Nel mondo degli allievi non c’è solo Magagnotti

04.12.2023
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Che stagione è stata quella degli allievi? Qual è lo stato di salute dei più giovani italiani in bici, alle porte della categoria juniores e di un vero salto di qualità nella gestione stessa dell’attività? Trattare l’argomento è sempre delicato. Rischiamo di scivolare nella spasmodica ricerca del risultato a tutti i costi, elevando l’aspetto agonistico oltre il dovuto visto che parliamo ancora di ragazzini. A parte il fatto che l’attività a quel livello deve mantenere ancora un aspetto ludico, c’è da mettere in conto che siamo di fronte a fisici completamente in costruzione. Quindi quel che vale oggi a 15 anni potrà essere completamente stravolto anche solo due-tre anni dopo.

E’ anche vero però che uno sguardo d’insieme si può dare, ma lo facciamo in maniera diversa rispetto ai vari procuratori. Essi ormai guardano verso gli allievi con attenzione sempre crescente, alla ricerca di talenti prematuri. La stagione ha già messo in grande evidenza Alessio Magagnotti: tutti ne hanno parlato (anche noi…) viste le sue imprese in Italia con la conquista della Coppa d’Oro (foto di apertura) in mezzo a oltre 10 affermazioni in totale, ma anche all’estero con la piazza d’onore agli Eyof.

Dietro il talentuoso trentino c’è comunque un movimento davvero valido. Abbiamo analizzato tutti gli ordini d’arrivo della stagione, notando che ci sono ben 523 corridori che hanno centrato almeno una top 10. Un numero enorme, anche abbastanza sparso geograficamente. Fra loro in 15 si sono ripetuti almeno 20 volte, ben 114 ne hanno ottenute almeno 10. Confrontando questo numero con il totale, ci accorgiamo che siamo di fronte a un movimento dove c’è indubbiamente qualità. Bisognerà solamente saper lavorare di cesello negli anni a venire, soprattutto per mantenere alta la passione, la voglia di cimentarsi nel ciclismo su strada e non solo.

Edoardo Augusto Caresia, laureatosi quest’anno campione italiano allievi (foto Italiaciclismo)
Edoardo Augusto Caresia, laureatosi quest’anno campione italiano allievi (foto Italiaciclismo)

Tutti amanti della multidisciplina

Questo è un aspetto importante. Molti di quelli che hanno brillato durante la stagione su strada, li abbiamo già ritrovati nel cross, a battagliare al Giro d’Italia e non solo. Giacomo Serangeli, compagno di squadra alla DP66 di quello Stefano Viezzi che sta riportando in auge il ciclocross italiano all’estero, lo ha degnamente sostituito sul trono rosa, ma fa parte anche di quella ristretta elite con oltre 20 piazzamenti. Lo stesso dicasi per Mattia Agostinacchio, Mattia Proietti Gagliardoni, Francesco Baruzzi. Tutti ragazzi passati di categoria e che vogliono dimostrare nel 2024 di essere in grado di continuare a crescere.

La multidisciplina per questi ragazzi è un principio fondamentale. Lo stesso Viezzi nelle sue interviste ha spesso detto di non voler essere chiamato a scegliere. Più che i ragazzi, saranno forse i dirigenti dei club a doversi adeguare alla nuova cultura e questo sarebbe un bene.

Dopo tanti buoni risultati su strada, Giacomo Serangeli sta emergendo anche da junior nel ciclocross (foto Billiani)
Dopo tanti buoni risultati su strada, Giacomo Serangeli sta emergendo anche da junior nel ciclocross (foto Billiani)

I problemi del Sud Italia

Guardando alla stagione, ci sono anche altri spunti che meritano una riflessione. Parlavamo prima della diffusione geografica, pressoché totale ma è anche vero che continua ad esserci una sproporzione nell’attività fra Nord e Sud. La situazione nel Meridione merita una riflessione: in regioni come Sicilia e Sardegna il calendario è piuttosto ricco. Forse anche oltre le effettive possibilità del movimento regionale, tanto è vero che non di rado capitano gare con meno di 10 arrivati. In altre regioni (Calabria e Basilicata in particolare, ma stupisce anche la Puglia che pure nelle categorie maggiori è più presente) l’attività è davvero carente. Ci sono pochissime occasioni di confronto e questo penalizza la passione di chi vuol crederci davvero in quest’attività.

Un altro aspetto da considerare è quello degli spostamenti, con ragazzini e società del Sud che si spostano spesso verso le regioni centrali e oltre. Possiamo solo immaginare quanto ciò costi in termini economici e di tempo (parliamo sempre di ragazzi fortemente impegnati negli studi). Un esempio balzato agli occhi è quello di Michele Pascarella, ragazzino campano del Team Cesaro. Lo abbiamo visto comparire negli ordini d’arrivo un po’ in tutta Italia, con qualche vittoria a corollario. A parte il talento, non si può negare che ci sia tanta voglia di emergere, pur venendo da una regione che non ha una tradizione così forte e recente.

Michele Pascarella vittorioso al GP Fabbi di Imola. Il campano ha girato tutta Italia per correre (foto Italiaciclismo)
Michele Pascarella vittorioso al GP Fabbi di Imola. Il campano ha girato tutta Italia per correre (foto Italiaciclismo)

Una spalla per Magagnotti

Un altro nome che ricorre negli ordini d’arrivo degli allievi è quello di Melsan Idrizi, corridore che alla cittadinanza italiana unisce quella macedone e che ha militato nel CC Forti e Veloci risultando una splendida spalla per Magagnotti, che seguirà nel 2024 nel primo anno da junior al Team Autozai Petrucci Contri.

Loro, ma non solo loro. Tanti sono infatti i ragazzi che hanno collezionato molteplici vittorie, solo il tempo dirà se riusciranno a confermarsi, ma le stesse probabilità le hanno anche coloro che sono comparsi sporadicamente negli ordini di arrivo. Tutto dipende dalla crescita fisica e dalla passione.

Sara Tola, ragazzina sarda che ha spesso messo in fila i suoi coetanei (foto Nuova Sardegna)
Sara Tola, ragazzina sarda che ha spesso messo in fila i suoi coetanei (foto Nuova Sardegna)

Un nome da tenere a mente c’è…

Un nome però in conclusione vogliamo farlo, perché il fatto che una ragazzina si piazzi più volte in mezzo ai maschi è degno di menzione. Anche perché Sara Tola, la ciclista in questione viene dalla Sardegna, è una realtà in evoluzione. Il suo nome, per le capacità mostrate in un contesto così particolare, merita di essere annotato sul nostro taccuino.

EDITORIALE / Piano a dire che sia solo colpa della Federazione

04.12.2023
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Vi è mai capitato di pensare o sentir dire che gli incroci impazziscono quando a gestirli arrivano i vigili? Difficile dire se sia un fenomeno italiano, ma indubbiamente in alcune situazioni si potrebbe pensare che sia vero. Chi vive quotidianamente le dinamiche di certi snodi, ha trovato col tempo il modo per abbreviare i tempi di attesa e integrarsi con gli altri, creando meccanismi non sempre ortodossi, ma indubbiamente efficaci. Quando arriva chi è preposto ad applicare le norme, il meccanismo va in tilt. Il problema sono davvero i vigili oppure il traffico ha sposato l’anarchia e non riesce a stare nelle regole? Anche nel ciclismo italiano a volte si ha questa sensazione e se prima non si fa un’analisi un po’ più onesta, viene da pensare che puntare il dito contro la Federazione (e i vigili) serva a poco.

Alla base infatti c’è un movimento che rifiuta di prendere coscienza di se stesso e vive aspettandosi che tutto continui al solito modo: semmai spetta ad altri aggiustare le anomalie. Così non si va lontano. Ci si indigna quando i ragazzini fanno valigia e vanno all’estero. Proviamo a guardarla dal loro punto di vista: di cosa hanno bisogno e perché qui non lo trovano?

