Rui e la Zalf Fior, una storia consegnata alla storia

29.11.2024
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Si sono ritrovati ed erano più di cento. Le convocazioni sono partite dal cellulare di “Ciano” Rui, classe 1958, il direttore sportivo che dal 1990 ha tenuto sulle ginocchia tutti i campioncini della Zalf Fior. E anche quando ha passato il testimone a Faresin, ne è rimasto l’anima. Dopo 43 anni la squadra di Castelfranco Veneto non sarà più ai nastri di partenza della stagione e per chi segue il ciclismo da tanti anni, sarà una mancanza non da poco. Dire che cosa abbia rappresentato la Zalf Fior per il ciclismo mondiale richiederebbe un libro e forse non basterebbe. Da quelle stanze sono venuti alla luce diversi campioni del mondo e fior di professionisti che hanno reso grande il ciclismo italiano. Negli anni in cui, come ha raccontato ottimamente Gianluca Geremia (altro corridore di Rui e della Zalf), qui si facevano le cose sul serio e i corridori erano prima uomini e poi atleti.

Perciò noi, che di anni con loro ne abbiamo vissuti 33 e assieme a Rui abbiamo trascorso giornate di corsa e serate a parlarne (decifrando il dialetto con una birra o una grappa in mano), lo abbiamo chiamato per un assaggio di quel che è stata la Zalf dei dilettanti. E come per ogni articolo di questa lunga vita in parallelo, la raccomandazione finale del tecnico veneto, che fu per due anni professionista, è stata sempre la stessa: «Mi raccomando, scrivi bene!».

Intervistato accanto a Gaspare Lucchetta, il signor Euromobil, Rui (a destra) racconta la sua Zalf
Intervistato accanto a Gaspare Lucchetta, il signor Euromobil, Rui (a destra) racconta la sua Zalf
Ciano, che cosa è stato questo viaggio con la Zalf?

Ho iniziato dal 1990, dal mondiale di Gualdi fino al 2024. E’ stato un viaggio bellissimo, 34 anni in cui è cambiato tutto. E’ cambiato il modo di rapportarsi e il modo di correre. Io ho avuto la fortuna di avere due famiglie (Lucchetta, titolari della Euromobil, e Fior, ndr) che mi hanno permesso di lavorare in maniera sicura e con lungimiranza, senza problemi economici. Ai primi tempi andavamo alle corse in tre persone. C’eravamo io, un meccanico e un accompagnatore e si facevano le stesse corse di oggi, si vinceva e si perdeva. Adesso è cambiato il mondo e si portano dieci persone per un atleta.

Sei sempre stato un fratello maggiore per i corridori, più che un sergente di ferro…

All’inizio avevo 7-8 anni di più, ero un po’ l’amico confidente, giocavo con loro. Non sono mai stato un grande preparatore, ma un buon comunicatore. Poi mi sono affidato a Gianni Faresin che mi ha permesso di crescere ancora. Ai miei ragazzi dicevo che per diventare corridori servivano tre F: Forza, Fortuna e Furbizia. E’ quello che serviva per fare bene, mentre adesso si guardano solo i wattaggi. Una volta si faceva gruppo, si faceva famiglia. C’era la famosa casetta, ti ricordi? Quanti aneddoti si possono scrivere? C’è stata l’era di Fondriest e poi quella di Gualdi. L’era di Bertolini contro Simoni e Rebellin. L’era di Figueras contro Palumbo, quella di Colbrelli e quella di Moscon. Tutte storie bellissime, sempre correndo a buoni livelli. Magari non abbiamo fatto niente di eccezionale, ma di certo abbiamo fatto qualcosa di importante.

Bertolini e Pontoni, entrambi campioni italiani nel 1993: il primo su strada, il secondo nel cross
Bertolini e Pontoni, entrambi campioni italiani nel 1993: il primo su strada, il secondo nel cross
Era un ciclismo diverso, con gli elite che tenevano a battesimo i giovani e li facevano crescere.

C’erano squadre di corridori già adulti, come la Paultex, che ti insegnavano a correre. Mi ricordo che un anno avevamo un squadrone forte, ma le vittorie più belle le fece Figueras che era un ragazzino di primo anno. E correndo in mezzo a quelli più grandi, maturavano anche come personalità. In quegli anni per un corridore c’erano tre cose fondamentali: la patente, il servizio militare e le prime morose. Maturavano così e rimanevano con noi per quattro anni. C’era un altro spirito. In Veneto c’erano 20 squadre, ma mi ricordo sempre la guerra contro Locatelli, Tortoli e Piccoli. Guerra sportiva, ma amicizia fra noi. Ogni sera alle corse, era una cena. Adesso ci sono solo le e-mail e non c’è più dialogo. Il ciclismo al giorno d’oggi è fatto così e forse per questo tanti sponsor e tante squadre non sono più innamorate.

Quanto orgoglio c’era nell’essere direttore della Zalf?

Senza fare lo sbruffone, dico sempre che non ho mai avuto problemi a prendere un corridore, il problema era dirgli no. Un anno sono andato a Livigno e in 30 secondi ne ho presi cinque della nazionale. Oss, Modolo, Ponzi, Boaro e forse Malacarne, non ricordo bene. Era davvero bello, perché proponevamo un sistema innovativo, in quegli anni era più facile creare delle cose nuove. Dopo i primi anni che si faceva tutto in tre, siamo stati i primi ad andare alle corse col dottore e i primi a prendere il camion per i meccanici. Adesso invece sono tutti legati a questi grandi squadroni, gli juniores vivono come dilettanti, è tutto più grande.

Sul tabellone dei corridori di questi ultimi 43 anni, anche la firma di Cristian Salvato
Sul tabellone dei corridori di questi ultimi 43 anni, anche la firma di Cristian Salvato
Quando è cambiata la situazione?

Da quando le squadre professionistiche hanno iniziato a portarsi via tutto il vivaio, tutta la linfa, perché ormai un corridore, buono o meno buono, preferisce fare la riserva di un grande team che essere protagonista in una squadra normale. Ha cominciato Reverberi, ma capirete bene che con un budget di 4 milioni è facile fare la squadra e farci passare gli juniores. Adesso è cambiato tutto, ma se pensiamo che lui e anche altri devono salvare il bilancio dell’annata con gli under 23, qualcosa di sbagliato c’è.

Sicuramente qualcosa di diverso rispetto alle abitudini.

Abbiamo visto passaggi strani. Ricordiamo il nome dei due che sfondano, ma chi ricorda i nomi degli 80 che si perdono? Mi ricordo corridori non buoni, ma stra-buoni che sono passati da juniores e si sono persi, perché non hanno tempo di maturare. Noi facevamo quello, li lasciavamo maturare, ma ultimamente non eravamo più appetibili sul mercato. Forse eravamo anche abituati troppo bene e alla fine ci è passata la voglia di fare le cose. Forse non abbiamo colto cosa significasse fare una continental, siamo rimasti troppo legati al calendario italiano, che una volta era appetibile in tutto il mondo, mentre adesso le gare regionali o nazionali sono poco più che un ordine d’arrivo. Nelle internazionali invece arrivano i devo team con corridori di livello più alto, quindi è tutto più difficile. Qualche errore è stato fatto, ma è normale che capiti in 43 anni. Però abbiamo fatto anche qualcosa di buono.

