Un paio di concetti espressi qualche giorno fa da Dino Salvoldi hanno continuato a risuonarci nelle orecchie. Si parlava della tendenza dei nostri juniores di passare under 23 nei Devo Team europei (in apertura foto Jumbo-Visma Development) e il tecnico azzurro ha fatto un utile esercizio di lucidità.
«Bisogna lavorare – ha detto – per mettere queste generazioni nella condizione di avere una prospettiva. Se le loro scelte siano giuste o sbagliate lo scopriremo nel futuro. Le loro prospettive in questo momento di carriera, di ambizioni e di sogni passano per l’attività nei Devo Team, che in Italia non ci sono. Poi si entra chiaramente nelle valutazioni personali. Vanno solo per il nome oppure c’è sostanza?».
Lavorare nel modo giusto
Lavorare. Nulla avviene da sé e tantomeno per caso e assistere passivamente all’asfissia del movimento under 23 italiano è frustrante. Inizialmente si è puntato il dito verso i procuratori, dediti alla vendita di assistiti sempre più giovani, ma oggi non è più così e Salvoldi lo ha colto molto bene.
«I parametri di valutazione che adottano nei Devo Team – ha detto – sono le prestazioni correlate ai risultati nell’attività internazionale. Non esclusivamente il risultato e tantomeno le valutazioni funzionali, che trovo tanto limitative. Devo dire che già rispetto all’anno scorso, quest’anno nell’attività che abbiamo fatto alla Nations Cup, ho visto regolarmente gli osservatori di squadre del WorldTour. C’è uno scouting che in tutti gli altri sport è la normalità da 15 anni, cui noi stiamo arrivando in ritardo».
I team ricevono curriculum e risultati dei test, insomma, ma piuttosto che lasciarsi dettare il mercato dagli agenti dei corridori, mandano emissari sul campo.
Il ruolo della FCI
In che modo governare lo svuotamento? Lavorando. E probabilmente l’unico attore che abbia in mano la possibilità di intervenire è la Federazione Ciclistica Italiana. Forse è il momento di prendere un foglio bianco e mettere in fila le priorità di spesa e lavorare per invertire la tendenza.
Se il bilancio federale è florido come viene detto, è urgente fare sistema, creando un tavolo di lavoro con le squadre juniores, le squadre U23, le continental, i procuratori e gli organizzatori. L’inverno è la stagione migliore.
Quanti sono gli italiani che vanno all’estero? Non pochi, di solito i migliori del giro azzurro, ma non sono la maggioranza. Che cosa trovano? Pianificazione, calendario, squadre in cui passare. Agli altri cosa resta?
Sulla nascita di squadre WorldTour non si può intervenire. Si può invece costruire un calendario che comprenda una corsa a tappe al mese? Sì, investendo su qualche organizzatore affinché nascano 2-3 gare da affiancare al Giro Next Gen, al Giro di Valle d’Aosta, al Giro del Friuli e al Giro del Veneto. Si potrebbero risuscitare il Giro delle Regioni e anche il Giro di Toscana, corse di un tempo quando l’attività in Italia era ben più florida.
Il ritornello è che la differenza la fanno i soldi: dato innegabile. Ma i soldi vanno spesi nel modo giusto. Sareste stupiti nello scoprire che nei Devo Team i corridori prendono appena dei rimborsi e ugualmente, pur di andarvi, rifiutano stipendi di 1.800 euro al mese in Italia? Chi è in grado di offrire tutti quei soldi a un solo atleta, perché non li investe sull’attività del proprio team? All’estero l’obiettivo è farli crescere, qui spesso si contano le vittorie per garantirsi il posto e gratificare lo sponsor. Le eccezioni ci sono, viene da pensare a Ct Friuli e Colpack, ma non basta.
Il treno è partito
Perché la svolta avvenga occorre avere visione d’insieme e chiarezza degli obiettivi. Contraddire le società è un rischio, perché sono loro a votare i vertici federali: forse per questo siamo fermi da decenni. Di quadriennio in quadriennio, ciascuno dei candidati alla presidenza ha pensato a catturarne le simpatie, piuttosto che contraddirle e costringerle a evolversi.
Scegliendo di rimanere dove siamo sempre stati, siamo usciti dal mercato. Il mondo è cambiato e quello anglosassone che domina il ciclismo è privo delle strutture di cui andiamo tanto fieri e rendono tutto più laborioso.
Anche l’accesso alle professioni è cambiato. I Maneskin sono re nel mercato discografico dopo l’esperienza di X-Factor. Jay Vine e Luca Vergallito sono nel WorldTour grazie a un concorso virtuale. Invece di lamentarsi per la novità, perché non si lavora per diventare più credibili?
Soldi e sicurezza
Mentre noi siamo qui a piangere per l’assenza di soldi, ieri l’inizio delle Nitto ATP Finals di tennis a Torino ha offerto un ulteriore spunto. Ciascuno di quegli 8 giocatori ha ricevuto un premio iniziale di 325.500 dollari, vincendo un incontro ne mettono in tasca altri 390.000. Battendo Tsitsipas, Sinner si è già messo in tasca i primi 715.500 dollari del torneo. Il montepremi complessivo è di 15 milioni di dollari, quello finale del Tour de France 2023 è stato di 2.300.000 euro.
Il modello di sviluppo del ciclismo di elite non funziona e quello di base ne paga le conseguenze. Il WorldTour sarebbe una grande idea, se fosse davvero un circuito chiuso. Tutto il resto del calendario andrebbe sfruttato diversamente: per far crescere i giovani e fornire materiale umano qualificato ai team più grandi. A cosa serve avere 50 squadre di under 23, se per l’assenza di un vero calendario, i loro sforzi restano invisibili?
Il ciclismo è sopravvissuto a ogni genere di traversia, ma non sarà così per sempre. Nel frattempo le strade sono diventate pericolose e si capisce bene come altri sport possano risultare più attrattivi per le famiglie, se vi girano più soldi e non sono esposti a rischi. Si vendono bici per andare a passeggio, non più per creare giovani atleti e questo rischia di spingere il ciclismo su un binario morto. Non c’è tempo da perdere. E pur comprendendo che il prossimo anno le risorse saranno rivolte alla preparazione olimpica, bisogna ragionare su come fare per rinsaldare il movimento. Non si può continuare a rimandare un intervento da cui dipende il futuro del nostro ciclismo giovanile.