Juniores e U23, siamo fermi! Bragato va giù duro…

03.11.2022
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Non si possono prendere a paragone Pogacar, Evenepoel, Ayuso e Vingegaard. Ma alle loro spalle non ci sono italiani e soprattutto italiani giovani in arrivo dagli juniores e gli under 23. Nibali ha chiuso il Giro al quarto posto a 38 anni. Colbrelli ha vinto la Roubaix a 31. Dove sono i nostri ragazzi? Ieri un corridore ci ha detto che se ne parla tanto e alla fine non si capisce più niente, eppure nei giorni scorsi Ulissi e poi Trentin hanno tirato fuori argomenti decisamente concreti. E noi con questi abbiamo bussato alla porta di Diego Bragato, che ha da poco concluso con Salvoldi delle batterie di test sugli juniores ed è responsabile della performance alla Scuola Tecnici, che ha recentemente preso il posto del Centro Studi.

Questo pezzo sarà lungo da leggere, ma il ragionamento non fa una grinza. Può essere il punto di inizio per il cambiamento. Se a qualcuno, soprattutto nelle squadre juniores e U23, sta a cuore la salute del nostro ciclismo.

Bragato sostiene Viviani al via dell’eliminazione che vedrà Elia campione del mondo anche nel 2022
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Non hai la sensazione che si punti ad alzare troppo il livello della prestazione degli juniores, lasciandogli pochi margini per quando passano di categoria?

Come sempre non si può fare di tutta l’erba un fascio, ma di certo c’è troppa enfasi sulla categoria juniores. Enfasi legata ai volumi, al simulare quello che fa il professionista, invece di costruire una formazione a lungo termine. Purtroppo il nostro movimento spinge per la ricerca del risultato da junior, piuttosto che per la costruzione di un atleta che avrà risultati dopo 5-6 anni.

All’estero fanno più corse a tappe e meno gare di un giorno…

Noi siamo l’ultima fra le Nazioni di alto livello che corre ancora per le gare della domenica. Quindi a vari livelli, non solo negli juniores ma anche molto negli under 23, lo schema è sempre quello. Corsa la domenica. Lunedì, recupero. Martedì, un po’ di lavoro di forza. Mercoledì, distanza. Giovedì, un po’ di lavoro easy. Venerdì, velocizzazione. Sabato, recupero. Domenica, gara. E cosi per tutto l’anno, aspettandoci una condizione che porti a vincere più gare possibili. Ma questo ciclismo non esiste più. Le altre Nazioni hanno ridotto di molto il numero di gare durante l’anno, a vari livelli: da junior in su. E insegnano agli atleti a costruire la prestazione in funzione di un obiettivo.

Per Herzog, 30 giorni di corsa nel 2022 e la vittoria del mondiale juniores, a capo di un avvicinamento mirato
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Da noi invece?

I nostri ragazzi crescono come si faceva una volta. Trovano la condizione con le gare, quindi continuando a correre, hanno dei risultati a livello giovanile, ma non imparano ad allenarsi. Così arrivano in un mondo professionistico in cui giustamente, come descrive Trentin, ormai non puoi più sfruttare le gare per allenarti, perché devi arrivarci già in condizione. E noi non siamo capaci, né fisicamente né mentalmente. Fisicamente magari i preparatori possono anche aiutarci, ma mentalmente è un’altra cosa.

In che senso?

I nostri ragazzi non sono pronti ad allenarsi per arrivare pronti alle gare, perché nessuno glielo insegna. Gli insegniamo solo a correre. Ad andare in fuga e non tirare e aspettare la volata. Invece il ciclismo non è più questo.

Trentin ha parlato anche di volumi di lavoro a suo avviso eccessivi…

Spesso è così, il problema è che anche tra gli allievi si allenano quasi come dilettanti. Fanno volumi di lavoro più grandi degli juniores. Poi da juniores si allenano come gli under 23 o gli elite. E quando sono under 23 non hanno più margini. Purtroppo è così. Si predilige la quantità piuttosto che la qualità del lavoro. E la multidisciplinarità, come giustamente dice Trentin e come dimostra la pista, è un modo per preservare le qualità a discapito della quantità. La quantità si può mettere anche dopo. La qualità, invece se non viene preservata, poi non la ripeschi più.

Vittoria al Gp FWR Baron per la Work Service, una delle squadre plurivittoriose (photors.it)
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E che cosa succede?

Abbiamo degli atleti che diventano degli ottimi gregari, cioè persone in grado di subire un carico a lungo termine per tanto tempo, ma non di imporre il proprio ritmo. Purtroppo diventano, tra virgolette, dei soldati. Gente che ha gran volume sulle spalle, ma non fa la differenza.

