serve più a nulla. Sono energie buttate al vento. E per quanto puoi fare queste azioni? Non per 10 anni.
VISCONTI: Mi piace che livello si sia alzato e che ci sia questa cura dei particolari grazie ai team WorldTour e anche a qualche professional. Oggi un corridore è un professionista a tutti gli effetti. Non mi piace invece il modo di correre. Per me è troppo schematico e riflette allo stesso tempo la ricerca di questa perfezione. Sembra un ciclismo telecomandato.
La sconfitta più bruciante?
NIBALI: La Liegi (2012, ndr).
VISCONTI:Ho vinto tre campionati italiani, ma ne ho anche persi due. Poteva essere una cinquina storica. Il primo è quello perso quando vinse Simeoni, che andò via nel finale e non era tra i favoriti. Il secondo italiano è quello vinto da Viviani. L’ho perso per un errore di squadra, un’incomprensione con Pozzovivo.
E la vittoria più bella?
NIBALI: Se penso ad un giorno secco: la Sanremo. Il giorno in cui sono andato più forte in assoluto invece è stato il secondo Lombardia che ho conquistato.
VISCONTI:Il primo italiano non lo potrò mai scordare. Fu programmato al dettaglio e tutto andò secondo i piani. Ma l’azione più bella fu nella vittoria della tappa di Vicenza al Giro del 2013.
L’allenamento più lungo che hai mai fatto?
NIBALI: Emirati Arabi, ero con Lars Boom. Dopo la gara, che era di quasi 200 chilometri, ne abbiamo aggiunti altri 120-130 e abbiamo finito a circa 320 chilometri. Lui mi diceva: allenamento buono per Sanremo!
VISCONTI: Fu nei primi mesi dopo il Covid quando ci liberarono. Feci una lunghissima distanza con Lorenzo Fortunato: 270 chilometri. Andammo verso l’Appennino, il Passo della Colla… Sì finì talmente tardi che gli dissi: vado a prendere il sushi e poi torni a casa. Si era fatta ora di cena! Facemmo nove ore.
Per Giovanni non una stagione da ricordare, ma almeno si è ritrovato
Anche per Nibali non un anno esaltante, però ha chiuso bene con la vittoria proprio in Sicilia
Per Giovanni non una stagione da ricordare, ma almeno si è ritrovato
Anche per Nibali non un anno esaltante, però ha chiuso bene con la vittoria proprio in Sicilia
Ti passa mai qualche canzone per la testa mentre sei in bici? Magari anche in gara…
NIBALI: Una volta capitava anche in corsa, ora no. In gara devi essere attivo tutto il tempo. In allenamento invece può succedere.
VISCONTI: Sì, canto sempre ma non mi viene in mente quale canzone. Cambiano sempre un po’ in base al momento.
L’obiettivo principale di questa stagione?
NIBALI: Non mi sono prefissato un singolo obiettivo.
VISCONTI:Sentirmi bene e godermela, penso di meritarmelo… Non voglio vivere un anno con la nausea come quello appena passato. Voglio divertirmi, poi tutto viene da sé. Adesso sono tornato a fare la fatica quella bella.
Ti è mai passato per la mente di smettere?
NIBALI: Qualche volta sì, ma era dettato più da un momento di rabbia che da una voglia di lasciare tutto vera e propria. Ero stanco dell’ambiente.
VISCONTI: L’anno scorso sicuramente. Ho passato momenti duri e non so come ho fatto a continuare. Ho pensato davvero che non sarei più stato a certi livelli. Alla Settimana Internazionale Italiana in Sardegna durante la terza tappa rimasi staccato dal gruppo. Mi fermai su una salita, non c’era più nessuno e chiesi a un massaggiatore di portarmi via. In quel momento ho pensato davvero di smettere. La squadra mi è stata vicino, mi ha fatto fermare del tutto per un lungo periodo e ho potuto “rimentalizzarmi”. Adesso sto rinascendo.
E infine la domanda delle domande: ma è arancino o arancina?
NIBALI: Per par condicio dico entrambi. La Sicilia è divisa a metà in tal senso. Anzi, in tre quarti di regione si dice arancino e in un quarto dice arancina. A Messina, e più giù a Catania, si dice arancino al ragù. A Palermo arancina con la carne, ma il prodotto è uguale.
VISCONTI:Si dice arancina, punto! Perché sono a forma di arancia, il frutto, non di arancio, l’albero.
Abbiamo proposto a Simoni di mettersi nei panni di alcuni personaggi di spicco del ciclismo, per sapere cosa farebbe al loro posto. E sulla Fci dice che...
Il gruppo dei giovani della Bardiani CSF Faizanè è una delle novità più attese della stagione che sta per iniziare. Questa iniziativa dei Reverberi desta molta curiosità. E ci fa porre anche delle domande, a partire da quelle relative al calendario che seguiranno i ragazzi seguiti da Mirko Rossato(nella foto di apertura).
Il regolamento della categoria under 23 infatti parla chiaro: chi appartiene ad un team professionistico può partecipare solo alle gare U23 internazionali e queste in Italia non sono molte. Come siamo messi quindi nel “reparto giovani” della Bardiani?
«Ci stiamo preparando al nuovo ritiro in Spagna – dice Rossato – che durerà fino al 23 gennaio. Poi divideremo i vari gruppi del nostro team fra le gare majorchine, quelle in Turchia e l’Etoile de Besseges».
