Da Ganna a Sobrero, l’ultima crono è un affare di famiglia

01.06.2022
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L’ultima crono del Giro, com’è stato anche per il campionato italiano, è diventato un affare di famiglia. E allo stesso modo in cui nel 2021 Matteo Sobrero ha raccolto lo scettro tricolore da Filippo Ganna sulle strade di Faenza, nella crono di Verona è succeduto all’illustre… cognato che aveva vinto la prova finale di Milano nel 2021 e anche nel 2020.

Nelle stesse ore in cui il piemontese del Team BikeExchange-Jayco scaldava le gambe per la sua vittoria, Ganna era sul Teide con gli uomini Ineos per il Tour.

«Con Pippo – ha raccontato Matteo durante la conferenza stampa post crono – ci siamo sentiti sia prima del Giro che in queste settimane. Ci capita spesso di allenarci insieme. Non mi ha dato consigli, ma mi ha sempre spronato a crederci e sono convinto che stasera, quando lo sentirò, lo troverò molto contento».

Con questa foto su Instagram, Ganna ha salutato il Teide prima di tornare al livello del mare
Con questa foto su Instagram, Ganna ha salutato il Teide prima di tornare al livello del mare

Gruppetto subito

Sobrero era al Giro per aiutare Simon Yates nella sua scalata alla classifica ed è chiaro che il ritiro del britannico lo abbia liberato da incombenze troppo pesanti. Per questo, quando gli hanno chiesto se nei giorni precedenti la crono si sia nascosto, Matteo ha risposto candidamente di sì.

«Ha fatto bene – commenta Ganna – ha dimostrato che ha vinto, quindi ha fatto bene. Come ci si nasconde? Senza avere un leader da aiutare, appena viene chiamato il gruppetto, puoi entrarci senza sprecare più del dovuto a stare davanti con i migliori della classifica. E lui è partito subito forte. Non ho visto la corsa in sé. Ma so che è passato davanti all’intermedio e poi nel finale ha fatto una gran crono».

Mondiali 2021, Ganna e Sobrero provano il percorso di Bruges
Mondiali 2021, Ganna e Sobrero provano il percorso di Bruges

Un rapporto fraterno

Tecnicamente, i due non si somigliano per niente. Un metro e 93 per 83 chili Filippo, un metro e 77 per 63 chili Matteo. In quei 20 chili c’è un mondo di differenze, che in qualche modo rendono anche più entusiasmante la vittoria di Sobrero sulle strade di Verona.

«Non sono al suo livello – ha detto ancora Matteo – io vado bene nei percorsi mossi, come a Faenza e a Verona. Incredibile conquistare la crono di chiusura succedendo a Filippo. Penso che oggi sia orgoglioso di me, siamo grandi amici».

Dopo il ritiro sul Teide, Ganna correrà il Delfinato prima di debuttare al Tour (foto Instagram)
Dopo il ritiro sul Teide, Ganna correrà il Delfinato prima di debuttare al Tour (foto Instagram)

A crono non si beve

Completamente diversi, ma su alcuni punti la scuola da cronoman confluisce in una serie di passaggi obbligati, dettati da esperienza e necessità. Ad esempio si è notato subito che sulla bici di Sobrero non ci fosse la borraccia. 

«In sforzi così intensi ma corti – spiega Ganna – è normale non bere. Non è che si faccia una particolare idratazione prima, bisogna essere sempre idratati durante le corse. Quindi non è che per la crono, se è lunga o corta, bisogna idratarsi di più o di meno. Anche se parti con la borraccia, in crono così non bevi quasi mai. Anche io in quella dei mondiali, con quasi 50 minuti di corsa, forse ho bevuto un sorso, forse neanche quello».

