Langellotti, un monegasco che vive con i campioni in casa…

18.08.2024
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E’ ormai risaputo che a Montecarlo c’è una clamorosa concentrazione di ciclisti professionisti. Il buon clima e le agevolazioni fiscali convincono ormai da anni a spostarsi nel Principato, dove sulle strade e in bici si parlano tutte le lingue del mondo. Non ci si è mai chiesti però che cosa ne pensino i corridori locali, se quest’agglomerato di talento sta avendo effetti anche sul movimento locale.

La notizia di pochi giorni fa è che la Ineos Grenadiers, nel suo processo di rinnovamento per il 2025, ha ingaggiato anche un corridore monegasco, Victor Langellotti già nel giro delle professional, venendo dalla Burgos BH. Tocca a lui farci un po’ da Cicerone per le strade di Montecarlo per capire come viene vissuta la presenza di tanti campioni.

Per il monegasco nel 2024 la piazza d’onore al Classic Grand Besançon Doubt
Per il monegasco nel 2024 la piazza d’onore al Classic Grand Besançon Doubt
Come sei arrivato a praticare il ciclismo?

Ho cominciato a circa 12 anni. Mio padre andava in bicicletta quando ero piccolo e quindi è stato lui a trasmettermi la passione per il ciclismo.

Nel 2022 hai vinto la prima corsa per un ciclista monegasco: che ricordi di quel giorno?

Era un sogno. Non pensavo che un giorno sarei riuscito a vincere una gara professionistica. E’ stato un grande momento per me e per il mio team Burgos BH perché erano passati 2 anni dall’ultima volta che la squadra era riuscita a vincere una gara. Quindi è stato un momento fantastico e ho potuto condividerlo con tutta la squadra. Inoltre è diventato un momento storico per il mio Paese. Il Principe mi ha chiamato per farmi i complimenti quindi ho davvero un bel ricordo.

La vittoria di Langellotti alla Volta a Portugal nel 2022, precedendo Moreira e McGill
La vittoria di Langellotti alla Volta a Portugal nel 2022, precedendo Moreira e McGill
A Monaco risiedono molti campioni di ciclismo, capita mai d’incontrali anche in allenamento?

Sì, molto regolarmente poiché sono moltissimi i ciclisti professionisti che vivono a Monaco. Penso che attualmente siano una quarantina, relativamente solo al WorldTour. Quindi, ogni giorno in allenamento ci incontriamo. Alcuni pedalano insieme, ne incontriamo moltissimi. Anche stamattina sono andato ad allenarmi e ho potuto incontrare Mohoric e Pogacar.

Con quali corridori fra quelli che risiedono a Monaco hai più legato?

Con il mio connazionale Antoine Berlin, che corre nella squadra continental di Bike Aid. E’ davvero quello a cui sono più vicino e con cui mi alleno più spesso. Di regola però preferisco allenarmi da solo. Infatti mi permette di concentrarmi sugli esercizi che devo fare in allenamento.

Nei suoi allenamenti il monegasco incontra sempre grandi campioni, dirigendosi verso l’Italia
Nei suoi allenamenti il monegasco incontra sempre grandi campioni, dirigendosi verso l’Italia
Come sono le strade per allenarsi nella tua città, che percorsi ci sono?

Monaco è molto piccola, è solo 2 chilometri quadrati. Quindi per allenarci dobbiamo partire da Monaco e andare in Francia e Italia perché il confine italiano non è lontano. Penso che siamo a 14-15 chilometri da Ventimiglia, da lì troviamo terreno molto montuoso, ci sono tantissime salite e colline, l’ideale per allenarsi. Poi c’è tutta la parte sul mare, tutta la costa, quella è per la maggior parte piatta. E poi, appena torniamo, ci addentriamo nell’entroterra. Lì ci sono molte salite e di conseguenza l’allenamento può diventare rapidamente molto duro. Ma è anche un fantastico parco giochi per un allenamento perfetto tutto l’anno. E anche le condizioni meteorologiche sono molto, molto buone. Il tempo è sempre molto molto bello a Monaco… Anche in inverno, le condizioni sono piacevoli per l’allenamento. E’ anche per questo che ci sono tanti professionisti che vivono qui e che sono felici di vivere a Monaco.

Le cronometro non sono il suo forte, ma spera di avere qualche miglioramento
Le cronometro non sono il suo forte, ma spera di avere qualche miglioramento
La presenza di tanti campioni sta cambiando qualcosa in città, i ragazzi monegaschi sono più interessati a fare ciclismo?

Sì, ma non ci sono solo ciclisti. Abbiamo anche la fortuna di avere molti piloti di Formula 1 che vivono a Monaco, giocatori di tennis e anche alcuni calciatori. Ci sono molti atleti che vivono qui e questo permette soprattutto ai giovani di incontrarli. Per chi va in bicicletta, la possibilità di pedalare con loro è un valore enorme. Le scuole e le federazioni sportive di Monaco puntano su questo per incoraggiare i ragazzi a fare sport. A volte capita che certi professionisti vadano a parlare nelle scuole, vadano a parlare in diversi club. Per poter interagire con i giovani e poterli motivare a fare sport, invogliarli e ispirarli. Intanto nella vita quotidiana e poi per alcuni, quelli che lo vogliono e che possono farlo ad alto livello, farne anche la propria professione.

Victor Langellotti ha conquistato le sue 2 vittorie in salita, nel 2022 in Portogallo e nel 2023 in Turchia
Victor Langellotti ha conquistato le sue 2 vittorie in salita, nel 2022 in Portogallo e nel 2023 in Turchia
Che tipo di corridore sei e quali sono le corse dove ti trovi meglio?

Uno scalatore, non per le salite lunghe ma sugli strappi brevi è il mio terreno preferito. Diciamo dai 2 agli 8 chilometri, mi trovo a mio agio quando l’arrivo è in salita. Le mie due vittorie le ho ottenute sempre attaccando in un finale in salita. Ma sto lavorando per migliorare anche sulle salite più lunghe.

Tu hai un cognome italiano: che rapporti hai con il nostro Paese, vieni spesso qui?

Mio padre è italiano. Venne a vivere a Monaco quando aveva 18 anni ed era originario di Napoli. Buona parte della mia famiglia è a Napoli e quindi metà della famiglia è italiana. Io ci vado regolarmente ad allenarmi e a rivedere i parenti, anche se non spesso quanto vorrei. L’italiano lo parlo molto poco, ma lo capisco.

A 29 anni Langellotti ha firmato un biennale con la Ineos Grenadiers, come uomo per le salite
A 29 anni Langellotti ha firmato un biennale con la Ineos Grenadiers, come uomo per le salite
Il prossimo anno passerai alla Ineos: che cosa rappresenta per te entrare in un team del WorldTour?

Beh, per me è davvero un sogno diventato realtà. Quando ero junior e promettente, era il Team Sky, il riferimento per tutti. E così sono sempre cresciuto con il sogno di far parte un giorno della squadra Sky. Ora sono molto, molto felice di potermi unire a loro l’anno prossimo. E’ per la mia carriera un progresso molto grande. C’è un enorme divario di livello tra Burgos BH ed Ineos, vedo quanto lontano posso andare, come esprimere il mio pieno potenziale, magari partecipare un giorno al Tour de France, quello sarebbe il mio obiettivo. Oppure la Vuelta 2026 che inizierà proprio a Monaco.

Una settimana dopo, le pagelle olimpiche del team manager

18.08.2024
8 min
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Sembra passato un secolo, ma le Olimpiadi si sono chiuse appena da una settimana. Ci saranno ancora storie e approfondimenti, questo però è il momento di fare il punto con Roberto Amadio, team manager della nazionale. I Giochi di Tokyo dell’Italia andarono in archivio con l’oro del quartetto e i bronzi di Viviani nell’omnium ed Elisa Longo Borghini nella gara su strada. Tre anni dopo, Parigi ha portato l’oro di Consonni-Guazzini nella madison, l’argento di Ganna nella crono e quello di Consonni-Viviani nella madison e il bronzo del quartetto. Non ai livelli di Atlanta, ma un bel passo avanti: un allargamento delle medaglie, la presenza del settore velocità e qualche passo indietro su cui ragionare.

La prima medaglia azzurra a Parigi è stata l’argento di Ganna nella crono
La prima medaglia azzurra a Parigi è stata l’argento di Ganna nella crono
Amadio, quanto è stato difficile organizzare e mettere insieme tutto quello che serve per un’Olimpiade?

La differenza rispetto a un mondiale, anche se già Glasgow era stato un bel test, è che hai tutte le specialità concentrate nelle stesse due settimane. Quindi devi conciliare le richieste dei vari settori e dei tecnici. Però con l’aiuto del CONI, che ci è stato molto vicino, è andato tutto bene.

Bene in tutti i settori?

Ho visto miglioramenti. Poco fa parlavo con Ghirotto del quarto posto di Braidot nella mountain bike, che ci sta un po’ stretto a causa della foratura nel momento cruciale dell’attacco di Pidcock. Quella poteva essere una medaglia. Nella BMX Race siamo arrivati in semifinale con il nono posto, che conferma che la scelta di Bertagnoli sia stata giusta, come pure l’avvicinamento e il modo in cui abbiamo lavorato. Nella crono, Ganna è sicuramente uno dei migliori atleti al mondo, però non è mai facile fare il giusto avvicinamento, programmarla e arrivare giusti. Poi la pista ci ha dato tante soddisfazioni e devo dire che abbiamo ottenuto dei risultati importanti. In altre specialità forse si poteva fare qualcosa in più, però considerando tutto, direi che è andata molto bene.

