Parte la Vuelta e si rivede Kuss, ultima maniglia per la Visma

16.08.2024
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«Vincere la Vuelta – dice Kuss, americano di 29 anni – è stato un’esperienza davvero speciale, soprattutto se penso a quello che ha significato per me come corridore. Per il resto, non credo che mi abbia cambiato molto come persona. Certo, quando hai successo nello sport, ti aspetti sempre di più o ti concentri di più. Però in un certo senso questo rende le cose più difficili. Da una parte è bello avere il riconoscimento, ma si tratta sempre di trovare un equilibrio».

Domani Lisbona ospiterà il via della Vuelta e il vincitore uscente è ricomparso dopo un lungo periodo di silenzio in quota e la vittoria alla Vuelta a Burgos che gli ha dato tanto morale. Lo scorso anno Sepp Kuss era un gioviale e generoso gregario, capace di interviste di sconfinata umanità. Accompagnò Roglic alla vittoria del Giro e subito dopo Vingegaard alla terza maglia gialla. E quando tutti si stupirono perché sarebbe andato anche alla Vuelta, lui la Vuelta la vinse, passando alla dimensione di vincitore di un Grande Giro. Va bene, la vittoria gliela avranno anche lasciata i due illustri compagni, ma nella fuga verso l’Observatorio Astrofísico de Javalambre che gli permise di conquistare il primato ci entrò lui e alla fine la maglia rossa appesa idealmente sul camino resta un trofeo ampiamente meritato.

Dopo il Giro con Roglic e il Tour con Vingegaard, la Vuelta 2023 vide la vittoria della Jumbo con Kuss, scortato dai due compagni
Dopo il Giro con Roglic e il Tour con Vingegaard, la Vuelta 2023 vide la vittoria della Jumbo con Kuss, scortato dai due compagni
Eri mai stato a Lisbona?

C’eravamo stati in vacanza, ma questa non sarà una vacanza. Fu davvero bello e in qualche modo sarà bello anche questa volta, perché le prime tre tappe saranno perfette per entrare nel vivo della gara. Una cronometro relativamente breve (12 chilometri, ndr) e poi alcune tappe più semplici ci daranno il ritmo e metteranno un primo ordine nella classifica.

Lo scorso anno alla partenza dicesti che i due favoriti sarebbero stati Roglic e Vingegaard: come sarà ora che loro non ci sono?

Primoz ci sarà, ma con un’altra maglia (sorride cogitabondo, ndr). L’anno scorso è stata una circostanza unica. Essendo loro i leader della squadra, sicuramente all’inizio tutti guardavano loro e io sono riuscito a infilarmi in quella fuga che si è rivelata molto decisiva. Quest’anno senza loro due sarà diverso. Non voglio dire che c’è più pressione, ma non c’è nessun altro che possa aiutarmi e io non posso contare su due dei migliori corridori da corse a tappe al mondo. Questo darà alla corsa un’altra impostazione.

Hai vinto la Vuelta a Burgos, questo significa che arrivi nella forma che speravi?

Sì, penso che la mia forma sia piuttosto buona. Sono stato sorpreso di andare così forte a Burgos, ma è bello quando le cose vanno bene in modo inatteso. Non correvo da due mesi, dal Delfinato. Non vincevo dalla Vuelta dello scorso anno, quindi di sicuro da quella vittoria ho avuto una bella spinta mentale. In ogni caso però in un Grande Giro è sempre diverso. La cosa più importante è che mi sento abbastanza fresco per questa Vuelta. A questo punto della stagione quel che conta è essere forti e recuperare bene.

Alla Vuelta a Burgos, Kuss vince la tappa di Lagunas de Neila, con dedica al bimbo in arrivo
Alla Vuelta a Burgos, Kuss vince la tappa di Lagunas de Neila, con dedica al bimbo in arrivo
In ogni caso hai vinto in condizioni ambientali simili a quelle che si troveranno alle Vuelta.

Sono molto contento di questo. Quando ho vinto a Lagunas de Neila è stata una giornata dura, soprattutto a causa del caldo. Sulla salita finale ho fatto parecchia fatica, ma volevo provare almeno una volta. Quando ho visto che avevo preso vantaggio, ho dato il massimo. Sono contento che abbia funzionato e voglio ringraziare i miei compagni di squadra per tutto il lavoro che hanno fatto.

Non ti consideri il favorito, ma come ci si sente a partire con il numero uno?

Davvero bene. E’ un onore essere di nuovo qui come vincitore uscente e voglio fare del mio meglio per onorare questo fatto, con tutto ciò che ne consegue. Insomma (sorride, ndr), non vedo l’ora. Mi piace sempre correre la Vuelta. Vivo ad Andorra, mi sento un po’ spagnolo anche io. Le persone lungo il percorso sono molto carine, cantano il mio nome e mi fanno sentire apprezzato. Questo è uno dei motivi per cui sono davvero emozionato di correre la Vuelta. E farlo da campione uscente sarà un altro motivo di orgoglio.

C’è tanto scetticismo da parte del pubblico sui corridori che vengono fermati ancora per il Covid, puoi dirci come mai sei stato costretto per questo a saltare il Tour?

In realtà è stato davvero strano. Le altre volte che ho preso il Covid, non è mai stato un problema. Solo pochi giorni di malessere e poi ho sempre potuto continuare con la mia vita. Questa volta invece ci ho messo tanto tempo, anche solo per recuperare la miglior efficienza dei polmoni. Sono stato incredibilmente affaticato per diverse settimane, quindi a quel punto non avrei nemmeno potuto immaginare di iniziare il Tour de France. Fortunatamente alla fine tutte le complicazioni sono passate ed è arrivato finalmente il momento in cui tutto ha ricominciato a funzionare. E ora mi sento normale.

E’ stato difficile restare concentrati sulla stagione?

Posso dire certamente che saltare il Tour sia stato per me molto deludente, ma non ero nello stato d’animo e fisico di pensarci come a una concreta possibilità. Ho dovuto prendere tanti antibiotici e questo mi ha buttato giù parecchio, per cui una volta che mi sono fatto una ragione di dover stare fermo, ho iniziato a concentrarmi su quello che avrei potuto fare dopo. E la Vuelta era chiaramente la possibilità principale.

Tornando alla Vuelta, la UAE Emirates e la Red Bull-Bora hanno squadre fortissime, pensi di potergli tenere testa?

Vero, hanno team super forti, però penso che la Vuelta sia una corsa diversa dal Giro e soprattutto dal Tour. Ovvio che la squadra serva, non voglio dire il contrario, ma qui spesso ci sono salite finali così ripide che le strategie passano in secondo piano e tutto si riduce al confronto fra chi ha gambe e chi no. Ma è anche vero che ci sono molte tappe in cui può essere complicato se quei team così forti hanno più corridori a disposizione nei momenti salienti della corsa. Ci sono sempre situazioni in cui le cose possono essere un po’ meno controllate. Quindi, in sintesi tutto ciò significa che ci saranno più corridori da tenere d’occhio e che bisognerà essere intelligenti e forti nei momenti giusti.

Con il via dal Portogallo, come vedi l’equilibrio in casa UAE Emirates: Almeida sarà uno dei favoriti?

Penso di sì. E’ un corridore che va forte in tutte le gare che fa. Al Tour de France è stato super forte accanto a Pogacar. E penso che quest’anno alla Vuelta, proprio per il fatto che si parte qui dal Portogallo, avrà delle motivazioni in più. Quindi non so come siano organizzati nella loro squadra, ma credo che Joao sarà un grande favorito.

Com’è il tuo rapporto con Roglic e come sarà correre contro di lui?

Abbiamo un bel rapporto. Certo, ora siamo avversari e penso che a qualsiasi gara partecipi, Primoz sia sempre un grande rivale e uno dei principali favoriti. Perciò sono sicuro che tutti guarderanno a lui. Poi ammetto che soprattutto all’inizio sarà strano. Quando sei abituato a stare nella stessa squadra con qualcuno per così tanto tempo (i due sono stati compagni di squadra dal 2018 al 2023, ndr), ritrovarlo come avversario non sarà immediato.

Tanti utilizzano la Vuelta come preparazione per il mondiale, che sarà anche duro: pensi che sarà così anche per te?

Direi proprio di no. In quei giorni mia moglie dovrebbe partorire e penso sia meglio che io mi faccia trovare a casa.

Hai parlato di salite molto dure, ne vedi una in particolare?

Penso che il Cuito Negro, arrivo della quindicesima tappa, sia la più temibile. Però anche il Picon Blanco è davvero duro, esposto e molto ripido. E soprattutto sarà l’arrivo della ventesima tappa, saremo tutti belli stanchi.