Lello Ferrara e Ivan Basso: due uomini agli antipodi, uniti dal nome della Zalf
Lello Ferrara e Ivan Basso: due uomini agli antipodi, uniti dal nome della Zalf
I vostri corridori sono sempre tornati, anche anni dopo, a salutare, partecipare a cene…

La nostra forza è stata la famiglia. L’altro giorno abbiamo fatto questa piccola rimpatriata con 150 corridori. Io non sono un gran chiacchierone, così ho mandato solo dei whatsapp e su 160 corridori, fra cui dei campioni del mondo, hanno aderito in 150, dopo 30 secondi che avevo scritto. Vuol dire che abbiamo seminato bene. Oggi invece lavoriamo tanto sulle performance, ma non sull’uomo. Attenti, a 18 anni bisogna lavorare anche sull’uomo. Spesso sono viziati, ma che colpa ne hanno? Se tutti ti dicono che sei bello, sei forte, sei grande, è normale che dopo un po’ ci credi. Però il mondo fuori è cattivo e disordinato. E quando vanno in crisi, vengono e ti raccontano. Guardate Moscon, prima bambino felice e adesso fa fatica. Dimentichiamoci di Fondriest o Nibali che duravano vent’anni. Adesso avremo corridori che arrivano a dieci, se va bene.

Che vuoto lascia la Zalf nel ciclismo italiano?

Per i vecchi sicuramente sparisce qualcosa di importante. Mi auguro che la Colpack vada avanti ancora tanti anni, perché se mancano questi punti di riferimento il gruppo si sgretola. Mi hanno chiamato tanti organizzatori dispiaciuti, quelli di Montecassiano o Castelfidardo, corse dove abbiamo lasciato il segno. E loro sono un po’ preoccupati perché noi avevamo il nostro stile e il nostro modo di fare e davamo il ritmo anche agli altri. In fin dei conti era lo stile Zalf: inconfondibile e discutibile finché vuoi, ma abbiamo fatto qualcosa di grande. Per il resto, è normale che per le squadre minori ci siano più possibilità di vincere. Qualcuno sarà felice, come si dice sempre. La federazione va avanti, il mondo va avanti. Sicuramente alle corse sarà un ciclismo più povero. Abbiamo chiuso noi, ha chiuso la Named, ha chiuso la Q36.5 e anche la Work Service fa fatica. Vengono a mancare un po’ di qualità e di guerra sportiva.

La maglia iridata di Mirko Gualdi: presa tra i dilettanti in Giappone nel 1990
La maglia iridata di Mirko Gualdi: presa tra i dilettanti in Giappone nel 1990
La cena dell’altra sera è stata una rimpatriata allegra o un po’ triste?

Quarant’anni anni sono 10 generazioni di corridori. Abbiamo fatto tanto, forse siamo durati anche più di quello che si potesse pensare. Si sono ritrovati i gruppetti degli anni 80 e i gruppetti degli anni 90 e quelli dopo. Era impossibile che De Pretto si mischiasse con Bertolini e Dalla Bianca, ma erano lì. E vedendoli tutti insieme ho capito quanti fossero e quante storie potrebbero raccontare. C’era quello guascone da corridore, che lo è rimasto anche adesso. Tutti hanno avuto parole per raccontare anni bellissimi nella loro vita. Ed è importante essere riusciti a fare qualcosa di buono a quell’età. Penso alle parole di Paolo Lanfranchi. Lui veniva da Bergamo e ha raccontato che passava tre settimane al mese nella casetta dove c’era il ritiro. E ha detto che a un certo punto gli piaceva più stare lì che tornare a casa. Perché si era creata una sinergia tra atleti, personale, la famiglia Fior e la famiglia Lucchetta. Avevamo i presupposti per creare delle persone.

Ci siete riusciti?

Sono diventati uomini. Alcuni sono diventati imprenditori, qualcuno ha fatto fortuna, altri un po’ meno. Alcuni non hanno capito il modo per riciclarsi una volta smesso di correre e questo sarà ogni anno più difficile. Noi in compenso abbiamo i capelli bianchi. Giriamo ancora in pantaloncini corti e ciabatte (ride, ndr), ma sempre con dignità. Mi raccomando una cosa, quando scrivi questa storia.

Scrivo bene?

Esatto, scrivi bene! Sono le cose che dicevo sempre. Come quando guardavo in faccia un corridore e gli chiedevo: «Sei sicuro di avere i mezzi per fare il corridore?». Scrivi bene, mi raccomando. E’ una storia importante.

EDITORIALE / Under 23, davvero una categoria da estinguere?

25.11.2024
5 min
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A voler essere gentili, si potrebbe dire che da un certo punto in poi, non ci abbiamo più capito niente. Il ciclismo mondiale degli under 23 ha preso una direzione diversa, mentre noi abbiamo continuato per la nostra ritrovandoci da tutt’altra parte, senza che il navigatore ci abbia detto che eravamo sulla strada meno utile. Oppure, se lo ha detto, abbiamo creduto di poter fare senza e ora ci ritroviamo sull’orlo di un precipizio, al culmine di una strada senza uscita. Cosa fare?

In occasione dell’Open Day di Beltrami, Bruno Reverberi ha detto quello che nessuno voleva sentirsi dire, ma che rispecchia il nuovo corso del ciclismo. «Le squadre under 23 non hanno più senso di esistere, bisognerebbe eliminare la categoria e far correre i giovani tra i team devo del WorldTour e le continental…». Anche in questo, se vogliamo c’è un’inesattezza: i devo team infatti sono tutti under 23 e le continental italiane, ad eccezione di pochi atleti rimasti, appartengono alla stessa categoria. Resta il senso del messaggio: non servono più le squadre che fanno solo attività non professionistica, perché non offrono ai ragazzi le occasioni di formazione che invece ricevono altrove.

Bruno Reverberi si è espresso ieri contro i team italiani under 23, il cui calo è anche un effetto e non solo una causa
Bruno Reverberi si è espresso ieri contro i team italiani under 23, il cui calo è anche un effetto e non solo una causa

La Zalf che chiude

I presidenti che si sono susseguiti al comando del ciclismo italiano negli ultimi 20 anni hanno tirato a campare, come si fa quando si manda avanti un vecchio albergo pieno di storia, ma con i segni del tempo che lo rendono meno appetibile delle strutture moderne tutte elettronica e integrazione. Perché lo hanno fatto? Proviamo a capirlo.

Probabilmente perché non ne hanno mai visto davvero la necessità, pensando che l’acqua nel pozzo non sarebbe mai finita. Poi perché questo avrebbe significato radunare un quantitativo enorme di direttori sportivi che hanno superato i 65 anni, costringendoli ad aggiornamenti che non tutti avrebbero gradito. Forse perché mettersi contro le società che ogni volta sono chiamate a votarli avrebbe significato perdere consenso. Magari anche perché consapevoli che la natura locale degli sponsor italiani non consentirebbe grosse aperture. E quando ci si è rassegnati alla conversione in continental, dopo l’entusiasmo della prima ora, si sono fatti bastare la qualifica (e i contributi che ne derivavano), senza sincerarsi che i team facessero un’attività all’altezza.

Il risultato finale, uno dei risultati finali più eclatanti è che la gloriosa Zalf Desirée Fior, che del vecchio albergo pieno di gloria ha tutta la nobiltà e gli acciacchi, è arrivata al capolinea ed è stata costretta a chiudere i battenti. Perché andare avanti se anno dopo anno ci si è ritrovati sempre di più ai margini, senza il minimo spiraglio di poter tornare ai vertici?