A livello di comunicazione con le società si può far qualcosa? 

In realtà sono parecchi anni che nei corsi di formazione, il Centro Studi prima e la Scuola Tecnici adesso continua a battere su questi messaggi. Cioè sul preservare il talento, ridurre i volumi in generale, intesi come chilometri e ore fini a se stessi, puntando invece sulla qualità. Ma sembra che questo messaggio non passi o meglio non passa in toto. Ci sono delle squadre che hanno cambiato ritmo, bisogna dirlo. E se le squadre estere ritengono i nostri juniores appetibili è perché comunque vedono che in determinati ambienti si inizia a lavorare nel modo giusto, quindi quello bisogna riconoscerlo.

Come leggi il fatto che alcuni vadano all’estero?

Fa specie il fatto che li vengono a prendere da juniores, probabilmente per… salvarli dalla nostra categoria under 23, dove invece alcune squadre ancora lavorano per vincere la gara della domenica, invece di costruire un atleta pronto a maturare per diventare un valido professionista.

Lorenzo Germani è diventato tricolore U23 passando alla Groupama-FDJ e con loro ora approda fra i pro’
Lorenzo Germani è diventato tricolore U23 passando alla Groupama-FDJ e con loro ora approda fra i pro’
Secondo te la svolta continental cambia un po’ gli atteggiamenti, oppure si chiamano continental ma fanno le stesse cose di prima?

Io ho paura che continuino a fare le stesse cose. A meno che non riesca a tornare in Italia una squadra di riferimento che detti le regole, perché questi atleti possono essere appetibili per loro. Sennò rischiamo di aver semplicemente cambiato l’etichetta, ma di lavorare come prima. Non a caso, me lo insegna chi ha la memoria storica migliore della mia, atleti come Nibali, lo stesso Viviani, Caruso, Guarnieri, Bettiol, Cimolai e Bennati, che adesso è cittì della nazionale, sono tutti ragazzi venuti fuori dall’ultima scuola italiana, che era la Liquigas. Poi abbiamo avuto ben poco. C’è Ganna, ma lui è un fenomeno a parte con caratteristiche completamente diverse. Gli ultimi atleti di un certo livello, soprattutto per le gare a tappe, venivano fuori da una squadra che gli ha dato il tempo, come giustamente diceva Ulissi, di crescere da capitani, non di crescere da gregari. Moscon e company sono andati nelle squadre dove vengono pagati parecchio, dove devi rendere per quello che la squadra ti dice. Così crescono per aiutare gli altri. Quindi sviluppano le abilità e la mentalità da gregario e non da capitano che dovrà emergere.

Se sei forte non emergi lo stesso? Oppure il problema è di mentalità?

Secondo me il problema non è tanto fisico, perché gli atleti ce li abbiamo. E’ proprio mentale. Crescere con la mentalità di costruirsi, di essere responsabile della propria prestazione in funzione di un obiettivo e non in funzione di un valore medio che ti garantisca di essere un buon atleta tutto l’anno. Costruire un obiettivo e vincerlo. Come Van Aert. Va bene che lui è un fenomeno fisicamente, ma anche di testa è uno che sa puntare un obiettivo, arrivare pronto a qualsiasi gara decida. Non è mica così facile, già Van der Poel lo soffre un po’ di più. Invece Van Aert è una macchina, veramente una macchina. E noi dobbiamo insegnare ai nostri ragazzi a essere responsabili della loro performance, ascoltarsi e costruirla in funzione di un obiettivo. Non semplicemente a vincere più gare possibili durante l’anno.

Il Piva Junior è una delle classiche per juniores, vinto quest’anno da Scalco, passato in Bardiani (photors.it)
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Tanti sono passati, hanno vinto e hanno smesso presto. Vedi i corridori del 1990…

Ci sono situazioni diverse, perché io vedo dei ragazzi che da under 23 sono seguiti in tutto e per tutto, anche troppo e più dei professionisti. Vanno forte, poi passano e non hanno più chi li porta ad allenarsi ogni giorno e gli dice di svegliarsi, di stare attento a cosa mangiano. Da pro’ devono essere responsabili di se stessi. Solo che non sono in grado perché non nessuno l’ha mai insegnato. E quindi per un anno o due vivono di rendita e poi spariscono. Quello che hai fatto per un po’ ti resta , ma se poi non continui ad allenarlo, sparisce e loro cambiano completamente tipologia  di atleta.

Hai parlato di situazioni diverse…

Sì, ci sono anche quelli che da under 23 lavorano troppo, fanno volumi enormi e vincono perché si allenano molto più degli altri. Poi quando passano professionisti e trovano quelli che si allenano come loro, si appiattiscono.

Nei test che fate è possibile valutare il tipo di attività che gli viene proposta?