La Visma-Lease a Bike per Kuss avrà Van Aert e Affini: entrambi attesi anche a una bella crono
La Visma-Lease a Bike per Kuss avrà Van Aert e Affini: entrambi attesi anche a una bella crono

Il via con una crono

Di più non dice. Un po’ perché se nasci gregario, fai fatica a recitare da star. E un po’ perché Kuss ha capito da un pezzo che lasciare ad altri il peso della corsa sia il modo migliore per approfittare di eventuali passaggi a vuoto e infilarsi come il piccolo cuneo che con due colpi giusti spacca anche il tronco più grande.

Si comincia domani a Lisbona, con la partenza del primo corridore alle 16,23 da Praca do Imperio e l’arrivo a Oeiras dopo 12 chilometri. Strada costiera, un paio di avvallamenti e semmai il rischio di vento. Alla Visma-Lease a Bike non lo dicono, ma puntano forte con Wout Van Aert, bronzo a Parigi. Con la minaccia di Tarling che vorrà rifarsi proprio per la foratura e la delusione olimpica.

In Spagna attenti a Riccitello, oriundo nostrano

15.08.2024
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Non si può certo dire che Matthew Riccitello sia una rivelazione. Il ventiduenne americano di Tucson già da giovanissimo si era messo in luce come uno dei talenti più promettenti, ma non ha avuto quella deflagrante esplosione che ci si attendeva e che hanno avuto altri della sua generazione, da Evenepoel in poi. Pian piano però l’oriundo italiano ha trovato il suo spazio, anzi in questa stagione ha mostrato di che pasta è fatto.

L’ultimo Giro della Svizzera lo ha visto protagonista, quasi un Don Chisciotte contro l’armata della Uae, ma Matthew non si è per nulla intimorito, dando battaglia quasi come un corridore smaliziato. Tanto che all’Israel Premier Tech si sono lustrati gli occhi, confidando di avere fra le mani un vero diamante grezzo. Alla vigilia della Vuelta dove conta di essere protagonista, Riccitello ha deciso di farsi conoscere un po’ di più anche nella terra delle sue origini.

Riccitello è al terzo anno all’Israel, con contratto firmato anche per il 2025
Riccitello è al terzo anno all’Israel, con contratto firmato anche per il 2025
Come hai iniziato a fare ciclismo?

Sono cresciuto in questo sport perché mio padre era un triatleta professionista, quindi il Tour de France era sempre in TV d’estate. Mi piaceva guardarlo, ma da ragazzino seguivo molto le gesta di mio padre, quindi correvo e nuotavo, avrei voluto fare come lui. Poi quando avevo 14 o 15 anni, per qualche motivo ho deciso che volevo iniziare ad andare solo in bici e fare ciclismo su strada, da allora non mi sono più fermato.

Tu vieni dall’Arizona, quanto è diffuso il ciclismo e l’uso della bici in quello stato?

Direi che è decisamente più popolare rispetto alla maggior parte degli altri Stati, perché il clima è così bello lì, tanto che è stato un posto dove per molti anni molti ciclisti professionisti si allenavano d’inverno, quindi direi che è uno sport piuttosto popolare, ma non è neanche lontanamente come lo è in Italia o in questi Paesi europei.

L’americano corre spesso in Italia. Al Giro d’Abruzzo è stato 3° fra i giovani
L’americano corre spesso in Italia. Al Giro d’Abruzzo è stato 3° fra i giovani
Il tuo cognome tradisce le origini italiane: da dove viene la tua famiglia e che legami hai con l’Italia?

La parte di mio padre è italiana: il mio bisnonno è venuto dall’Italia, neanche so più da dove, per prima cosa a New York e poi da lì con la famiglia si è spostato a Tucson. Quindi abbiamo un po’ di sangue italiano. Io amo l’Italia. Amo la cultura. Amo le corse di queste parti, è il mio Paese preferito in Europa, mi piace molto venirci a correre e, perché no, a mangiare…

Di te si parla molto sin da quando eri junior, ma quest’anno sembri aver fatto un vero miglioramento, a che cosa è dovuto?

Penso che nel tempo ho acquisito più esperienza. In realtà ogni gara che ho fatto sin dagli inizi, sono sempre migliorato un po’. La cosa più importante è semplicemente essere costante e allenarsi in modo coerente e cercare di imparare il più possibile. Quest’anno ho fatto un grande passo avanti e credo che molto sia dovuto al fatto che sono sicuramente migliorato fisicamente, ma quel che conta è acquisire sicurezza e sapere che posso esserci quando la corsa si decide. Una volta che ce l’hai in testa, che ne sei convinto, è molto più facile.

Al Giro 2023, alle spalle di Fortunato. Per Riccitello una grande esperienza
Al Giro 2023, alle spalle di Fortunato. Per Riccitello una grande esperienza
Stai emergendo molto nelle corse a tappe, è quella la tua dimensione preferita?

Sì, di sicuro. Le corse a tappe sono dove mi esprimo meglio, ma non solo in quelle brevi, io credo che col passare dei giorni posso andare sempre meglio e per questo attendo la Vuelta con curiosità. Sento di riprendermi bene ogni giorno ed è quello che mi piace. Vedremo dove mi porta.

Al Giro di Svizzera sei stato il vero avversario del team di Yates e Almeida: ti sentivi in minoranza?

Forse un pochino. Erano in ottima forma e avevano una squadra fortissima dalla loro. Stavano andando davvero bene, quindi è stato difficile tenere loro testa. In quegli arrivi in cima alla montagna, era come se potessi tenere il passo con loro, quindi si trattava solo di cercare di tenerli il più a lungo possibile. Forse io ero un po’ isolato ma non c’era molto altro che potessi fare. Loro erano semplicemente più forti, almeno in quell’occasione, ma ciò mi dà maggiore stimolo per cercare di colmare quel divario man mano che cresco e faccio più esperienze.

Il ventiduenne ha dato filo da torcere a Yates e al suo team al Giro della Svizzera
Il ventiduenne ha dato filo da torcere a Yates e al suo team al Giro della Svizzera
Sei già confermato all’Israel per il prossimo anno, come ti trovi e pesa per voi il non essere un team WorldTour?

Per me è il primo contratto da professionista e la squadra è stata subito super, super fantastica. Per me, il fatto che sia una squadra professionistica e non un World Team non cambia molto. Voglio dire, penso che lo sia, come valore e come calendario seguito. E credo che valga un po’ per tutti noi. La squadra è gestita in modo molto professionale, quindi per me non c’è differenza.

Ora parti per la Vuelta, quali saranno gli obiettivi tuoi e della squadra?

Per me, voglio partire bene sin dalle primissime tappe e cercare di fare una buona classifica generale. La squadra è molto competitiva, ci sono Bennett e Woods che possono anche loro puntare alle posizioni alte, poi Corbin Strong per le volate. La squadra è anche ben costruita, con Teuns, Frigo, Raisberg e Sheehan che potranno darci aiuto nelle prime fasi delle tappe, proteggerci un po’. Non abbiamo una strategia definita, penso che la prenderemo giorno per giorno e man mano che la gara si sviluppa, decideremmo il da farsi.

Il giovane americano si sta mettendo sempre più in luce. All’Israel puntano su di lui per la Vuelta
Il giovane americano si sta mettendo sempre più in luce. All’Israel puntano su di lui per la Vuelta
Tu sei americano e dalle tue parti ora si festeggia la vittoria nel medagliere olimpico. Se dovessi scegliere fra vincere un mondiale o un’Olimpiade che cosa preferiresti?

Domanda molto difficile per me – ride – Penso che come hai detto, essendo americano, le Olimpiadi siano così importanti. Succede solo una volta ogni quattro anni, hai tutti gli occhi puntati addosso. Mettiamola così: dovrei scegliere una medaglia d’oro olimpica piuttosto che un titolo mondiale, ma sceglierei sicuramente una maglia iridata piuttosto che una medaglia d’argento o di bronzo olimpica.

Parigi, gli ultimi appunti alla fine del viaggio

15.08.2024
6 min
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PARIGI (Francia) – La città va in bicicletta. Lo slogan è “Vive la vélorution”, gioco di parole ben riuscito che trovi un po’ ovunque. Se non è in francese, è in inglese. “Love vélo”. Quando vogliono, anche i francesi usano l’inglese. Da tempo in città è in corso una campagna del Comune per spingere i cittadini ad andare in bici e per i Giochi sono arrivati altri 60 chilometri di piste ciclabili. Ce n’erano già mille. Questi si chiamano “Olimpiste”, perché con le parole si gioca, questo s’è capito, e collegano tutti i siti delle competizioni.