Durante gli ultimi due anni si è visto che tutti i settori hanno collaborato con il team performance di Diego Bragato.

Stavo arrivando proprio lì. E’ un tipo di lavoro che abbiamo esteso a tutti e ha permesso di seguire una certa programmazione, un certo tipo di allenamenti e di preparazione atletica, non solo limitati alla bici. Come si è visto dai risultati, anche le altre nazionali hanno lavorato così. Per arrivare a questi risultati, a certi tempi, non puoi tralasciare assolutamente niente. Devi crescere sui materiali, sulla preparazione, sull’alimentazione e anche sull’aspetto psicologico. Insomma abbiamo curato ogni dettaglio. In più c’è stato scambio di programmi e idee, che secondo me è positivo per la crescita dei vari settori.

Marco Villa ha espresso il desiderio di una squadra italiana in cui i ragazzi italiani possano essere valorizzati nel modo giusto. E’ un auspicio oppure un progetto?

Diciamo che sta diventando una necessità. Strada e pista possono andare a braccetto e lo abbiamo dimostrato. Anzi, il lavoro su pista va a beneficio della strada e viceversa. Purtroppo in Italia, ma anche nelle squadre, si dà priorità alla strada e anche gli atleti a questo punto vedono solo quel tipo di sbocco. Invece secondo me se ci fosse una squadra italiana di un certo livello, non sarebbe utile solo a Villa, ma a tutto il movimento. Dobbiamo ricreare una mentalità vincente nei nostri atleti. Il fatto che i migliori siano sparsi nelle varie squadre WorldTour e purtroppo siano quasi sempre sacrificati a favore di altri capitani fa perdere quell’attitudine. E di riflesso nelle competizioni internazionali, ci troviamo spesso in difficoltà.

Villa, qui con Ganna, alla partenza dell’ultimo quartetto, ha espresso il desiderio di un team italiano
Villa, qui con Ganna, alla partenza dell’ultimo quartetto, ha espresso il desiderio di un team italiano
E’ necessario e sta diventando un progetto, oppure è necessario ma rimarrà un auspicio?

E’ necessario e ce lo diciamo da anni, ma i progetti non sono facili, perché comunque ci vogliono molti soldi. Serve anche un percorso per arrivare a una squadra WorldTour. Anche se avessi i soldi subito, la licenza non arriverebbe automaticamente. Forse c’è bisogno anche di un intervento politico e non solo per il ciclismo. Tutti gli sport professionistici in Italia sono in difficoltà a livello di sponsorizzazioni. Quindi sarebbe opportuno avere una squadra di matrice nazionale che dia la possibilità di supportare i nostri ragazzi affinché facciano l’attività che meritano. Vediamo se potrà nascere qualcosa.

Gli australiani hanno polverizzato il record del quartetto, noi siamo peggiorati rispetto a Tokyo.

Villa ha parlato con i tecnici australiani. Per fare 3’40” devi allenarti assieme a lungo e fare un certo percorso. Loro sono stati insieme per dieci settimane, quindi più di due mesi a preparare solo la pista. Il nostro quartetto maschile è riuscito a farlo per una quindicina di giorni e il problema viene fuori anche con le donne. Anzi, forse è stato più complicato che con gli uomini. Anche quel quarto posto ci sta stretto. Al di là dell’incidente che ha avuto la Balsamo, che è stata bravissima a recuperare ed essere presente, quello è un quartetto che poteva puntare tranquillamente al podio.

Si va avanti ancora con il gruppo della Valcar. Tolte Paternoster e Fidanza, le altre ragazze di Parigi venivano tutte dalla stessa squadra che permetteva loro di lavorare in sintonia fra strada e pista.

Ed è l’esempio perfetto di cosa significherebbe avere una squadra italiana costruita in questo modo. Fino a quando erano tutte in una squadra che collaborava con la Federazione, c’era un percorso condiviso. Lavoravano su pista e ugualmente su strada vincevano corse a livello internazionale. Poi con l’esplosione del WorldTour femminile, perché davvero è stata un’esplosione, le cose sono cambiate di colpo. Dobbiamo arrivare ad avere un team, sia uomini sia donne, che possa raggruppare tutte le nostre migliori. Come accade in diverse strutture WorldTour europee.

Perché secondo te, nonostante le bici nuove, i body nuovi e tutto quello che s’è fatto, il nostro quartetto è andato più piano che a Tokyo?

Perché non hanno lavorato come prima di Tokyo, non ne hanno avuto la possibilità. Il 3’43” che hanno fatto è un tempo di tutto rispetto, alla pari dell’Inghilterra. Pensavamo che il 3’42” dell’Australia fosse il loro massimo, invece hanno stampato un 3’40” e, se lo rifacevano, magari miglioravano ancora. Vuol dire che hanno veramente preparato questo quartetto in maniera perfetta. Per fare quei tempi, devi spingere un dente in più e quindi devi lavorare di più in palestra. Noi non l’abbiamo potuto fare, perché abbiamo tre atleti di squadre WorldTour che giustamente devono fare l’attività su strada, perché sono stipendiati dai loro team.

Aver corso il Giro d’Italia ha dato a Guazzini e Consonni un passo superiore nella madison
Aver corso il Giro d’Italia ha dato a Guazzini e Consonni un passo superiore nella madison
Restando sulle ragazze, l’anno scorso dopo Glasgow fu necessario fermarsi e fare il punto, richiamandole a una maggior presenza. Come ti sembra che sia andata?

E’ un gruppo giovane che può benissimo arrivare a Los Angeles, con l’ambizione di essere protagonista. Lo ha dimostrato anche il quartetto americano, con Dygert e Faulkner che hanno fatto la prova su strada e subito dopo sono andate a prendersi l’oro su pista. Però anche loro hanno lavorato più di un mese e mezzo dedicandosi più alla pista che alla strada e qui torniamo al discorso di prima. L’attività su strada è sempre più intensa, il calendario femminile ormai è pari a quello maschile, ma ci sono meno atlete. C’è da parlare con le squadre di appartenenza, con i manager, con le ragazze stesse. Se hanno la volontà di arrivare a Los Angeles, bisognerà programmare un po’ meglio e avere una disponibilità maggiore per fare un quartetto da podio, perché ci sono andate vicinissime. Hanno lavorato tutti assieme veramente per pochissimi giorni. Per contro, aver fatto il Giro d’Italia ha funzionato bene per le prove di fondo come la madison, in cui le azzurre hanno dimostrato di essere superiori a tutte.

Che cosa ha rappresentato per te vedere Viviani vincere quest’ultima medaglia olimpica?

E’ un risultato importante, perché a causa del numero limitato di atleti, abbiamo dovuto fare delle scelte forti. Con un atleta in meno a disposizione, significava che i quattro del quartetto avrebbero dovuto fare tutte le prove di endurance, quindi anche l’omnium e la madison. Avrebbe significato lasciare fuori un corridore come Viviani, che nelle ultime due Olimpiadi aveva già dato un oro e un bronzo nell’omnium. Conoscendo la sua professionalità e grazie anche a Bennati che ha capito la nostra richiesta, l’operazione ci ha dato ragione. Che Elia avesse la gamba si era visto anche nell’omnium e nella madison ha tirato fuori veramente il massimo. Anche Consonni è stato bravissimo, perché ripartire dopo la caduta e tenere quei ritmi non era facile. Consideriamo che l’americana è stata corsa oltre i 60 di media per 50 chilometri!

Viviani e Consonni sono stati fortissimi anche dopo la caduta che ha falsato il finale di gara
Viviani e Consonni sono stati fortissimi anche dopo la caduta che ha falsato il finale di gara
Peccato per la caduta…

A quelle velocità, Elia ha fatto quattro giri da solo a tutta. Subito dopo, a cinque giri dalla fine, ha fatto un grande recupero, rimettendosi in gioco per la volata finale. Però bisogna anche dire che Leitao e Oliveira sono andati fortissimo, hanno fatto un finale veramente incredibile. Forse nel caos della caduta, abbiamo perso di vista la situazione dei punti. Non si è capito che i portoghesi stessero recuperando in modo importante e perdere a quel punto il filo della corsa è stato fatale. Però i nostri sono stati bravissimi. Elia ha corso in maniera impeccabile, una madison da maestro. Meritava un gran finale come quello.

Garzelli sulla Vuelta. Almeida favorito e intanto McNulty…

17.08.2024
6 min
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Con la cronometro di Lisbona si è aperta oggi la Vuelta Espana. Il terzo grande Giro dell’anno vede al via un buon lotto di partenti. Un lotto che analizzeremo con Stefano Garzelli, spagnolo d’adozione.

Intanto Brandon McNulty della UAE Emirates gioisce per la prima maglia roja. Ma in classifica generale i big sono tutti molto vicini: il primo è Roglic e a 2″ Almeida, poi man mano tutti gli altri fino a Landa che ha incassato ben più del previsto, ma conosciamo bene lo scalatore spagnolo.