Dopo 43 anni si è interrotta la strada della Zalf Fior, con una cena di commiato a Castelfranco Veneto (photors.it)
Dopo 43 anni si è interrotta la strada della Zalf Fior, con una cena di commiato a Castelfranco Veneto (photors.it)

Il pasticcio del 1996

Come se ne esce? Reverberi ha una parte di ragione, ma non tutta. Anzi, il suo progetto giovani è per lui una necessità, ma anche una delle cause dello svuotamento della categoria under 23 italiana, assecondando le esigenze degli atleti e quelle dei loro procuratori che hanno una gran fretta di farli firmare. E allora perché non giocare una carta che finora pochi hanno azzardato, se non a sprazzi nei mesi dopo il Covid?

Il grosso gap fra i devo team e una squadra under 23 italiana è il livello dell’attività che svolgono. E se la scelta o la possibilità di andare a correre tra i professionisti riguarda le singole squadre, nulla o nessuno vieta di riqualificare le corse italiane.

L’UCI ha la sua responsabilità. Quando nel 1996 impose la categoria under 23, volendo a tutti i costi isolare i ventenni dagli elite, come prima disposizione impose il taglio dei chilometri di gara. E così classiche italiane per dilettanti, che si correvano da decenni sopra i 180 chilometri, divennero corsette per giovani corridori da tutelare. Preso atto che la misura non servì a risolvere i problemi più evidenti e che ormai un under 23 corre regolarmente tra i professionisti su distanze ben superiori ai 200 chilometri, forse è il caso di fare un passo indietro. Se non altro a livello italiano.

Il Palio del Recioto e il Giro del Belvedere richiamano devo team da tutta Europa. Ecco Nordhagen lo scorso aprile
Il Palio del Recioto e il Giro del Belvedere richiamano devo team da tutta Europa. Ecco Nordhagen lo scorso aprile

Il calendario che non c’è

Volendo dare un suggerimento al futuro presidente federale, fra i vari provvedimenti si potrebbe dirgli di mettere mano in modo incisivo al calendario. E se è vero che le internazionali venete di aprile sono piene dei devo team di tutta Europa, potrebbe offrire un sostegno cospicuo agli organizzatori delle classiche italiane di maggiore prestigio, supportandole nel passaggio alla qualifica di internazionali e mettendole nel calendario in modo che con un solo soggiorno, i team europei possano disputare almeno tre gare.

A quel punto, dotate di altimetrie e chilometraggi degni di attenzione, le nostre internazionali sarebbero di nuovo un richiamo per i team stranieri, tornando al contempo dei banchi di prova più attendibili anche per gli under 23 italiani. Lo scadimento dei nostri team, oltre a conduzioni superate e a volte supponenti, è anche l’effetto di un’attività insufficiente. Se per una settimana al mese fosse possibile creare un simile meccanismo, le cose cambierebbero. Le squadre avrebbero qualcosa da raccontare ai loro sponsor. E gli under 23 italiani non sarebbero costretti a saltare frettolosamente nel vuoto, avendo nel fallimento la sola alternativa al successo.

U23, stagione di sorprese? Faresin non le esclude

28.02.2023
5 min
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La stagione degli under 23 è iniziata lo scorso weekend. Ed è iniziata un po’ alla solita maniera, vale a dire con i nomi noti a dettare legge. In quattro gare: due vittorie per la Colpack-Ballan, una per il CTF e una per la Trevigiani. Ma sarà così per tutto l’anno? Ne abbiamo parlato con Gianni Faresin, direttore sportivo della Zalf Eurombil Desiree Fior.

Cosa ci possiamo attendere da questo 2023? Gli equilibri saranno quelli di sempre? O magari ci potranno essere delle sorprese? Certo, come detto, l’inizio dell’anno sembra proseguire nel segno della continuità in modo deciso.

Gianni Faresin con i suoi ragazzi, prima della Coppa San Geo di sabato scorso
Gianni Faresin con i suoi ragazzi, prima della Coppa San Geo di sabato scorso

La Zalf c’è

Con Faresin si inizia a parlare della sua Zalf. I suoi ragazzi non hanno raccolto dei super risultati in questo primissimo assaggio di stagione, ma le gambe sembrano esserci e questo è ciò che conta di più.

«In linea di massima – spiega il direttore veneto – la preparazione invernale è andata secondo i programmi. Sì, qualche intoppo c’è stato, ma roba di stagione. E’ normale che ce ne siano in questo periodo.

«Abbiamo un ragazzo, Andrea Guerra, che sta recuperando dalla rottura della clavicola dopo una caduta in allenamento. Ma si tratta di tutte cose risolvibili. Credo ci vogliano un po’ di gare per rodare un po’ il tutto. Ma noi ci siamo».

E come può non esserci la squadra veneta? Alla fine resta un punto di riferimento del movimento e tanti, tanti giovani (anche juniores) di tutta Italia ambiscono a vestire quella storica maglia.

«Che stagione mi aspetto in generale? Si sono disputate solo le prime gare e non si è visto tanto. La sensazione però è che il Cycling Team Friuli sicuramente quest’anno ha la squadra più forte... come si sapeva. Ha uomini veloci, gente scaltra e ragazzi bravi in salita. E’ la squadra più attrezzata.

«Poi c’è la Colpack direi. Che è partita meglio dell’anno scorso e ha anche lavorato meglio… dell’anno scorso. Ha dei buoni velocisti, ma quelli li ha sempre avuti, e qualche giovane interessante. Vedi Romele.

«E anche la #inEmiliaRomagna ha fatto un bel salto. Ha dei corridori di esperienza e anche degli ex pro’ alla guida. E’ sicuramente una squadra che farà bene. Ma dico che in generale è bene aspettare».

La Zalf si è allenata bene, ma per vederla al top, secondo Faresin servirà qualche gara di rodaggio
La Zalf si è allenata bene, ma per vederla al top, secondo Faresin servirà qualche gara di rodaggio

Le nuove regole

E tutto sommato non è sbagliato, sia perché si parla di giovani, in cui tutto è ben più mutevole visto che di mezzo c’è lo sviluppo fisico, sia perché ormai con le crescite accelerate ci sta che arrivi uno juniores a fare da mattatore. Senza contare le variabili come la scuola, gli interessi adolescenziali… che ci sono sempre.

Ma forse in ballo entrano anche le nuove regole: dal 2023, infatti, nelle gare regionali under 23 le squadre continental come la Zalf potranno schierare solamente ragazzi del primo e secondo anno. E fu lo stesso Faresin a fine novembre a sottolineare la questione. Lui parlò di “rivoluzione forzata”.

«Sorprese? Magari con le nuove regole ci saranno – va avanti Faresin – le corse saranno più aperte, specie quelle regionali. E in queste corse credo che le squadre più “piccole” saranno avvantaggiate notevolmente rispetto ai team continental come il nostro. I ragazzi comunque li devi far correre e si andrà a fare anche quelle. 

«Ma poi penso a squadre come la Trevigiani, per esempio, già molto competitiva di suo, che potrà fare bene. Hanno corridori di ultra esperienza, tipo Zurlo, che l’altro ieri è andato già forte. E presentarsi alle gare regionali con gente così non è poco. Si confronteranno con ragazzi di primo e secondo anno.

«Gare che, come ripeto, bisognerà fare se si vuol far correre tutti i ragazzi, tanto più che in Italia quasi non ci sono corse a tappe. Anche se oggi a parlare di queste gare più piccole, sembra che si parli di chissà quale tabù o “demone”. Sembra che neanche vadano più toccate, poi invece sono la base, ci vanno tutti e a tutti piace dire: “Ho vinto questo, ho vinto quest’altro”.

«Per me sono gare. Punto. Se le vinci, comunque ti danno fiducia. Prende morale la squadra… E in ogni caso, in ogni gara, anche la più piccola, c’è sempre qualcosa da imparare».