Il Cycling Team Friuli ha sempre fatto attività internazionale, che ora è aumentata con l’appoggio della Bahrain Victorious (foto Halmagyi Zsolt)
Il Cycling Team Friuli ha sempre fatto attività internazionale, ora anche di più con l’appoggio della Bahrain Victorious (foto Halmagyi Zsolt)

Troppe 13 continental

Cercano prospettive, professionalità, attività di alto livello, sbocchi professionali. Potrebbero trovarli anche qua, a patto che le squadre di casa nostra fossero in grado di garantire standard competitivi. Il 2023 ha visto in Italia 13 continental, ma quante hanno effettivamente proposto attività qualificata (dentro e soprattutto fuori dai confini nazionali), mettendo a disposizione dei loro atleti staff davvero preparati? Forse due, non più di tre.

Quando la FCI spinse per la nascita di queste squadre (conseguenza del dominio straniero al Giro d’Italia U23), probabilmente non si aspettava un’adesione così massiccia. Pensavamo tutti che nel panorama italiano sarebbero salite di livello soltanto le squadre con i mezzi finanziari per affrontare un’attività superiore. Si è capito invece che così non sarebbe stato, quando le stesse continental insorsero davanti all’impossibilità di partecipare alle gare regionali. Avevano pensato e forse ancora pensano che il cambiamento fosse solo di facciata. La colpa di questo non è della Federazione, ma di chi pensa che le norme servano per riempire pagine inutili. Davanti a questa mentalità, i ragazzi partono.

Il Team Colpack ha portato i suoi atleti alla Roubaix Espoirs e ha proposto esperienze qualificate
Il Team Colpack ha portato i suoi atleti alla Roubaix Espoirs e ha proposto esperienze qualificate

Il bullismo delle grandi

E intanto però si è innescato un corto circuito. Se 13 continental vanno a fare la voce grossa nelle gare del calendario nazionale, alle squadre più piccole non resta nulla. Un po’ come quando alla Settimana Coppi e Bartali partono 8 WorldTour e alle professional non rimane che la vittoria di una semitappa in volata.

Si corre per fare esperienza e magari anche per vincere. Obiettivo delle squadre più piccole è lavorare per innalzare il livello dei propri atleti affinché vengano notati da qualche… inquilino dei piani alti. Certamente avere avversari troppo grandi fra i piedi fa sì che venga meno la possibilità di fare esperienze costruttive.

Secondo chi scrive, quindi per opinione puramente personale, alle continental andrebbero riservate le gare del calendario internazionale U23 e quelle professionistiche, in Italia e all’estero, cui si ha la possibilità di partecipare. Allo stesso modo andrebbe ridotta significativamente la quota di WorldTour nelle corse di “classe 1” che dovrebbero essere terreno per professional e continental. Ci dicono che in tal caso parecchi organizzatori valuterebbero di cessare l’attività: in questo la Federazione (nazionale e internazionale) dovrebbe avere un ruolo di tessitura, per rendere omogenei i calendari.

Il giorno dello Stelvio e della vergogna al Giro NextGen
Il giorno dello Stelvio e della vergogna al Giro NextGen

Il giorno dello Stelvio

Fa riflettere sulla fragilità di certi organici il fatto che al Giro di Sicilia (in cui le WorldTour erano 5), a fronte di 59 corridori di continental italiane, 25 si siano ritirati. Qualche anno fa ci colpì la scelta della Mastromarco di non andare al Giro della Valle d’Aosta, avendo solo corridori molto giovani che da quella sfida non avrebbero tratto insegnamento. Questo è il giusto modo di pensare: un atteggiamento costruttivo e responsabile.

Si può dire lo stesso davanti ai 31 corridori squalificati nel giorno dello Stelvio? Un paio di squadre sparite dalla corsa in un solo giorno: 11 corridori di squadre italiane U23, 11 di continental. Il resto, erano stranieri. Sciocchi loro, i corridori, convinti di essere furbi. Ancora peggio però ne sono usciti i loro tecnici, con tutte le distinzioni fra i casi. Non si va al Giro d’Italia solo per mostrare la maglia. Quanto accadde quel giorno ha portato soltanto a multe, sospensioni e punizioni, oppure ha aperto la porta a una riflessione più seria? La Federazione potrebbe forse cavalcarla e approfittarne per ristrutturare il sistema, ma non ne ha colpa. Davanti a quella mentalità e alla superficialità di certe gestioni, i ragazzi partono.

La Mastromarco e le piccole italiane schiacciate dallo strapotere delle continental nelle gare nazionali? (foto Facebook)
La Mastromarco e le piccole italiane schiacciate dallo strapotere delle continental nelle gare nazionali? (foto Facebook)

La corsa all’oro

Su tutto ciò si allunga come un’ombra il lavoro degli agenti dei corridori che hanno vita facile a proporre contratti all’estero. Ciò che dispiace è che la loro opera si sia abbassata nel frattempo anche alla categoria allievi, dove le decisioni andrebbero prese da parte dei genitori e non dei ragazzi, facili da convincere con promesse da Paese dei Balocchi. Parecchi torneranno indietro: non tutti trovano l’oro.

Il partire indiscriminato non è colpa della Federazione, ma delle promesse e dell’inadeguatezza di alcuni team. Sarebbe bello che uno junior scegliesse di correre in una piccola squadra italiana perché capace di offrirgli le basi del mestiere da cui spiccare il volo e non perché costretto a ripiegarvi da un precedente fallimento.

Groenewegen “punta” il Tour e benedice Cavendish

04.12.2023
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TORINO – Guardare avanti per tornare ad alzare le braccia come nel passato. Il Tour de France 2024 è già nei pensieri di Dylan Groenewegen, lo sprinter su cui il Team Jayco-AlUla punterà almeno per altre due stagioni, sperando di rivederlo sfrecciare come ha fatto lo scorso anno, ma non così bene nella stagione che si sta per concludere.

L’ultimo squillo alla Grande Boucle 2022 arrivò nella terza tappa in terra danese e, dando un’occhiata al prossimo percorso giallo, anche stavolta il 3 potrebbe essere il numero perfetto per graffiare l’asfalto, con l’arrivo veloce nel cuore di Torino. Proprio nel capoluogo piemontese, abbiamo incontrato il trentenne olandese, dopo che ha svolto le visite di rito all’Istituto delle Riabilitazioni Riba – Gruppo Cidimu.

Terzo al GP Van Looy, dietro Philipsen e Koioij. Nel 2023 sono venute 4 vittorie
Terzo al GP Van Looy, dietro Philipsen e Koioij. Nel 2023 sono venute 4 vittorie
Qual è il tuo bilancio del 2023?

La stagione nel complesso è andata bene, anche se forse mi sarei aspettato qualche vittoria in più. In particolare, puntavo a una tappa al Tour, che ho sfiorato in più occasioni, ma arrivarci vicino non basta, per cui ci riproverò l’anno prossimo. 

Dunque, la Grande Boucle è un’ossessione per te?

Il Tour de France è l’obiettivo primario, ma prima comincerò con l’AlUla Tour (fino a quest’anno Saudi Tour, ndr), che per ovvie ragioni è una corsa molto importante per la nostra squadra. Voglio essere in forma già dall’inizio, ma poi cercherò di essere al meglio per il 1° luglio.

Chi saranno i tuoi uomini di fiducia?

Di solito, al mio fianco, ho sempre Luka Mezgec. Poi c’è Elmar Reinders che sta facendo un ottimo lavoro, mentre quest’anno non ho potuto contare su Amund Jansen, ma sono sicuro che si è messo sotto per tornare ad andare forte e non vedo l’ora di correre di nuovo con lui, perché sono sicuro che saprà aiutarmi molto in corsa. Prezioso sarà anche l’apporto di Luke Durbridge

Groenewegen durante l’intervista con Alberto Dolfin, autore dell’articolo
Groenewegen durante l’intervista con Alberto Dolfin, autore dell’articolo
Com’è cambiata la vita degli sprinter nei grandi giri rispetto ai tempi di Cipollini in cui i treni dei velocisti la facevano da padroni?