McNulty (classe 1998) ha vinto la crono di apertura, precedendo di 2″ sia Mathias Vacek che Wout Van Aert. Ovviamente è anche maglia rossa
McNulty (classe 1998) ha vinto la crono di apertura, precedendo di 2″ sia Mathias Vacek che Wout Van Aert. Ovviamente è anche maglia rossa
Stefano, a te la parola…

Un buon parterre, non eccezionale, ma di un livello medio alto. Come spesso capita alla Vuelta, per molti è un appello di recupero. Non vedo un favorito su tutti, Primoz Roglic forse, ma c’è un grande punto di domanda sulle conseguenze della sua caduta al Tour, come starà?

Però la Red Bull-Bora si presenta con una grande squadra: oltre a Roglic, ci sono Vlasov, Lipowitz, Martinez…

Ma siamo sicuri che a questo punto della stagione sia positivo? Io credo che Martinez abbia preparato appositamente la Vuelta, mentre Vlasov e Roglic ci arrivano dall’infortunio al Tour. Il colombiano è arrivato secondo al Giro d’Italia, vorrà un suo spazio. Di contro, guardando al lato positivo questa squadra potrebbe giocare con 2-3 punte.

E così potranno scontrarsi con il blocco della UAE Emirates? Che ancora una volta è un team formidabile: Adam Yates, Joao Almeida, Isaac Del Toro…

Fortissimi, nulla da dire, ma in parte anche per loro vale lo stesso discorso di prima. Pensiamoci un attimo. Yates e Almeida già volano da metà giugno. Ve li ricordate al Giro di Svizzera? Primo e secondo nelle ultime quattro tappe. Hanno fatto benissimo al Tour e ora siamo a metà agosto e la Vuelta finisce l’8 settembre. Insomma, da tre mesi al top della condizione. Non vorrei potessero pagare qualcosa nella terza settimana. Però sono forti.

E Del Toro? Lui ha fatto un altro cammino…

E infatti lui potrebbe essere la sorpresa di questa Vuelta. Ragazzo fortissimo.

Ci eravamo lasciati così, con Seppe Kuss re dell’ultima Vuelta, oggi un po’ in ritardo rispetto agli altri uomini di classifica
Ci eravamo lasciati così, con Seppe Kuss re dell’ultima Vuelta, oggi un po’ in ritardo rispetto agli altri uomini di classifica
Kuss e la Visma-Lease a Bike. Cosa ne pensi?

Loro partono con un leader, che è appunto l’americano. Non ha corso né il Giro, né il Tour e da quel che ne so io è da cinque mesi che prepara questa Vuelta. E guarda caso ora che deve andare forte ha vinto Burgos e ha conquistato anche l’unica tappa in salita. Lui è il leader della Visma-Lease a Bike e in seconda battuta c’è Uijtdebroeks, con Van Aert solito battitore libero.

Guardiamo in casa nostra e veniamo ad Antonio Tiberi.

Per Antonio questa Vuelta sarà un banco di prova molto importante. L’anno scorso fece una grande Vuelta soprattutto nella terza settimana, al Giro ha confermato di avere le doti per un grande Giro e ora tutti lo aspettano ed è proprio qui che le cose cambiano.

Cioè?

Che adesso è più difficile. Adesso ha delle pressioni. E questo sarà un momento per capire se è già maturo. Io sono convinto che farà bene. Anche per come ha superato vicende complicate… Non era facile per un ragazzo della sua età e alla lunga credo che un fatto del genere lo abbia aiutato a formarsi caratterialmente. Senza contare che fisicamente c’è. A Burgos è stato terzo nella crono, significa che stava in condizione. Non era ancora al top, e va bene, perché da Burgos a fine Vuelta c’era quasi un mese, ma vuol dire che ha lavorato nel modo giusto.

L’obiettivo per lui può essere il podio?

Sì, anche se non sarà facile, perché come dicevo prima non c’è un faro, come Pogacar al Giro che indirizzava la corsa e dietro di lui una manciata di atleti sulla stessa linea. Qui in Spagna ci sono almeno una decina di atleti quasi tutti sullo stesso piano.

Mikel Landa di nuovo leader: saprà tenere la pressione? Per ora non è partito bene: 92° a 1’05” da McNulty
Mikel Landa di nuovo leader: saprà tenere la pressione? Per ora non è partito bene: 92° a 1’05” da McNulty
E poi, Stefano, c’è lui. L’oggetto più misterioso del ciclismo moderno: Mikel Landa…

In teoria, per come è andato al Tour, è il favorito! In Francia è andato fortissimo, ma lì era gregario, bisognerà vedere come renderà nel ruolo di capitano. E qui sta la grande differenza tra un ottimo corridore e un campione. Bisognerà vedere come avrà gestito tutti i fattori tra Tour e Vuelta, se non si è rilassato troppo, e ci sta dopo un Tour. Lui è davvero un’incognita ed è difficile da giudicare, lo ammetto.

Un altro oggetto misterioso, ma per altre ragioni, è Tao Geoghegan Hart. Cosa ci dici dell’inglese?

Bisogna vedere come sta dopo l’ennesima caduta a Burgos. Su Tao pende un bel punto di domanda per se stesso e per la squadra. Vicino a Skjelmose e Ciccone, che puntano alle tappe, vedremo lui cosa farà.

Marco Frigo è uno dei 16 italiani al via. Il più atteso di loro è Antonio Tiberi, che può ambire al podio
Marco Frigo è uno dei 16 italiani al via. Il più atteso di loro è Antonio Tiberi, che può ambire al podio
Vamos in Espana: Carlos Rodriguez, prima, e il blocco Movistar poi…

Carlos lo conosco bene: ragazzo d’oro, professionista esemplare, mi piace tantissimo. Mi aspettavo qualcosa di più dal suo Tour, ma in una top cinque ci può rientrare. Altri suoi compagni come Arensman, De Plus… magari potrebbero rientrare nei primi dieci, ma torniamo ai discorsi di prima. E cioè che il livello è molto simile per tanti atleti e che siamo all’ultimo grande Giro dell’anno, bisogna vedere come si ci arriva non solo fisicamente, ma anche mentalmente.

Movistar?

Una squadra più per fare “casino” che per la classifica vera e propria. Mas esce da un Tour anonimo, forse non sa più neanche lui che corridore è. Almeno prima emergeva “da dietro”, nel senso che quando i big acceleravano lui poi resisteva, questa volta niente. Magari qui proverà a tenere ma non sono così convinto su di lui. Per il resto la Movistar ha diversi attaccanti, tra cui Quintana che può puntare ad una tappa. 

Quindi quale potrebbe essere il podio finale di Stefano Garzelli?

Nell’ordine: Almeida, Kuss, Roglic. Joao mi piace tanto. E’ un “duraccio”, non molla mai, va bene in salita e va forte a crono e se si guarda magari al lato romantico della questione con la Vuelta che parte dal Portogallo, la vittoria di un portoghese ci starebbe bene.

Il passo indietro di Leo Hayter apre la porta nascosta

17.08.2024
10 min
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Nei giorni delle Olimpiadi in cui era a Parigi a tifare per suo fratello Ethan, argento nel quartetto, Leo Hayther, vincitore della Liegi e del Giro Giovani U23 del 2022 ha scritto un lungo racconto. Un testo doloroso e crudo, con il quale annuncia che di qui al prossimo anno non lo vedremo più in corsa con la maglia della Ineos. Non lo vedremo e basta.

A 23 anni, compiuti il 10 agosto, il giovane britannico deve fermarsi per una depressione, diagnosticata dallo staff medico della squadra britannica (già dai tempi in cui si chiamava Sky, il team aveva in organico uno psichiatra). Ha provato a ripartire, ma ogni volta è stato peggio. Si è isolato dal mondo. Ha chiuso con gli amici. Il giudizio degli altri lo schiaccia.

Giro d’Italia U23, a Pinzolo la prima vittoria di Hayter che, commosso, viene raggiunto dai compagni
Giro d’Italia U23, a Pinzolo la prima vittoria di Hayter che, commosso, viene raggiunto dai compagni

Un velo da sollevare

Quanto volte si è letto che il ragazzo fosse destinato a un grandissimo futuro? Leo imputa tutto alla pressione che mette su se stesso nel nome della ricerca della perfezione e della magrezza. Eppure, ricollegando la sua storia alle riflessioni di corridori più grandi, ad esempio Trentin, pensiamo che tutto ciò apra una finestra sull’estremizzazione della pressione sugli atleti. Può anche dipendere da lui, ma è innegabile che un ragazzo di 18 anni non abbia la struttura psicologica per sostenere le attese e le pressioni dello sport di vertice. E’ la gradualità cui oggi si sono voltate le spalle. Speriamo che allo stesso modo in cui le parole di Jani Brajkovic ruppero il silenzio sui disturbi alimentari, questo racconto di Hayter faccia capire agli altri ragazzi che vivono la stessa situazione che non sono soli.

«E’ un ciclismo che corre velocedisse Trentin a dicembre – a volte secondo me anche troppo. Nella mia ex squadra c’è il pienone di ragazzini. Ho sentito che a qualcuno del Devo Team hanno fatto il contratto per sette anni, forse si sta correndo un po’ troppo in questa direzione. Cosa ne sai di quel che può accadere fra così tanto tempo? Io credo che questi ragazzi fra non molti anni avranno bisogno di supporto psicologico, perché tante pressioni non le reggi se non sei un po’ adulto e magari rischi di cadere in brutte abitudini per farti forza. Si continua a sovraccaricarli di attese».