Martin Marcellusi in allenamento sulle strade di casa (foto Instagram)Martin Marcellusi in allenamento sulle strade di casa (foto Instagram)
Programma definito
«Il programma: noi ne abbiamo uno e anche ben dettagliato direi – chiarisce il diesse – Martinelli e Tolio, che sono più maturi, faranno anche delle gare con i professionisti. Mentre è logico che i primi anni, penso ad esempio a Marcellusi e Nieri che hanno meno esperienza, faranno gare che sono più alla loro portata».
«Il calendario internazionale italiano? Io dico che non è così piccolo ed è anche bellissimo. Un calendario che in molti ci invidiano all’estero. Al via ci sono spesso molte continental. In più noi oltre a queste gare in Italia abbiamo fatto richiesta per moltissime corse in Europa.
«Parlo di gare 1.2 e 2.2, che sono eventi professionistici, il cui livello è al pari di un nostro Trofeo De Gasperi, ma che non vedono al via delle WorldTour. Abbiamo fatto richiesta per la Liegi under 23 e per delle corse in Polonia…».
Giulio Pellizzari (novembre 2003), è il più giovane corridore della Bardiani. Alla sua ruota c’è Pinarello (luglio 2003)Giulio Pellizzari (novembre 2003), è il più giovane corridore della Bardiani. Alla sua ruota c’è Pinarello (luglio 2003)
Scuola e gare
Rossato tiene molto a questo discorso. Lui è già stato direttore sportivo di squadre under 23 (e non è un caso che gli sia stata affidata anche questa) pertanto sa bene che non si può ridurre tutto solo ad un numero di gare da fare.
«Non si tratta solo di andare in bici o gareggiare – riprende Mirko – c’è anche una questione di stress derivante dal viaggiare, dal correre in altre Nazioni, ripartire, prendere un aereo, adattarsi a nuove situazioni, a venire dietro a prendere l’acqua in ammiraglia… E queste non sono difficoltà da poco nella vita del corridore.
«Qui pensiamo alla quantità di gare da fare, ma Pinarello e Pellizzari vanno ancora a scuola e questa per noi è una priorità. Bruno (Reverberi, ndr) stesso in fase di contratto lo ha detto chiaro e tondo:prima la scuola. Per loro è prevista un’attività mirata, adatta alla loro età. Magari all’inizio faranno solo una gara a settimana».
Lo scorso anno la Bardiani prese parte al Tour of Rhodes (gara 2.2), quest’anno ci tornerà coi più giovani?Lo scorso anno la Bardiani prese parte al Tour of Rhodes (gara 2.2)
Un buon budget
«Noi abbiamo la fortuna di avere degli inviti all’estero. In Europa di corse ce ne sono tante, mica solo in Italia… E abbiamo, ripeto, la fortuna di non avere problemi economici per poter affrontare queste trasferte e creare un grande calendario under 23. Oltre alla Liegi e alle gare in Polonia, per esempio, abbiamo fatto richiesta per il GP Francoforte sempre under 23, per delle corse in Grecia e in Bulgaria. Io credo che un anno fatto in questo modo ne valga cinque che correndo solo in Italia.
«L’unica corsa per la quale non abbiamo richiesto l’invito sapete qual è? La Roubaix. E non per una questione di costi, ma semplicemente perché non abbiamo gli uomini adatti.
«In ognuna di queste gare si trovano situazioni diverse, per percorso, per Nazione, per modo di correre… E sono tutte esperienze necessarie per essere pronti in futuro.
«Qui ci si preoccupa tanto dei ragazzi, di tutelarli… Io credo che noi abbiamo l’esperienza per fare bene e farli crescere in modo corretto. Nessuno vuole rovinare questi ragazzi. Alla fine non faremo niente di diverso da quello che fanno Zalf, Biesse Arvedi o General Store, ma con più attività all’estero».
Alex Tolio, lo scorso anno nelle fila della Zalf e oggi uno dei giovani della Bardiani, ha preso parte alla Coppi e Bartali con la nazionaleTolio nel 2021 ha preso parte alla Coppi e Bartali con la nazionale
Obiettivo qualità
Con Rossato si passa poi a parlare anche degli impegni possibili con le rispettive nazionali. E’ un vantaggio o uno svantaggio per un team come la Bardiani dare i corridori alla nazionale? O al contrario ritrovarsi la nazionale nelle liste di partenza è un ostacolo?
«Per me – conclude Rossato – le gare con la nazionale fanno sempre bene. Non tutti hanno la fortuna di avere un team come il nostro che farà molta attività all’estero. La nazionale in questo caso diventa un buon mezzo per poter fare certe esperienze.
«Certo, la nazionale italiana nelle corse italiane la condivido un po’ meno, ma mi rendo conto che per un organizzatore che non può avere le WorldTour al via, magari ha la possibilità di ritrovarsi un Nibali in corsa e alla fine ci sta».
«Crediamo molto nel nostro progetto giovani. Abbiamo l’esperienza giusta per fare bene. Abbiamo di fronte a noi un calendario ben strutturato. Un calendario che terrà conto della maturità che dovranno affrontare i ragazzi con la scuola. Io dico che quando avranno fatto 40 giorni di corsa è già molto. Meglio fare poche ma belle corse e di qualità che farne tante. Perché è quando corri con i migliori… che migliori».