Il ciclismo è in continua evoluzione e ora, invece di avere 6 o 7 persone a disposizione, il velocista ne ha al massimo 3 o 4 che lo possono supportare. Anche nella stagione appena conclusa, la nostra squadra si è divisa 50 e 50 tra chi supportava Simon Yates per la classifica generale e chi me per le tappe. Ma non mi lamento, perché adesso tutti corrono così.

Credi che siano diminuite le opportunità per i velocisti nei grandi giri?

No, non credo, al massimo ci sono tappe più dure o il gruppo accelera sulle salite, per cui rende la corsa più dura. Ogni anno il ciclismo si evolve e, per quanto riguarda gli sprint, all’ultimo Tour, in tanti ci hanno provato, ma l’unico che ha trovato l’equilibrio perfetto è stato Philipsen.

Tornando, invece, un po’ indietro: ci racconti qual è la relazione tra te e Fabio Jakobsen dopo quanto accaduto al Giro di Polonia 2020?

Io e Fabio non siamo mai stati amici e non lo siamo nemmeno adesso. Lui è un grande sprinter e lo considero tale, nulla più. 

La drammatica caduta che stava per costare la vita a Jakobsen al Giro di Polonia
La drammatica caduta che stava per costare la vita a Jakobsen al Giro di Polonia
Ci racconti la tua risalita in sella dopo quanto successo e tutte le critiche ricevute?

E’ stato un periodo molto lungo e duro senza corse, perché prima è arrivato il Covid e poi la squalifica per quanto successo in Polonia. Mi sono allenato e poi tenuto impegnato con la mia famiglia. In tanti mi chiedevano se mi mancassero le corse, ma la realtà è che ero molto preso dalla gravidanza di mia moglie e poi dalla nascita del primogenito Mayson, che peraltro ha avuto anche un po’ fretta di uscire allo scoperto. In quel periodo, lui è stata la mia priorità e il ciclismo è venuto dopo.

Adesso ti senti di nuovo come prima?

Sì, nell’immediato sbagliai ad andare subito al Giro d’Italia, perché non ero ancora pronto dopo tanto tempo fermo. Per fortuna, grazie anche all’addio alla Jumbo e all’approdo in questa squadra, ho ritrovato il divertimento in quello che faccio e mi sono sentito accolto in famiglia

Quando non pedali, ti piace fare qualche altro sport?

Passo molto tempo in palestra. Poi, d’inverno, mi piace andare a correre.

Come sarà sfidare per l’ultima volta Cavendish al Tour 2024?

Potete dire una corsa qualsiasi e quasi sicuramente lui l’ha vinta. Forse è il miglior sprinter di tutti i tempi e sono certo al 100 per cento del fatto che Mark ha le carte in regola per battere il record di Merckx. Avrà bisogno di un pizzico di fortuna, perché ha perso un po’ di spunto veloce rispetto agli anni d’oro, ma non conosco nessuno così scaltro nei finali di tappa. 

Ti vedremo mai in qualche classica?

Abbiamo tanti corridori in squadra che possono vincerle, come Ewan o Bling (Michael Matthews, ndr), mentre io mi sento più sprinter da grandi Giri. 

Quanti tatuaggi hai?

Ne ho tre, ciascuno con un significato ben preciso. Due sul braccio destro, a cui sono molto affezionato: uno è un leone che protegge il suo leoncino, ovvero io con Mayson, che ora ha 3 anni. Mentre l’altro è una donna con un orologio, che rappresenta il tempo e la pazienza che ci ho messo durante la lunga pausa forzata per tornare al mio livello di prima.

Da professional a continental: la storia di Nieri

04.12.2023
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Testa, testa e ancora testa. Ci vuole per vincere, per tenere duro, per allenarsi forte e anche, ma forse sarebbe meglio dire soprattutto, quando le cose si fanno difficili. Quando per esempio si passa da una WorldTour ad una professional. O da una professional ad una continental. Un discorso, quest’ultimo, che abbiamo affrontato con Alessio Nieri. Il toscano è in procinto di passare dalla Green Project-Bardiani-CSF-Faizané alla Work Service-Vitalcare-Dynatek.

Nieri ha finito l’anno col tremendo incidente occorsogli al Giro di Turchia. Era ottobre e Alessio riportò delle fratture, problemi polmonari. Noi stessi raccontammo qui la sua odissea. Oggi, a quasi due mesi, da quella caduta Alessio sta meglio. Ancora non pedala ma il suo fisico è in ripresa.

«Le cose vanno meglio – ha raccontato Nieri – ho provato ad uscire in bici. Ho fatto un’oretta ma mi sono accorto che non era il caso. Sono ancora piuttosto bloccato nella parte del corpo, tra collo e schiena. Ora sto facendo esercizi di palestra, di core zone, vado un giorno sì e uno no dall’osteopata».

Alessio Nieri (classe 2001) durante i suoi esercizi dopo la caduta avvenuta il 13 ottobre scorso in Turchia
Alessio Nieri (classe 2001) durante i suoi esercizi dopo la caduta avvenuta il 13 ottobre scorso in Turchia
Alessio, partiamo dal cambio di squadra: come sei arrivato alla Work Service?

Loro mi avevano già contattato ad inizio settembre, ma io ancora non sapevo se la Green Project-Bardiani mi avrebbe tenuto o meno. Quando poi mi hanno detto che non mi rinnovavano, mi è sembrato giusto farmi risentire da loro. Conosco Mistichelli e Iommi da tempo, la loro squadra fa un buon calendario. Come dovrebbe fare una vera continental.

Quando pensi di tornare in bici?

Ormai credo dopo le Feste. Come detto per ora mi sto concentrando sul pieno recupero fisico e posturale.

Andrea Bardelli, uno dei tuoi futuri diesse, ha detto che alcuni corridori sono all’ultima spiaggia e quindi in cerca di riscatto. E’ così? 

Bardelli magari è stato un po’ crudo, ma ha detto il vero. Ci aspetta un anno importante, penso anche a Rastelli, che era con me in Green Project-Bardiani. Cercherò di dare tutto, di fare il massimo per tornare su di categoria. Correre con gli elite-under 23 è un sacrifico grande per noi che abbiamo 23-24 anni e veniamo dai pro’.

Al Tour of Qinghai Lake, Nieri ha vinto la classifica degli scalatori (foto organizzatori)
Al Tour of Qinghai Lake, Nieri ha vinto la classifica degli scalatori (foto organizzatori)
Come si affronta una stagione in questo modo?

Facendo il corridore a 360 gradi, non puoi pensare di andare a lavorare o altro. E questo vale soprattutto per noi che “torniamo giù”. L’imperativo è provare a riscattarsi.

E’ più una spada di Damocle o uno stimolo?

Per me è uno stimolo. Mi ritrovo in una categoria in cui ho già corso. La maggior parte delle gare che faremo saranno elite-under 23 e questo sarà anche un modo per confrontarsi, per capire se e quanto questi due anni tra i pro’ abbiano lasciato dei benefici. E ci si renderà conto se davvero ci sono le possibilità per tornare su tra i professionisti oppure no.

Questi due anni due cosa ti hanno lasciato?

Sicuramente una buona dose di esperienza. Correre con i pro’ è un’altra cosa, soprattutto per i chilometraggi. Ho fatto più corse a tappe in queste due stagioni anni, che nel resto della mia precedente carriera. E questo ti cambia il fisico, il motore.

Ma non sarà semplice comunque, Alessio. Oltre a vedere i numeri, spesso assistiamo dal vivo alle corse degli U23: ritmi e prestazioni non sono affatto banali. Non sarà solo una questione di gambe. Bisognerà essere pronti anche mentalmente.

No, no… altroché facile! Vanno forte. Quel che cambia è la gestione della corsa. Un conto è confrontarsi con i professionisti, con 7-8 WorldTour, come accadeva nelle professional, e un conto con i dilettanti. Le gare sono schematiche. Di qua più garibaldine.