Quello che segue è il racconto di Leo Hayter nella sua interezza. Lo abbiamo suddiviso per capitoli per agevolarne la lettura.

Dopo la vittoria al Giro Giovani 2022, tanti indicarono in Hayter il futuro britannico nei Giri, il dopo Froome
Dopo la vittoria al Giro Giovani 2022, tanti indicarono in Hayter il futuro britannico nei Giri, il dopo Froome

Il racconto di Leo Hayter

Ciao a tutti, sono scomparso da un po’ di tempo, sento che ora è il momento giusto per raccontare la mia storia.

Ho avuto problemi mentali negli ultimi 5 anni. E’ qualcosa che per molto tempo ho semplicemente “affrontato”. Ho pensato di essere solo pigro, di non avere motivazione. Questo doveva essere un racconto breve, ma è semplicemente impossibile ridurlo senza avere la sensazione di perdermi dettagli importanti.

Lo scorso maggio ho toccato il fondo. Ero completamente bloccato. Non potevo lasciare il mio appartamento ad Andorra, riuscivo a malapena ad alzarmi dal letto. Il mio team di supporto INEOS mi ha riportato a casa e mi ha fatto una valutazione professionale, dove mi è stata diagnosticata la depressione.

Ho preso una pausa dal ciclismo, ho iniziato a prendere farmaci e mi è stato detto che per l’anno scorso non avrei più dovuto gareggiare, ma mi sono sentito subito meglio.

Al Tour of Guangxi 2023, per Leo un finale di stagione che aveva fatto sperare
Al Tour of Guangxi 2023, per Leo un finale di stagione che aveva fatto sperare

Ritorno a Guangxi

Sono tornato al Tour of Guanxi alla fine della stagione, tutto sembrava a posto. Mentalmente e fisicamente, ero nel miglior posto in cui fossi stato per molto tempo. Ho avuto una buona off season, ma non appena sono tornato ad allenarmi, quelle stesse percezioni e pensieri negativi sono tornati.

Prima del ritiro di dicembre sono andato in modalità panico totale, non riuscivo quasi ad alzarmi dal letto. Ero imbarazzato perché non sarei stato al livello che volevo. Non ho dormito molto in quei giorni, non mi sono nemmeno allenato. Mi sono chiuso nella mia bolla, non ho risposto a nessuno e ho tenuto per tutto il tempo il telefono in modalità silenziosa. Era come se sentissi di deludere le persone e di non riuscire nemmeno a controllare le mie azioni.

Rifugio nel cibo

Quando sono in questi stati di forte ansia, il metodo di difesa a cui ho sempre fatto ricorso è il cibo. Ovviamente, come atleta professionista, non è l’ideale, ma per me è incontrollabile. Mangio in modo compulsivo tutto ciò che mi capita davanti e molto spesso mi sento male. Poi mi sento in colpa per essermi abbuffato. Mi faccio morire di fame, prima di sentirmi completamente vuoto e di mangiare di nuovo un sacco di cibo. Ovviamente, questo mi porta ad aumentare di peso, quando il mio obiettivo è l’opposto, causando ancora ansia e continuando nello stesso circolo vizioso.

Sono arrivato al ritiro di dicembre. La prima settimana è andata bene, nella seconda settimana ero a letto con la febbre. Quando sono tornato a casa, ho attraversato la stessa situazione di prima del ritiro. Ero nervoso per il Tour Down Under, non ancora pronto e fuori forma. Ho avuto costantemente “shock” di ansia, in certi momenti tutto il mio corpo si bloccava: questo perché il sistema nervoso era in modalità “combatti o fuggi”.

Settimana Coppi e Bartali 2023, prime corse da pro’ e Leo è subito battagliero
Settimana Coppi e Bartali 2023, prime corse da pro’ e Leo è subito battagliero

Un’enorme montagna

E’ difficile spiegare quello che mi accade. La mia ansia è solo aumentata. Cose che di solito non mi darebbero fastidio, come un’auto che mi sorpassa su una strada, mi bloccano e rendono l’uscita poco piacevole.

Eppure in Australia ho vissuto dei bei momenti, ma quando sono tornato è successa la stessa cosa. Al UAE Tour sentivo di non essere dove avrei voluto. Negli ultimi anni non mi sono mai sentito dove volevo essere, ho sempre avuto la sensazione che ci fosse un’enorme montagna da scalare per raggiungere il livello a cui “dovrei” essere. Questo ciclo continuo di nessun progresso finisce per essere molto estenuante.

Ho trascorso la prima metà di questa stagione a combattere davvero contro questo. Sapevo che era la mia “ultima possibilità”. Stavo facendo di tutto, compresi ritiri in quota organizzati e pagati da me. Nessuno dei due ha avuto successo.

Ossessionato dalla perfezione

Le mie difficoltà mentali hanno enormi effetti fisici su di me. Dormo a malapena. Non riesco a recuperare. L’ansia porta a un assorbimento di cortisolo. Quando l’anno scorso ho fatto un passo indietro, i miei livelli di testosterone sono aumentati in modo significativo. Dormivo meglio, ero più socievole e non ho mai perso peso così rapidamente. Ho ottenuto i risultati migliori quando non c’era pressione su di me e mi sentivo calmo. Tutte le mie più grandi prestazioni sono arrivate in questo modo.

Per essere chiari, questa pressione viene sempre da me stesso. Una pressione interna per essere il migliore, ossessionato dalla perfezione, che nello sport non è qualcosa di realistico o realizzabile giorno dopo giorno. I piccoli contrattempi fanno parte dello sport, ma non riesco proprio a gestirli in modo positivo. Una brutta prestazione o un giorno storto e vado nel panico, al punto di perdere il controllo della situazione.

Ancora Giro d’Italia Giovani 2022, Leo con il suo diesse Axel Merckx che ha garantito sul suo essere pronto per passare pro’
Giro d’Italia 2022, Leo con il diesse Axel Merckx che ha garantito sul suo essere pronto per passare pro’

Nessun progresso

Ho raggiunto il punto di rottura prima del Tour de Hongrie di quest’anno. Durante tutto il viaggio ho avuto ripetutamente attacchi di panico. Non riuscivo a concentrarmi su nulla. All’aeroporto mi hanno detto che non avevo bisogno di correre, ma ero determinato. Ho messo una faccia da poker, sono partito e ho pedalato bene. Al ritorno però ero esausto.

Sapevo che non potevo continuare così, ma sapevo anche che se mi fossi fermato per fare un passo indietro, realisticamente la mia carriera sarebbe stata in pericolo. Ho trascorso giorni, settimane completamente bloccato. Alla fine ora sono in una posizione simile a quella di qualche mese fa. Ho fatto un’altra valutazione medica, in cui era chiaro che i miei sintomi depressivi non stavano migliorando, anzi forse stavano peggiorando. Ciò mi ha rassicurato sul fatto che non dipendesse solo da me.

Non è qualcosa che può essere cambiata da un giorno all’altro. Sto seguendo una terapia in questo momento, ma è un processo. Ho già fatto alcune sedute con uno psicoterapeuta che non hanno funzionato, quindi è stato come tornare al punto di partenza. Sono molto fortunato ad avere accesso ai migliori psicologi del mondo tramite il team, per cui prossimamente lavorerò a stretto contatto con loro.

Un anno di stop

E’ improbabile che quest’anno correrò di nuovo. C’è ancora tempo e potrei farlo, ma a posteriori non è stata una buona scelta tornare neanche l’anno scorso.

Ho sempre avuto la convinzione che diventare più in forma e più magro mi rendesse felice, ma nasconde solo il vero problema. Non appena mi fermo, i miei pensieri negativi tornano. Raggiungere la forma migliore è come mettere un cerotto su una ferita che invece ha bisogno di punti di sutura.

Al momento anche il mio futuro nel ciclismo non è chiaro. Per ora è irrealistico continuare come ciclista professionista, quindi non correrò per INEOS l’anno prossimo. Quando riesco a mettermi nella giusta disposizione mentale, non c’è niente che mi piaccia di più. E’ come una dipendenza. Ecco perché non poterlo fare è così doloroso. Ho tutto quello che ho sempre desiderato, ma non sono felice.

Qualunque cosa accada, la mia carriera ciclistica non è finita. E’ solo in pausa. Lo devo a me stesso e a tutti coloro che hanno lavorato così duramente per me negli ultimi 10 anni per portarmi dove sono.

Così sul podio della crono U23 di Wollongong nel 2022: un bronzo in cui non credeva
Così sul podio della crono U23 di Wollongong nel 2022: un bronzo in cui non credeva

Il bronzo di Wollongong

So che se riesco a cambiare i miei comportamenti, la mia costanza arriverà e sarò a un livello che non sono mai stato in grado di mostrare prima. Negli ultimi 4 anni non credo di aver avuto più di una manciata di periodi in cui mi sono allenato costantemente per alcuni mesi. Quando ci sono riuscito, ho ottenuto vittorie come la Liegi-Bastogne-Liegi o il Giro U23, ma le singole prestazioni non sono ciò che rende grande un corridore.