Anche il velodromo di Saint Quentin en Yvelines, che è quasi 20 chilometri fuori Parigi e che davanti all’ingresso ha una strana scultura con un podio dove sul primo gradino c’è un gatto, sul secondo una tartaruga e sul terzo una lumaca. L’ha realizzata Philippe Geluck, uno scultore belga che è anche fumettista e ha rappresentato sul podio “Le chat”, cioè il suo personaggio. L’opera si chiama “Il Dio dello Stadio”. Il senso è, spiegato dall’autore: “Se vuoi vincere, devi sceglierti gli avversari”. Cioè una lumaca e una tartaruga. Ci torneremo, purtroppo non in bicicletta.

L’urlo di Madiot

Non abbiamo visto né lumache né tartarughe a Parigi. Gli ultimi sono stati applauditi come i primi, sia sulla collina di Montmartre (foto Paris 2024 in apertura), dove il popolo del ciclismo ha fatto sentire tutto il suo entusiasmo, sia all’arrivo. Applausi per Jakob Soederqvist, svedese, arrivato a 14’22” da Remco Evenepoel. Applausi per Phetdarin Somrat, thailandese, arrivata a 14’19” da Kristen Faulkner. Applausi per i secondi, per uno in particolare: Valentin Madouas.

Dall’ultima fila della tribuna stampa, a un certo punto sale forte un urlo. Dice più o meno così: «Vieni piccolo mio! Per la tua famiglia! Per i bretoni! Per la Francia! Prendi questa medaglia, ce la meritiamo!». Chi urla è Marc Madiot, il suo manager alla Groupama-Fdj. Fece una cosa simile per Thibaut Pinot in vetta al Tourmalet nel 2019, ma non c’era tutta una tribuna a sentirlo.

Madouas in marcia verso l’argento, sospinto dal tifo di Madiot in tribuna
Madouas in marcia verso l’argento, sospinto dal tifo di Madiot in tribuna

I Giochi delle vecchie glorie

Non avrebbe potuto sentirlo nessuno se ci fosse stata la stessa pioggia che c’era durante la cronometro e che non ha condizionato solo la prova di Filippo Ganna, che ha sbandato ed è stato bravissimo a rimanere in piedi. Ogni postazione era coperta da plastica trasparente, per salvare computer e tutto ciò che avesse bisogno di elettricità dall’acqua. Nonostante ciò, sono scappati tutti. Anche Laurent Jalabert, che sprintava come ai vecchi tempi. Anche Cadel Evans, al riparo sotto un ombrello gigante offerto dalla tv australiana.

Non le uniche “vecchie glorie” incontrate. Abbiamo visto anche Jeannie Longo dare il via alla prova femminile, Peter Sagan a quella maschile e Annemiek van Vleuten assistere alle finali del nuoto. Lei ama l’acqua e sarebbe rimasta anche senza plastica e senza ombrelli ad assistere alle prove a cronometro. Quella maschile si è conclusa con l’argento di Ganna, sul podio tra l’oro Evenepoel e il bronzo van Aert. Podio curioso, perché da Pont Alexandre III si vedeva, correttamente, Ganna sulla sinistra, Evenepoel al centro e van Aert sulla destra. Cioè dove devono stare il secondo, anche se non è una tartaruga, il primo, anche se non è un gatto, e il terzo, anche se non è una lumaca. Poi vedi alzarsi le bandiere e vedi due bandiere del Belgio a sinistra e al centro e quella dell’Italia a destra. Tutte con i colori invertiti. Per vederle giuste serviva uno specchietto retrovisore, oppure guardarle in tv. La regia francese infatti aveva previsto l’inquadratura da un lato della Senna per gli atleti e da quello opposto per le bandiere.

Peter Sagan dà il via alla prova su strada dei professionisti (foto UCI)
Peter Sagan dà il via alla prova su strada dei professionisti (foto UCI)

Fra Mattarella e Remco

Sono stati Giochi pensati per la tv, non solo per le cerimonie di apertura e per le location. Comunque vive la Velorution, ma senza accento. Velo nel senso di Marco, Ct della cronometro, specialità in cui per la prima volta un italiano sale sul podio, per quella che è anche la prima delle quaranta medaglie di tutta la spedizione italiana. C’è anche il presidente Mattarella.

«Mi spiace di averla fatta aspettare sotto la pioggia», gli dice Filippo Ganna, che è un po’ triste. «A 28 anni, era la mia ultima occasione». Incarnerà il diritto di ognuno di noi a contraddirsi dopo il bronzo col quartetto. «A 28 anni, penso già al 2028». Per età, a Los Angeles, salvo imprevisti, ci sarà anche Evenepoel. Difficile pensare di vederlo nel baseball, disciplina che tornerà nel programma olimpico, almeno come ricevitore. Appena si siede in conferenza stampa, stremato, implora i presenti: «Qualcuno ha qualcosa da mangiare?». Dall’alto (la conferenza si tiene in un cinema) gli tirano una merendina e lui non riesce a prenderla. Si china per raccoglierla, gliene tirano un’altra, ma niente da fare. Battitore in prima base.

Tanta pioggia sulla crono di Ganna, mentre Mattarella lo aspetta senza ombrello
Tanta pioggia sulla crono di Ganna, mentre Mattarella lo aspetta senza ombrello

L’Italia, una squadra

Saint Quentin en Yvelines è un mondo a parte. All’ingresso trovi tifosi travestiti da tigre o da ape, forse giusto per contrastare lumache, gatti e tartarughe. I volontari creano un corridoio umano e applaudono gli spettatori che entrano come se fossero ciclisti e che poco prima hanno scommesso tra di loro sull’esito delle gare.

All’interno trovi David, il papà di Vittoria Guazzini scambiato per un olandese perché si veste di arancione per scaramanzia. Chiara Consonni che piange dopo il quarto posto nell’inseguimento e salta in braccio al fratello dopo l’argento di Simone nella madison. Nel frattempo, ha regalato all’Italia una delle immagini più belle dei Giochi con il suo: «Ma cosa abbiamo fatto?», dopo averla vinta lei, la madison, che fino a poche ore prima non era neanche sicura di fare. Ma la cosa che colpisce di più è vedere come ogni risultato dell’Italia sia stato accolto come un risultato di tutti. Non c’è stata gara in cui, a meno che non ci fossero i rulli a chiamare, tutti i convocati del Ct Villa siano stati lì a sostenere chiunque fosse in pista, in qualsiasi posizione. Sì, l’Italia è stata una squadra e forse è questo che andrebbe detto al giornalista inglese che chiede: «Ma come mai siete sempre forti, se non avete piste?».

Sembra Montichiari, ma è Saint Quentin en Yvelines. L’11 agosto il velodromo chiude e si trattiene tante emozioni. E per un attimo cala ancora un velo, un velo di tristezza. Poi esce l’Italia e vedi Elena Cecchini ed Elia Viviani che si guardano. E pensi a come, dopo la madison, lei ha guardato lui mentre piangeva. «E’ arrabbiato, ma capirà che è un campione». E cala un velo di dolcezza.

Alzini, Thomas e le sue “sorelle”: in pista fra sorrisi e ferite

15.08.2024
8 min
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C’è stato un momento, mentre gli italiani erano avviliti per l’opaco omnium di Viviani, in cui un’azzurra si è alzata dalla tribuna, saltando al collo del nuovo campione olimpico francese. Sarebbe stato strano, se non fosse che Alzini e Thomas sono compagni nella vita e Martina ha vissuto accanto al suo “Ben” una rincorsa impegnativa come poche. Il tempo di un tramonto e l’indomani era nuovamente in lacrime ai piedi del podio di Guazzini e Consonni, sue… sorelle dai giorni della Valcar. Emozioni diverse che hanno dato alla trasferta olimpica di Martina un sapore diverso.

Da lunedì e fino a ieri, Alzini è stata al Tour Femmes e il passo non è stato breve. Ha dovuto trovare nuove motivazioni, resettare la mente e passare dalla bici da pista a quella da strada. Dice però che certi passaggi appartengono alla routine di ogni atleta. Si è fermata ieri perché le alture della Liegi si sono rivelate troppo ripide per un’atleta che ha svolto la preparazione più recente su pista.

«Dipende dalla tua personalità e dall’esperienza – dice – io da questo sport ho imparato che la testa per il cambiamento devi averla tu. Ogni giorno possiamo svegliarci, trovare scuse, lamentarci delle cose che non vanno bene. Qualunque cosa ti succeda, devi essere capace di fare lo switch. Sta a te cambiare, rimboccarti le maniche e ripartire. Che sia stata una caduta, una sconfitta, un contrattempo, una malattia… Qualsiasi cosa».