Nieri correva nella fila della Mastromarco. Già durante il Giro U23 del 2021 Franceschi esaltò le sue doti di scalatore (foto Simona Bernardini)
Nieri correva nella fila della Mastromarco. Già durante il Giro U23 del 2021 Franceschi esaltò le sue doti di scalatore (foto Simona Bernardini)
Chiaro, tra i pro’ tutto è più gestito, ci sono ruoli e compiti specifici. Mentalmente sei pronto a questo approccio garibaldino?

Io credo di sì. Poi una certa mentalità ti torna correndo, passando del tempo con i ragazzi e parlandoci. Credo sia qualcosa che riemerge automaticamente, che fa parte del Dna del corridore.

Hai parlato dei professionisti in terza persona, significa che tu non ti senti più un pro’?

Per come la vedo io chi corre nelle continental è un pro’ a metà. E non è facile dare una definizione precisa. Sei un pro’, ma ti confronti con i dilettanti. Spesso sento dire che essendo in una continental ci si definisce un pro’, ma poi si vuol passare nelle professional o nelle WorldTour. Una continental è una grande opportunità, ma è un punto di passaggio e non di arrivo.

Il fatto che tu sei uno scalatore, anche piuttosto puro, complica le cose per una risalita?

Un po’ sì. Ma di base devi andare forte. Certo, lo scalatore ha meno occasioni di mettersi in luce. Anche perché poi le salite più lunghe si trovano nelle corse più importanti dove ci sono anche le WT o le professional. Io ho in mente Colnaghi, uomo veloce che va fortissimo, ma quando c’erano i grandi doveva accontentarsi dei quarti o quinti posti.

Cross del Nord e percorsi italiani: modelli prestativi differenti?

03.12.2023
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I fettucciati italiani e i percorsi del cross in Belgio: una differenza abissale. Senza entrare nel merito di queste differenze e del problema tecnico che ne deriva, ci siamo interrogati sui modelli prestativi che nascono da tracciati tanto differenti. 

In un percorso come quello di Follonica, per fare un esempio, un crossista sta al massimo per 15”-20” consecutivi, cioè tra una curva e l’altra. A Niel, in Belgio, abbiamo visto tratti pedalati che superavano il minuto. Va da sé che s’innesca un processo metabolico differente. E’ come dire: «Faccio atletica», ma un conto è fare i 110 ostacoli e un conto i 400 metri piani.

Fabrizio Tacchino è uno dei coach del centro studi della Federciclismo e della Fitri
Fabrizio Tacchino è uno dei coach del centro studi della Federciclismo e della Fitri

Motori in ballo

In questo quadro, come abitudine di bici.PRO, abbiamo coinvolto un esperto, il preparatore Fabrizio Tacchino, formatore dei diesse italiani della Fci e della Federazione di Triathlon, ma anche preparatore di giovani crossisti.

«In Belgio – spiega Tacchino – la tradizione è diversa e alcuni circuiti sono storici e identificativi, quasi come quelli della Formula 1. E magari un percorso è più adatto ad un certo tipo di atleta e meno ad un altro. 

«In più quelli sono circuiti pensati principalmente per gli elite, mentre da noi sono realizzati anche per attirare più gente. E così sullo stesso tracciato devono correre dai G6 agli elite».

Riguardo ai modelli prestatitivi entrano in ballo i motori degli atleti. Sui percorsi più aperti e anche più larghi del Nord, chi ha una grossa cilindrata in qualche modo riesce ad emergere, al netto della tecnica chiaramente. E parliamo di cilindrate così grandi che nel cross italiano, in questo momento non ci sono. 

Tacchino parla di un motore alla Ganna, per fare un esempio. «In tempi recenti c’è stato Trentin che ha provato a fare un po’ di cross. Adesso abbiamo Colnaghi, che ci sta provando. Ma lui lo fa soprattutto per una questione di allenamento, non è dunque uno specialista. Nel cross si lavora sulle alte intensità, molto utili per quando ricomincia la stagione su strada».

Il percorso di Follonica, tappa del Giro d’Italia ciclocross: la differenza visiva è netta rispetto ad un cross del Nord
Il percorso di Follonica, tappa del Giro d’Italia ciclocross: la differenza visiva è netta rispetto ad un cross del Nord

Fibre rosse, fibre bianche

Dicevamo all’inizio dei modelli prestativi. Un conto è spingere per 15” un conto per un minuto, il tutto su uno sforzo costante che è l’ora di gara. Se analizzassimo il file di un ciclocrossita in un percorso italiano e in uno del Nord, di certo vedremo tanti più picchi in quello italiano. Frutto di tante ripartenze e frenate, in corrispondenza di curve, molto spesso a gomito, e rilanci.

«Specie nei tracciati italiani – riprende Tacchino – ci sono azioni corte di 20”-30” che anche se potenti non sono massimali: la maggior parte arriva a picchi di 600-700 watt. Se si pensa alla potenza e alla cadenza che sviluppa un velocista durante uno sprint, sono dati piuttosto normali».

«Quel che serve è anche l’esplosività. Questa si nota soprattutto nelle categorie giovanili: vedi subito se un corridore è scalatore o meno. Certi sforzi per lui sono poco adatti o meglio gli riescono meno naturali, in quanto ha fibre muscolari più resistenti, ma meno rapide. E il discorso è molto chiaro se si ragiona in modo inverso, cioè immaginare i crossisti puri su strada».

E in effetti i crossisti puri, anche i migliori del Belgio, su strada non emergono. Le loro fibre saranno esplosive, ma non rendono altrettanto dopo molte ore. Mentre il contrario può avvenire. Il pensiero va immediatamente a Van der Poel e Van Aert.  

Van Aert e Van Der Poel (entrambi in foto) ma anche Pidcock sono tra i pochissimi che emergono sia su strada che nel cross
Van Aert e Van Der Poel (entrambi in foto) ma anche Pidcock sono tra i pochissimi che emergono sia su strada che nel cross

Questione metabolica

Tra lo spingere un minuto di seguito e una manciata di secondi, varia anche il consumo degli zuccheri.

«Ci sono studi interessanti – dice Tacchino – sull’immagazzinamento dei carboidrati riguardo agli sforzi intensi. Ci si è accorti che anche negli sforzi brevi e intensi c’è bisogno di tanti carbo. E infatti si stanno sviluppando integratori che forniscono maggiore energia ai muscoli. Prima c’erano le caramelle gommose, che davano zucchero senza creare problemi intestinali, adesso i prodotti sono più complessi».

Noi stessi abbiamo visto dedicare parecchia attenzione alla fase di carico dei carbo nel pre gara e anche nel post gara, specie se il giorno dopo c’è un secondo un cross. La questione dei carbo è centrale anche in questa disciplina. Anzi, forse per certi aspetti lo è anche di più, vista la durata dell’evento e le intensità. In un’ora si brucia solo la benzina migliore, cioè quella dei carboidrati appunto.

Il percorso di Niel prevedeva lunghi tratti pedalati
Il percorso di Niel prevedeva lunghi tratti pedalati

Il focus sui dati

C’è infine la questione della preparazione vera e propria. Preparare un cross italiano e uno belga comporta delle differenze. Il coach fa lavorare di più su ripetute di 15” in Italia e più lunghe all’estero? La questione non è semplice, né univoca. Il concetto di base è “un’ora a tutta”.

«Non si fa un allenamento del tutto specifico per questo o per quel cross – conclude Tacchino – ma è chiaro che si vanno a vedere le caratteristiche del circuito. Lo facciamo anche nel triathlon. Nel cross più che sui battiti, la cui risposta è un po’ ritardata, si usano molto i watt».

«Oggi in parecchi iniziano ad avere il potenziometro anche nel ciclocross. E analizzando il file della gara, emergono dati interessanti, specie nei primi 5′-6′, quando si produce tanto lattato e ancora non lo si smaltisce. Lì si decide molto della gara. Poi ognuno prende il suo ritmo e ogni atleta basa la sua competizione, anche a livello tattico».

Passata la “buriana” del via, anche metabolicamente i valori tendono ad appiattirsi. Magari c’è qualcuno che nelle posizioni di vertice, è motivato a tenere duro. Ma per il resto si viaggia “regolari”, termine da prendere con le pinze in una gara di cross.