Ricordo che prima del mondiale di Wollongong nel 2022 il mio agente dovette venire a casa mia per convincermi ad andare. Ero in lacrime. Non potevo immaginare niente di peggio. Ero convinto che avrei fallito. Ero grasso, non ero abbastanza forte per correre. Avevo trascorso una settimana a letto, la mia bici era rotta e io ero completamente bloccato. Sono arrivato e ho ottenuto una medaglia di bronzo nella cronometro.

Il giudizio degli altri

Vorrei anche aggiungere che mi sembra incredibilmente sbagliato scrivere questo. Ho pensato per mesi che farlo fosse una buona idea. Mi sono seduto ogni giorno per farlo e mi ritrovavo a fare qualcos’altro, ma questa attesa è durata troppo a lungo. Al momento non esco di casa, per quasi niente. Ho paura. Anche scrivendo questo ora riesco a percepire quanto sia stupido in realtà, ma non cambia il fatto che è come mi sento.

Mi sono sempre preoccupato della percezione che le persone hanno di me. Ora sono a un punto in cui questo finisce solo per debilitarmi. E se esco e vedo qualcuno che conosco? E se mi chiedono dove sono stato? E se pensano che ho messo su peso? E se pensano che sono pigro? Questo è il genere di cose che mi passano per la testa, in ogni situazione.

E’ il motivo per cui prendo le distanze da tutti. Ho perso tanti grandi amici negli ultimi anni. Non perché abbiamo litigato, ma semplicemente perché mi sono allontanato da loro quando ero in difficoltà. Le persone mi mandano messaggi per chiedermi come sto e io non riesco proprio a rispondere. Cosa dovrei dire? Fino a che punto ho detto cose brutte o stronzate? Mi considereranno meno se sono in difficoltà?

Leo Hayter ha scritto il suo racconto nei giorni di Parigi in cui ha seguito suo fratello Ethan, argento nel quartetto
Leo Hayter ha scritto il suo racconto nei giorni di Parigi in cui ha seguito suo fratello Ethan, argento nel quartetto

A Parigi in tribuna

E’ anche una delle cose che mi tiene lontano dalla bici. Vorrei essere più sano, più in forma e più vicino al mio peso forma. Mi piace andare in bici all’aperto, ma cosa succede se qualcuno mi vede e mi chiede come sto? Vede che sono chiaramente sovrappeso per un ciclista professionista? Penseranno che sono pigro e che faccio perdere tempo alla squadra? Rideranno di me per il mio aspetto?

Mentre scrivo questo, sono a Parigi a guardare mio fratello alle Olimpiadi. Anche questo non mi sembra giusto, mi sento a disagio solo a essere qui. Vedere e confrontarsi con amici e familiari è difficile, ma ancora di più mi sembra sbagliato poter godere di qualcosa. Se non sto nemmeno facendo il mio lavoro in questo momento, merito di divertirmi?

Voglia di tornare

E’ come se non ci fosse una situazione che non mi spaventi. Se non fosse stato per la mia ragazza, non credo che avrei avuto alcun contatto umano negli ultimi 3 mesi. Per questo sarò sempre grato. Anche nei giorni peggiori riesco a vederla e a dimenticarmene per un po’.

Vorrei anche dire un enorme grazie e scusarmi al mio team di supporto di INEOS e oltre. Non posso fare a meno di sentirmi come se vi avessi delusi tutti, ma ci sto provando. Davvero. Il mio allenatore Dajo, gli psicologi Tim e Robbie e il mio agente Jamie mi hanno sostenuto negli ultimi anni, ma non sono riuscito a ripagare quella fiducia e quella convinzione come vorrei.

Spero che scrivere questo e renderlo pubblico renderà più facile contattare i miei amici, vedere persone, fare cose normali. Non ho pedalato negli ultimi mesi, ma non ho nemmeno vissuto. Spero di potervi aggiornare tutti nel prossimo futuro con qualcosa di più positivo. Tornerò a gareggiare di nuovo ai massimi livelli del ciclismo, non so ancora quando. Ma quando lo farò, sarò pronto.

Leo

Ruolo, tattica, aspettative: l’Olimpiade di Cecchini

17.08.2024
5 min
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Elena Cecchini è stata una delle protagoniste azzurre alle Olimpiadi di Parigi. Cecchini ha fatto parte del quartetto femminile impegnato nella prova in linea. Con lei, lo ricordiamo, Elisa Balsamo, Elisa Longo Borghini e Silvia Persico. La gara non è andata proprio bene. Alla fine il verdetto è stato: nona Longo Borghini, venticinquesima proprio Elena e oltre la cinquantesima posizione Balsamo e Persico.

Elena aveva un determinato ruolo, quello di essere la road capitan o regista in corsa, per dirla all’italiana. A mente fredda ripercorriamo un po’ la sua Olimpiade da un punto di vista tecnico-tattico. Da anni Cecchini è un perno della nazionale, una di quelle atlete sulle quali sai sempre di poter contare. E non è un caso che il cittì Paolo Sangalli abbia deciso di schierarla all’ombra della Tour Eiffel.

Splendida la cornice parigina, ma che caos controllare la corsa in quattro e senza radioline
Splendida la cornice parigina, ma che caos controllare la corsa in quattro e senza radioline
Elena, iniziamo dalla tua Olimpiade: cosa ci dici?

E’ stata una bellissima esperienza. Volevo fare anche qualcosa sui social che la raccontasse, ne parlavo con Elia (Viviani, il marito, ndr) ma sto ancora valutando. E’ iniziato tutto dall’aeroporto di Verona, quando siamo scesi dalla Val di Fassa, dove eravamo in ritiro con altri ragazzi, e siamo andati a prendere il volo per Parigi. Già lì ho iniziato a pensare ai mesi e agli anni di preparazione per arrivare fino a quel punto. Pensavo che alla fine noi ciclisti siamo fortunati, la nostra gara è una delle più lunghe, mentre altri atleti si giocano tutto in 10”-15”. E’ un insieme di emozioni e considerazioni enormi…

Parliamo un po’ della tua gara…

Ho ricevuto un messaggio da Elia prima del via che mi ha fatto commuovere. Per me era la seconda esperienza olimpica dopo Rio e la volevo vivere intensamente. Avevo aspettative altissime. Volevo fare una bella gara, ma come squadra non siamo rimaste soddisfatte. Almeno però rispetto a Tokyo è stata una gara vera e le più forti sono tutte rimaste davanti.

Qualche recriminazione?

Una e nasce da una serie di cose messe insieme. Ne ho anche parlato con Paolo Sangalli. Quando siamo entrate nel circuito e c’è stata la caduta. Sullo strappo di Montmartre è scoppiata la bagarre e mi sono detta: “Faccio un passo forte ma regolare”. E invece quando ho finito di tirare, dietro di me in cima non c’era nessuna. Ma quello non era un passo perché si restasse da sole. E infatti Elisa poi mi ha detto: “Elena, ho cercato di dirti che c’era stata una caduta”. Ma io non sentivo proprio. In vita mia non avevo mai visto tanta gente a bordo strada, tanto caos e non era facile comunicare.

Elena impegnata sullo strappo di Montmartre
Elena impegnata sullo strappo di Montmartre
Le altre però tra cui la Longo erano scappate…

A saperlo sarei andata davvero a tutta così magari avrei potuto aiutare Elisa. Ma neanche potevo tirare per Kopecky e Vollering che erano dietro. Alla fine per come è stata dura la gara non sarebbe cambiato nulla. Però sai, se intanto sei lì davanti in due. Quantomeno esserci… Questa è l’unica recriminazione che ho.

Per di più eravate senza radioline…

E infatti succede solo due volte l’anno che si corra senza radioline e io non ho sentito proprio nulla: né Elisa che cercava di avvertirmi, né la caduta. Anche per questo nelle ore successive alla gara non eravamo felicissime. Volevamo di meglio. Personalmente avevo avuto un avvicinamento molto sereno. Già a maggio sapevo che facevo parte di un lotto di 5-6 ragazze e non di 10-12 in lotta per 4 posti. E da quando poi ho saputo della convocazione ho corso un Giro Women in tutto relax, potendomi concentrare sul mio lavoro e sulla ricerca della condizione. Insomma stavo bene.

Anche per questo quando ti hanno chiesto del tuo ruolo di regista hai detto che volevi di più? Avevi paura che fosse qualcosa di riduttivo quel ruolo? Spiegaci meglio…

Il ruolo di regista è molto importante, ma credo che in un grande Giro o in un mondiale in cui si corre in 6-7 atlete è un conto, in un Olimpiade in cui si corre in quattro, è un altro. E’ normale che si debba prendere delle decisioni anche senza radio. In questo caso eravamo tutte esperte. Quel che volevo dire è che da me stessa mi aspettavo una presenza attiva in gara e di non essere lì solo per prendere decisioni o per dire alle altre cosa fare.

Cecchini e Longo Borghini dopo il traguardo
Cecchini e Longo Borghini dopo il traguardo
Vai avanti…

Infatti ho cercato di prendere la fuga, insomma volevo essere, e sono stata, regista ma anche attrice. Mi è piaciuta la pressione che mi sono messa addosso da sola. Lo stesso vale per l’approccio alla gara. Il ruolo di regista non è affatto riduttivo, anzi mi piace, ma in una corsa a quattro non era abbastanza serviva di più. E così ho fatto.

Quindi non volevi di più a livello di gerarchie?