Sobrero ha corso con plateau da 58. Ganna non sa se avrebbe fatto lo stesso: «Servirebbe una recon»
Sobrero ha corso con plateau da 58. Ganna non sa se avrebbe fatto lo stesso: «Servirebbe una recon»

Appuntamento in Friuli

I due sono previsti su rotte differenti. Sceso dal Teide, Ganna prenderà parte al Giro del Delfinato che debutta il 5 giugno, domenica prossima. Invece Sobrero è atteso dal Giro di Slovenia, che inizierà giusto 10 giorni dopo. Per il primo, la corsa francese sarà una importante rifinitura prima del Tour e anche in vista dei campionati italiani della crono che si correranno in Friuli il 22 giugno. Per Sobrero lo Slovenia sarà un momento di verifica e mantenimento della condizione prima della stessa sfida tricolore.

Solo quel giorno in provincia di Udine, Ganna e Sobrero torneranno a sfidarsi. Ed è vero che sono come fratelli e insieme stanno tanto bene, ma è palese che dopo la delusione dello scorso anno, Filippo potrebbe aver voglia di riprendersi quella maglia. E che Matteo, con un altro Giro di esperienza nelle gambe, possa sognare di respingerne l’assalto.

Pozzovivo non si ferma e cerca il Giro perfetto

31.05.2022
5 min
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Più cerotti che pelle sana, Pozzovivo viene a sedersi dopo la doccia sui gradini nella parte anteriore del pullman. Manca un’oretta alla partenza della crono che chiude il suo 16° Giro d’Italia che ancora una volta chiuderà fra i primi dieci. La caduta del Mortirolo ha condizionato pesantemente la seconda parte di gara, ma per il resto il lucano si è mosso come un grillo nelle prime file del gruppo. E così, mentre infila le calze a compressione e si appresta all’ultima vigilia della corsa, parliamo con lui di quel che ha visto in giro e quel che sarà.

Al via da Marano Lagunare, nella tappa del Santuario di Castelmonte
Al via da Marano Lagunare, nella tappa del Santuario di Castelmonte
Soddisfatto?

Sì, sono soddisfatto perché comunque parlare di top 10 e raggiungerla con tutto quello che ho vissuto questo inverno e comunque dopo il mio incidente, è un grandissimo risultato.

Come l’hai vista la lotta davanti per questo Giro?

Per me è stata anche più di quello che mi aspettassi nelle prime due settimane, perché ero lì allo stesso livello di coloro che se lo sono giocato, quindi questo mi fa ancora più piacere. Vedevo favorito Carapaz, per come si era messa e perché soprattutto in altura di solito trova pane per i suoi denti. Però la condizione di Hindley è stata veramente stellare. Anche due anni fa, quando si e rivelato al grande pubblico, l’ultima settimana per lui fu di altissimo livello. Quindi penso che sarà veramente un osso duro per i prossimi anni.

E’ stato Pozzovivo a tirare la volata di Girmay a Jesi: missione compiuta
E’ stato Pozzovivo a tirare la volata di Girmay a Jesi: missione compiuta
Come si sono mossi i tre blocchi che si sono giocati il Giro?

La Ineos ha fatto la corsa senza prendere nessun rischio e alla fine non ha pagato. Penso che la Bora abbia fatto una cosa offensiva e anche molto spettacolare che in alcuni tratti ha deciso le sorti del Giro. Tolta la tappa di Torino, in cui hanno fatto un’azione spettacolare, è stata praticamente in tutte le fughe. Quindi una corsa molto offensiva. Invece la Bahrain ha cercato di capitalizzare tutto il lavoro in una sola tappa, quella del Fedaia, però alla fine le gambe non erano buone. Insufficienti per battere gli altri due.

Non sono sembrati irresistibili tra Pordoi e Fedaia…

In gruppo penso che fossero al limite delle loro capacità. Perché comunque quando fai una settimana così tirata, c’è anche un livellamento e non sempre si riesce a fare una grandissima differenza. Se loro avessero accelerato di più, perdevano subito anche Buitrago, quindi erano tutti più o meno livellati. Penso comunque che la Bora puntasse dall’inizio su Hindley. Diciamo che aveva anche altri co-capitani, come si usa tanto adesso, perché gli incidenti nei grandi Giri capitano sempre. Però si vedeva che lui era quello più protetto e su cui contavano di più.