Martina Alzini e Benjamin Thomas a Desenzano del Garda, durante un’intervista dello scorso inverno
Martina Alzini e Benjamin Thomas a Desenzano del Garda, durante un’intervista dello scorso inverno
Che esperienza è stata per te Parigi?

Mi ha insegnato tanto. Nonostante non abbia corso, mi ha dato più di Tokyo. Il bello della pista è che ogni giorno puoi provare un’emozione diversa, perché le gare sono tante. Un giorno ti va male e sei deluso, quello dopo ti va bene o vedi vincere qualcun’altro cui vuoi bene. Poi è chiaro che personalmente non posso essere soddisfatta, però non ho alcuna recriminazione.

Perché?

A gennaio mi sono messa in testa di affrontare questo percorso a tutto gas e senza mai guardarmi indietro. O meglio, sperando che nel momento in cui mi fossi guardata indietro, non avrei avuto recriminazioni. Ce l’ho messa tutta. Ad Adelaide ho provato la mia prima madison. In Canada volevo fare un bel quartetto per dimostrare a Villa che ho il livello delle altre e penso di esserci riuscita perché abbiamo fatto dei bei tempi. Poi ci sono state le Olimpiadi e io non ho gareggiato, ma le parole di Marco mi hanno fatto piacere.

Che cosa ti ha detto?

Che per colpa dei regolamenti ha dovuto fare delle scelte a malincuore. Io non posso dire nulla, le scelte vanno accettate. Non ho alcuna critica da fare o lamentela. Spesso appaio un po’ insicura o metto in dubbio tante cose di me stessa. Questa volta però so che, essendomi allenata con le ragazze fino all’ultimo, mi sentivo al loro stesso livello. Sono delle individualità forti che fanno parte di un gruppo fortissimo e io sono come loro. Ecco, questo mi sento di dirlo.

Nello stesso velodromo delle Olimpiadi, Alzini ha vinto il mondiale del quartetto nel 2022
Nello stesso velodromo delle Olimpiadi, Alzini ha vinto il mondiale del quartetto nel 2022
Non hai recriminazioni, ma resta il fatto che avresti voluto gareggiare, no?

Mi è dispiaciuto tantissimo. Quando mi è stata data questa notizia, tremavo. All’inizio ti passano davanti il percorso e i sacrifici fatti. E’ una scelta che va accettata, ma quando in cuor tuo sai di essere arrivata davvero pronta e di avere basato tutta la stagione su quel momento, il cuore non può che essere spezzato. Mi reputo una ragazza solare. La prima quando c’è da scherzare a tavola, da fare la risata in più. E per farvi capire quanto tenga al gruppo, in quella giornata mi sono sentita di stare chiusa il più possibile nella mia stanza.

Perché?

Non volevo mandare onde negative alle altre ragazze. Non volevo che si vedesse intorno a me quell’aura di delusione e di tristezza. Il giorno dopo invece mi sono ripresa, ho iniziato a fare il tifo per le altre e dare il mio supporto.

Hai parlato di cuore e in due giorni hai festeggiato due ori diversi: uno di Ben e uno delle tue sorelle…

Non ci sono grandi differenze. Ho la fortuna di allenarmi nel quotidiano con la “Vitto” e con la “Conso”, così come di vivere nel quotidiano Ben quando siamo a casa. So cosa abbiamo passato. Di solito non metto bocca nelle situazioni che toccano ad altri, ma in questo caso posso permettermi di parlare. So cosa c’è dietro alla medaglia di ognuno di loro e le varie emozioni.

L’oro di Guazzini e Consonni è venuto dopo il quarto posto del quartetto, che ha lasciato l’amaro in bocca
L’oro di Guazzini e Consonni è venuto dopo il quarto posto del quartetto, che ha lasciato l’amaro in bocca
Che cosa c’è dietro?

Per quanto riguarda Ben, lo definisco un oro costruito. A Tokyo sembrava che avesse perso tutto, ne è uscito distrutto, anche se con la medaglia di bronzo. Non era quella la sua aspettativa e l’ho visto fare un percorso psicologico enorme. Per me non c’è da vergognarsi a parlare di questo, perché dimostra l’importanza della mente. E’ un oro che ha preso con la testa, nel momento in cui aveva addosso una pressione pazzesca. E come se non bastasse quella degli altri, c’era quella che si è messo da sé.

Come ne è uscito?

Ha lavorato. Ha intrapreso un percorso per capire come arrivare lì il più tranquillo possibile. E ha sacrificato tanto. E’ stato a lungo via da casa. Ha disinstallato i social dal telefono fino al giorno della gara. Dopo Tokyo era stata una delle cose che gli aveva fatto più male. La cattiveria della gente, gli insulti pesanti. Gli hanno scritto che non meritasse di andare in bici e che fosse la vergogna della Nazione. Cose anche più gravi. Ed è vero che vengono da persone che non conosci e non te ne frega nulla, però lasciano il segno. Anche perché magari sono gli stessi che ora gli dicono che è un eroe.

Si spiega così la tua commozione?

Molti mi hanno fatto notare quanto io abbia pianto. Ragazzi, se aveste passato la metà di quello che ho passato io con lui dai giorni peggiori ai giorni di gloria… Quelle erano lacrime di sfogo. In questi tre anni ho visto la dedizione, il sacrificio e i momenti no. Mi auguro che questa medaglia sia d’ispirazione per le tante persone che non si sentono mai al posto giusto e non perché lo siano davvero, ma perché qualcuno le fa sentire così. E’ possibile cambiare e ottenere quello che vuoi dalla vita. Secondo me il messaggio che deve passare dall’oro di Ben è questo. Non è solo una medaglia olimpica, è il lieto fine di un lungo percorso. C’è una frase di Viviani della sera dopo l’omnium che mi dà ancora i brividi.

La caduta di Thomas durante l’omnium, dopo cui si è rialzato ed è ripartito
La caduta di Thomas durante l’omnium, dopo cui si è rialzato ed è ripartito
Che cosa ha detto?

Stavamo tornando in macchina verso l’hotel e lui ha raccontato che le prime parole dette a Ben sono state che lo capiva e capiva cosa significasse vincere un oro dopo una caduta. Perché a Rio gli era successa la stessa cosa e io lo ricordavo perché ero una ragazzina (aveva 19 anni, ndr) e lo avevo visto alla televisione. Mi sono resa conto di quanto sia stata grande e meritata la vittoria di Ben. E’ caduto, si è rialzato pieno di adrenalina ed è andato a prendersi quello che voleva. E’ bello, molto toccante.

Hai pianto anche per le ragazze il giorno dopo…

Ho cominciato appena le ho viste mettere i piedi sul podio. Ho letto diversi articoli secondo cui sarebbe un oro venuto a caso o inaspettato. Magari è vero che non se lo aspettavano nemmeno loro, ma non c’è stato niente di casuale. Per me Vittoria Guazzini è uno dei più grandi talenti che abbiamo in Italia e Chiara Consonni uno dei più grandi motori. Se guardiamo quello che hanno fatto fino ad oggi, niente è per caso. Hanno vinto diversi titoli mondiali. Hanno vinto tappe al Giro e anche crono. Un risultato casuale è un’altra cosa, quella è stata una bella sorpresa, una bella rivelazione che secondo me in futuro ci farà ancora divertire.

Perché?

Perché secondo me adesso hanno più consapevolezza di cosa possono fare. E il messaggio che deve passare è anche che si sono anche divertite. Vedi che si conoscono, dove non arriva una arriva l’altra. Il giorno prima scherzavamo con la Conso. Mi diceva se la Vitto avesse attaccato, l’avrebbe ammazzata. Così appena è partito l’attacco, ho pensato a cosa fosse passato nella testa di Chiara e mi sono messa a ridere. E’ stato super emozionante. Sono stati giorni indimenticabili da cui spero prendano la giusta consapevolezza.

Invece Martina cosa prende da quei giorni?

La consapevolezza che prima mi mancava. Zero rabbia, quella no. Fino a qualche anno fa mi guardavo attorno e vedevo Balsamo, Paternoster, Consonni, tutti grandi nomi che stravincono su strada oppure hanno sempre fatto un numero in qualche gara importante. E io tante volte non mi sono sentita a quel livello. Sono andata avanti in punta dei piedi. Già il mondiale di due anni fa mi diede la consapevolezza di non essere da meno.

Mentre adesso?

Sono ripartita da Parigi con questa certezza: sono come loro. Me l’ha detto Marco (Villa, ndr), l’ha detto Diego (Bragato, ndr), l’ha detto il cronometro. Ma soprattutto l’ho detto io a me stessa. Ho dimostrato che quando voglio e ho un appuntamento importante, anch’io so costruirmi il percorso, la forma fisica, la mentalità giusta e veramente forte. Quindi spero che questa mentalità mi aiuterà in primis per i mondiali pista che verranno, perché ovviamente il mio riscatto deve iniziare da lì.