Quando facciamo i test degli juniores, vediamo che atleti interessanti ce ne sono. Però guardandoli anno per anno, monitorandoli da junior di primo e secondo anno e poi da under 23, vediamo che spesso i valori di forza, quelli che fanno la differenza nel ciclismo moderno, vengono appiattiti. Dico spesso e non sempre, perché alcuni lavorano bene. Gli altri, ragazzi e ragazze, vanno a fare solo volumi, solo chilometri e ore.

L’attività della tedesca Auto Eder U19 è concentrata prevalentemente su gare a tappe
L’attività della tedesca Auto Eder U19 è concentrata prevalentemente su gare a tappe
E cosa succede?

Non fanno più lavori di qualità e quindi si vede che diventano meno forti. Si abbassano proprio a livello di forza. Magari sono in grado di fare 3-5 ore. Vincono le gare juniores perché sono abituati a distanze superiori, ma poi quando passano ed è ora di fare la differenza su uno strappo o su una serie di muri, non ne hanno più. Passano dai 1.600 watt che facevano in volata da juniores ai 1.300 che fanno da under 23, che è quindi la differenza tra vincere una volata e tirarla.

Come se ne esce?

Bisogna tornare a rendere i ragazzi responsabili della loro performance, legandosi anche alle sensazioni. E’ fondamentale. Il misuratore di potenza serve a noi preparatori per avere un occhio in più, ma loro devono capire quando stanno bene, quando stanno male, quali sono le cose che li portano in condizione. Quali sono le strategie per mantenere la condizione e capire che durante l’anno ci sono dei periodi di picco, periodi di lavoro, periodo di scarico. Questo bisogna insegnargli, altrimenti fanno stagioni intere a cercare più vittorie possibili. E pensano che più vincono e più possono passare under. Oppure la nazionale li convoca per i mondiali, perché hanno vinto 20 corse.

I convocati per il mondiale juniores in quali condizioni arrivano al grande appuntamento?
I convocati per il mondiale juniores in quali condizioni arrivano al grande appuntamento?
E al mondiale come vai?

Quando uno vince 20 gare in un anno, al mondiale non sarà mai al 110 per cento. Vai a scontrarti con Nazioni che prendono un gruppo di atleti e lo preparano in funzione del mondiale e quindi quel giorno andranno forte, perché hanno lavorato sull’obiettivo. Noi non abbiamo questa mentalità, ma lavoriamo in funzione della domenica. Di vincere più gare possibili…

Ai tempi di Fusi, questo gruppo di lavoro che limitava anche l’attività di club esisteva: può essere un aspetto da rivalutare?

Può essere un buon modo di tutelarli ed è quello che abbiamo fatto in questi anni con il gruppo pista under ed elite e qualcosina anche con gli juniores. Il fatto di iniziare a dare la mentalità del lavoro in funzione di qualcosa, quindi con dei richiami continuativi in settimana e con gare a tappe messe nei posti giusti che servono per determinati aspetti. Questo è un lavoro che con quel gruppo abbiamo fatto. Tuttavia, con la realtà ciclistica che abbiamo a livello nazionale, non è facile perché gli interessi delle squadre sono importanti. Ma penso anche che ormai stia diventando un’esigenza e che non possiamo più nasconderci. Dobbiamo assolutamente riprendere in mano questa situazione.

Pietro Mattio, come pure Belletta, passerà U23 nella Jumbo Visma Development
Pietro Mattio, come pure Belletta, passerà U23 nella Jumbo Visma Development
Come se ne esce secondo Bragato?

Sarebbe importante secondo me che ci fosse un collegamento tra squadre. Dagli junior agli under, fino ad arrivare alle squadre pro’. Servirebbe un collegamento serio, con un responsabile che segua il percorso degli atleti e sappia quando un ragazzo è pronto per passare. In questo modo, l’obiettivo degli juniores non sarà vincere tante gare, ma essere pronti per la squadra pro’. Il ragazzo viene tutelato e non ha più il bisogno di vincerne 20 a stagione per essere sicuro di passare, ma può prendersi il tempo di crescere, di sbagliare e provare a lavorare in funzione di quello che diventerà poi come atleta. Che questo sia un percorso creato da una nazionale o dai vivai in collegamento con le squadre, purché sia un collegamento solido e continuo e non per interesse stagionale, può essere la svolta.

Questa potrebbe essere la chiave anche per trattenere i nostri in Italia…

Il fatto che gli altri vengano a prendere i corridori italiani è perché non sono stupidi. I nostri sono forti, lo sanno tutti che sono forti. Ma se li prendono da junior è per tutelarli il prima possibile. Perché ovviamente qualcosa noi sbagliamo. E loro se ne sono accorti