Sul Fedaia. Pozzovivo si è piazzato a 3’12” da Hindley, pagando il conto al mal di schiena
Sul Fedaia. Pozzovivo si è piazzato a 3’12” da Hindley, pagando il conto al mal di schiena
Senza caduta come sarebbe cambiato il tuo Giro?

Top 5 invece di top 10 e sarebbe stato ancora più prestigioso. Però devo dire, pensando anche che a me piacciono tanto i numeri, che arrivare ottavo 14 anni dopo il mio primo nono posto in classifica generale è tanta roba. Mi sono state fatte domande sul prosieguo della mia carriera, forse questa caduta mi dà la motivazione per cercare quello che io chiamo il Giro perfetto. C’ero quasi riuscito, ma adesso ho la motivazione per i continuare nei prossimi mesi.

Fosse per te non finirebbe mai?

Ovviamente sono consapevole che rischio qualcosa nel correre, perché il gomito non è al 100 per cento. Però diciamo che ho trovato un buon compromesso nel correre dietro quando me lo posso permettere e sprecare un po’ di più per risalire, ma limitando così i rischi.

La caduta nella discesa del Mortirolo dovuta a una modifica dell’impianto frenante
La caduta nella discesa del Mortirolo dovuta a una modifica dell’impianto frenante
Davvero la caduta è dipesa da una scelta sbagliata dei dischi?

Da un problema con i freni, davvero. Ho limitato tutti i rischi nello stare in gruppo e poi abbiamo cercato di cambiare qualcosa in un impianto frenante che era buono, ma non al 100 per cento. E non è andata meglio.

Si parlava di misura troppo piccola del disco…

Non è quello. Il disco da 140 ce l’abbiamo standard, lo prevede la bici e averne uno superiore sarà diciamo l’evoluzione. Più che altro, abbiamo cambiato qualcosa nella pinza e non ha funzionato.

L’ultima crono chiusa a 2’56” da Sobrero, facendo prove per il Giro di Svizzera
L’ultima crono chiusa a 2’56” da Sobrero, facendo prove per il Giro di Svizzera
Come hai visto il vecchio Nibali?

L’ho visto molto bene, non me l’aspettavo che riuscisse a fare una top 5, dopo l’inizio di stagione tribolato anche per lui. Penso che non se l’aspettasse nemmeno lui, che temesse di avere un crollo da un giorno all’altro, una crisi che lo costringesse a mollare. Invece ha tenuto duro. Diciamo che su binari paralleli abbiamo tenuto duro tutti e due nell’ultima settimana, cercando di tirar fuori il meglio.

Ultima crono sempre a tutta?

Le crono mi piace farle al massimo, altrimenti diventano un’agonia. Quindi cercherò anche di testare qualche cosa nuova sulla bici, visto che al Giro di Svizzera ci sono 25 chilometri contro il tempo. Andiamo avanti, insomma…

EDITORIALE / Il Processo alla Tappa e Cipollini a briglia sciolta

30.05.2022
7 min
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Mario Cipollini ha ancora un fisico invidiabile e una notevole capacità oratoria. Se ne sono accorti tutti da quando, oltre ai soliti canali, Re Leone si è messo a utilizzare i social per offrire al mondo opinioni su vari temi, dalle critiche feroci a Cassani fino agli appunti tattici alla Ineos nell’ultimo Tour.

Cipollini è un grandissimo appassionato di ciclismo e ne possiede una notevole cultura. E proprio alla luce di questo, ci si chiede come mai non occupi nello sport una posizione di rilievo.