La dura stagione di Silvia Persico: l’analisi con il suo coach Zenti

14.08.2024
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Silvia Persico è una delle nostre più grandi cicliste e sta vivendo una stagione tormentata da malanni e infortuni ed è stato un dispiacere non poterla vedere al top come ci aveva abituato in queste ultime annate.  Spesso si è discusso su di lei e nel calderone e tra i vari punti in esame si è parlato anche del cambio di preparazione della portacolori dell’UAE Team Adq .

E’ innegabile che sia cambiato qualcosa e che qualche problema ci sia stato. Lei stessa nel ritiro di dicembre ci disse che si apprestava ad un inverno senza ciclocross, da sempre colonna portante dei suoi allenamenti. Per fare chiarezza a 360° attorno a Persico abbiamo parlato direttamente con il suo coach, Luca Zenti.

Il preparatore Zenti con Silvia Persico (foto da Facebook)
Il preparatore Zenti con Silvia Persico (foto da Facebook)
Luca, dicevamo di un anno difficile per Silvia. Tanti cambiamenti e nel calderone è finita anche la preparazione. Partiamo da un quadro generale che ci dica di questo suo 2024.

Direi che è stata in effetti una stagione complicata. Anche in virtù di precise direttive di squadra, dichiarate apertamente ad inizio stagione, si è deciso di non fare il cross e certamente questo ha inciso. Non è facile adattarsi per chi, per 9 anni, ha impostato un certo tipo di preparazione. Non è stato un cambio banale.

Quindi è vero che l’assenza del cross ha inciso?

Certo, ma non c’è stato solo quello, bisogna dirla tutta. Silvia è incappata in moltissime sfortune, molti malanni. A gennaio, dopo una buona preparazione, poco prima dell’inizio della stagione, ha avuto un problema con un ginocchio e si è fermata per due settimane. Non era brillantissima, e nonostante tutto, proprio perché aveva lavorato bene, non è andata malissimo all’UAE Tour Women.

Lei ci disse che in quell’occasione aveva fatto il suo personal best sui 30’.

Esatto, proprio perché come ho detto in quel mese e mezzo avevamo lavorato bene. Alla Strade Bianche, dopo l’UAE Tour non era stata brillante, successivamente aveva preso un filo di continuità e nelle classiche del Nord non era andata male. Poi però ha avuto un problema familiare, la perdita della nonna, a cui era legatissima, e alle Ardenne di nuovo non era super. Passano queste gare ed ecco la mononucleosi. Quindi siamo andati avanti senza poter fare carichi di lavoro. Ad inizio maggio è andata a Burgos e lì Silvia era forse al 50 per cento.

Sul Jebel Hafeet all’UAE Tour ad inizio stagione una buona prestazione che dava fiducia…
Sul Jebel Hafeet all’UAE Tour ad inizio stagione una buona prestazione che dava fiducia…
A quel punto cosa avete fatto?

Ne è seguita una settimana di stop per poter recuperare un po’ e successivamente abbiamo ripreso con un blocco di lavoro ripartendo quasi da zero. Da lì siamo andati anche sul San Pellegrino in altura. Per questa fase ho deciso di impostare un lavoro polarizzato: parecchio volume, inserendo poi anche degli stimoli a soglia e di Vo2 Max, quindi stimoli di una certa intensità. Successivamente è andata all’italiano ma era in una fase di pieno carico in vista del Giro Women.

Come è andata la corsa rosa? Anche lì non possiamo negare che Persico abbia avuto le sue difficoltà.

Vero, così come è vero che eravamo andati lì con l’idea di non fare classifica. E infatti sul primo arrivo in salita Silvia si è volutamente staccata proprio per uscire di classifica e avere più spazio per le fughe. Poi però per ordini di scuderia è dovuta restare al fianco delle migliori e dulcis in fundo ecco il Covid.

Un calvario insomma…

In vista di Parigi pertanto non si è potuta allenare bene e infatti Silvia è partita per le Olimpiadi con il morale a terra. Sì, tra Giro e Giochi abbiamo fatto qualche piccolo lavoro di richiamo, ma neanche troppo intenso visto lo stato infiammatorio che porta il Covid. E poi tra cadute e tutto il resto non è stata una prova a cinque cerchi fortunata. E’ facile comprendere che in mezzo a tutte queste sfortune non è facile impostare un lavoro, trovare la continuità necessaria per le gambe e anche per la testa. Non abbiamo avuto il tempo per poter lavorare sull’intensità.

Stando al tuo racconto, giusto in inverno siete riusciti a lavorare bene.

Esatto e infatti, come detto, all’UAE Tour Silvia ha espresso buoni valori. Anche in quel caso è mancata solo la parte anaerobica perché guarda caso si era dovuta fermare quelle due settimane per il problema al ginocchio.

Indirettamente Persico al Giro non è stata faorita da alcune scelte tattiche del team
Indirettamente Persico al Giro non è stata faorita da alcune scelte tattiche del team
Tante sfortune vero, ma poi immaginiamo che, Luca, tu abbia dovuto fare i conti appunto con la mancanza del cross. Come hai sostituito quella parte? Quella parte della preparazione che dà lo spunto forse per lottare con le più grandi…

La prima cosa è stato un approccio differente: come essere performante dopo i 2.000-2.500 chilojoule? Abbiamo provato con un approccio polarizzato: quindi tanta Z2 ma al tempo stesso anche parecchi stimoli lattacidi. In generale è aumentato il suo volume di lavoro. Silvia ha fatto molte più ore a settimana che in passato, ma questo tutto sommato sarebbe successo comunque senza il cross che, correndo almeno una volta a settimana, ti porta a ridurre i carichi di lavoro complessivi. E sempre in sostituzione del cross quest’inverno 2-3 volte a settimana facevamo degli stimoli lattacidi.

Quindi i fuorigiri non sono mancati?

No, poi è chiaro che fatti i vari test a fine febbraio la sua tolleranza al lattato difettava un pochino rispetto agli altri anni. Quell’intensità complessiva che ti dà il cross, con il solo allenamento non riesci a replicarla. Però almeno fin lì Silvia non stava male.

Lei prima della Strade Bianche ci disse anche di un buon lavoro in palestra…

Anche questo è sempre stato legato al discorso della forza e dell’intensità. Abbiamo lavorato molto con il bilanciere, facendo anche parecchia forza massima che a ridosso delle gare diventava forza esplosiva. Alla fine anche a secco abbiamo cercato di simulare il cross, mettiamola così.

Persico, in seconda ruota, al Tour Femmes dove la UAE Adq ha presentato una maglia nuova
La lombarda, in seconda ruota, al Tour Femmes dove la UAE Adq ha presentato una maglia nuova
E’ vero che avete fatto meno SFR?

Qualcosina in meno è vero. In generale c’è stato un approccio diverso alla forza. Abbiamo aumentato un po’ il lavoro a secco e neuromuscolare. In bici Silvia ha fatto partenze da ferma, volate e, fedele al lavoro polarizzato, anche Vo2Max e lavori molto intensi di 2′-3′. Ma il problema, credetemi, non è stato la forza, il cross o chissà cosa… il problema è che a parte il mese e mezzo iniziale non siamo mai riusciti a lavorare con continuità a causa di tutti i problemi fisici e di salute che l’hanno tormentata quest’anno.

E ora cosa farai? Tu come preparatore come potrai recuperare la tua atleta anche mentalmente?

Conosco Silvia da molto tempo e so che potenziale abbia. Io sono convinto che un mese e mezzo ben fatto, senza stop, le consentirebbe di fare un buon finale di stagione. Lei non ha bisogno di molti mesi per entrare in forma. Mentalmente: la prima cosa è ritrovare il piacere di correre, che poi va di pari passo con la condizione e in generale con un ambiente favorevole. Il tutto innescherebbe un circolo virtuoso.

In questi giorni Silvia Persico è impegnata al Tour de France Femmes, speriamo vivamente che il lavoro in Francia possa esserle utile per il recupero delle motivazioni e della condizione fisica in vista del finale di stagione… che può ancora offrile molto.

CFR Road e Aero ecco i nuovi caschi Canyon

14.08.2024
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CALPE (Spagna) – Dopo le calzature, Canyon entra di petto anche nel segmento dei caschi. I prodotti sono due ed entrambi della famiglia CFR, quindi si parla di alta gamma. Canyon CFR Road, più tradizionale e CFR Aero con un impatto aero che non è nascosto.