«Spesso i tecnici a bordo circuito analizzano anche le frazioni del giro, per capire dove e perché quell’atleta perde in quel punto. Perde perché ha lacune tecniche? Perché non ha gambe? Perché non è abbastanza forte nei rilanci?». 

Viviani: tappa negli USA prima della ripartenza dall’Australia

03.12.2023
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Elia Viviani è in viaggio verso Milano, oggi (giovedì per chi legge) ha degli appuntamenti che cascano proprio in una di quelle giornate uggiose d’autunno, dove la luce non passa dalle spesse nuvole grigie. Niente a che vedere con le soleggiate giornate vissute negli Stati Uniti, tra Las Vegas e Los Angeles

«Prima ho un evento di Garmin – racconta dalla macchina – e poi sono ospite in una trasmissione radio. Sono partito presto, verso le 8 e anche a Monaco c’era brutto tempo, quindi questi impegni cascano bene (dice scherzando, ndr)».

Elia Viviani ha chiuso la stagione vincendo una tappa al Tour of Guangxi
Elia Viviani ha chiuso la stagione vincendo una tappa al Tour of Guangxi

Poche vacanze

La stagione del velocista della Ineos è finita tardi, ad ottobre inoltrato con il Tour of Guangxi, dove ha conquistato la vittoria nella prima tappa. Una volta rientrato è stato il tempo di mettersi l’abito, c’erano un po’ di matrimoni ai quali non si poteva mancare.

«Prima quello di Simone Consonni con Alice – dice – poi quello tra Elisa e Jacopo (Longo Borghini e Mosca, ndr). Ci siamo divertiti un sacco, ma Elena (Cecchini, ndr) ed io non siamo riusciti a fare una vera e propria vacanza. Siamo andati una sola settimana a Sharm El Sheik e niente più. Considerando che io inizio la stagione in Australia a gennaio, il tempo a disposizione era davvero poco. In più sempre in Australia dal 2 al 4 febbraio c’è una tappa di Coppa del mondo su pista. E’ stata una mia decisione quella di finire tardi e iniziare presto, con l’avanzare degli anni ho visto che è meglio non staccare troppo, due settimane sono perfette».

Ti abbiamo visto pedalare insieme a Elena negli Stati Uniti, ma prima eravate al Gran Premio di Formula Uno a Las Vegas…

Sì, diciamo che abbiamo unito l’utile al dilettevole. C’era questa possibilità di andare a vedere il Gran Premio a Las Vegas, una volta concretizzata abbiamo deciso di portarci dietro anche le bici per allenarci. Ero ancora in quel periodo di preparazione dove non si fanno lavori specifici, ma tante ore a bassa intensità. 

Che esperienza è stata quella del mondo della Formula Uno?

Non eravamo mai stati a vedere una gara, nonostante abitiamo a Monaco. E’ nata questa occasione grazie a degli amici che lavorano in questo mondo e abbiamo colto la palla al balzo. Sia Elena che io conosciamo il fisioterapista di Fernando Alonso, Fabrizio Borra, e anche Stefano Domenicali, capo della Formula Uno, che ringraziamo dell’esperienza. C’è stato tanto spazio per lo sport, ma altrettanto per lo spettacolo. Las Vegas era piena di personaggi famosi come Rihanna e David Beckham. Tra qualifiche e gare, gli spettacoli erano continui. Concerti, fuochi d’artificio e tutto il resto…

Due giorni di immersione totale?

Assolutamente, siamo stati anche nel box dell’Alfa Romeo grazie a Tiffany Cromwell che è stata compagna di squadra di Elena ed è la fidanzata del pilota Valtteri Bottas. Abbiamo vissuto le qualifiche da dentro, con le cuffie, respirando l’atmosfera della pista. Qualche meccanico mi ha anche riconosciuto ed ha voluto fare delle foto con me.

Nel ciclismo mai visto una cosa simile?

Un evento che si avvicina tanto a quello che abbiamo vissuto a Las Vegas è la Sei Giorni di Gand, dove oltre alla corsa il pubblico vive tanti momenti diversi. Su strada, probabilmente, vi direi il Giro delle Fiandre. Anche in quel caso la corsa passa più volte sulle stesse strade e l’organizzazione mette in piedi delle hospitality incredibili. E nell’ora di attesa della corsa vanno in scena spettacoli e tanto altro. 

Viviani e Cecchini hanno approfittato per pedalare su strade nuove: quelle intorno a Los Angeles
Viviani e Cecchini hanno approfittato per pedalare su strade nuove: quelle intorno a Los Angeles
Finita la gara avete attaccato una settimana di pedalate, com’è stato?

Bellissimo, davvero. Ci siamo spostati a Los Angeles, dove nel 2013 ero stato con la Cannondale per una presentazione del team. In più alcuni miei compagni di squadra vanno spesso lì durante le vacanze, infatti abbiamo incontrato Thomas ed abbiamo pedalato insieme. I percorsi sono incredibilmente belli, la ciclabile di Venice Beach è da cartolina. Poi bastava spostarsi verso l’interno e non c’era nemmeno traffico. Elena ed io ci siamo ripromessi di fare due settimane a pedalare da quelle parti.

Gli allenamenti come procedono?

Bene, da settimana scorsa ho cambiato passo. Il primo periodo, da inizio novembre al 20, ho fatto un aumento progressivo di ore con intensità basse. Anche in America ho aggiunto qualche salita alle uscite, ma fatta in maniera blanda. Dal 20 novembre al 4 dicembre, data in cui partirò per il ritiro, ho aumentato il ritmo ma non troppo. Ho tre blocchi di lavoro che mi serviranno per cambiare marcia.

Cecchini e Viviani a ruota di Thomas alla scoperta delle strade intorno a Los Angeles
Cecchini e Viviani a ruota di Thomas alla scoperta delle strade intorno a Los Angeles
Nello stesso periodo c’è stato il ritiro a Noto della nazionale di pista, tu e Villa vi eravate confrontati su una tua possibile assenza?

Al ritiro di Noto non era presente nessuno dei corridori principali, era un ritrovo per gettare le basi della strada, riservato in particolare alle donne, ai ragazzi U23 e quelli che militano nelle continental. Anche nei ritiri di dicembre noi corridori dei team WT passeremo più tempo con le squadre. Il primo ritrovo dove siamo chiamati tutti ad essere presenti è quello prima di Natale, dal 20 al 23 dicembre. In quel caso Villa non ammetterà assenze.

Giro archiviato, ma Scotti è già un passo avanti

03.12.2023
5 min
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Neanche il tempo di festeggiare la chiusura del Giro d’Italia che Fausto Scotti si è rimesso subito all’opera, per la prima delle due tappe del Giro delle Regioni. L’evento di Gallipoli di oggi ha una valenza particolare, ospitando anche la nazionale italiana di Daniele Pontoni (suo successore alla guida tecnica del ciclocross italiano) presente in Puglia per uno stage.

D’altro canto la mente di Scotti è sempre in movimento e i programmi si susseguono a ritmo enorme: «Se vedeste la mia scrivania… Il bello è che anche subito dopo la chiusura del circuito mi arrivano richieste per ospitare tappe del Giro».

Fausto Scotti, da sempre a capo del Giro d’Italia Ciclocross, ora si lancia in una nuova avventura
Fausto Scotti, da sempre a capo del Giro d’Italia Ciclocross, ora si lancia in una nuova avventura
Come giudichi quest’edizione del Giro?

Non posso che essere soddisfatto, i numeri ci hanno ancora una volta premiato. Molti mi chiedono quale sia il segreto della nostra challenge: io credo che sia nella professionalità nostra e dei vari comitati locali. Noi cerchiamo di offrire un circuito diversificato, che propone a ogni tappa di volta in volta un percorso pedalabile o uno più impegnativo. Ora dobbiamo già ragionare sulla prossima edizione: le località che hanno ospitato le 6 tappe hanno chiesto la riconferma, ma ce ne sono anche altre 13 che hanno fatto richiesta…

Il fatto che il Giro si esaurisca nei primi due mesi rappresenta un problema?