No, no… i nostri punti di riferimento erano Elisa ed Elisa! Balsamo, nel caso di un rimescolamento continuo da dietro e di un arrivo in volata. Longo Borghini nel caso di una corsa più dura e selettiva, come poi è stata. E io credo che l’Italia abbia schierato le migliori quattro atlete a disposizione per questa sfida e per quel percorso.

E ora? 

Riprenderò a Plouay il 24 agosto. Per ora sono a casa, a Montecarlo. Ho fatto una settimana di recupero, di relax post olimpico, ed ho ripreso ad allenarmi, mentre Elia recupererà ancora un po’. Però fa un gran caldo. Di solito qui c’è sempre un po’ di aria e invece niente. Anche se fai tre ore, poi passi il resto del giorno a recuperare. 

Diario dall’altura: la settimana tipo di Busatto a Livigno

16.08.2024
5 min
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Se vi dovesse capitare di fare un giro dalle parti di Livigno in questo periodo vi imbattereste in tantissimi professionisti intenti ad allenarsi e preparare i mesi di agosto e settembre. Tra questi c’era anche Francesco Busatto, che è rimasto in altura per una ventina di giorni, dal 20 luglio fino al 9 agosto. Il veneto è al suo primo anno nel WorldTour e lo sta correndo con la Intermarché-Wanty, formazione con la quale nel 2023 ha corso nel devo team

«Sono tornato a casa giusto in tempo – dice – per prendere l’aereo per il Tour de Pologne. Dopo quasi un mese e mezzo sono tornato a correre. Mi aspetta un calendario impegnativo, dopo il Polonia andrò a Plouay, poi Amburgo, Canada e mondiale U23. Sono in parola con Amadori e dovrei prendere parte alla gara iridata. Settembre sarà un mese impegnativo, quindi mi sono preparato a dovere in ritiro a Livigno».

Busatto si è allenato a Livigno subito prima di ripartire per il Tour de Pologne
Busatto si è allenato a Livigno subito prima di ripartire per il Tour de Pologne

Venti giorni intensi

Un carico di lavoro importante, ma d’altronde gli impegni che arrivano non sono da meno e non possono essere sottovalutati. Busatto deve mettere chilometri e allenamenti nelle gambe, per essere pronto a dare il 100 per cento, se non di più. 

«Appena arrivato a Livigno – spiega – mi sono ambientato e adattato all’altura. I primi due giorni ho pedalato tranquillo, controllando molto i battiti, che in altura sono più importanti dei watt. Poi dal terzo giorno ho aggiunto qualche volata, mentre dal sesto in poi ho inserito dei lavori di forza. Una volta finita la prima settimana mi sono concentrato sul fondo e sul VO2Max. Con allenamenti dedicati al ritmo gara per arrivare in gran spolvero ai prossimi impegni».

Settimana tipo: bici e palestra

Concentriamoci allora su come ha lavorato in vista delle gare che arriveranno. Busatto ci racconta la sua settimana tipo a Livigno. Come ha unito tutte le sue esigenze di preparazione?

«Lunedì 29 luglio – dice analizzando insieme a noi i dati – ho iniziato la settimana legata al VO2Max e ai fuorigiri. Ho fatto un allenamento di tre ore e trenta con tre lavori differenti. Il primo è stato un fartlek di 15 minuti totali con una potenza costante, medio-alta. Ogni 3 minuti inserivo un attacco di 10 secondi e poi tornavo a regime. Il secondo lavoro è stato di 10 minuti con dei 30-15. 30 secondi a potenza alta ma controllata, più o meno 400 watt e poi 15 secondi di recupero. L’ultimo lavoro è stato simile, ho cambiato la durata, 8 minuti, e la frequenza. Ho alzato il recupero a 30 secondi, quindi sono diventati dei 30-30, per questo nello scatto ho aumentato la potenza di 50 watt più o meno».

«Nel pomeriggio, invece – continua – mi sono concentrato sulla forza in palestra. La base degli allenamenti è la stessa dell’inverno ma con carichi inferiori del 30 per cento circa. Ho allenato braccia e schiena con l’esercizio del rematore e il resto a corpo libero».

Al suo primo anno nel WorldTour ha accumulato 38 giorni di corsa fino alla vigilia del Polonia
Al suo primo anno nel WorldTour ha accumulato 38 giorni di corsa fino alla vigilia del Polonia

Doppietta con il lungo

Busatto in altura ha poi proseguito con i carichi di lavoro, tuttavia trattandosi di allenamenti ad alti regimi ha preferito fare delle sessioni di doppiette. 

«Il martedì – spiega – ho fatto un totale di 4 ore in bici con un solo lavoro di un quarto d’ora ripetuto tre volte. Essenzialmente erano dei cambi di ritmo con 2 minuti al medio-alto e 3 minuti in soglia per le prime due ripetute. L’ultima ripetuta ho cambiato i minutaggi e ho fatto 1 minuto piano e 4 minuti forte, sempre però a watt controllati. Nei due minuti di recupero tenevo la cadenza di pedalata alta, quando scattava, invece, l’abbassavo. E’ un modo per simulare un cambio di ritmo».

«Il mercoledì invece, è stato il giorno del lungo settimanale. Ho messo insieme sei ore in Z2 e Z3 con 170 chilometri e 4.500 metri di dislivello. Oltre ai watt tenevo controllato il cuore, cercando di tenerlo sotto i 160 battiti. A livello di alimentazione in allenamento mi tenevo sempre carico con tanti carboidrati ingeriti, per avere la gamba sempre piena. Nei due giorni successivi: giovedì e venerdì, ho riposato. Giovedì non ho toccato la bici, mentre venerdì l’ho portata a spasso per 1 oretta e mezza. Il doppio riposo mi serve per assimilare i lavori e arrivare senza stress fino alla fine del Polonia».

In alcune gare ha lavorato per i compagni, ma in altre si è potuto giocare le sue chance
In alcune gare ha lavorato per i compagni, ma in altre si è potuto giocare le sue chance

Altra doppietta

L’altra doppietta, quella del weekend, ovvero l’ultima della settimana, è servita per fare velocizzazione e un piccolo richiamo di forza. 

«Sabato sono tornato a fare 4 ore di allenamento con cinque volate al massimo della potenza per 8 secondi. Era previsto anche un altro lavoro, della durata di 12 minuti, con 30 secondi in Z5 alta o Z6 e un minuto e mezzo in Z4 per recuperare. Una simulazione di scatti su salite di media lunghezza».

«Come ultimo giorno, domenica, erano previste 5 ore con un solo lavoro della durata di 30 minuti. Un richiamo di forza. Nell’arco di tempo avevo 3 minuti in Z4 alta a 90 pedalate per minuto e poi 2 minuti in Z4 bassa con 75 pedalate per minuto. Una volta finito altro riposo e poi si ricomincia la routine».

Il torneo olimpico della Vece, quasi un antipasto

16.08.2024
4 min
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L’aveva sognata con un epilogo diverso, l’Olimpiade di Parigi. Miriam Vece è tornata a casa sentendo in bocca quel sapore amaro di un’occasione perduta, anche se a modo suo ha comunque scritto la storia non solo qualificando per la prima volta un’azzurra ai tornei di velocità, ma raccogliendo punti sufficienti per portare con sé anche una compagna di squadra, Sara Fiorin.

Miriam Vece nel keirin, dove è uscita ai ripescaggi, battuta da Clonan (AUS) e Gaxiola (MEX)
Miriam Vece nel keirin, dove è uscita ai ripescaggi, battuta da Clonan (AUS) e Gaxiola (MEX)

Un’Olimpiade corta

Miriam sperava in una presenza più corposa, in fatto di risultati, invece le sue eliminazioni precoci, peraltro unite ai fuochi d’artificio arrivati dal settore endurance tanto al maschile quanto al femminile, hanno fatto passare le sue prestazioni in secondo piano.

«E’ stata un’Olimpiade lunga per le altre e corta per me – esordisce non senza lasciar trasparire un po’ di amarezza – volevo molto di più, anche se so che sarebbe stato difficile visto il livello delle competizioni. Il fatto che i compagni si siano attirati tutte le attenzioni è normale, visti i loro risultati ma è sempre stato così, la velocità è sempre stata nell’ombra, speriamo che da Los Angeles 2028 ci sia un cambio di tendenza visto il valore dei ragazzi alla guida di Quaranta».

Nello sprint l’azzurra ha ceduto alla neozelandese Fulton dopo essere stata 16esima in qualificazione
Nello sprint l’azzurra ha ceduto alla neozelandese Fulton dopo essere stata 16esima in qualificazione
Ti aspettavi i risultati che sono arrivati nel tuo settore?

Nel complesso non mi hanno sorpreso anche se il fatto che la tedesca Hinze sia uscita già ai sedicesimi ha tolto una pretendente alle medaglie molto presto. I valori comunque erano quelli, le scuole che sono emerse anche.

La doppietta della Andrews è però considerata un sovvertimento dei pronostici…

Non era una sconosciuta: è la campionessa mondiale di keirin e bronzo nello sprint, inoltre ha dominato la Champions League. Nel keirin non avevo dubbi sulla sua vittoria, magari il torneo di velocità poteva risultarle più ostico, ma così non è stato. Non dimentichiamo che è stata anche primatista mondiale juniores nell’inseguimento, significa che ha capacità di resistenza non comuni nella velocità. Poi è una ragazza che mi piace, che non se la tira. Sono stata contenta per lei.