Una gara per onorare un campione del passato con un metodo moderno: è il Premio Francesco Cesarini. L'8 dicembre a Spoleto si sfideranno sui rulli 40 ragazzi
Bisognerebbe fare un po’ d’ordine, fra articoli, voci, post, commenti e tutto quello di cui si compone oggi una notizia. E non è detto che pur facendolo, si riesca a venirne a capo. L’argomento del contendere degli ultimi tre mesi, prima sotto traccia e poi alla luce del sole quando tutti se ne sono accorti, è il passaggio al professionismo di Alessandro Pinarello e Giulio Pellizzari dalla categoria juniores alla Bardiani-CSF-Faizanè.
E il punto non è stabilire se la scelta sia giusta o sbagliata: non spetta a noi. Il punto è analizzare le varie voci e cercare di capire se il tutto sarà a vantaggio degli atleti e del ciclismo italiano. E se non debba essere l’UCI a stabilire le regole, evitando che ognuno se le faccia da sé.
Pinarello, al centro fra Oioli e Martinez, è stato terzo al LunigianaPinarello, al centro fra Oioli e Martinez, è stato terzo al Lunigiana
L’odiata regola
Il regolamento tecnico italiano, che sarà pure obsoleto come è stato da poco definito dallo stesso Pinarello, prevede all’articolo 3 che regola il passaggio al professionismo, che si debbano prima trascorrere due anni fra gli under 23. La regola nasce dalla necessità di tutelare lo sviluppo fisiologico degli atleti, che potrebbero non essere pronti per il salto nel professionismo. I calciatori debuttano in serie A a 16 anni, ma non parliamo dello stesso sport.
Per aggirare la norma, come era nell’aria da qualche settimana, Pinarello ha infine deciso di prendere la residenza all’estero, tesserandosi quindi con un’altra federazione e ottenendo di conseguenza il diritto di diventare professionista.
Tiberi è passato dopo un solo anno da U23, per lui è stata prevista una derogaTiberi è passato dopo un solo anno da U23, per lui è stata prevista una deroga
Le deroghe del passato
Siamo sicuri però che il vero punto sia il diritto di Pinarello ad avere un lavoro o piuttosto non sia la somma di interessi diversi? Pinarello e la sua famiglia avrebbero messo in moto questo meccanismo se avessero deciso in autonomia o consigliati dai tecnici di Alessandro?
«La situazione ha preso una piega diversa dall’incidente di Johny Carera- spiega Cristian Pavanello, diesse di Pinarello fino allo scorso anno – perché credo che lui avrebbe cercato una mediazione. Comunque il punto non è questo. La Bardiani ha creato un team U23 cui far correre solo gare internazionali. Il problema è che in Italia ce ne sarà in tutto una quindicina. Poi so che si parlava di un accordo con la Federazione per fare anche le nazionali, ma a quanto dicono ci sono parecchie squadre contrarie e l’accordo rischia di non farsi. E chissà come sarà dopo l’episodio della residenza all’estero.
«Capisco che Cazzaniga (vicepresidente Fci, ndr) difenda il regolamento sulle continental che ha scritto lui, però per Tiberi e Piccolo hanno firmato delle deroghe. E anche il discorso di chiudere la nazionale a chi ha la residenza all’estero… Bisogna che Bennati torni ad allenarsi, perché i suoi sono tutti fuori dall’Italia».
Evenepoel e le sue vittorie da junior sono un’eccezione, che però sta guastando il mercatoEvenepoel e le sue vittorie da junior sono un’eccezione, che però sta guastando il mercato
Lo scoglio del diploma
Pinarello ha dichiarato a Carlo Malvestio che la soluzione della residenza estera e del domicilio italiano gli permetterà di diplomarsi all’Istituto Agrario, cui tiene molto.
Il problema della scuola è uno dei più ricorrenti, quando un corridore esce dagli juniores e approda fra gli U23, al punto che i più iniziano a correre in modo serio dopo gli esami, quindi a partire da luglio. Anni addietro, si discusse addirittura di introdurre il terzo anno fra gli juniores, in cui i ragazzi avrebbero potuto concludere la scuola per poi assorbire al meglio il passaggio di categoria. Andare a correre fra i dilettanti veniva e viene considerato un bel salto, cosa si può dire di quello fra gli juniores e i professionisti?
Come Pinarello, anche lo spagnolo Bonilla arriva alla Bardiani dagli junioresCome Pinarello, anche lo spagnolo Bonilla arriva alla Bardiani dagli juniores
Il tempo giusto
«Il ragazzo è forte – prosegue il diesse della Borgo Molino – è uno dei migliori talenti e ha il carattere giusto, ma dipende dal calendario che farà. Perché se non può correre in Italia, la Bardiani dovrà andare all’estero e questo significa budget in più. C’erano altre squadre che lo volevano, dalla Colpack alla Zalf che li avrebbe presi tutti e quattro. Di certo fa una scuola impegnativa, il Ciarletti Enologia di Conegliano, e avrà bisogno di essere aspettato.
«Penso a Portello, che corre alla Zalf. Lui combatte col peso e nonostante questo, ha vinto due corse. Sono andati a cercarlo dicendo che volevano fargli fare uno stage. Ma se uno ha bisogno di maturare e crescere, buttarlo tra i pro’ rischia di essere una mazzata e lo bruci. Spero che la Bardiani avrà il tempo di aspettarli per il tempo che serve. La Mapei giovani tirò fuori dei campioni, ma lavorò con loro per 4-5 anni. Ho fiducia in Pinarello, mi dispiacerebbe che non avesse il tempo necessario».