I caschi Canyon sono i primi ad integrare la tecnologia HighBar. Si tratta di un innovativo sistema rigido/semi rigido che sostituisce le fibbie tradizionali. Così come per le scarpe, anche per i caschi c’è la collaborazione di Eric Horton, leader nella progettazione di prodotti nel settore del ciclismo e degli sport d’azione, e anche di Swiss Side. Entriamo nel dettaglio.

Canyon e Swiss Side per i caschi

«Siamo partiti subito con il progetto CFR – racconta Horton – un acronimo che identifica il top di gamma di Canyon. Questo fa capire anche il posizionamento di una serie di prodotti che, seppur nuovi vogliono essere tutt’altro che una prova. I caschi CFR sono stati sviluppati coinvolgendo anche Swiss Side e il sistema HighBar ha dimostrato un’efficienza superiore alle classiche fibbie.

«Si parla di un’aerodinamica migliore che permette di risparmiare 7 watt a 40 chilometri orari di media. Se traduciamo questi watt in secondi metri, significa risparmiare 36 secondi e circa 500 metri. Non è poco. Efficienza significa anche una migliore termoregolazione, perché si riesce a contenere l’aumento della temperatura, risparmiando 4,8°C».

Eric Horton, leader nella progettazione di prodotti nel settore del ciclismo e degli sport d’azione
Eric Horton, leader nella progettazione di prodotti nel ciclismo e negli sport d’azione

Come sono fatti i caschi

Perché una fibbia rigida? Non si tratta esclusivamente di proporre qualcosa di diverso, anche se è giusto considerare che i caschi CFR di Canyon sono i primi ad usare questa soluzione. Tutto si sviluppa attorno ad HighBar che non fa pardere nulla in fatto di sicurezza ed è più efficiente del 50% rispetto ad una fibbia morbida, anche in termini di stabilità complessiva del casco. I due supporti più alti sono ancorati direttamente all’interno del mold del casco e sono una struttura composita rigida.

La parte inferiore è una sorta di gomma più morbida che ruota su due asole e si adatta alle forme del viso con un rotore. La parte rigida è staccata dalla pelle e dalle orecchie (soluzione che permette una ventilazione e freschezza inaspettate), quella più morbida a contatto con la cute è quasi impercettibile. Non si bagna, non si sporca, non assorbe nulla e non subisce l’azione del sudore. Nel complesso vengono azzerati tutti gli sfarfallamenti delle comuni fibbie e anche i rumori creati dal vento.

La versione Road è quella con maggiori feritoie e nella parte posteriore ha un’asola dove è possibile montare un led magnetico che aumenta la visibilità. La versione CFR Aero è quella che si spinge verso concetti aerodinamici estremizzati, calottata nella sezione superiore e più allungata verso il retro. Entrambi i caschi hanno la gabbia posteriore regolabile anche in altezza, con HighBar che si sviluppa con lo stesso design e concetto.

Feeling in fase di regolazione

Quando viene indossato il casco con HighBar, è necessario trovare il giusto grado di fitting con la regolazione posteriore, quella che serve per stabilizzare il casco. Solo in seguito si può abbassare il sistema anteriore HighBar. Il rotore è facilmente aggiustabile anche durante l’attività. Entrambi i caschi adottano la soluzione Mips Air Node, integrato grazie alle imbottiture.

Canyon

Dov’erano gli azzurri? Ritorno a Parigi con il cittì Bennati

14.08.2024
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Parigi è un boccone che piano piano è andato giù. Bennati lo ha masticato a fatica, ripassando le scelte, le parole, gli impegni e la gara. E poi, dovendo partire alla svelta per un sopralluogo sul percorso degli europei, ha voltato la pagina. E’ innegabile che la corsa su strada degli azzurri alle Olimpiadi sia stata un buco nell’acqua, in cui la figura migliore l’ha fatta colui che meno c’entrava. Con quella fuga, Viviani se non altro ha mostrato al mondo che a Parigi c’era anche l’Italia.

Se avesse potuto aspettare la fine del Tour, Bennati avrebbe portato corridori in palla come Moscon?
Se avesse potuto aspettare la fine del Tour, Bennati avrebbe portato corridori in palla come Moscon?

Prestazione opaca

Il fatto che corressimo in tre discende direttamente dai risultati e i nostri (pochi) risultati nelle classiche hanno indicato i nomi di Bettiol e Mozzato. Se anche avessimo corso in cinque, probabilmente il risultato non sarebbe stato migliore. Ma altrettanto probabilmente, se si fosse potuta dare la squadra dopo il Tour, ci sarebbe stato margine per altre valutazioni. La tagliola del 5 luglio ha impedito di fare diversamente.

«I ragazzi stavano bene – spiega Daniele – apparentemente le cose andavano per il verso giusto. Poi la gara è andata come è andata, è inutile girarci attorno e io mi devo prendere la responsabilità, anche se rifarei le stesse scelte. Non parlo del piazzamento, ma della prestazione al di sotto delle nostre possibilità. Ho sempre detto che, a parte Evenepoel che in questo momento sarebbe sbagliato guardare, non vedo fenomeni nell’ordine di arrivo dal secondo al decimo. Dovevamo fare assolutamente meglio a livello di prestazione. Nei due mondiali che ho fatto, sia in Australia sia a Glasgow, sono sempre tornato a casa col sorriso, perché abbiamo fatto molto bene dal punto di vista della prestazione. In qualche modo abbiamo fatto divertire gli appassionati, cosa che in queste Olimpiadi non è successa».

Fino all’inizio dell’ultimo giro, Bettiol era nel gruppo alle spalle di Evenepoel e Madouas
Fino all’inizio dell’ultimo giro, Bettiol era nel gruppo alle spalle di Evenepoel e Madouas

L’avvicinamento non è stato semplice. A causa del calendario varato dal CIO con il benestare dell’UCI, non si sono potuti coinvolgere Ganna né Milan nella prova su strada. Poi, per le nuove quote della pista, il solo modo perché potesse correre l’omnium e poi la madison era che Viviani venisse convocato per la gara su strada. La decisione è stata presa e non avrebbe avuto senso mettersi di traverso.

Partiamo proprio da Elia.

Come ho detto fin dall’inizio, essendo il responsabile del settore strada professionisti, sul momento non ci sono rimasto bene. Però poi, ragionando a mente fredda, ho capito che fosse una cosa necessaria. E’ sotto gli occhi di tutti il fatto che in questo momento su strada facciamo più fatica che in pista. Va dato atto che siamo una delle Nazioni di riferimento nella pista e nelle crono, per cui si è scelto di dare la possibilità a Elia di fare le sue specialità. A un corridore come lui, bisogna stendere tutti il tappeto rosso per quello che è riuscito a dare in termini di visibilità. La pista è riuscita ad arrivare a questi livelli soprattutto grazie a lui che ci ha sempre creduto e ovviamente anche a Marco Villa.

E alla fine la mossa è stata azzeccata, vista la medaglia d’argento.

Sulle sue potenzialità e la possibilità di fare risultato non ho mai avuto dubbi. Sapevo però che Elia non avrebbe fatto un calendario mirato per la prova su strada, perché con la squadra non stava facendo l’attività più consona. Ovviamente qualcuno che sognava quel posto può esserci rimasto male. Penso che qualsiasi atleta abbia l’obiettivo e il sogno di partecipare a un’Olimpiade, ma non tutti alla fine riescono ad andarci.

Si sapeva da tempo che avreste corso in tre.

Ho iniziato a parlare di Parigi da dicembre del 2023 e una decina di atleti ha effettuato le visite a Roma. Ho indicato i più adatti a quel percorso, senza conoscere le dinamiche che si sarebbero create. Poi, a inizio stagione, ho detto a tutti che nessuno avrebbe avuto in mano la certezza di essere convocato, ma speravo che mi mettessero in difficoltà con i loro risultati di inizio stagione, delle classiche e del Giro. Nel caso specifico, Bettiol fino al Tour ha fatto una stagione molto significativa, con una continuità importante. E’ andato forte alla Sanremo e anche al Fiandre, dove è stato riassorbito nel finale. E proprio al Fiandre è arrivato con Mozzato il solo podio italiano in una gara monumento del 2024. Per cui la scelta è caduta su loro due. Avevano raggiunto risultati importanti e credo che un’Olimpiade si possa conquistare anche e soprattutto attraverso i risultati.

Hai dovuto dare i nomi il 5 luglio.