Ellesse Andrews in trionfo. Per lei due ori e l’argento nel team sprint
Ellesse Andrews in trionfo. Per lei due ori e l’argento nel team sprint
Che cosa ti è mancato per avere una rassegna olimpica all’altezza delle tue aspettative?

Fortuna, soprattutto quella. Stavo bene, non mi aspettavo di uscire così presto – sottolinea la Vece – Un po’ gli abbinamenti, un po’ anche l’andamento di alcune gare non sono andate come speravo. Poteva andare diversamente, io comunque sono contenta di tutto il viaggio che mi ha portato a essere a Parigi, oltretutto non da sola ma in compagnia di Sara. Quel che mi è un po’ mancata è stata l’atmosfera del villaggio visto che eravamo in hotel. E’ comunque un’esperienza unica, che auguro a ogni sportivo di vivere almeno una volta nella vita.

E adesso?

Mi sto rilassando giusto qualche giorno, ma poi si ricomincia perché a ottobre ci sono i mondiali, poi già a febbraio si ricomincerà con gli europei. Nel frattempo deciderò che cosa fare, se tirare avanti verso un altro quadriennio olimpico. E’ un investimento importante sulla mia vita, sul quale devo ragionare con attenzione. Io sono intenzionata a continuare perché vedo Parigi come un antipasto: vorrei chiudere con un buon risultato olimpico e vedo che le premesse, nel nostro ambiente, lavorando con Ivan che sta progressivamente cambiando tutta la nostra filosofia mettendola al passo con le altre scuole, ci sono per far bene.

Per Sara Fiorin un’esperienza fondamentale per la sua crescita
Per Sara Fiorin un’esperienza fondamentale per la sua crescita
Quanto conta l’aiuto di Quaranta?

Moltissimo, è fondamentale per il nostro gruppo. Il problema è che ha preso un settore in corsa che era una sorta di tabula rasa, con tutto da costruire per renderlo al passo con i tempi. Quindi andiamo sempre un po’ di rincorsa. Ma io sono ottimista e per quel che mi riguarda devo solo ritrovare la mia miglior forma che a Parigi non c’era.

Parte la Vuelta e si rivede Kuss, ultima maniglia per la Visma

16.08.2024
8 min
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«Vincere la Vuelta – dice Kuss, americano di 29 anni – è stato un’esperienza davvero speciale, soprattutto se penso a quello che ha significato per me come corridore. Per il resto, non credo che mi abbia cambiato molto come persona. Certo, quando hai successo nello sport, ti aspetti sempre di più o ti concentri di più. Però in un certo senso questo rende le cose più difficili. Da una parte è bello avere il riconoscimento, ma si tratta sempre di trovare un equilibrio».

Domani Lisbona ospiterà il via della Vuelta e il vincitore uscente è ricomparso dopo un lungo periodo di silenzio in quota e la vittoria alla Vuelta a Burgos che gli ha dato tanto morale. Lo scorso anno Sepp Kuss era un gioviale e generoso gregario, capace di interviste di sconfinata umanità. Accompagnò Roglic alla vittoria del Giro e subito dopo Vingegaard alla terza maglia gialla. E quando tutti si stupirono perché sarebbe andato anche alla Vuelta, lui la Vuelta la vinse, passando alla dimensione di vincitore di un Grande Giro. Va bene, la vittoria gliela avranno anche lasciata i due illustri compagni, ma nella fuga verso l’Observatorio Astrofísico de Javalambre che gli permise di conquistare il primato ci entrò lui e alla fine la maglia rossa appesa idealmente sul camino resta un trofeo ampiamente meritato.

Dopo il Giro con Roglic e il Tour con Vingegaard, la Vuelta 2023 vide la vittoria della Jumbo con Kuss, scortato dai due compagni
Dopo il Giro con Roglic e il Tour con Vingegaard, la Vuelta 2023 vide la vittoria della Jumbo con Kuss, scortato dai due compagni
Eri mai stato a Lisbona?

C’eravamo stati in vacanza, ma questa non sarà una vacanza. Fu davvero bello e in qualche modo sarà bello anche questa volta, perché le prime tre tappe saranno perfette per entrare nel vivo della gara. Una cronometro relativamente breve (12 chilometri, ndr) e poi alcune tappe più semplici ci daranno il ritmo e metteranno un primo ordine nella classifica.

Lo scorso anno alla partenza dicesti che i due favoriti sarebbero stati Roglic e Vingegaard: come sarà ora che loro non ci sono?

Primoz ci sarà, ma con un’altra maglia (sorride cogitabondo, ndr). L’anno scorso è stata una circostanza unica. Essendo loro i leader della squadra, sicuramente all’inizio tutti guardavano loro e io sono riuscito a infilarmi in quella fuga che si è rivelata molto decisiva. Quest’anno senza loro due sarà diverso. Non voglio dire che c’è più pressione, ma non c’è nessun altro che possa aiutarmi e io non posso contare su due dei migliori corridori da corse a tappe al mondo. Questo darà alla corsa un’altra impostazione.

Hai vinto la Vuelta a Burgos, questo significa che arrivi nella forma che speravi?

Sì, penso che la mia forma sia piuttosto buona. Sono stato sorpreso di andare così forte a Burgos, ma è bello quando le cose vanno bene in modo inatteso. Non correvo da due mesi, dal Delfinato. Non vincevo dalla Vuelta dello scorso anno, quindi di sicuro da quella vittoria ho avuto una bella spinta mentale. In ogni caso però in un Grande Giro è sempre diverso. La cosa più importante è che mi sento abbastanza fresco per questa Vuelta. A questo punto della stagione quel che conta è essere forti e recuperare bene.

Alla Vuelta a Burgos, Kuss vince la tappa di Lagunas de Neila, con dedica al bimbo in arrivo
Alla Vuelta a Burgos, Kuss vince la tappa di Lagunas de Neila, con dedica al bimbo in arrivo
In ogni caso hai vinto in condizioni ambientali simili a quelle che si troveranno alle Vuelta.

Sono molto contento di questo. Quando ho vinto a Lagunas de Neila è stata una giornata dura, soprattutto a causa del caldo. Sulla salita finale ho fatto parecchia fatica, ma volevo provare almeno una volta. Quando ho visto che avevo preso vantaggio, ho dato il massimo. Sono contento che abbia funzionato e voglio ringraziare i miei compagni di squadra per tutto il lavoro che hanno fatto.

Non ti consideri il favorito, ma come ci si sente a partire con il numero uno?

Davvero bene. E’ un onore essere di nuovo qui come vincitore uscente e voglio fare del mio meglio per onorare questo fatto, con tutto ciò che ne consegue. Insomma (sorride, ndr), non vedo l’ora. Mi piace sempre correre la Vuelta. Vivo ad Andorra, mi sento un po’ spagnolo anche io. Le persone lungo il percorso sono molto carine, cantano il mio nome e mi fanno sentire apprezzato. Questo è uno dei motivi per cui sono davvero emozionato di correre la Vuelta. E farlo da campione uscente sarà un altro motivo di orgoglio.

C’è tanto scetticismo da parte del pubblico sui corridori che vengono fermati ancora per il Covid, puoi dirci come mai sei stato costretto per questo a saltare il Tour?

In realtà è stato davvero strano. Le altre volte che ho preso il Covid, non è mai stato un problema. Solo pochi giorni di malessere e poi ho sempre potuto continuare con la mia vita. Questa volta invece ci ho messo tanto tempo, anche solo per recuperare la miglior efficienza dei polmoni. Sono stato incredibilmente affaticato per diverse settimane, quindi a quel punto non avrei nemmeno potuto immaginare di iniziare il Tour de France. Fortunatamente alla fine tutte le complicazioni sono passate ed è arrivato finalmente il momento in cui tutto ha ricominciato a funzionare. E ora mi sento normale.

E’ stato difficile restare concentrati sulla stagione?

Posso dire certamente che saltare il Tour sia stato per me molto deludente, ma non ero nello stato d’animo e fisico di pensarci come a una concreta possibilità. Ho dovuto prendere tanti antibiotici e questo mi ha buttato giù parecchio, per cui una volta che mi sono fatto una ragione di dover stare fermo, ho iniziato a concentrarmi su quello che avrei potuto fare dopo. E la Vuelta era chiaramente la possibilità principale.

Tornando alla Vuelta, la UAE Emirates e la Red Bull-Bora hanno squadre fortissime, pensi di potergli tenere testa?

Vero, hanno team super forti, però penso che la Vuelta sia una corsa diversa dal Giro e soprattutto dal Tour. Ovvio che la squadra serva, non voglio dire il contrario, ma qui spesso ci sono salite finali così ripide che le strategie passano in secondo piano e tutto si riduce al confronto fra chi ha gambe e chi no. Ma è anche vero che ci sono molte tappe in cui può essere complicato se quei team così forti hanno più corridori a disposizione nei momenti salienti della corsa. Ci sono sempre situazioni in cui le cose possono essere un po’ meno controllate. Quindi, in sintesi tutto ciò significa che ci saranno più corridori da tenere d’occhio e che bisognerà essere intelligenti e forti nei momenti giusti.

Con il via dal Portogallo, come vedi l’equilibrio in casa UAE Emirates: Almeida sarà uno dei favoriti?