Ospite al Processo

Invitato ieri al Processo alla Tappa di Alessandro Fabretti (in apertura, l’immagine pubblicata nel suo profilo Instagram), Mario ha snocciolato alcuni concetti del suo repertorio che forse, proprio per averli ascoltati più volte, hanno in certi momenti convinto e in altri disarmato.

Si parlava del Giro che si è risolto negli ultimi 3 chilometri del Fedaia. E che tutti, in alcuni momenti, abbiamo definito noioso. E il discorso è finito sulla scientificità di un certo modo di fare ciclismo.

Aperta parentesi. Non ci stancheremo mai di ripetere che per risparmiarci tante chiacchiere e tappe noiose, basterebbe togliere di mezzo i misuratori di potenza quando si corre. Chiusa parentesi.

«E’ arrivata la matematica nel ciclismo – ha detto Cipollini – ci sono degli addetti delle squadre che fanno uno screening totale delle potenzialità dei tuoi avversari, per cui cominci a lavorare su quello. Non c’è più l’istinto e neanche la collaborazione con il direttore sportivo. Una cosa che mi sembra di capire è che sono squadre molto importanti, ben organizzate, ma mancano uomini di esperienza. Io sono arrivato nel ciclismo e c’era Marino Amadori nella mia squadra e io ho imparato da lui. In realtà adesso è tutto basato su programmi e su mail».

Il Giro d’Italia si è risolto negli ultimi 3 chilometri del Fedaia, ma il lavoro ai fianchi della Bora è iniziato da Torino
Il Giro d’Italia si è risolto negli ultimi 3 chilometri del Fedaia, ma il lavoro ai fianchi della Bora è iniziato da Torino

Integratori o flebo?

Cosa gli vuoi dire? E’ verissimo. Ma togli la lettura della potenza e la possibilità che te la forniscano dalla macchina e sai cosa te ne fai di quei numeri? Sul fatto che manchino uomini di esperienza da cui imparare, in realtà ci sarebbe da distinguere. Basterebbe chiedere ai ragazzi che passano nelle squadre, ma si tratta di situazioni soggettive.

«La stessa alimentazione…», ha proseguito Cipollini. «Gli atleti ora si alimentano in modo che iniziano a recuperare grazie a dei ritrovati migliorativi che gli permettono di ricostruire immediatamente il glicogeno per essere di nuovo pronti il giorno dopo. Io non voglio dire che sia peggio o che sia meglio, è un ciclismo completamente differente».

Si chiama progresso, coinvolge tutto il gruppo e non solo i grandi capitani. Si cerca di investire su un modo lecito di recuperare, non potendo più ricorrere come un tempo alle flebo. Non è meglio adesso?

Il podio di Sobrero con il tricolore è stato lo spunto per le parole sulla necessità di un team italiano
Il podio di Sobrero con il tricolore è stato lo spunto per le parole sulla necessità di un team italiano

Ferrari, Conconi e il nuovo mondo

Poi però, davanti al podio tricolore di Sobrero con l’Inno di Mameli nell’Arena, il discorso è finito sulla necessità di avere un team italiano.

«Non parliamo di questa cosa – è partito Cipollini – perché io sono uno di quelli che lotta per dire che serve una squadra italiana. Dobbiamo per forza far sì che in Italia venga dalla politica sportiva. Deve essere creata una squadra italiana, di matrice italiana, con atleti italiani, con tecnici italiani. Perché noi abbiamo insegnato a tutti a fare il ciclismo. La matematica del ciclismo è nata grazie a due scienziati. Uno che si chiamava Conconi e l’altro Ferrari, che hanno aperto un mondo completamente nuovo. E noi ora siamo indietro a tutti».

Ovviamente non stava scherzando. Raccontano dalla Bardiani di avergli impedito di fare certi discorsi su Ferrari davanti a un giornalista, quando si è presentato in ritiro a Calpe.