Per il diesse veneto, il CTF dovrebbe essere la squadra più forte della stagione 2023 (foto Instagram)
Per il diesse veneto, il CTF dovrebbe essere la squadra più forte della stagione 2023 (foto Instagram)

Sui calendari

A questo punto Faresin apre il discorso dei calendari. E la questione verte proprio sulle corse a tappe, merce sempre più rara in Italia e che invece il cittì Marino Amadori brama da tempo per i nostri atleti… tutti, non solo quelli di punta.

«Benvenga se Amadori le vuol fare anche come nazionale – spiega Faresin – è un’opportunità in più, ma se devo fare i conti con il movimento italiano il calendario è quello. Non si inventa nulla. Per fortuna noi abbiamo l’invito al Giro di Sicilia che arriva ai primi di aprile ed è già importante. 

«E’ importante che una corsa a tappe arrivi abbastanza presto nel corso della stagione perché serve anche per la preparazione. Piu in là c’è il Giro U23, poi con le gare a tappe andiamo a finire praticamente a fine stagione… E per certi aspetti è un po’ tardi. Semmai ci vai per cercare il risultato, ma non per altro. Non per la preparazione. E se il livello è il Giro di Sicilia per noi non è facile». 

L’altro Moro lanciatissimo fra Parigi e Roubaix

25.11.2022
6 min
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«Prima di venire a Noto – dice Manlio Moro – avevo fatto un paio di allenamenti, giusto per togliere la ruggine. Sono stato fermo parecchio, quattro settimane complete senza bici e nessun tipo di attività fisica. Ogni tanto andavo a camminare con i cani, giusto perché non ce la facevo a stare tutto il giorno senza far niente. Qua ho iniziato a lavorare, mi sento bene. Stiamo già cominciando a fare dei lavori e come valori sto bene per essere a novembre».

Da un Moro all’altro. Se ieri abbiamo raccontato di Stefano, passato dal gruppo endurance a quello della velocità, oggi siamo con Manlio che idealmente ne ha preso il posto. In realtà il suo arrivo, come quello di Milan due anni fa, ha riscritto gli equilibri del quartetto. E’ stato il suo innesto a spingere Milan verso le partenze, costringendo Lamon agli straordinari per difendere la posizione.

Il sogno mondiale

Moro ovviamente misura le parole, essendo l’ultimo arrivato. I vent’anni compiuti a marzo sono un’assicurazione sul futuro e il contratto con la Movistar per il 2024 gli permetterà di vivere una stagione serena in maglia Zalf Desirée Fior.

«Non mi aspettavo tutto questo – dice il gigante di Pordenone – assolutamente no. Sapevo di poter fare bene. Agli europei under 23 siamo riusciti a vincere il quartetto, mentre nell’individuale, cui punto da sempre, ho fatto ancora terzo. Quest’anno magari proverò a salire un altro gradino, anche se si parte sempre per vincere. E poi al mondiale elite, secondo me era una vittoria solo il fatto di andarci…».

Il ritiro di Noto è venuto dopo 4 settimane senza bici: il 2023 di Moro si dividerà fra la Zalf e la nazionale
Il ritiro di Noto è venuto dopo 4 settimane senza bici: il 2023 di Moro si dividerà fra la Zalf e la nazionale

La bici azzurra

Parliamo seduti sul podio del velodromo di Noto, mentre il sole cala dietro i tetti delle case e porta con sé il tepore del giorno, spalancando la porta al vento freddo di novembre. Moro è entusiasmo allo stato puro. Racconta con stupore, come dall’interno di un’avventura straordinaria.

«Partecipare al mondiale con loro – rimarca – cioè correre con quattro campioni olimpici è stato una cosa immensa. Veramente è sempre stato il mio sogno. Era da parecchio che ci allenavamo insieme, però partire per la gara è stato un’emozione assurda. Ero abbastanza teso e loro sono stati molto bravi. Hanno sempre cercato di tranquillizzarmi. Non me l’aspettavo e forse è stato meglio così. E’ venuto tutto come una sorpresa. Ovvio, ho sempre lavorato, ci ho creduto sin da piccolo. Niente viene per caso e io mi sono sempre impegnato. Ho dato tutto negli allenamenti, nei ritiri. Ero l’unico senza la bici d’oro? Almeno – ride – il pubblico mi riconosceva…».

La vittoria di San Pietro in Gu, da solo, ma con le mani ferite per una caduta ai meno 12 (photors.it)
La vittoria di San Pietro in Gu, da solo, ma con le mani ferite per una caduta ai meno 12 (photors.it)

Fra pista e strada

Nel suo 2022 non c’è stata soltanto la pista. Il tabellino parla di tre vittorie in linea e una crono, oltre alla partecipazione al Giro di Sicilia e alla Adriatica Ionica Race. E se il futuro è alla Movistar, c’è da credere che la pista resterà fra i suoi obiettivi, ma la strada inizierà presto a esercitare il suo richiamo.

«Di sicuro il prossimo anno – dice – voglio organizzarmi meglio. La pista è quella che mi ha dato molte più soddisfazioni, però voglio una stagione senza farmi mancare niente. Essere pronto quando servirà su strada, essere pronto su pista. Ci saranno periodi che farò più strada e altri, magari prima di europei o mondiali, in cui sarò in pista. Con la Movistar non ho ancora parlato. Andrò in ritiro a metà dicembre e probabilmente quello sarà il momento di cominciare. Sono molto contenti di questa mia doppia attività, sto già cominciando a lavorare con loro e tramite i loro preparatori mi stanno già dando dei consigli».

Sogno Roubaix

Friulano come Milan, di due anni più giovane e 4 centimetri più basso (se si può applicare l’adesivo “basso” a un ragazzo di 1,90), anche Moro potrebbe avere nel Dna un certo tipo di classiche. Soprattutto dopo avergli visto vincere due corse per distacco (Gp Sportivi Sestesi e Due Giorni per Alessandro Bolis) e una in volata (Trofeo Menci).

«Le mie corse del cuore – ammette con un sorriso grande così – sono le classiche del Nord. Quelle che hanno i percorsi che mi seducono di più. Ovvio che mi piacerebbe fare bene anche se dovessi partecipare a un grande Giro. Però secondo me le classiche sono una Parigi Roubaix, una Gand… Quelle sono le gare che mi emozionano di più».

Ritorno a Grenchen

Intanto si parla di pista, in un gruppo eterogeneo e variopinto che pedala verso il prossimo ritiro in Spagna e la rincorsa agli europei di Grenchen che si correranno dall’8 al 12 febbraio nel velodromo che alla vigilia dei mondiali lanciò Ganna nel cielo dell’Ora. Manlio c’era.

«Eravamo in tribuna concentratissimi – ricorda – cercando di dargli energia. L’Ora ci è volata, di sicuro a lui un po’ meno. E quando ha tagliato il traguardo, siamo entrati in pista ed è stato stupendo. Siamo un bel gruppo. Ganna e Consonni magari non vengono spessissimo in pista, invece Milan lo conosco da un bel po’ mentre con Lamon ho fatto praticamente tutti i ritiri. Mi trovo bene con loro. Mi hanno accolto e non era scontato, perché magari potevano non curarsi di un giovane appena entrato. Se dovevano correggere, mi dicevano cosa fare e io imparavo.

«E poi c’è Ganna, soprattutto per me un riferimento. Quando sono con lui è proprio un’emozione. L’ho sempre visto in TV, era un mio idolo. Conoscerlo e correrci assieme è stato un’emozione grande, soprattutto nel quartetto averlo dietro non era una cosa semplicissima. Però adesso che ho cominciato a conoscere anche lui, ho capito che sono veramente tutte persone speciali».