Penso di sì. E’ un corridore che va forte in tutte le gare che fa. Al Tour de France è stato super forte accanto a Pogacar. E penso che quest’anno alla Vuelta, proprio per il fatto che si parte qui dal Portogallo, avrà delle motivazioni in più. Quindi non so come siano organizzati nella loro squadra, ma credo che Joao sarà un grande favorito.

Com’è il tuo rapporto con Roglic e come sarà correre contro di lui?

Abbiamo un bel rapporto. Certo, ora siamo avversari e penso che a qualsiasi gara partecipi, Primoz sia sempre un grande rivale e uno dei principali favoriti. Perciò sono sicuro che tutti guarderanno a lui. Poi ammetto che soprattutto all’inizio sarà strano. Quando sei abituato a stare nella stessa squadra con qualcuno per così tanto tempo (i due sono stati compagni di squadra dal 2018 al 2023, ndr), ritrovarlo come avversario non sarà immediato.

Tanti utilizzano la Vuelta come preparazione per il mondiale, che sarà anche duro: pensi che sarà così anche per te?

Direi proprio di no. In quei giorni mia moglie dovrebbe partorire e penso sia meglio che io mi faccia trovare a casa.

Hai parlato di salite molto dure, ne vedi una in particolare?

Penso che il Cuito Negro, arrivo della quindicesima tappa, sia la più temibile. Però anche il Picon Blanco è davvero duro, esposto e molto ripido. E soprattutto sarà l’arrivo della ventesima tappa, saremo tutti belli stanchi.

La Visma-Lease a Bike per Kuss avrà Van Aert e Affini: entrambi attesi anche a una bella crono
La Visma-Lease a Bike per Kuss avrà Van Aert e Affini: entrambi attesi anche a una bella crono

Il via con una crono

Di più non dice. Un po’ perché se nasci gregario, fai fatica a recitare da star. E un po’ perché Kuss ha capito da un pezzo che lasciare ad altri il peso della corsa sia il modo migliore per approfittare di eventuali passaggi a vuoto e infilarsi come il piccolo cuneo che con due colpi giusti spacca anche il tronco più grande.

Si comincia domani a Lisbona, con la partenza del primo corridore alle 16,23 da Praca do Imperio e l’arrivo a Oeiras dopo 12 chilometri. Strada costiera, un paio di avvallamenti e semmai il rischio di vento. Alla Visma-Lease a Bike non lo dicono, ma puntano forte con Wout Van Aert, bronzo a Parigi. Con la minaccia di Tarling che vorrà rifarsi proprio per la foratura e la delusione olimpica.

In Spagna attenti a Riccitello, oriundo nostrano

15.08.2024
5 min
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Non si può certo dire che Matthew Riccitello sia una rivelazione. Il ventiduenne americano di Tucson già da giovanissimo si era messo in luce come uno dei talenti più promettenti, ma non ha avuto quella deflagrante esplosione che ci si attendeva e che hanno avuto altri della sua generazione, da Evenepoel in poi. Pian piano però l’oriundo italiano ha trovato il suo spazio, anzi in questa stagione ha mostrato di che pasta è fatto.

L’ultimo Giro della Svizzera lo ha visto protagonista, quasi un Don Chisciotte contro l’armata della Uae, ma Matthew non si è per nulla intimorito, dando battaglia quasi come un corridore smaliziato. Tanto che all’Israel Premier Tech si sono lustrati gli occhi, confidando di avere fra le mani un vero diamante grezzo. Alla vigilia della Vuelta dove conta di essere protagonista, Riccitello ha deciso di farsi conoscere un po’ di più anche nella terra delle sue origini.

Riccitello è al terzo anno all’Israel, con contratto firmato anche per il 2025
Riccitello è al terzo anno all’Israel, con contratto firmato anche per il 2025
Come hai iniziato a fare ciclismo?

Sono cresciuto in questo sport perché mio padre era un triatleta professionista, quindi il Tour de France era sempre in TV d’estate. Mi piaceva guardarlo, ma da ragazzino seguivo molto le gesta di mio padre, quindi correvo e nuotavo, avrei voluto fare come lui. Poi quando avevo 14 o 15 anni, per qualche motivo ho deciso che volevo iniziare ad andare solo in bici e fare ciclismo su strada, da allora non mi sono più fermato.

Tu vieni dall’Arizona, quanto è diffuso il ciclismo e l’uso della bici in quello stato?

Direi che è decisamente più popolare rispetto alla maggior parte degli altri Stati, perché il clima è così bello lì, tanto che è stato un posto dove per molti anni molti ciclisti professionisti si allenavano d’inverno, quindi direi che è uno sport piuttosto popolare, ma non è neanche lontanamente come lo è in Italia o in questi Paesi europei.

L’americano corre spesso in Italia. Al Giro d’Abruzzo è stato 3° fra i giovani
L’americano corre spesso in Italia. Al Giro d’Abruzzo è stato 3° fra i giovani
Il tuo cognome tradisce le origini italiane: da dove viene la tua famiglia e che legami hai con l’Italia?

La parte di mio padre è italiana: il mio bisnonno è venuto dall’Italia, neanche so più da dove, per prima cosa a New York e poi da lì con la famiglia si è spostato a Tucson. Quindi abbiamo un po’ di sangue italiano. Io amo l’Italia. Amo la cultura. Amo le corse di queste parti, è il mio Paese preferito in Europa, mi piace molto venirci a correre e, perché no, a mangiare…

Di te si parla molto sin da quando eri junior, ma quest’anno sembri aver fatto un vero miglioramento, a che cosa è dovuto?

Penso che nel tempo ho acquisito più esperienza. In realtà ogni gara che ho fatto sin dagli inizi, sono sempre migliorato un po’. La cosa più importante è semplicemente essere costante e allenarsi in modo coerente e cercare di imparare il più possibile. Quest’anno ho fatto un grande passo avanti e credo che molto sia dovuto al fatto che sono sicuramente migliorato fisicamente, ma quel che conta è acquisire sicurezza e sapere che posso esserci quando la corsa si decide. Una volta che ce l’hai in testa, che ne sei convinto, è molto più facile.

Al Giro 2023, alle spalle di Fortunato. Per Riccitello una grande esperienza
Al Giro 2023, alle spalle di Fortunato. Per Riccitello una grande esperienza
Stai emergendo molto nelle corse a tappe, è quella la tua dimensione preferita?

Sì, di sicuro. Le corse a tappe sono dove mi esprimo meglio, ma non solo in quelle brevi, io credo che col passare dei giorni posso andare sempre meglio e per questo attendo la Vuelta con curiosità. Sento di riprendermi bene ogni giorno ed è quello che mi piace. Vedremo dove mi porta.

Al Giro di Svizzera sei stato il vero avversario del team di Yates e Almeida: ti sentivi in minoranza?

Forse un pochino. Erano in ottima forma e avevano una squadra fortissima dalla loro. Stavano andando davvero bene, quindi è stato difficile tenere loro testa. In quegli arrivi in cima alla montagna, era come se potessi tenere il passo con loro, quindi si trattava solo di cercare di tenerli il più a lungo possibile. Forse io ero un po’ isolato ma non c’era molto altro che potessi fare. Loro erano semplicemente più forti, almeno in quell’occasione, ma ciò mi dà maggiore stimolo per cercare di colmare quel divario man mano che cresco e faccio più esperienze.

Il ventiduenne ha dato filo da torcere a Yates e al suo team al Giro della Svizzera
Il ventiduenne ha dato filo da torcere a Yates e al suo team al Giro della Svizzera
Sei già confermato all’Israel per il prossimo anno, come ti trovi e pesa per voi il non essere un team WorldTour?

Per me è il primo contratto da professionista e la squadra è stata subito super, super fantastica. Per me, il fatto che sia una squadra professionistica e non un World Team non cambia molto. Voglio dire, penso che lo sia, come valore e come calendario seguito. E credo che valga un po’ per tutti noi. La squadra è gestita in modo molto professionale, quindi per me non c’è differenza.

Ora parti per la Vuelta, quali saranno gli obiettivi tuoi e della squadra?

Per me, voglio partire bene sin dalle primissime tappe e cercare di fare una buona classifica generale. La squadra è molto competitiva, ci sono Bennett e Woods che possono anche loro puntare alle posizioni alte, poi Corbin Strong per le volate. La squadra è anche ben costruita, con Teuns, Frigo, Raisberg e Sheehan che potranno darci aiuto nelle prime fasi delle tappe, proteggerci un po’. Non abbiamo una strategia definita, penso che la prenderemo giorno per giorno e man mano che la gara si sviluppa, decideremmo il da farsi.

Il giovane americano si sta mettendo sempre più in luce. All’Israel puntano su di lui per la Vuelta
Il giovane americano si sta mettendo sempre più in luce. All’Israel puntano su di lui per la Vuelta
Tu sei americano e dalle tue parti ora si festeggia la vittoria nel medagliere olimpico. Se dovessi scegliere fra vincere un mondiale o un’Olimpiade che cosa preferiresti?

Domanda molto difficile per me – ride – Penso che come hai detto, essendo americano, le Olimpiadi siano così importanti. Succede solo una volta ogni quattro anni, hai tutti gli occhi puntati addosso. Mettiamola così: dovrei scegliere una medaglia d’oro olimpica piuttosto che un titolo mondiale, ma sceglierei sicuramente una maglia iridata piuttosto che una medaglia d’argento o di bronzo olimpica.