Cipollini ha partecipato al ritro spagnolo della Bardiani. Qui con Fiorelli
Cipollini ha partecipato al ritro spagnolo della Bardiani. Qui con Fiorelli

Un periodo buio

E’ innegabile che quei due medici abbiamo riscritto la letteratura dell’allenamento. Hanno aperto un mondo completamente nuovo e i Palazzi del potere se ne sono serviti per vincere medaglie a ogni costo. Ma il mondo completamente nuovo aperto da quei due signori (per il quale uno è stato radiato e l’altro salvato dalla prescrizione) è il motivo per cui il ciclismo italiano è sprofondato nello scandalo e nella vergogna. Il motivo per cui ancora oggi ci sono sponsor che hanno paura di avvicinarsi. Il motivo per cui in Italia è vietata la tenda ipobarica. E se noi ora siamo indietro a tutti e non abbiamo una squadra, è perché pochi sono disposti a credere nel ciclismo. Posizione strumentale? Può darsi, provi semmai Mario a fargli cambiare idea.

Nei giorni scorsi Hindley ha raccontato che a causa delle chiusure Covid non può tornare a casa da due anni
Nei giorni scorsi Hindley ha raccontato che a causa delle chiusure Covid non può tornare a casa da due anni

La passione del ciclista

Ma visto che nessuno in studio si è sentito di muovere appunti, la trasmissione è andata avanti, fra le parole emozionate di Hindley e nuovi concetti da parte di Cipollini.

«Si percepisce che c’è un cambiamento anche psicologico», ha detto. «Questi atleti parlano di sacrifici, della difficoltà di stare lontano dalle famiglie, ma questo è normale per chi fa il ciclismo. Fare ciclismo è il momento più bello della vita, se ne accorgeranno nel momento in cui smettono. Allora mi piacerebbe che ci fosse un uomo come Alfredo Martini che potesse raccontare loro cos’era il ciclismo, quando dovevano partire 9-10 giorni prima per raggiungere il Tour de France perché c’erano le linee del treno interrotte dai bombardamenti.

«Subiscono questo senso di difficoltà nel fare una cosa che in realtà è figlia soltanto della passione. Guadagnano un sacco di soldi, come è giusto che sia. Sono all’interno di un sistema in cui hanno 40 persone che lavorano per loro dalla mattina alla sera. E si lamentano perché fanno dei sacrifici. I sacrifici verranno ripagati da qualcosa, ma è la tua passione che ti ha portato a questo. Per cui servirebbe qualcuno più vecchio e un po’ più esperto a raccontargli secondo me com’è veramente la vita».

La lezione di Martini ha formato generazioni di atleti e uomini: l’onestà prima di tutto
Alfredo Martini ha sempre affrontato il presente senza imporre il passato

Servirebbe Martini

Potrebbe essere lui? Si è mai candidato? Le sue parole, in parte condivisibili, sono sembrate persino piene di nostalgia. Difficilmente i corridori si lamentano dello stare lontani da casa e certamente sostengono una mole di ritiri molto superiore a quella dei tempi di Mario. Hindley ha semplicemente raccontato che a causa del Covid non torna in famiglia da due anni. Mentre Alfredo Martini, tirato in ballo da Cipollini, una volta disse una frase, segno della sua grande modernità.

«Quando sono davanti a dei corridori giovani – disse – non racconto com’era ai miei tempi. Se lo facessi perderei la loro attenzione. I giovani vogliono sapere cosa succederà, non cosa è già successo».

Servirebbe davvero Martini per spiegare che correre con coraggio è sicuramente più apprezzabile del correre col bilancino. Oppure forse Alfredo sarebbe in grado di indicare la via di mezzo fra un ciclismo cauto e uno troppo… spregiudicato. Siamo anche certi che per farlo troverebbe argomenti moderni e non condizionati da memorie che il tempo ha già masticato e messo via.