La nuova strada di Rocchetti, diesse con un grande rammarico

23.11.2022
5 min
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«Guardate Lucca: alla fine è passato a 25 anni, ma altri come lui, Rocchetti ad esempio, non ci sono riusciti e meritavano». Parole di Paolo Rosola, diesse della General Store pronunciate all’indomani della scelta di impostare la squadra esclusivamente sugli under 23. Parole che ci hanno riportato alla mente la figura del corridore marchigiano, oggi diventato collega dello stesso Rosola, ma nelle file della Zalf. Il che colpisce per molte ragioni, come vedremo in seguito.

Filippo Rocchetti ha solo 26 anni, eppure è ora un riferimento nel team continental veneto e quell’avventura agonistica, seppur lontana appena qualche anno (Rocchetti ha chiuso la sua carriera nel 2020) sembra appartenere a un’altra epoca, perché il ciclismo contemporaneo che va così veloce costringe a crescere di pari passo e a rimettere sempre in discussione ogni cosa.

Il giovane diesse con Matteo Zurlo e Christian Rocchetta. Età simile, ma ruoli molto diversi
Il giovane diesse con Christian Rocchetta. L’età simile è un aiuto per comprendere le esigenze dei ragazzi

La grande sciocchezza del 2016

Perché Rocchetti non ha trovato posto in un mondo nel quale avrebbe meritato di essere? «E’ una domanda che mi sono posto spesso. I risultati c’erano, ma quel che forse mancava era un carattere adatto. Ero troppo esuberante e ho commesso errori che poi ho pagato. L’impegno non è mai mancato, anche da elite, ma mentalmente pian piano mi sono spento e ho deciso che era inutile sperare ancora».

Quando parla di errori, Rocchetti si riferisce alla vicenda del 2016. La sera seguente la vittoria di Nicolò Rocchi all’Astico-Brenta, Rocchetti con quest’ultimo e Davide Gabburo fece irruzione negli spogliatoi del Salvarosa Calcio, portando via palloni, magliette, pettorine e altro per oltre 600 euro di materiale. Immediatamente segnalati e fermati dai Carabinieri, i tre furono posti in stato di fermo e licenziati dalla loro squadra, guarda caso la Zalf.

Due anni alla Colpack per il 26enne di Osimo, poi nel 2020 la decisione di mollare
Due anni alla Colpack per il 26enne di Osimo, poi nel 2020 la decisione di mollare

La mano tesa della Zalf

Rocchi ha lasciato il ciclismo per dedicarsi all’altra sua passione, il calcio. Gabburo è ancora lì a combattere nelle file della Bardiani CSF Faizané, Rocchetti ha cambiato panni, ma a quel fattaccio pensa ancora.

«Io credo che quanto è successo – dice – abbia pesato. Molte squadre alla resa dei conti si sono tirate indietro pensando che non fossi un buon esempio e proprio per questo ho apprezzato la Zalf, che poi mi ha ripreso e mi è stata vicino. Sono andato via nel 2018 non per dissidi, anzi, ma volevo cambiare ambiente per fare altre esperienze e andai alla Colpack per due anni. Il treno però era ormai passato».

E’ un Rocchetti diverso quello di oggi rispetto ad allora, ma che cosa direbbe a quel ragazzo improvvido? «Di non sprecare le occasioni, non perdere tempo in sciocchezze e fare attenzione a non commettere errori perché gli anni volano e la bici non perdona. So che le capacità per fare una buona carriera da professionista c’erano, le ho sprecate. E devo dire grazie proprio alla Zalf, ai signori Lucchetta e Fior, al grande Faresin, campione su strada e nella vita se ho trovato un’altra strada, se mi hanno voluto ancora con sé dandomi fiducia in un nuovo importante ruolo».

Rocchetti in trionfo al Trofeo Città di Brescia nel 2018, battendo Gaffurini e Ravanelli
Rocchetti in trionfo al Trofeo Città di Brescia nel 2018, battendo Gaffurini e Ravanelli

Dipende tutto dal carattere

Faresin resta per Filippo un punto di riferimento, come lo era quando correva: «Mi sta insegnando tanto e questo mi sta cambiando, in tal senso l’anno appena passato è stato davvero molto importante per me. Lavoro con ragazzi che hanno l’età che avevo nel 2016 e cerco di tenerli tranquilli, di far capire l’importanza di quello che fanno e il rispetto che merita. Se vai in bici conta solo quello perché nel ciclismo odierno il treno passa prestissimo e se lo perdi non hai più possibilità».

Nel paragone fra lui e i ragazzi di oggi, Rocchetti tiene a sottolineare un aspetto: «Se andiamo a guardare i numeri e i valori tecnici, la differenza non è tanta rispetto a qualche anno fa. I livelli sono stabili, chi vinceva l’anno scorso vince anche quest’anno. La differenza abissale è nel carattere: se vuoi emergere devi tirar fuori il carattere e non tutti ce l’hanno, forse neanche fra chi è più grande. E a vincere sono quelli che il carattere ce l’hanno in abbondanza…».

Nel 2018 Rocchetti aveva anche vestito la maglia azzurra, alla Vuelta a San Juan e agli europei U23
Nel 2018 Rocchetti aveva anche vestito la maglia azzurra, alla Vuelta a San Juan e agli europei U23

Fate attenzione a Guzzo…

C’è tra i corridori che segue un altro Filippo Rocchetti? «Io mi rivedo molto in Federico Guzzo, uno che vince dappertutto e che ha un bel carattere. Secondo me ha solo bisogno di mollarsi un po’ di più, di mettere in gara quel pizzico di cattiveria ulteriore e potrà essere davvero un elemento su cui puntare».

Filippo è già al lavoro, per la sua seconda stagione da diesse aggiunto: «Abbiamo già effettuato un primo ritiro, credo che la campagna acquisti sia stata indovinata. Ci sono tanti giovani talenti sui quali lavorare e puntare. Diciamo che contiamo di mantenere il livello degli ultimi anni, ma io per primo so che non basta e bisogna fare sempre meglio. La lezione l’ho imparata…».

L’attacco di Rui: il ciclismo è un libro da riscrivere

09.11.2022
6 min
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Luciano Rui è nel ciclismo dei dilettanti da 37 anni e prima ha fatto il professionista. Come dice Wikipedia, ha anche partecipato al Tour de France del 1982, ma questo è solo uno dei suoi meriti. Chi come noi lo conosce da trent’anni potrebbe compilare un elenco ben più lungo. Perciò, quando parla “Ciano”, è bene starlo a sentire.

«Il ciclismo italiano di oggi – dice – è un libro da riscrivere. Ma chi è capace di farlo? E a chi conviene che si faccia?».

Luciano Rui è il general manager della Zalf Fior di Castelfranco. Il diesse è Faresin (photors.it)
Luciano Rui è il general manager della Zalf Fior di Castelfranco. Il diesse è Faresin (photors.it)

Da Gregori a Bragato

Rui è il general manager della Zalf Euromobil Fior e ha 63 anni (in apertura è con Lello Ferrara, che fu a sua volta un suo corridore, immagine photors.it). Lo spunto della conversazione è una riflessione sull’intervista dei giorni scorsi a Diego Bragato. Fra i tanti temi posti, c’è la scarsa abitudine nelle nostre squadre di lavorare per obiettivi con gruppi di atleti. Qualcosa che si fa abitualmente nelle migliori continental europee e che in Italia tenne banco fino a quando la Federazione interruppe i rapporti con Antonio Fusi, che aveva ereditato il metodo impostato da Claudio Gregori e perfezionato da Giosuè Zenoni. Nomi che a molti diranno ormai poco, ma che tennero in piedi il ciclismo italiano negli anni in cui (non per caso) sbocciavano ancora i campioni

La nazionale a quel tempo preparava i corridori, non li selezionava come deve fare oggi Amadori. Il tecnico individuava un gruppo di lavoro per ciascun obiettivo, portava i ragazzi in ritiro e poi a correre in giro per l’Europa. Ad agosto, quando un eccesso di attività nei club avrebbe danneggiato i corridori in ottica mondiale, si facevano sempre due settimane di ritiro a Livigno. Generazioni di corridori hanno imparato così a lavorare per obiettivi.