Di per sé no, ma allargando il numero di prove dovremo trovare altri spazi. La Federazione autorizza challenge fino a 6 gare, ma noi faremo richiesta per averne 8. Vogliamo provare a dare risposte alle società, agli sponsor e a tutti coloro che investono in questo movimento e che non possono essere trascurati. Il problema però è più profondo…

La rassegna rosa ha offerto tracciati molto diversi fra loro, alcuni più tecnici, altri molto semplici (foto organizzatori)
La rassegna rosa ha offerto tracciati molto diversi fra loro, alcuni più tecnici, altri molto semplici (foto organizzatori)
In che senso?

Nel calendario ci sono 55 gare nazionali. Dopo il Covid non si è più tornati indietro: chiunque fa richiesta, la vede accettata. Ma quante di queste gare hanno davvero i titoli per essere nel calendario nazionale? Vogliamo parlare di sicurezza? Dalle società mi arrivano testimonianze assurde, di gare che hanno pochi numeri (ma questo sarebbe il meno), nessuna cura dei percorsi, né dei servizi. Bisogna mettersi in testa che per allestire una gara di livello bisogna investire. Non puoi pensare di avere meno di 250-300 metri di transenne nella zona di arrivo. Poi servono almeno 10 postazioni per i box, messi in sequenza e lunghi dai 15 ai 30 metri. E così via, altri dettagli. Bisogna offrire qualità. A San Colombano c’era un giudice svizzero che organizza gare nazionali nel suo Paese, ci ha invitato da lui per portare la nostra professionalità…

Nel corso della challenge, non tutti hanno realmente seguito l’evolversi del circuito, gareggiando in qualche prova e basta. Questo non intacca il suo valore?

Io non credo, perché noi guardiamo innanzitutto ai numeri e questi ci hanno premiato con centinaia di concorrenti a ogni tappa. Il problema degli elementi di spicco che non lottano per la classifica ha molteplici ragioni. Intanto dopo la prima metà del circuito si sa già chi potrà competere per la vittoria e quindi c’è chi va a cercare gloria altrove. Poi il nostro circuito fatalmente si va ad accavallare con gare internazionali, con le prove di Coppa. Vedi Viezzi, che ha vinto le prime due tappe e poi si è dedicato con grande profitto al massimo circuito mondiale.

Luca Paletti è stato uno dei pochi pro’ che ha affrontato la challenge con continuità (foto organizzatori)
Luca Paletti è stato uno dei pochi pro’ che ha affrontato la challenge con continuità (foto organizzatori)
Le sei tappe saranno quindi confermate?

L’orientamento è sicuramente quello. Tarvisio è stata una rivelazione, certamente lontana geograficamente e onerosa, ma ha offerto un’inaugurazione di primissimo livello. Inoltre l’accoppiata con Osoppo è davvero quanto di meglio si possa avere a inizio stagione. Corridonia ha proposto un percorso veloce e tecnico, ora ci hanno chiesto per il 2024 di poter ospitare la tappa finale. Follonica è ormai una classica, un percorso unico che può essere seguito con lo sguardo nella sua interezza, credo anzi che ci si possa davvero investire sopra per un grande evento. Cantoira ha molto da offrire, soprattutto nella formula nuova che abbiamo congeniato quest’anno togliendo in due drittoni in salita. San Colombano è stata la degna chiusura: una gara rivoluzionata che ha stupito tutti.

E ora si è già ripartiti…

Con il Giro delle Regioni volevamo raccogliere un po’ delle richieste messe da parte nella costruzione del Giro d’Italia, ma non ci sono spazi nel calendario, quindi abbiamo proposto due tappe, quella pugliese e Roma a inizio gennaio. Il nostro progetto però va oltre, è molto ambizioso. Noi vogliamo allestire una gara in almeno 6 regioni, invitando i Comitati regionali e offrendo loro un contributo dai 500 ai 1.000 euro con un montepremi di almeno 20 mila euro. Dovrebbe essere uno stimolo per le categorie giovanili e l’attività locale, ma dobbiamo trovare spazi.

Francesca Baroni, vincitrice della prima tappa a Tarvisio. Poi si è orientata verso le gare estere (foto Billiani)
Francesca Baroni, vincitrice della prima tappa a Tarvisio. Poi si è orientata verso le gare estere (foto Billiani)
Il Giro delle Regioni è al secondo anno, ma anche questa quindi è un’edizione sperimentale.

Per quest’anno abbiamo ricalcato la formula del Giro d’Italia, ma il progetto come detto va molto oltre ed è focalizzato sulle categorie giovanili, infatti inseriremo anche i più piccoli oltre alle categorie per disabili mentali. Possiamo fare tanto, ma la Federazione deve sostenerci non tanto economicamente, quanto dandoci libertà di movimento e mostrando attenzione nella compilazione del calendario. Mi permetto di dare un suggerimento: servirebbe un delegato tecnico con competenza sui percorsi, che li ispezioni con anticipo e consigli le migliorie necessarie. Far crescere il movimento passa da queste decisioni…

Prime pedalate, dieta e progetti: il diario di Masnada

03.12.2023
8 min
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«Abbigliamento invernale – scrive Masnada – gambe indolenzite, battiti alle stelle, sensazioni di ipoglicemia dopo una sola ora di allenamento, salite di 2 chilometri che sembrano infinite: ecco il riassunto delle prime uscite su strada. Sono il solo?».

Con queste parole il bergamasco ha salutato i suoi follower su Instagram alla ripresa degli allenamenti. Fausto viene da due anni storti, fra il Covid e soprattutto i problemi al soprasella, risolti con un intervento chirurgico, che lo hanno costretto a rinunciare prima ancora di averci provato. Per cui se da un lato c’è da aspettarsi che abbia voglia di spaccare il mondo, dall’altro vederlo alle prese con i disagi di chiunque rimonti in bici dopo un lungo periodo senza allenarsi lo rende molto umano. E questo fa crescere la voglia di approfondire il discorso. 

Dopo il Giro di Ungheria di metà maggio, Masnada è tornato in gara a Plouay a inizio settembre
Dopo il Giro di Ungheria di metà maggio, Masnada è tornato in gara a Plouay a inizio settembre

I problemi alle spalle

Il rientro in gruppo dopo tre mesi senza corse, da maggio a settembre, gli ha fatto capire che quei problemi sono alle spalle. Per cui ora, avendo cura che tutto sia a posto, dal fondello alla posizione in sella, la preparazione è ripresa con la giusta gradualità. Ma è vero dunque che anche i professionisti soffrono?

«Quando si riprende – sorride – le sensazioni sicuramente sono di fatica. Alla fine sono stato fermo più o meno 24 giorni e il corpo dimentica subito che sei un atleta di alto livello. Dopo due, tre settimane ti sembra veramente di ripartire da zero. E allora te lo dici anche. “A fine stagione ero in uno stato di condizione super e bastano tre settimane per ritrovarsi a fare una fatica così assurda?”. Però, già dopo 15 giorni si riprende a pedalare discretamente, anche se il lavoro per ritornare a una condizione ottimale è davvero lungo».

Non c’è niente di meglio di un caffè prima di partire: alla ripresa, l’alimentazione cambia (foto Instagram)
Non c’è niente di meglio di un caffè prima di partire: alla ripresa, l’alimentazione cambia (foto Instagram)
Qual è la sensazione più negativa?

Proprio quella di salire in bicicletta, tornare alla posizione classica e pensare che non sia la tua. Non ho toccato niente nelle misure, è come l’ho lasciata, ma quando ci sono salito non sembrava la solita bici. Non ero comodo. Sembra quasi che non sei più capace di guidarla. Sembra che qualcuno abbia toccato l’altezza della sella e del manubrio. Sembra tutto sfasato. In realtà è questione di abitudine, di come il corpo si adatta a ogni cambiamento. Però la sensazione più brutta è proprio questa.