De Pretto ha debuttato con la Beltrami a Larciano poi al Coppi e Bartali: troppo per un primo anno. Ora è alla ZalfDe Pretto ha debuttato a Larciano poi al Coppi e Bartali: troppo per un primo anno. Ora è alla Zalf
Le continental disinvolte
E’ vero un altro punto: è sbagliato allo stesso modo prendere un U23 di primo anno, inserirlo in una continental e poi farlo debuttare nel professionismo. Ma se l’attività U23 della continental è svolta con l’obiettivo di far crescere gli atleti, ai ragazzi di primo anno viene riservata un’attività all’altezza delle loro esigenze: scolastiche e fisiologiche.
E forse proprio sulle esigenze dei corridori bisognerebbe calibrare l’offerta formativa, visto che di lavoro si tratta. Fare due anni negli under 23, uno dei quali con la maturità, permette di crescere. Puoi svolgere attività internazionale con la squadra e con la nazionale, crescere e passare professionista con argomenti più solidi. Fare due anni da professionista, uno dei quali con la maturità e magari poche corse, è un grosso punto interrogativo. Perché se qualcosa non gira per il verso giusto, resti a piedi.
Come Pinarello, anche Pellizzari (a destra) alla vigilia del passaggio diretto dagli juniores (foto Scanferla)Come Pinarello, anche Pellizzari alla vigilia del passaggio dagli juniores (foto Scanferla)
Università e liceo
Il bello e insieme il brutto di questa situazione è che non esistono punti fermi. Fra 10 anni potremo plaudire all’idea dei Reverberi o stigmatizzarla.
«Con i nostri ragazzi – chiude Pavanello – si pensa di fare anche un paio di trasferte all’estero, per dargli qualche strumento di crescita in più, non per farli andare più forte. Fisicamente sono ancora giovani e se abbiamo ottenuto risultati è perché abbiamo avuto ragazzi di talento. Quanti juniores hanno vinto l’europeo con nove minuti sul secondo? Solo Evenepoel, vogliamo capire che è un’eccezione? Ma di fatto con gli juniores stiamo diventando la categoria di passaggio. Come mandare all’Università, quelli in età da liceo».
In attesa di capire se anche Pellizzari deciderà di prendere la residenza all’estero, impacchettiamo i nostri dubbi e ci prepariamo per la stagione. A volte per cambiare una regola, c’è bisogno di dimostrare che è sbagliata. Forse aggirarla non è la soluzione migliore. Salvoldi con gli juniores avrà davvero il suo bel da fare. Mentre dovrebbe essere l’UCI una volta per tutte a stabilire i criteri del passaggio.
Il mare risciacqua di là dal muro. Nella piazza di Aspra poche persone passeggiano al rallentatore. Qualche gabbiano girovaga nell’aria, le nubi sulle montagne alle spalle del paese impediscono ai raggi di raggiungere le case. La Sicilia è calda e accigliata, in lontananza Palermo e Monte Pellegrino sono inondati di sole. L’appuntamento con Fiorelli è di buon mattino, perché poi dovrà andare in palestra. Ficarazzi in cui vive è poco distante. Prendiamo un caffè mentre il paese inizia a popolarsi e il discorso va sulla stagione che il siciliano si attende. Quando toglie la mascherina, il baffo biondo dipinge sul suo volto un piglio sbarazzino e insieme d’antica nobiltà.
«Ho fatto un passo in più – dice Fiorelli – con un altro anno di esperienza. Quello del Covid non lo considero nemmeno. Ho avuto problemi al ginocchio e poi tre mesi così intensi che non ho capito molto. Avere a disposizione un anno intero come il 2021 è stato diverso. Ho fatto esperienza con i tempi giusti e credo di essere cresciuto fisicamente. Ho corso due Giri d’Italia in sette mesi e questo mi ha dato tanto».
Fiorelli è arrivato terzo a Sestola, nel giorno in cui De Marchi prese la rosa
Il primo Giro nel 2020, con partenza da Palermo: debutto di grande suggestione
Fiorelli è arrivato terzo a Sestola, nel giorno in cui De Marchi prese la rosa
Il primo Giro nel 2020, con partenza da Palermo: debutto di grande suggestione
A proposito di Giro d’Italia, sei andato più vicino alla vittoria nella tappa meno adatta: quella di Sestola con l’arrivo in salita…
Faccio fatica a crederci anche io. Era una tappa importante, perché si partiva vicino alla sede della squadra. L’intenzione era arrivare il più avanti possibile. Sono stato l’ultimo a entrare e per fortuna Zoccarato mi ha aspettato. Nella fuga c’era anche Zana, che è molto più scalatore di me, ma quel giorno non era al meglio. Perciò l’idea era di arrivare il più avanti possibile, anche se ero con gente che in salita va più forte di me. Potevo seguire De Marchi? Forse sì, ma ci sarà stato un motivo se non l’ho fatto. Di sicuro però ho dei margini e anche in salita posso migliorare ancora.
C’è stato un giorno in cui ti sei sentito davvero forte?
Quando ho vinto in Croazia a inizio stagione. Mi sentivo proprio bene. Qualche giorno prima ero andato con Rossato a provare il finale dietro macchina. Simulammo il ritmo gara per vedere quanto a lungo sarei riuscito a reggere certi watt. Provammo la volata e fui capace di uscire dalla scia della macchina. Perciò andai da Rossato e gli dissi che poteva essere il giorno giusto. La squadra fu perfetta, inseguirono la fuga e io ho vinsi la volata. La vittoria fa bene al morale. Qualche giorno dopo feci terzo di tappa all’Istrian Spring Trophy e l’indomani avrei preso la maglia, perché sapevo che Fortin si sarebbe staccato in salita. Invece dopo 10 chilometri caddi, sbattendo la testa. Andai al traguardo, era il giorno in cui vinse Zana. Ma io riuscii a malapena ad arrivare in fondo.