Antonio Fusi è stato cittì degli U23 dal 1993 al 2005. Dal 1998 al 2000 ha seguito anche i pro’
Antonio Fusi è stato cittì degli U23 dal 1993 al 2005. Dal 1998 al 2000 ha seguito anche i pro’
Il sistema funzionava, non trovi?

Aveva cominciato Gregori. Adesso invece si fanno centomila corse in maglia azzurra che non servono a molto. Zenoni e Fusi prendevano 10-12 atleti e li portavano avanti. Nell’anno in cui Basso vinse il mondiale andarono in Germania, al Gp di Wallonie e alla Montpellier-Barcellona. Forse però adesso non è facile con gli atleti che corrono nelle squadre straniere. La nazionale li avrebbe a disposizione? Una volta erano tutti qui…

Dicono di andare via perché qui non fanno lo stesso livello di attività.

All’estero ci sono 7-8 corse a tappe per le quali vale la pena investire, mentre non ha senso andare in Belgio per fare le kermesse. Il problema è che in Italia una volta c’erano 8-9 corse a tappe per under 23, quindi la voglia di andare fuori non ti veniva. Adesso magari non ti invitano, ma perché siamo fuori dal giro, avendo preferito per anni stare qua. Bisogna ricominciare e piano piano si entra nel giro.

La sensazione guardando oggi i team U23 italiani è che il lavoro sia spesso fine a se stesso.

Di sicuro manca il confronto con una squadra importante e si finisce col lavorare per noi stessi.

La Groupama Continental ha svolto quasi soltanto attività U23 con brevi puntate in Coupe de France (foto Alexis Dancerelle)
La Groupama Continental ha svolto quasi soltanto attività U23 con brevi puntate in Coupe de France (foto Alexis Dancerelle)
Nel ciclismo di oggi, sareste ancora disposti a dare i corridori alla nazionale affinché li prepari per gli eventi?

Le squadre più grandi hanno sempre lavorato in sinergia con la nazionale. Sapevamo che dopo il Giro d’Italia avrebbero scaricato, poi sarebbero andati in altura, a correre all’estero e poi dritti sul mondiale. Se fossero rimasti con noi, quando rimangono con noi, noi corriamo per il risultato immediato. Penso che le squadre sarebbero disponibili, la maglia azzurra ha il suo peso. Se credi in un progetto, devi dare il ragazzo alla nazionale. Sennò tirati fuori! Infatti De Pretto da agosto non l’ho quasi più visto e Moro è fisso col gruppo della pista.

Cosa ti pare della nazionale oggi?

Amadori è bravissimo e i risultati degli ultimi anni gli danno ragione, mentre prima è stato a lungo a secco, forse perché lasciando il vecchio sistema, c’è stato bisogno di tempo per assestarsi. Oggi non ci sono tanti atleti con cui lavorare, perché passano subito. E poi, una volta di là, diventano tutti principini. Io glielo dico sempre: qualche volta meglio provare a vincere fra quelli della propria età, che prendere sempre schiaffi con i più grandi. Bisogna rimanere umili e serve chiarezza. Prima, con il corridore che restava 3-4 anni, avevamo tutti modo di lavorare meglio.

Davide De Pretto, corridore della Zalf Euromobil Fior, con la nazionale ha corso europei e mondiali
Davide De Pretto, corridore della Zalf Euromobil Fior, con la nazionale ha corso europei e mondiali
Mentre adesso?

Adesso passano, ma sono più quelli che si perdono. Hanno fatto la licenza da professionisti, ma non una carriera. E’ possibile che i migliori italiani del Giro siano stati ancora Nibali e Pozzovivo? Chi vedete prendere il loro posto?

Vuoi un nome da noi?

Sì, vediamo.

Per i Giri viene da fare il nome di Garofoli…

E’ un bel corridore e dopo che è rientrato dall’intervento è andato forte. Se adesso sale nel WorldTour, non lo vedremo fra gli U23 e avrà bisogno di un paio di anni per venire fuori. Però è un nome giusto. Ha un carattere particolare, ma è giusto che lo sia. Quelli che sono piatti in bici, poi lo sono anche nella vita. E l’agonismo è parte del gioco. Invece siamo diventati tutti educati e finisce che ci accontentiamo del sistema. Qualche litigata a volte fa bene. Una volta c’era il tempo, adesso non più…

Potrebbe essere Garofoli un giovane da seguire in ottica Giri? Rui non lo esclude (foto Instagram/Getty)
Potrebbe essere Garofoli un giovane da seguire in ottica Giri? Rui non lo esclude (foto Instagram/Getty)
Bruttomesso va al CT Friuli per poi andare al Bahrain…

Bruttomesso lo abbiamo tirato su bene. E se aveva già il contratto con il Bahrain, non poteva rimanere con noi? Chissà, magari Miholjevic ha detto di volerlo seguire nella squadra satellite, ma a noi questo non è stato detto. Quando si trattò di far firmare Gatto alla Gerolsteiner, andammo in macchina in Germania e alla fine ci bevemmo due belle birre. Stessa cosa con Oss alla Liquigas. Oggi non sarebbe più possibile. Oggi i procuratori hanno interesse a farli passare subito, tanto loro non rischiano. Ma se gli dai contro, possono anche farti la guerra. Così però finisce il rapporto umano. Ripeto: secondo me, il ciclismo di oggi è un libro da riscrivere. Ma chi è capace di farlo? E a chi conviene che si faccia?

Il nuovo De Pretto respira già aria di WorldTour

24.10.2022
4 min
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Davide De Pretto, ex promessa del cross azzurro ora convertito totalmente alla strada, ha chiuso il 2022 con lo stage alla Bike Exchange-Jayco, ciliegina su una stagione di vera svolta dopo il debutto fra gli under 23 dello scorso anno con la Beltrami. Dopo il passaggio alla Zalf Desirée Fior è cambiato tutto e i risultati lo hanno confermato.

«Se guardo quel che ho fatto l’anno scorso – dice – c’è stato un bel salto di qualità, sia dei risultati sia per come gestisco le gare. Sono contento. Alla Zalf mi sono trovato subito meglio e anche l’anno in più vuol dire tanto, perché il salto da junior a under 23 è tanto. In più la Zalf è vicino casa e questo mi ha permesso di allenarmi meglio. Non nascondo che l’anno scorso in qualche momento mi sono sentito inadeguato. Mi allenavo, mi impegnavo, ma non arrivavano risultati. E poi mi dispiaceva, perché mi impegnavo tanto e mi chiedevo come mai non riuscissi a concretizzare qualcosa…».

La Zanè Monte Cengio è stata la 3ª vittoria 2022 di De Pretto (photors.it)
La Zanè Monte Cengio è stata la 3ª vittoria 2022 di De Pretto (photors.it)
Invece quest’anno?