E poi c’è l’aspetto psicologico? Il cervello ricorda come facevi certe salite, ma le gambe non ce la fanno…

Sì, assolutamente. Sono coinvolte tutte le sensazioni. I battiti sono alti. Ti sembra di non andare avanti. Fai fatica sulle salite che solitamente usi per fare riscaldamento e di colpo ti sembrano impegnative. Proprio capisci di non essere in condizione e di essere ripartito da una fase zero. E sai che devi far fatica.

Cosa dice la bilancia?

Difficilmente d’inverno mantengo il peso che ho a fine stagione. Quest’anno dopo l’ultima corsa ero molto magro, per cui diciamo che 3 chili e mezzo li ho messi tutti. Ma per perderli il cammino sarà lungo, questo è un passaggio molto importante.

Ventesimo al Lombardia, nel finale di stagione Masnada aveva ritrovato una buona condizione
Ventesimo al Lombardia, nel finale di stagione Masnada aveva ritrovato una buona condizione
E’ bene che il ritorno al peso forma sia un processo lungo?

Sì, perché se perdi 3 chili e mezzo in due settimane, vuol dire che hai fatto qualcosa di non sano e salutare. In questa fase si lavora sulla forza, si sta in palestra e si gettano le basi, per cui è giusto mangiare normalmente. E’ giusto allenarsi bene, fare delle tabelle di lavoro in cui aumenti gradualmente i carichi di lavoro. Allo stesso tempo, allenandoti cala anche il peso. Alla fine si ingrassa perché dal bruciare 3-4.000 calorie al giorno, si sta in spiaggia per tutto il giorno e se ne bruciano 2.000. E poi si mangia peggio, anche come genuinità dei cibi.

Per cui il dimagrimento deve essere integrato con il ritorno della condizione?

Non sono le tre settimane che influenzano una stagione. Più che altro è importante come mangi da quando ricominci. La strategia attraverso cui perdi peso è molto mirata e calcolata anche nei tempi, con il supporto del dietologo della squadra. Lui conosce il nostro storico, conosce i nostri dati e ci imposta la dieta. Può anche succedere che nel primo mese non si perde neanche un chilo, però si pareggiano le calorie assunte con quelle bruciate, mantenendo lo stesso peso.

E quando si svolta davvero?

Quando si valuta che si è fatto un mese in cui abbiamo lavorato parecchio sulla forza in palestra, non allenandosi per 30 ore a settimana, perché siamo ancora nella fase iniziale. Concluso questo periodo, si cambia marcia e magari iniziamo a togliere 3-400 kilocalorie al giorno, per arrivare alla prima gara che abbiamo già perso un chilo e mezzo. Sarà necessario aver eliminato i chili di troppo per l’appuntamento più importante. La questione del perdere peso è diventata molto studiata e mirata.

L’ultima gara 2023 è stata la Japan Cup, insieme ad Alaphilippe e Knox, chiusa al 14° posto
L’ultima gara 2023 è stata la Japan Cup, insieme ad Alaphilippe, chiusa al 14° posto
Nel momento in cui risali in bicicletta, c’è anche una svolta nell’alimentazione?

E’ il momento in cui comincio a dare più importanza alla qualità del cibo. Nella prima fase non sono uno che già pesa gli alimenti o guarda le quantità. Comunque inizio una dieta sana ed equilibrata. So per esperienza a quante calorie corrispondano più o meno le porzioni, ma sono ancora nella fase di ripresa dal periodo delle vacanze. Per cui ho ricominciato a mangiare sano e in base agli allenamenti che faccio. Quando poi mancherà un mese alla prima corsa oppure inizierò ad allenarmi molto di più, allora anche l’alimentazione diventerà più precisa.

C’è qualche alimento che comunque alla ripresa va eliminato?

I fritti. In vacanza capita di mangiare le patatine o piatti diversi dal solito. Il dolce ancora lo tengo, magari per il giorno in cui faccio tanto allenamento. Però le cose più elaborate e grasse cerco di eliminarle.

In queste settimane che portano al primo ritiro si cerca una condizione che permetta di reggere il lavoro tutti insieme?

Il ritiro non è una gara. Per quanto mi riguarda, sarà importante arrivare pronto alla prima gara. Il ritiro di dicembre è un avvicinamento, ma comunque molto dipende dai programmi. Noi arriveremo in Spagna e avremo i primi tre giorni per fare le foto e le varie attività per gli sponsor e la squadra. Solo successivamente inizieremo ad allenarci, però essendo consapevoli che siamo a dicembre e non siamo ancora a un mese dalle corse.

Masnada ha sempre fatto parte del gruppo Evenepoel, ma il suo avvio di 2024 sarà diverso (foto Instagram)
Masnada ha sempre fatto parte del gruppo Evenepoel, ma il suo avvio di 2024 sarà diverso (foto Instagram)
Quindi come si lavora?

Ci alleniamo comunque, facciamo le nostre 3-4 ore. Andiamo in palestra. Lavoriamo gradualmente, seguendo un piano. Non c’è più la moda di andare in ritiro e fare 30 ore a settimana. Siamo a dicembre, non avrebbe senso. Bisogna pianificare il lavoro. Ma è chiaro che nessuno arriva al ritiro senza allenamento, perché tutti hanno ricominciato la preparazione. Tutti stanno seguendo a casa le proprie tabelle, però non c’è assolutamente nessuna sfida. Si farà il primo test, ma è un test che serve per avere dei parametri su cui allenarsi dal primo mese e fino al ritiro di gennaio. Sono solo valutazioni dello stato attuale di condizione, sapendo che c’è tutto il tempo per lavorare e arrivare alle corse con una buona forma.

A dicembre si guarda anche la posizione in sella, per poi non toccarla più?

La squadra ci dà la libertà di andare dal proprio biomeccanico, io avrò un check definitivo settimana prossima. Così porterò le misure in ritiro e i meccanici potranno iniziare a preparare le bici per la prossima stagione. Mi appoggio ancora a Vedovati, che mi conosce da sempre e gli lascio fare l’ultima verifica, però lavoro con il Centro Salute Integrata. Lo ha aperto da poco il mio osteopata di sempre, che collabora con un biomeccanico di Terni, che viene su a Bergamo proprio per farci il posizionamento in bicicletta. Hanno sistemi avanzati. Ad esempio la videoanalisi e un macchinario che misura la pressione in sella in base ai vari spostamenti e alle misure del bacino, permettendo di modificare dettagli minimi che possono fare la differenza in un’attività di endurance come la nostra.

Con la squadra avete già fatto un team building in Belgio, come è andata?

C’era una bella atmosfera, nonostante 11 ragazzi abbiano cambiato squadra. E’ arrivato un bel gruppo di 5-6 giovani, molto svegli e molto simpatici, con cui abbiamo legato subito. Abbiamo fatto una giornata solo tra noi corridori, in cui lo psicologo ci aveva assegnato delle prove da compiere. In una di queste, dovevamo arrivare a Ostenda con il treno, senza la possibilità di utilizzare i telefoni ed effettuando alcune sfide lungo il percorso. Un team building vero e proprio e secondo me è stato molto bello perché abbiamo parlato direttamente con le persone, senza essere distratti dal telefono. E’ stata una cosa molto intelligente.

Nel mini ritiro di novembre in Belgio, Masnada ha avuto modo di legare con Moscon (foto Instagram)
Nel mini ritiro di novembre in Belgio, Masnada ha avuto modo di legare con Moscon (foto Instagram)
Come hai visto Moscon?

Veramente motivato. Alla fine ho passato più tempo con lui che con gli altri, perché essendo italiano c’è sempre più affiatamento. Una sera siamo rimasti con Cattaneo, Bramati e lui a chiacchierare dopo cena ed è stato bello, perché Gianni è una bella persona, alla fine è un buono. Si era un po’ perso per una serie di motivazioni, però è un atleta di talento, quello che ha vinto non l’ha inventato. Il motore ce l’ha e i numeri li ha. Secondo me servirà dargli un po’ di fiducia e che lui torni a credere in se stesso. Mi ha fatto una bella impressione e anche lui è tornato a casa contentissimo.

Invece che cosa vogliamo per Fausto Masnada dal 2024?