Lo ha portato alla Bardiani Marcello Massini, grande direttore sportivo toscanoLo ha portato fra i pro’ Massini, grande direttore toscano
Sei cresciuto alla scuola di Massini, cosa ti porti dietro?
Marcello mi ha fatto capire cosa sia il ciclismo e cosa sia la vita. Qualsiasi dubbio avessi, sapeva cosa dire. Come un secondo padre, direi anche come un nonno, ma poi si offende (ridiamo all’unisono, ndr). E’ importante avere figure così. Quando ha deciso di smettere, non sono stato contento, perché il ciclismo stava perdendo una persona ottima.
E’ vero che per te ha rimandato di un anno il momento della pensione?
Aveva promesso che mi avrebbe fatto passare professionista. E quando ha visto che non ci sarebbe riuscito alla fine del 2018, ha fatto la squadra per un anno ancora. E’ stato davvero un ottimo tecnico, non mi ha mai messo pressione, mi ha permesso di crescere passo dopo passo. Anzi, non glielo dico che domani devo fare 200 chilometri, sennò si arrabbia e mi dice che non serve a niente.
Distanza da solo o in compagnia?
Ho organizzato un bel gruppo, è l’ultima distanza del 2021 e la prima del nuovo anno, ma gliel’ho detto chiaro: non voglio tirare neanche un metro (ride, ndr).
Sei passato professionista a 25 anni, un’età in cui oggi tanti smettono…
Sapevo che ero vecchio. Passare al terzo anno da elite non è da tutti, anche se venivo da anni in crescita. Tolto il 2017 in cui non ho fatto cose clamorose, per il resto sono sempre migliorato. Mi ha salvato il fatto che ho cominciato tardi e Reverberi lo ha capito, perché ha visto i margini. E i numeri in effetti sono cresciuti. Devo prendere le misure su allenamenti e modo di correre…
Nel frattempo hai scoperto qual è la corsa dei sogni?
Dall’anno scorso ho il chiodo della Sanremo. Prima non mi piaceva, ma essendoci arrivato vicino… Non vicino nel senso che me la sono giocata, ma quando mi sono ritrovato nei primi 20 sulla Cipressa, per qualche minuto ho sognato di poterci provare. Poi sul Poggio sono rimasto indietro al rientro del gruppo. E quello è stato uno sbaglio di inesperienza. Sto lavorando per fare bene, per arrivare bene sul Poggio e provare a giocarmi il podio.
Terzo a Sestola e vittorie in volata: che corridore sei?
Sono sempre stato veloce. Nel 2018 e 2019 vincevo anche in salita. Arrivavo da solo, ma erano salite nelle corse dei dilettanti, quattro o cinque chilometri. Qua il livello è più alto, ma so che se faccio le cose per bene, non mi stacco tanto facilmente.
Fiorelli aprirà la stagione in Spagna: l’idea è di partire subito forteFiorelli aprirà la stagione in Spagna: l’idea è di partire subito forte
Sei cresciuto guardando Giovanni Visconti e oggi Sciortino cresce guardando te…
Finché posso, gli do qualche consiglio. Usciamo spesso insieme. Io non ho tanta esperienza da trasmettere, ho cominciato da poco. Il solo consiglio di cui mi sento sicuro e che gli do spesso è di non bruciare le tappe. A me è andata bene, ma si vede in giro gente che vuole strafare. Ti alleni un gocciolino in più e fai la differenza. Poi da dilettante incontri gente che lo fa di mestiere o più grande di te e la paghi cara, soprattutto moralmente. La testa è tutto. Ricordo quando Massini parlava con un mio compagno del suo fratellino. E gli diceva che se si impegnava per vincere 10 corse da allievo, poi gliene avrebbero chieste 15 da junior. Quindi è meglio vincere meno da piccoli e crescere nel modo giusto.
Parli già da vecchio saggio. Quando ricominci a correre?
A gennaio andiamo in ritiro in Spagna, il 23 gennaio dovrei correre la Classica Comunitat Valenciana e poi proseguo con il programma spagnolo. Quindi un passaggio in Francia e l’Oman. Un bel programma, ormai manca davvero poco. Buon anno a tutti!
E’ stata svelata ufficialmente la maglia per la stagione 2022 della Bardiani-CSF-Faizanè e a disegnarla e produrla sarà sempre il brand Alè Cycling. Gli atleti del #Greenteam continueranno a vestire la linea PR-S con tinte ciclamino e verdi. Con la previsione di una nuova fascia laterale bianca per accogliere la principale novità della divisa in termini di sponsor. Dopo il debutto al Giro d’Italia 2021, il pastificio Ghigi andrà difatti ad occupare quell’importantissimo spazio.
Nuova divisa della Bardiani CSF Faizanè per la stagione 2022 per Zana, Battaglin, Visconti e Fiorelli Nuova divisa della Bardiani CSF Faizanè per la stagione 2022
PR-S: il “vestito” dei pro’
Prosegue dunque spedita la collaborazione tra la Bardiani-CSF-Faizanè, il team diretto da Bruno e Roberto Reverberi, e l’azienda d’abbigliamento tecnico guidata da Alessia Piccolo: una collaborazione che prosegue nel segno della continuità sia stilistica che tecnica. Come anticipato, la linea di prodotti fornita ai corridori sarà la PR-S: la top di gamma, pensata per le competizioni e l’agonismo in generale. A livello cromatico, ciclamino e verde continueranno a essere i colori predominanti sia di maglia che di pantaloncino. Ci sarà, tuttavia, una maggiore consistenza del bianco, che oltre a continuare a essere lo sfondo dei tre main sponsor, si svilupperà anche sui laterali per accogliere il logo del nuovo sponsor Ghigi.