Sono partito dall’inverno molto convinto. Mi allenavo con i miei compagni che vincevano le corse e ci stavo bene in allenamento. Non facevo fatica. E da lì ho capito che forse era la strada giusta. Nell’ultimo inverno c’è stato più lavoro soprattutto in palestra. Mi ricordo che il primo anno lavorai qua a casa, perché le palestre erano chiuse. Facevo palestra per modo di dire, mentre adesso con i macchinari che ci sono c’è stata parecchia differenza. E poi soprattutto sono cambiati anche gli allenamenti in bici che ora mi dà Faresin.

Che cosa ti è piaciuto di più: le tre vittorie, la continuità di rendimento o il podio agli europei?

La cosa migliore del 2022 è stato aver mantenuto la forma per gran parte dell’anno. E’ sempre stata una mia caratteristica, però quest’anno sono partito forte e sono riuscito a continuare sino a fine anno. Non me lo aspettavo. Sapevo che stavo bene, ma mentalmente la continuità mi ha dato la conferma che anche io me la posso giocare a livelli più alti.

De Pretto ha corso i mondiali di Wollongong, chiudendo al 52° posto
De Pretto ha corso i mondiali di Wollongong, chiudendo al 52° posto
Secondo a Capodarco: più forte Buratti o si è sentita la differenza di età?

A Capodarco ho trovato Buratti nel suo massimo periodo di forma. Era imbattibile, ma sicuramente un anno in più cioè vuol dire tanto. Sia fisicamente che anche mentalmente.

L’esperienza ai mondiali come è stata?

Per me un po’ una delusione, perché non sono riuscito a rendere per quello che volevo. E’ stata una bella esperienza, però a confronto con l’europeo, il livello era due volte superiore. Ci sono corridori e squadre con un’altra gamba, corridori che arrivano dal professionismo. Io forse non ero al livello dell’europeo, però avevo fatto delle gare in Puglia, dove avevo mostrato una buona condizione. Invece il mondiale non è stato il mio periodo di picco di forma.

Come è andato lo stage con la Bike Exchange?

Hanno detto che erano molto contenti. Al Giro dell’Emilia ho fatto una bella gara e poi soprattutto alla Tre Valli Varesine sono stato il primo della squadra, perché gli altri si sono tutti ritirati. Quindi erano molto contenti. Mi è mancata l’ultima salita, sennò arrivavo lì davanti. Il mio procuratore Alessandro Mazzurana dice che c’è qualche possibilità che mi prendano, però non subito. Ci sono cose da fare, il prossimo anno lo farò ancora alla Zalf.

Nel 2019 ha corso gli europei di cross a Silvelle. Ha lasciato il fuoristrada al passaggio fra gli U23
Nel 2019 ha corso gli europei di cross a Silvelle. Ha lasciato il fuoristrada al passaggio fra gli U23
E’ appena iniziata la stagione del cross, hai qualche nostalgia?

La verità? Neanche un po’. A fine stagione so di dover recuperare e non ho iniziato neanche a seguire le gare. Diverso l’anno scorso. Non fare cross lo scorso inverno mi parve stranissimo. Non sapevo cosa fare, abituato com’ero da quattro anni a staccare dalla strada per passare al cross. Ma facevo anche stagioni meno faticose. Per cui fino a metà novembre riposerò completamente e poi sotto con la palestra e la mountain bike. Proviamo a crescere ancora… 

Raccani, la Quick Step e lo stage finito all’ospedale

21.08.2022
5 min
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Lo stage di Simone Raccani con la Quick Step-Alpha Vinyl, la Vuelta a Burgos (foto Instagram in apertura), si è concluso durante la terza tappa contro una parete rocciosa e poi all’ospedale della città della Castilla y Leon. Da lì il vicentino è volato a Herentals per un intervento al polso e ora è a casa in attesa di poter ripartire. Il malumore, dice, è durato anche poco. A fargli compagnia resta la consapevolezza delle buone cose fatte vedere e l’interessamento della squadra belga. Simone alla Quick Step non c’è arrivato per la magia di qualche procuratore, ma per una chiamata di Bramati e del loro talent scout. E questo a 21 anni è un bel pensiero da coltivare.

«Sto guarendo – dice con voce serena – inizio a muovere la mano. Poteva andarmi peggio. La settimana prossima comincerò a fare qualcosa, sperando di poter riprendere ad allenarmi per settembre. Mi piacerebbe fare una corsa per ottobre, giusto per non dover rincorrere tutto l’inverno e rientrare a febbraio dopo sei mesi senza gare».

Raccani si è affacciato sul 2022 forte di due successi 2021, fra cui Capodarco su Piccolo e Tolio
Raccani si è affacciato sul 2022 forte di due successi 2021, fra cui Capodarco su Piccolo e Tolio

Dopo i due successi del 2021, fra cui il Gp Capodarco, la sua stagione, in sintesi, parla di due vittorie (Trofeo MP Filtri a Pessano con Bornago e Memorial Trocchianesi a Monte Urano), un Giro d’Italia sotto le attese e due terzi di tappa al Giro della Valle d’Aosta che hanno portato anche al terzo in classifica finale.

Torniamo a momenti più felici, come è nato lo stage con la Quick Step?

E’ successo che Bramati si è messo in contatto con il mio direttore sportivo Gianni Faresin e poi su Instagram mi ha scritto Johan Molly, un loro talent scout, e hanno curato tutta l’organizzazione. Quando l’ho saputo è stata una notizia bellissima. E’ una delle squadre che ho sempre seguito, ero molto contento. Al momento non so se passerò con loro, ma c’è interesse.

Peccato che lo stage sia durato poco…

Troppo poco. Il terzo giorno sono caduto ed è finita la stagione.

Raccani è rimasto in corsa per tre tappe della Vuelta Burgos, ma nella terza è caduto (foto Instagram)
Raccani è rimasto in corsa per tre tappe della Vuelta Burgos, ma nella terza è caduto (foto Instagram)
Che effetto fa andare alle corse sul pullman della Quick Step?

E’ bello. C’è un ambiente molto professionale, la sensazione di essere in una grande squadra. Mi hanno dato tutto tranne le scarpe. Ho portato la Pinarello e hanno fatto il copia e incolla delle misure sulla loro Specialized. Ho tenuto la mia bici come scorta, casomai ci fossero dei problemi, ma non ce ne sono stati.

Hai cominciato subito in una corsa WorldTour.

Ho scoperto che almeno nelle prime fasi era molto controllata, non c’era la confusione delle nostre corse U23, che sono ingestibili. Poi nel finale si andava veramente a tutta.

Che voto possiamo dare a questa stagione?

Avevo l’obiettivo di portare in alto la maglia della Zalf Desirée Fior. L’avvicinamento al Giro d’Italia U23 è andato bene fino a due settimane prima. Terzo alla Strade Bianche di Romagna. Sesto al Recioto e al De Gasperi, ero sulla strada giusta. Invece appena è partito il Giro, non sono riuscito a trovare la condizione e l’ho finito 15° senza mai aver dato un segnale. Così sono andato al Val d’Aosta per puntare a qualche tappa ed è venuto fuori un terzo posto inaspettato. Ma è anche vero che se punti alle tappe di salita, di solito viene anche la classifica.

Ricordi la caduta?

C’era una curva che in uscita stringeva. Davanti c’è stato uno sbandamento. Io ero tutto all’esterno, mi sono toccato con un altro e sono finito su una parete rocciosa. Mi sono rialzato, ero pieno di abrasioni. Poi ho guardato il polso e ho visto che era gonfio e storto.

Così sei finito all’ospedale.