Sicuramente che torni a fare una stagione ad alti livelli da febbraio fino a ottobre. Non voglio più avere problemi di salute, vorrei semplicemente riuscire a fare il mio lavoro senza nessun inghippo. Quando riesco a lavorare bene, i risultati arrivano e l’ho sempre dimostrato. Vengo da due stagioni veramente catastrofiche ed era difficile trovare sempre una giustificazione, però davvero non stavo bene. Credo che avrò un calendario leggermente diverso da Remco, soprattutto nei primi mesi della stagione. Se poi mi schiereranno al Tour per aiutarlo nel suo grande obiettivo di stagione, sarò super contento di andare. Ma voglio tornare ad alto livello, quella sarà la prima cosa.

Uijtdebroeks: il Giro e quei dettagli maniacali per la crono

02.12.2023
5 min
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Cian Uijtdebroeks sarà una delle stelle del prossimo Giro d’Italia. L’erede di Remco Evenepoel, così dicono in Belgio, quest’anno ha preso le misure ai grandi Giri con la Vuelta e ora vuole continuare questa sfida con le tre settimane.

Classe 2003, il corridore della Bora-Hansgrohe ha già le idee chiare. Molto chiare. Il suo grande obiettivo della prossima stagione è, come detto il Giro d’Italia, dove viene per fare bene. Non per fare esperienza.

«L’obiettivo per il prossimo anno è il Giro – ha detto Uijtdebroeks – ho fatto la Vuelta, il mio primo grande Giro, pochi mesi fa e l’ho chiusa all’ottavo posto. Quindi voglio fare meglio. Una top 10 o top 5 sono la mia ambizione».

Cian Uijtdebroeks alla serata in suo onore indetta dalla cittadinanza di Hannut qualche giorno fa (foto DH)
Cian Uijtdebroeks alla serata in suo onore indetta dalla cittadinanza di Hannut qualche giorno fa (foto DH)

Rotta sull’Italia

Il percorso della corsa rosa ben si adatta alle caratteristiche di Cian. Anche se è uno scalatore, il corridore di Hannut, nei pressi di Liegi, va molto bene a cronometro. E sappiamo che le tappe contro l’orologio al Giro 2024 saranno due. E anche piuttosto impegnative.

Cian dedica grande attenzione a questa specialità e ha sviluppato una certa sensibilità con i materiali, tanto da lamentarsi dopo la Chrono des Nations, nei confronti della fornitura tecnica.

Lui e Remco avevano la stessa bici, ma rendimenti diversi. Rendimenti che secondo fonti attendibili erano imputabili non solo alle gambe, ma anche ad alcuni accorgimenti tecnici.

E questo ci dice di un atleta con personalità. Con le idee chiare appunto. Non è un caso che in vista del Giro abbia chiesto alla squadra di partecipare al prossimo Catalunya. La corsa spagnola propone infatti salite lunghe e sul filo dei 2.000 metri, ideali in ottica di preparazione. Una mentalità figlia del ciclismo moderno. I ragazzi sono super focalizzati sin da subito.

Uijtdebroeks in effetti deve migliorare a crono, ma nonostante tutto va forte e la cura sin dalle categorie giovanili
Uijtdebroeks in effetti deve migliorare a crono, ma nonostante tutto va forte e la cura sin dalle categorie giovanili

La crono nei dettagli

E restando su questo tema, vale la pena insistere sul discorso crono. Al Giro ne sono previsti 68,7 chilometri e potrebbero essere decisivi. Cian ha ammesso di aver chiesto dei consigli proprio a Remco, e forse quella lamentela era arrivata proprio dopo un confronto col campione del mondo contro il tempo.

«Per la crono – ha detto Uijtdebroeks – chiedo consiglio a molte persone, anche a Remco. Durante qualche gara di tanto in tanto andavo da lui e ci parlavo. Remco è un vero specialista. E’ una questione di dettagli, ovviamente».

Ma c’è di più. Quel giorno alla Chrono des Nations oltre ad un guasto meccanico (la rottura di una leva del cambio), c’erano dei numeri che non lo soddisfacevano.

«Se devo venire qui – disse Cian ad Het Nieuwsblad – per imparare, che almeno le cose funzionino bene. Non voglio perdere tempo. Con i miei 65 chili, pedalo a quasi 400 watt di media per un’ora, ma tutto deve essere messo a punto. Dobbiamo migliorare soprattutto per quanto riguarda l’aerodinamica. Quest’inverno dovremo passare molto tempo in galleria del vento e in pista per ottenere finalmente una posizione più decente. Gente come Evenepoel o Ayuso hanno un coefficiente aerodinamico migliore del mio. Loro hanno un CdA di 1,5, io sono quasi a 2: perdo minuti solo per quello. E’ chiaro che la Bora deve lavorarci».

Dichiarazioni forti, specie per un ventenne e chiaramente il team non fu felicissimo di queste esternazioni. Da qui scattò (e forse c’è ancora) anche una serie di voci di mercato. Ma per ora Cian ha detto che onorerà il contratto col team tedesco che scadrà al termine della prossima stagione. In più con l’arrivo di Roglic magari la squadra sarà più incentivata a lavorare in questa direzione.

«Stiamo aggiustando la mia posizione sulla bici da cronometro e sto anche lavorando sul mio corpo in termini di flessibilità. Sto facendo esercizi di cui non avevo sentito parlare fino a poco tempo fa».

Cian tra i giganti. Eccolo alla Vuelta lottare in salita con Kuss e Ayuso
Cian tra i giganti. Eccolo alla Vuelta lottare in salita con Kuss e Ayuso

Liegi mon amour

Uijtdebroeks ha parlato durante una premiazione che il suo Comune, Hannut, ha voluto riservagli. In Belgio è così, il professionista di casa va onorato. Davanti al sindaco e a molti tifosi, sono finite sul banco anche le classiche.

«Sono contento di essere in Belgio – ha detto Cian – perché alla fine non ci sto molto. Anche in virtù delle mie caratteristiche fisiche, corro molto più in Spagna che qui. Non sono come Van Aert che fa molte classiche».

Abolens, la frazione di Uijtdebroeks, è in Vallonia, ma è proprio sul confine con le Fiandre (Cian è un perfetto bilingue). E’ all’interno di un triangolo da sogno per gli amanti del ciclismo. C’è Liegi a Sud Est, Huy a Sud. Leuven, sede dei mondiali 2021, a Nord Est. Tutte ad una manciata di chilometri.

«Mi piacerebbe fare la Liegi – ha proseguito Cian – pur sapendo che non potrò vincerla, in quanto verrò da un training camp in altura. Però sarebbe utile in chiave di preparazione per il Giro. E comunque sarebbe bellissimo correrla sulle strade di casa, tra i miei tifosi. In ogni caso conoscerò il mio programma preciso a fine dicembre».

Alto 1,84 per 65 chili, Uijtdebroeks vanta numeri da scalatore. Ha concluso la Vuelta in 8ª posizione a 8′ netti da Kuss
Alto 1,84 per 65 chili, Uijtdebroeks vanta numeri da scalatore. Ha concluso la Vuelta in 8ª posizione a 8′ netti da Kuss

Nel 2024 Giro e Vuelta?

E questo programma potrebbe riservare altre sorprese, come il secondo GT in stagione. Il prossimo anno Uijtdebroeks avrà 21 anni e potrebbe essere un passo enorme. Ma stupirsi ancora oggi delle performance dei giovani è forse sbagliato. In più parliamo di Giro e Vuelta. Nel mezzo ci sono quasi tre mesi. Tra gli uomini di classifica fece qualcosa di simile Thymen Arensman nel 2022, ma all’epoca dei fatti aveva un anno in più.

«Vorrei aspettare di vedere il percorso della Vuelta prima di decidere – ha concluso Uijtdebroeks – correre due grandi Giri in un anno potrebbe essere un’opzione, ma neanche voglio finirmi: sono giovane. Mentre per il Tour credo sia ancora un po’ presto. Immagino dovrò aspettare una stagione o due».