Alè ha disegnato la divisa della Bardiani per la prossima stagione Alè ha disegnato la divisa della Bardiani per la prossima stagione
Il Pastificio Ghigi 1870 è rientrato nel mondo del ciclismo, in occasione del Giro d’Italia, grazie alla visibilità garantita sulle maglie della Bardiani-CSF-Faizanè. Con l’avvio della stagione 2022 Ghigi sarà invece presente anche sulla fascia laterale. Andrà così a completare un percorso di ritorno in grande stile e dopo ben 70 anni dalla storica sponsorizzazione dell’omonimo team Ghigi 1870. Altra novità a livello di sponsor è rappresentata da BF, società attiva nella filiera agroindustriale italiana. L’azienda andrà ad inserire il proprio marchio sul petto della divisa della squadra.
Dopo 70 anni torna Ghigi
«Il brand Alè conta, nel campo dell’abbigliamento per ciclismo, su un know-how consolidato da oltre 30 anni di lavoro – ha dichiarato Alessia Piccolo, direttore generale di Alè Cycling – ma allo stesso tempo rappresenta un brand giovane… Queste due caratteristiche, di esperienza e freschezza, si associano bene al progetto Bardiani dove ritroviamo l’esperienza pluriennale di Bruno Reverberi e la giovinezza dell’organico corridori. Come per le nostre squadre World Tour, metteremo a disposizione della Bardiani CSF Faizanè la nostra linea PR-S: la stessa sempre disponibile e personalizzabile anche per tutti i gruppi di amatori che lo desiderassero».
«Per quanto ci riguarda, è davvero un grande onore essere sponsor della Bardiani-CSF-Faizanè – ha ribattuto Mauro Tonello, il responsabile di Ghigi 1870 – con la nostra pasta prodotta utilizzando il grano antico Senatore Cappelli. Quest’ultimo è un grano che porta con sé un glutine molto diverso dagli altri grani comuni: un’unicità certificata da una rigorosa ricerca scientifica condotta dal Policlinico Gemelli di Roma che ha decretato questa pasta più digeribile e leggera, con meno problemi alle articolazioni, meno gonfiore, ed un importante apporto di proteine».
Ghigi torna come sponsor nel ciclismo a 70 anni dall’ultima volta Ghigi torna come sponsor nel ciclismo a 70 anni dall’ultima volta
La maglia ufficiale 2022 della Bardiani CSF Faizanè è stata presentata nel corso del recente raduno della squadra in Veneto. Un meeting nel corso del quale sono state realizzate le prime foto ufficiali della stagione. A fare gli onori di casa è stata Faizanè, azienda sponsor della squadra, che ha aperto le porte del proprio stabilimento sia agli atleti del team quanto ad alcuni giornalisti invitati. Martino Dal Santo, il presidente di Faizanè spa, ha poi accolto gli atleti della squadra. I quali hanno così avuto modo di conoscere i dipendenti dell’azienda da ben tre stagioni orgogliosamente al fianco del #GreenTeam.
Scorrendo l’ordine di arrivo del Trofeo San Fior, tappa conclusiva del Master Cross Selle Smp, un nome ci ha quasi fatto sobbalzare: al 15° posto, staccato di 4’25” dal vincitore Filippo Fontana, è giunto Samuele Zoccarato, il 23enne di Camposampiero (PD) portacolori della Bardiani CSF Faizané. Una presenza la sua sorprendente perché non stiamo parlando di un corridore multidisciplinare né tantomeno di un ciclista con esperienze pregresse nel ciclocross, come potrebbe essere per un Trentin ad esempio.
Zoccarato viene da una stagione, la sua prima nel mondo pro’, decisamente positiva, con la perla del terzo posto ai Campionati Italiani ma con tanti altri segnali positivi, ad esempio il suo primo Giro d’Italia portato a termine. Parlando con lui, la motivazione per cui ha deciso di gareggiare nel ciclocross dice molto della sua serietà.
«E’ stata una mia iniziativa, nata dal fatto che voglio migliorare alcune lacune che ho, soprattutto nella guida del mezzo ma anche nel pedalare fuori soglia, nei rilanci, anche nelle volate. Devo lavorare molto su me stesso e penso che il ciclocross sia ideale per questo».
Una prima esperienza positiva per Zoccarato nel ciclocross, non senza qualche errore (foto BIlliani)Una prima esperienza positiva per Zoccarato nel ciclocross, non senza qualche errore (foto BIlliani)
Che esperienza è stata?
Molto divertente, anche se le difficoltà non sono mancate. La differenza che vedevo con gli specialisti era enorme, ad esempio perdevo molto nel risalire in bici. Ho fatto tante “papere” tecniche, alcune volte mi veniva anche da ridere, ma alla fine credo di essermela cavata.
Che hanno detto in società di questa tua idea?
All’inizio erano scettici, poi quando hanno capito che avevo intenzione di fare anche qualche gara e che lo ritenevo necessario, mi hanno appoggiato, raccomandandosi solo che non mi faccia male. Io sono partito da un ragionamento: ci sono giornate con nebbia e pioggia nelle quali allenarsi su strada è più un peso, invece uscire con la gravel, la Mtb, la bici da ciclocross ti permette di divertirti e al contempo effettuare lavori molto utili, ne giova il fisico ma anche la mente.