Prima quello di Burgos, dove mi hanno dato 15 punti per le ferite aperte, al braccio sinistro e al palmo della mano destra. Poi sono andato in Belgio, nella clinica di Herentals cui fa riferimento la squadra. E lì mi hanno operato, perché la frattura era pluriframmentaria e molto instabile. C’era l’osso aperto e così hanno riattaccato le parti inserendo una placca che resterà lì. E’ ancora un po’ gonfio, ma almeno ora muovo le dita.

La Quick Step-Alpha Vinyl ha continuato a seguirti?

Fino all’ospedale e poi nei giorni successivi, Bramati ha continuato a chiamarmi tutti i giorni. Di qui a qualche settimana parleremo, pare che mi faranno una proposta. Credo e spero di aver fatto una buona impressione.

Un tutore e magnetoterapia, sarà così fino alla ripresa degli allenamenti
Un tutore e magnetoterapia, sarà così fino alla ripresa degli allenamenti
Com’era il tuo umore dopo l’incidente?

Ero tranquillo. L’unico pensiero era di andare in mano a persone esperte per l’intervento. Ma quando ho saputo che era lo stesso chiururgo che ha operato Alaphilippe alla mano e Remco (Evenepoel, ndr) dopo il Lombardia, mi sono tranquillizzato. La mano è perfetta.

Hai un tutore?

Un tutore che tolgo per fare magnetoterapia. Sono fermo da 15 giorni in attesa che l’osso si saldi e che si chiudano bene tutti i tagli. E poi ci vorrebbe davvero una corsetta. Questo sarebbe il mio prossimo obiettivo.

Gregorio Ferri al tricolore Fixed: «Specialità da rilanciare»

08.05.2022
6 min
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Fissati per le fixed. Potrebbe essere uno slogan per i corridori delle gare a scatto fisso, una disciplina di nicchia che vuole rinascere e tornare ai livelli di popolarità toccati qualche anno fa. Per farlo si passerà da un appuntamento che promette emozioni. Il campionato italiano assoluto FCI che si terrà sabato 25 giugno a Buonconvento, nelle campagne senesi, in un contesto totalmente lontano dalle zone artigianali, urbane o parchi chiusi delle città in cui si tiene la maggior parte delle corse.

Strada bianca anche per fixed

«La Strade di Siena Fixed viene organizzata dallo Sport Club Mobili Lissone – spiega Enrico Biganzoli, vicepresidente della società che allestisce anche la Coppa Agostoni – in collaborazione con SSD Eroica Italia di Franco Rossi e G.S. Buonconvento di Franco Pieri. Avevamo già organizzato il campionato italiano FCI di scatto fisso nel 2018 in casa nostra a Lissone. Quella toscana sarà una corsa con belle novità. Il circuito misura 1.185 metri e avrà 150 metri di strada bianca, con una zona box al termine della stessa per consentire agli atleti di cambiare bici o ruota in caso di foratura o guasto meccanico, come funziona nel ciclocross.

«Sarà una gara a tempo – prosegue – trenta minuti più un giro per la categoria femminile, quaranta e un giro per quella maschile. Ci saranno delle qualifiche per stabilire le griglie di partenza. Al termine di queste sessioni si disputerà la super-finale dove correranno i tesserati degli enti sportivi, enti stranieri e naturalmente quelli di Federciclismo che assegnerà la maglia tricolore. Siamo certi che vedremo dello spettacolo”.

Arriva “Greg”

La gara di Buonconvento fa parte del calendario della Italian Fixed Cup, una challenge di 8 prove che si è aperta il 23 aprile a Monselice e si chiuderà il 18 settembre a Saronno, in abbinamento al più tradizionale Gran Premio Criterium per elite e U23. Tra i tanti partecipanti al campionato italiano vedremo anche Gregorio Ferri (secondo da sinistra nella foto di apertura) che, dopo aver dovuto abbandonare l’attività, si è avvicinato al mondo delle fixed. Lo abbiamo sentito (al termine di un allenamento bagnato da un temporale improvviso) per sapere cos’ha da dirci sulla sua nuova specialità e sul ciclismo in generale.

Gregorio innanzitutto com’è il tuo rapporto con la bici adesso?

Prima non mi mancava, ero ancora dispiaciuto per come avevo smesso. Ultimamente invece ho ripreso a pedalare, compatibilmente col lavoro. Sono nella azienda di mio padre che opera in materiali e progettazioni edili, quindi il tempo è quello che è ma con le giornate più lunghe riesco a fare un paio di ore. Ho preso qualche chilo da quando non corro più e mi alleno per stare bene a livello psicofisico. Tant’è che i miei genitori mi dicono che sono un’altra persona, molto meno stressata.

Sei stato un buon dilettante ma non sei riuscito a passare pro’. Ci ripensi ancora o hai assorbito il colpo?

Sì e no, anche se ormai mi sono calato nella mia nuova vita e penso che non tutto il male venga per nuocere. Naturalmente quando guardo le gare o vedo o sento alcuni miei ex compagni che sono pro’ penso a cosa sarei potuto essere io. Ad esempio nel 2019 con la nazionale ero presente e ho lavorato parecchio sia all’europeo in Olanda dove ha vinto Dainese sia al mondiale in Yorkshire quando ha vinto Battistella dopo la squalifica di Eekhoff. Sono stato sfortunato in alcune circostanze…

Come quando?

Come quando è fallita la squadra ungherese in cui dovevo passare ed in altre è stata colpa mia perché non mi sono fatto trovare pronto. L’anno scorso ho iniziato bene con la Petroli Firenze-Hopplà poi nel finale ho corso sei gare da stagista con la Vini Zabù e non ho fatto bella figura. Ora cerco di consigliare mio fratello Edoardo (che corre nella Petroli Firenze Hopplà, ndr) a non fare i miei stessi errori. E’ inutile recriminare e rimuginare, meglio guardare avanti e a nuove cose

Una di queste è il mondo delle fixed. Come lo hai conosciuto?

Per caso lo scorso novembre. Mi avevano contattato per partecipare al Criterium Cimurri nella pista di Reggio Emilia. Avevo fatto tardi la sera prima ed ero senza allenamento, ma ho chiuso con un quarto posto. Sono rimasto colpito. Ora lo scatto fisso lo considero per necessità, anche se devo migliorare la tecnica di guida. Non è semplice ma sto già cercando di fare allenamenti ad hoc.

Come ti ci vedi in futuro?

Intanto sono gare che durano 40′ quindi si possono preparare abbastanza bene. Devo dire che sono entusiasta per questa nuova sfida. E’ una disciplina adrenalinica e spettacolare, che non è considerata come dovrebbe. Credo che abbia ancora tanto margine di sviluppo. Sono competitivo e vi dirò che mi piacerebbe diventare una icona del mondo fixed ed aiutare il movimento a risalire.

Pensi che altri stradisti potrebbero essere adatti a questa causa?

Direi proprio di sì. Ci vorrebbe più visibilità e qualche nome importante o magari qualche gara abbinata ad una gara importante, come a ridosso di una tappa del Giro d’Italia. Ci sono alcuni pro’ che conosco che sarebbe perfetti per lo scatto fisso e che creerebbero seguito. Ad esempio Fedeli e Scaroni, che conosco bene e a cui mando un abbraccio visto che adesso purtroppo stanno vivendo un brutto momento con la loro squadra (la Gazprom-RusVelo, ndr), potrebbero essere due ragazzi tagliati per le fixed.

Alla fine manca poco al 25 giugno…

Lo so. Non sono allenato come vorrei, ma per il campionato italiano di Buonconvento arriverò pronto e in forma. Anzi, so che a luglio a Berlino ci sarà il campionato del mondo e potrei farci un pensierino. Ve l’ho detto, sono competitivo…