Credo l’ultima Nazione sia stata la Francia, che li ha dati l’8 di luglio. Poi ovviamente ti devi affidare alla buona sorte e alla parola dei corridori, che si impegnano ad arrivare pronti all’appuntamento. Ci siamo sentiti. Abbiamo parlato con i loro preparatori. Hanno avuto la massima fiducia. La crono ci aveva mostrato un Bettiol in ripresa. Dopo aver vinto l’italiano è andato al Tour, ha fatto una settimana discreta e poi si è ritirato per preparare la cronometro. Semmai, se qualcuno avesse sentito di non essere al meglio, avrebbe potuto fare un passo indietro. Ma erano entrambi certi di stare bene.

Come è stato il tuo approccio con Viviani?

Ci siamo sentiti spesso. Il suo ruolo era determinante e devo dire che ha confermato la sua professionalità. Il fatto che sia entrato in quell’azione è stata una decisione presa al momento da lui stesso, perché non c’erano le radio. L’obiettivo era che arrivasse a Parigi per dare il supporto agli altri due, poi ha deciso di inserirsi in questa azione che alla fine è risultata positiva per lui e anche per noi.

La fuga di Viviani è stata una sua iniziativa che ha tenuto gli altri due azzurri al coperto
La fuga di Viviani è stata una sua iniziativa che ha tenuto gli altri due azzurri al coperto
Come è stato veder scorrere via un’Olimpiade senza poterci mettere mano?

Purtroppo correre senza radio è molto limitante. E’ frustrante non avere la possibilità di fare nulla. Quando sei in macchina, non hai contatto diretto con gli atleti. Quindi stai lì, guardi la corsa nel tablet e ascolti radio corsa, ma a a livello tattico non puoi fare quasi nulla. Ovviamente diventa più semplice per il mio collega belga, che ha un corridore come Evenepoel che stacca tutti (sorride, ndr).

Non sei riuscito ad avere alcun tipo di contatto con Bettiol e Mozzato?

Li abbiamo visti un paio di volte. Sono venuti alla macchina per prendere acqua e Alberto all’ultimo giro non era fuori corsa. C’erano ancora Evenepoel e Madouas e dietro era ancora tutto in gioco. Però quando è venuto alla macchina, obiettivamente non era l’Alberto dei giorni migliori. Quindi ho capito che la faccenda si faceva abbastanza complicata. Ovviamente Luca a quel punto era già più dietro.

Si è detto che con 89 corridori e 272 chilometri sarebbe venuta una corsa pazza, invece è stata molto più lineare.

E’ vero, però analizzandola bene, al 180° chilometro prima di entrare a Parigi, c’era il terreno per attaccare. Un po’ di azioni ci sono state e pensavamo che si potesse fare più differenza. Il Belgio ha provato a muovere la corsa già da lì, anche Van der Poel scalpitava, però era anche ancora lungo arrivare a Parigi. Poi Van Aert ha corso solo ed esclusivamente su Van der Poel e, così facendo, ha aperto una grande possibilità per Remco.

Sei riuscito a parlare con i corridori dopo la corsa, almeno per quello che si può dire?

Dopo la corsa non ci siamo detti nulla, ma la sera dopo cena ho voluto parlare con loro. Gli ho detto che non potevamo tornare a casa soddisfatti, tutt’altro. Mi hanno detto di aver fatto il massimo e io ci credo. Non penso che si siano tirati indietro perché non avessero voglia di far fatica. È stata una giornata negativa dal punto di vista prestazionale e sicuramente si sono ritrovati con poche energie o con energie non sufficienti per fare una gara più dignitosa. Tanto altro da dire al momento non c’è. Voglio che andiamo agli europei e al mondiale con la voglia di riprenderci il nostro posto. E se ci saranno altre cose da dire, le tirerò fuori con loro a fine stagione. Per adesso va bene così.

Conci al bivio: inseguire la vittoria o aiutare un capitano?

13.08.2024
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Dopo un buon Giro d’Italia fatto di mille fughe in montagna, lo Svizzera e il campionato italiano chiuso al tredicesimo posto, con 46 giorni di corsa nella prima parte dell’anno, Nicola Conci ha sentito il bisogno di staccare. Il trentino, che dal 2022 corre con la maglia della Alpecin-Deceuninck, si è ripresentato a San Sebastian e da ieri è al Tour de Pologne. Nella prima tappa, che aveva l’arrivo in salita a Karapacz, ha cominciato con un decimo posto niente male a 9 secondi da Nys. L’obiettivo in queste corse è la vittoria, che gli manca da un tempo siderale.

Nicola Conci, 1,85 per 68 chili, è professionista dal 2018. Dopo 4 anni alla Trek e pochi mesi alla Gazprom, è arrivato alla Alpecin
Nicola Conci, 1,85 per 68 chili, è professionista dal 2018. Dopo 4 anni alla Trek e pochi mesi alla Gazprom, è arrivato alla Alpecin

Il tempo delle scelte

Nel frattempo nella sua testa sempre molto razionale si fa largo la necessità di scegliere una nuova strada. E’ il bivio di tanti buoni corridori che, in questo ciclismo popolato di grandi campioni, piuttosto che insistere con le ambizioni personali, si rimboccano le maniche per i più grandi, diventando parte integrante delle loro vittorie. Lo spiegava giorni fa Dario Cataldo e forse anche Conci è sulla porta di quella scelta. Nel frattempo ha cambiato i suoi procuratori e da Fondriest-Alberati è passato ai fratelli Carera.

«Insomma – dice – ho fatto un bel periodo di stacco dalle gare. Dal Polonia andrò diretto al Giro di Germania, quindi ho davanti due o tre settimane abbastanza intense. Poi ho in programma di fare il Lussemburgo e il blocco di gare italiane fino al Giro del Veneto. Sono in scadenza di contratto, stiamo lavorando su più fronti, ma ancora non sono certo di cosa farò. Mi sono diviso da Maurizio e Paolo perché dopo anni sentivo il bisogno di cambiare. Ci siamo lasciati in buoni rapporti, non è successo niente di particolare. Qui alla Alpecin sto bene. E’ un’ottima squadra, manca solo la familiarità cui noi italiani siamo abituati e che a volte farebbe piacere. Prima eravamo parecchi, ora ci siamo solo Luca Vergallito ed io. Faccio un esempio. A me piace parlare durante il massaggio, ma farlo in inglese è un po’ limitante. Non posso certo lamentarmi perché non posso parlare italiano durante i massaggi, ma sono le piccole sfumature con cui si convive».

Conci è rientrato alle corse a San Sebastian e da ieri è al Tour de Pologne
Conci è rientrato alle corse a San Sebastian e da ieri è al Tour de Pologne
A primavera ci eravamo detti che il Giro sarebbe stato un momento importante. Sei stato protagonista di tante fughe, come lo valuti?

Sono stato contento perché mi sono ritrovato. Sono soddisfatto delle sensazioni che ho avuto e di qualche tappa in modo particolare. Penso che fare meglio sarebbe stato difficile. Ad esempio quella di Torino, la prima, dove sono arrivato quinto. Sarei anche potuto star lì e provare a seguire, anche se probabilmente nessuno sarebbe riuscito a tenere Pogacar. Invece ho deciso di fare una bella azione: ho provato a vincere e mi è piaciuto. Un altro giorno in cui mi sono divertito tanto è stato quello di Livigno, la tappa più dura del Giro. Sono stato per 177 chilometri all’attacco, c’era tantissimo dislivello e alla fine sono arrivato dodicesimo. Mi hanno preso quelli di classifica a due chilometri all’arrivo, quindi è stata una bella tappa (foto di apertura, ndr). Certo mi rimane un po’ rammarico per alcune fughe come quella di Fano, in cui ha vinto Alaphilippe e io non ho trovato il momento giusto e quella del Brocon.

Dove peraltro correvi in casa, visto che sei originario della Valsugana…

Mi dispiace un po’ il fatto che non abbiano dato spazio alla fuga. Sono stato fuori per quasi 70 chilometri, poi inspiegabilmente la DSM si è messa a tirare, ha chiuso la fuga e poi si sono fermati. E in quel momento è ripartito Steinhauser, che ha vinto. Sinceramente a quel punto non avevo le gambe per seguirlo una seconda volta. Mi è dispiaciuto, sono i miei posti, volevo fare bene.

In fuga anche sul Grappa, Conci ha attaccato in tutti i tapponi del Giro
In fuga anche sul Grappa, Conci ha attaccato in tutti i tapponi del Giro
Che cosa ti lasciano oltre a tanta fatica queste fughe così lunghe?

Nel giorno del Mottolino, sono stato sorpreso di me stesso. Dopo tutto il giorno all’attacco, sono riuscito a spingere bene anche sul Foscagno e a scollinare quarto. Non è scontato rimanere vicino ai primissimi nel ciclismo che stiamo vivendo, in cui c’è un gap enorme tra pochi campioni e il resto del gruppo. Se quel giorno avessi scelto di restare in gruppo, non avrei migliorato il mio risultato. Non avrei tenuto le ruote degli altri di classifica e sarei stato risucchiato indietro. Invece sono riuscito a sorprendere me stesso. Sul Mortirolo ero un po’ infastidito che molti non tirassero, così ho attaccato dalla fuga e sono rientrato davanti. Ho sprecato un po’ di energie, però è stata una bella giornata.