Samuele ama molto spaziare fra le varie bici: qui è alla Serenissima GravelSamuele ama molto spaziare fra le varie bici: qui è alla Serenissima Gravel
Secondo te un’idea del genere troverebbe accoliti anche tra i tuoi colleghi, nella tua società ma anche in altre?
Penso di sì, ma mi sono accorto sulla mia pelle che gli ostacoli non sono pochi. Innanzitutto devi avere il materiale tecnico a disposizione, almeno due bici e una quantità di ruote. Io ne ho acquistata una, con tanto fango sul percorso la gara neanche la finisco… Poi molti corridori credo temano di fare brutte figure, di commettere le “papere” di cui ho detto prima. Come tecnica c’è tanto da imparare, cambia tutto…
Sai che il cittì Pontoni ha intenzione di avere contatti con le società italiane per cooptare quanti più stradisti possibile per il ciclocross e spingere verso la doppia attività per i più giovani…
E’ un’ottima idea, ma per chi non viene da quel mondo io penso sia una buona idea istituire anche una piccola “accademia”, per insegnare i fondamentali, perché il ciclocross non si inventa. Sono discipline diversissime, cambiano l’assetto di corsa, le bici, i materiali, la tecnica di guida, insomma tutto.
Nelle giornate di pioggia il veneto alterna alla strada anche uscite offroadNelle giornate di pioggia il veneto alterna alla strada anche uscite offroad
A tuo parere troverà spazio la sua idea?
A patto che riesca a vincere una vecchia concezione imperante nel ciclismo su strada italiano, dove tanti direttori sportivi sono ancora convinti che per emergere bisogna allenarsi solo stando molte ore in sella, quando invece la preparazione è profondamente cambiata, basata più sullo stimolo allenante, sull’intensità dell’allenamento e le altre specialità, come il ciclocross o la Mtb, possono essere molto utili in tal senso. Molti però pensano che le altre esperienze siano inutili se non dannose.
La tua scelta di gareggiare nel ciclocross è legata anche alle tue esperienze al Nord? In alcune gare avevi dimostrato di cavartela più che bene…
Effettivamente sì, per emergere su quelle strade devi avere una grande capacità di guida. Sono come ciclocross che durano 5 ore e passa, fra dossi, spartitraffico, rotonde, devi saper guidare la bici più che bene se vuoi emergere. Il ciclocross in tal senso è un’ottima scuola per gestire la fatica, essere sempre lucidi per lo sforzo che compi. A San Fior, ad esempio, ero agitato alla partenza, ma ho visto che giro dopo giro andavo sempre meglio.
La grande impresa di Zoccarato a Imola, terzo dietro il vincitore Colbrelli e MasnadaLa grande impresa di Zoccarato a Imola, terzo dietro il vincitore Colbrelli e Masnada
Sei soddisfatto della tua stagione su strada?
Ci mancherebbe… Come primo anno direi che non sia stata male, anche se in alcune occasioni mi è mancato quel pizzico di fortuna, qualche fuga alla quale sono mancati gli ultimi chilometri, qualche secondo in più per gestirla fino all’arrivo. In tante occasioni ho rischiato di fare risultato senza riuscirci, spero di farlo nel 2022.
Farai altre gare?
Sì penso almeno un paio di uscite fino ai campionati Italiani, poi tornerò a concentrarmi sulla preparazione specifica per la strada. Mi aspetta un anno impegnativo, nel quale voglio tornare al Giro d’Italia se il mio team verrà invitato e riuscire a cogliere qualche occasione con la fuga giusta. Io intanto mi preparo…
Il nome di Piero Ravaglia è saltato fuori un paio di giorni fa, parlando con Paolo Alberati dell’intervista fatta a Calpe con Kevin Rivera. L’italiano che vive in Costarica aveva richiamato la nostra attenzione, a maggior ragione dopo le dichiarazioni nel momento in cui Rivera lasciò la Bardiani-CSF-Faizanè. Chi è il romagnolo che, al pari di Andrea Bianco in Colombia, allena i giovani corridori costaricensi?
«Vivo qui da trent’anni – racconta con grandi sorrisi in questa telefonata transoceanica – sono cose della vita. Andrea Bianco, come Alberati e Maurizio Fondriest, è un mio amico. Abbiamo un gruppo whatsapp in cui parliamo di ciclismo. Se non ci fosse la pandemia, Maurizio adesso sarebbe qui. Sono nato nel 1961 a Cesena e sono venuto in Costarica per giocare a calcio. Ho fatto la serie A, poi mi sono rotto una gamba. Ho studiato e sono diventato produttore televisivo e a un certo punto mi sono messo ad andare in bici. Ho vinto un sacco di corse e ho imparato molto. Il mio lavoro è importare macchine agricole, ma per il resto alleno corridori. La nostra squadra si chiama Scott-Shimano, una delle più grandi dell’America Latina…».
Rivera viveva in una casa malmessa ai piedi del vulcano IrazùRivera viveva in una casa malmessa ai piedi del vulcano Irazù
Accento spagnolo
L’accento romagnolo è sparito, sembra piuttosto un sudamericano che si sforza di parlare in italiano. Se la ride e dice che dopo tanto tempo, la pratica della lingua è un esercizio che ha un po’ abbandonato. Nel Paese del Centro America, il Covid va a rilento: le vaccinazioni hanno percentuali pari all’Italia, la media dei casi è di circa 50 al giorno. Il discorso poi vira su Kevin Rivera, su imbeccata di Alberati.