Cipollini ha aperto uno spiraglio di verità sul passato, omettendo di raccontarlo tutto. E’ stato come quando capiti in certi bar pieni di signori nostalgici. Che rimpiangono gli anni del fascismo e citano lo splendere delle mostrine, delle bonifiche e delle conquiste. Dimenticando o fingendo di non aver visto il dolore e le vittime.

Due parole con Ralph Denk prima della sbornia rosa

30.05.2022
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In barba a ogni possibile scaramanzia e rendendoci conto che avrebbe preferito parlare a giochi chiusi, alla partenza della crono di Verona abbiamo intercettato Ralph Denk, capo della Bora-Hansgrohe, classe 1973 e un passato da atleta.

Addio a Sagan

L’uomo coi baffi a un certo punto, scaduto il contratto di Sagan e del suo gruppo, ha deciso di voltare pagina e nel giro di pochi mesi ha cambiato completamente faccia alla squadra. Via gli uomini da classiche, porte aperte agli scalatori. Unica eccezione, il ritorno di Sam Bennett, dopo la turbolenta avventura alla Quick Step. Sono arrivati fra gli altri Vlasov, Hindley e Higuita che, sommati a corridori come Kelderman, Buchman, Fabbro e Aleotti hanno composto la spina dorsale di un gruppo votato ai grandi Giri.

Sull’ammiraglia sono arrivati Rolf Aldag dalla Bahrain Victorious ed Enrico Gasparotto, pescato con grande intuito dopo un anno alla Nippo-Provence di Robert Hunter e Marcello Albasini, vivaio della Ef Procycling.

Alla partenza del Tour 2019, Sagan con Schachmann, Sagan, Buchman e Konrad
Alla partenza del Tour 2019, Sagan con Schachmann, Sagan, Buchman e Konrad

«Penso che non tutti nel mondo del ciclismo o tra i fans – spiega Denk a bocca stretta – abbiano capito quello che abbiamo fatto e qualcuno non ha capito perché abbiamo lasciato andare Peter Sagan. Ma alla fine avevamo un piano chiaro, una chiara strategia. Tanta gente attorno al team ha una grande passione e una grande motivazione per questo progetto ed è molto bello vede come il piano abbia funzionato dopo neanche mezza stagione».

Il progetto Giri

Certe cose non si fanno per caso o perché il capo s’è stancato del team per com’era. Attuando un semplice gioco di squadra e tracciato il bilancio ormai insoddisfacente degli ultimi tempi, si è spostata l’attenzione sulle gare a tappe.

«Abbiamo valutato, parlando con i nostri main sponsor – spiega Denk – che i grandi Giri e le corse a tappe hanno un valore commerciale superiore rispetto alle classiche, specialmente in Germania. Non abbiamo una cultura ciclistica come in Italia o in Belgio. Se chiedi a qualunque tifoso tedesco, non sa cosa sia la Liegi-Bastogne-Liegi, ma conoscono molto bene il Giro d’Italia e conoscono molto bene il Tour de France. E questo è il motivo per cui ci siamo concentrati su queste grandi corse, pur sapendo che è molto più difficile vincerle nell’arco di tre settimane, ma con i nostri sponsor abbiamo deciso di provarci».

Isolato davanti al pullman, Denk ha atteso fra telefonate e religioso silenzio la fine della crono
Isolato davanti al pullman, Denk ha atteso fra telefonate e religioso silenzio la fine della crono

Il talento di Hindley

In barba a ogni possibile scaramanzia, si diceva. Avendo intuito la poca voglia di sbilanciarsi, abbiamo portato il discorso su Hindley, rilanciato senza esitazione dopo il brutto 2021.