Sei stato uno junior da tante vittorie ogni anno, quale differenza vedi fra il Conci di allora e gli juniores di ora, che vincono il tuo stesso numero di gare e poi sono pronti per passare professionisti?

Parliamo di dieci anni fa, ma il mondo è cambiato totalmente. Da junior non ho mai fatto più di quello che dovevo, anzi mio papà iniziò a seguirmi proprio per tutelarmi. Di certo non sono uno che a quell’età faceva le 6 ore. Semplicemente andavo forte in salita e ho vinto diverse gare perché mi veniva facile fare la differenza. Poi da professionista è un’altra cosa, anche se il problema dell’arteria iliaca mi ha condizionato parecchio. Tornando al periodo da junior, non è che facessi grandi lavori. Si curava la forza, ma ad esempio non ho mai fatto dietro macchina. Cominciai da dilettante e nel dirlo sembra che parliamo degli anni 40 invece era il 2014-2015…

In azione nella crono di Perugia al Giro. Oggi il Polonia propone una prova contro il tempo, ma sarà una cronoscalata
In azione nella crono di Perugia al Giro. Oggi il Polonia propone una prova contro il tempo, ma sarà una cronoscalata
Hai 27 anni e tanti corridori alla tua età hanno già fatto una scelta quasi radicale: non vinco, meglio andare a lavorare per qualcuno che sa farlo. Inizia a balenarti per la testa?

Certamente. Stiamo vivendo un ciclismo molto particolare, ci sono certi atleti che vanno molto più forte degli altri e quindi ci sta che le squadre vengano costruite attorno a loro. Quindi quelli che non vincono, come me – perché dati alla mano non ho ancora vinto – è normale che un giorno o l’altro si mettano a disposizione. In realtà ho sempre lavorato anch’io per i miei compagni, anche se magari al Giro nelle tappe più dure avevo la libertà di andare in fuga.

Ieri sei arrivato decimo nell’arrivo in salita, quanta voglia hai di alzare le braccia?

Ci penso sempre. Ho 27 anni e non so per quanti anni correrò ancora, perché è un ciclismo spietato. Spero ancora tanto, però sarebbe un peccato chiudere senza aver mai vinto da professionista. Non è che vincere sia la cosa più importante, si può anche aiutare e avere grandi soddisfazioni. Oggettivamente mi sono reso conto che per vincere devo cercare di inventarmi qualcosa, non posso aspettare i finali. Anche ieri ho pensato diverse volte negli ultimi 2-3 chilometri di provare ad anticipare, però ero un po’ stanchino.

Ai mondiali del 2022, Conci è entrato nella fuga in cui viaggiava anche Rota
Ai mondiali del 2022, Conci è entrato nella fuga in cui viaggiava anche Rota
Ci sono appena state le Olimpiadi e ora si lavora per i mondiali. Hai corso quelli di Wollongong nel 2022, Zurigo potrebbe essere adatta a te…

Sinceramente ci penso molto, ma non ho ancora sentito Bennati. In verità penso che dipenda da me e dal fatto che riesca a dimostrare di pedalare bene. Wollongong resta un bel ricordo, facemmo una bella corsa e mancò la medaglia con Rota per dei tatticismi. Rimasi in fuga per 60 chilometri insieme a lui. Fu una bella giornata, l’ho supportato per quanto possibile e venne fuori una gran corsa. Sicuramente è stato un bel onore vestire la maglia nazionale, è sempre qualcosa di speciale. Vedremo se riuscirò a conquistarla ancora.

Guzzo riassapora il successo, sperando non sia tardi

13.08.2024
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Di Federico Guzzo si erano un po’ perse le tracce. Partito fortissimo fra gli juniores, in evidenza anche al suo approccio con gli Under 23, a inizio agosto è tornato ad assaporare il dolce gusto del successo aggiudicandosi una classica del settore come la Zané-Monte Cengio. Una vittoria che ci voleva come il pane, per restituire entusiasmo a un corridore dai molti mezzi ma passato un po’ troppo presto nel dimenticatoio.

Il podio della Zané-Monte Cengio, con il veneto fra l’eritreo Zeraj (2°) e l’olandese Van Der Meulen (3°)
Il podio della Zané-Monte Cengio, con il veneto fra l’eritreo Zeraj (2°) e l’olandese Van Der Meulen (3°)

Le vittorie non bastano mai

Eppure di vittorie non ne ha ottenute poche: 5 nel 2022 con un inizio al fulmicotone con Empoli e San Vendemiano in sequenza, una corsa di prestigio come il GP Città di Brescia lo scorso anno, quest’anno poche gare ma già successi al GP La Torre e Trofeo Gino Visentini fino alla prova veneta. E nel frattempo?

I risultati non dicono tutto. Non sono stati anni facili. Nel 2023 è emerso un problema alla tiroide di non facile soluzione. C’è stata anche la mononucleosi non curata bene. Poi dopo un buon inizio anno un incidente al ginocchio ed altro stop. Tutte queste fermate hanno avuto un prezzo altissimo: Guzzo era entrato nell’orbita di molti team, alcuni anche del WorldTour, ma poi spaventati da tanta sfortuna si sono tirati indietro lasciandolo con un pugno di mosche in mano.

Tre vittorie in stagione per il corridore di Conegliano, al suo primo anno Elite
Tre vittorie in stagione per il corridore di Conegliano, al suo primo anno Elite

Un successo ottenuto di forza

Ora forse si riparte: «A luglio ero già andato bene, con il podio a Brescia e il 4° posto al Giro del Medio Brenta. Ma poi un altro stop mi aveva impedito di sfruttare la condizione. Ho ripreso proprio con la corsa del Monte Cengio, cogliendo una vittoria che mi restituisce morale. Nella fuga iniziale abbiamo inserito tre uomini, ma io sapevo però che decisiva sarebbe stata la salita nel finale. Era lunga, bisognava saper attendere, a metà era veloce e nel finale a giocarci la vittoria eravamo in 7. Svoltando per il Monte Cengio siamo rimasti in 3 ma io non volevo aspettare lo sprint, così sono partito ai -3».

Una vittoria che premia una volta di più la sua scelta di lasciare la Zalf per passare all’Uc Trevigiani, dove è molto coccolato tanto che il presidente Ettore Renato Barzi era il più felice al traguardo, quasi avesse vinto un figlio: «Mi trovo bene nel team, del passato non voglio parlare. Il gruppo merita molto, mi è vicino. Mi hanno cercato loro, dandomi un’occasione».

Guzzo è nel team da quest’anno. Ha trovato molta collaborazione e sostegno per le sue gare
Guzzo è nel team da quest’anno. Ha trovato molta collaborazione e sostegno per le sue gare

Si decide tutto a fine stagione

A inizio stagione, certamente non in un buon periodo, Guzzo aveva paventato per fine stagione un suo ritiro, essendo al primo anno Elite, se non si fossero palesate possibilità. E ora? «La mia posizione rimane la stessa, se non quaglierà nulla penso che lascerò, non ha senso rimanere così a bagnomaria. Il problema è che siamo ad agosto, il che significa che il mercato sta chiudendo e i contatti sarebbero già dovuti arrivare, invece non c’è nulla di concreto all’orizzonte. Io spero che i risultati, magari proprio questa vittoria riesca ad aprire uno spiraglio».

D’altronde Guzzo non ha procuratori che lo seguono: «L’avevo, ma non ha portato a nulla. Ora mi affido totalmente a me stesso. Alla mia capacità di emergere. E’ chiaro che non posso pretendere che venga da me la Visma o la Uae: io vorrei solo una chance per correre un calendario più competitivo e vicino a quello dei pro. Riuscirci esclusivamente attraverso miei meriti sarebbe un risultato enorme, ma se non succede, non so se avrò la forza di insistere».

Guzzo aveva un contratto annuale con la Zalf. Entrato nel 2020 ha chiuso nel 2023
Guzzo aveva un contratto annuale con la Zalf. Entrato nel 2020 ha chiuso nel 2023

Ora le corse più adatte

Allora bisogna andare a caccia di altri risultati, fare sempre meglio: «Arrivano gare che si adattano molto alle mie caratteristiche come la Firenze-Viareggio, il Giro del Casentino e le prove pavesi. Io ce la metterò tutta, sperando che mi portino bene e che magari alla fine il telefono squilli…».