«Fatti raccontare a cuore aperto quando ha incontrato Kevin Rivera lassù sul Cerro de la Muerte. Piero merita tanto. E fatti dire cosa è il Velo di Veronica».
Non serviva altro. Ravaglia ride, la domanda arriva puntuale.
Ci racconti come hai conosciuto Rivera?
Una bella storia, parecchio complessa. Stavo scalando il Cerro de la Muerte, appunto, che si chiama così perché una volta ad arrivare lassù, quasi a 3.500 metri, si moriva. Era una domenica di fine stagione, pioveva e con la coda dell’occhio mi ero accorto già da un po’ di avere qualcuno a ruota. Io acceleravo e lui non si staccava, mi sono girato e ho visto che era un bambino di 12-13 anni. Un bimbo tutto strano…
La Scott-Shimano di Ravaglia fa attività con juniores e U23 fra strada e Mtb
In Costarica l’attività agonistica su strada è complicata da alcune leggi
La Scott-Shimano di Ravaglia fa attività con juniores e U23 fra strada e Mtb
In Costarica l’attività agonistica su strada è complicata da alcune leggi
Che cosa significa tutto strano?
Intanto sapeva chi fossi, ma io non sono famoso. Era piccolino, sembrava avere anche meno anni. Sulla maglietta e i pantaloncini non c’erano parti libere da cuciture. Era tutto rammendato, sembrava Arlecchino. Era tanto lontano da casa, pioveva, non aveva soldi e niente da mangiare. Quindi prima di tutti bisognava pensare alla situazione. Per cui ci siamo riparati, gli ho dato qualcosa da mangiare e poi siamo tornati verso casa.
La conoscenza è andata avanti?
Certo che sì. Da quel giorno ho cominciato a dargli cose per vestirsi. Aveva una vecchia bicicletta, ma va anche bene. Mi sta bene che i bimbi abbiano bici su cui imparare la fatica. E soprattutto ho conosciuto la sua famiglia.
Nelle foto la sua casa sembra parecchio umile…
Kevin viene da un’estrema povertà. Non ha potuto studiare, perché non c’erano i soldi per farlo. Non avevano frigo né televisore. Mangiavano una volta al giorno, il più delle volte era riso. Kevin lavorava. Andava assieme al padre, tagliando le erbacce col machete. La casa era una baracca alle pendici del vulcano Irazù e in quei primi tempi, diedi anche io una mano per metterla a posto. Gli regalai la televisione. Il padre di Kevin è un indio, carattere difficile e orgoglioso. Non c’è un rapporto facile tra padre e figlio, ma il Rivera di oggi è cresciuto tanto. Ora ha una moglie professoressa di inglese e fa discorsi che in quel tempo non sarebbe stato in grado neppure di immaginare.
Con Alberati e Ravaglia, nella sede della Scott-ShimanoCon Alberati e Ravaglia, nella sede della Scott-Shimano
Ci sono altri Rivera nel Paese?
Potenzialmente ce ne sono, effettivamente no. Qui ci sono la stessa popolazione e le stesse montagne della Colombia, dove però ci sono più gare. Qui la legge dice che le gare su strada non si possono fare perché disturbano il traffico. Puoi fare mountain bike, ma non andare su strada.
Cosa fate con la vostra squadra?
Investiamo su juniores e U23. Corriamo in Mtb e nelle internazionali su strada. Tutto quello che si può per mantenersi a galla.
Che cos’è il velo di Veronica di cui parla Alberati?
Il mio amico Paolo… (ride di gusto, ndr). Il velo viene dalla Via Crucis, quando Veronica pulì il volto di Gesù e continuò a usarlo per guarire i feriti. Io ne ho preso spunto. La mia filosofia è che se tutti facciamo qualcosa per gli altri, è come se avessimo in mano il velo di Veronica. Scriverò un libro il cui titolo sarà “Il velo di Veronica” in cui racconterò le situazioni in cui abbiamo cambiato la vita di qualcuno.
Uno dei primi test sostenuti da Rivera in Costarica nel 2017Uno dei primi test sostenuti da Rivera in Costarica nel 2017
Come si sta in Costarica?
Il clima è perfetto, la gente tranquilla, i paesaggi bellissimi, le spiagge stupende. Vivo a San Josè, la capitale. Giri per le strade e incontri i mapache, dei grossi procioni. Ti ritrovi con i boa sul tetto delle case e quando vai a fare benzina, ti ritrovi davanti intere famiglie di scimmie che chiedono cibo.
Tu vivi in Costarica, Rivera vive a San Marino: insolito scambio…
E infatti mi prende in giro parlando delle piadine. Divide la casa con Canaveral, li trattano da principi. Qua Kevin è popolare. Ha aiutato tanta gente facendo delle donazioni, è diventato super riflessivo. Ma ultimamente non rilascia più interviste, perché gli hanno attribuito cose che non ha mai detto. Non ha pretese. Vuole riscattarsi da quello che ha passato alla Bardiani. Adesso è qui, è arrivato dopo il ritiro. La Gazprom sta lavorando bene, dopo tante traversie, era proprio quello di cui ha bisogno.
Giovanni Visconti ci racconta come è cambiato il mondo del ciclismo con l'avvento dei social network. Sembra che a farne le spese siano i corridori, per molti motivi
La differenza fra strada e gravel con il neocampione nazionale, Samuele Zoccarato. Aspetti tecnici e mentali di una specialità bellissima, ma forse non per tutti
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