«Prima di ieri (tappa del Fedaia, ndr) – dice – avrei detto che le chance erano 50 e 50. Carapaz è un corridore forte, ha già vinto il Giro. Ma dopo la tappa le cose sono cambiate. Ho invitato la squadra a stare calma e restare concentrata. Vedremo intorno alle 17,30 quale sarà il risultato. Noi credevamo in Jai avendo visto il suo potenziale nel 2020 nella tappa dello Stelvio al Giro. Ha avuto problemi di salute e l’anno scorso abbiamo cercato il modo per averlo con noi, risolvere i problemi e riportarlo al top. Questo era il nostro obiettivo. Sapevamo da prima quanto sia talentuoso e questo è il motivo per cui abbiamo trovato un accordo».

Denk ammette di aver creduto subito nelle potenziaità di Hindley
Denk ammette di aver creduto subito nelle potenziaità di Hindley

La scelta Gasparotto

E se l’orgoglio tedesco affiora e il suo inglese ha le durezze tipiche di lassù, è bello fargli notare che alla guida del suo progetto-Giri ci sia stato un tecnico italiano giovane e ambizioso come Gasparotto.

«Enrico – sorride questa volta Denk –  è uno degli uomini del nostro team che ha vera passione e vive il ciclismo 24 ore al giorno per sette giorni alla settimana. E’ il tipo di uomini di cui avevamo ed abbiamo bisogno. Ed è il motivo per cui lo abbiamo ingaggiato e gli abbiamo offerto questa possibilità. Non era mai stato prima direttore sportivo, ma qui ha portato un piano molto chiaro e si è dimostrato un vero uomo squadra. Siamo contenti di averlo con noi».

Nella tappa di Torino, l’attacco di squadra che ha scosso il Giro d’Italia
Nella tappa di Torino, l’attacco di squadra che ha scosso il Giro d’Italia

Tour con Vlasov e Bennett

In attesa di vedere come sarebbe finito il Giro (nelle foto sul podio dell’Arena, in apertura, Denk mollerà finalmente ogni indugio), una piccola anticipazione sul Tour svela che per la Francia i piani sono alti. Serve crescere ancora per sfidare i giganti della maglia gialla.

«Al Tour abbiamo Alexander Vlasov per la classifica – ammette Denk – ma abbiamo anche una strategia ben precisa per vincere qualche tappa con Sam Bennett. In Francia faremo una corsa completamente diversa. Sappiamo essere ragionevoli».

Hindley, non è un sogno. Due anni dopo la rosa è tua

29.05.2022
6 min
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Il 2020 lo ha seguito come un incubo per due anni, fino al momento in cui ha tagliato la riga e poi è entrato nell’Arena. Hindley continua a parlarne come di un momento davvero traumatico, che rende la conquista della maglia rosa qualcosa di speciale e anche un po’ folle.

«Al via ero nervoso – racconta – mi trovavo nella stessa situazione dell’altra volta. Avevo più confidenza con il percorso e con la bicicletta, ma continuavo a pensarci. Non volevo ripetere il 2020. Quando sono partito non pensavo alla maglia rosa né a vincere il Giro. Volevo fare la miglior crono possibile. Sapevo di dover dare tutto nella prima parte in salita e poi di scendere tranquillo, come poi ho fatto. Tagliare il traguardo ed entrare nell’Arena è stato davvero speciale».

Due anni lontano da casa

Hindley è arrivato mentre Sobrero stava ancora raccontando la sua vittoria. Lo sguardo trasognato. Le mani intrecciate dietro la nuca e lo sguardo fisso verso l’altissimo soffitto della stanza. Poi finalmente è venuto il suo momento, che è stato pieno di umanità e gentilezza. Non è per caso che tutti i corridori del gruppo parlino bene di lui. E a chi dai microfoni della RAI ha appena finito di spiegargli che non tornare per tanto tempo a casa fa parte della bellezza del ciclismo, vale la pena far notare che Jai Hindley non vede la sua famiglia dal febbraio del 2020.

«Ho prenotato più volte dei voli – racconta – ma li hanno sempre cancellati. Passai a casa per 24 ore dopo l’Herald Sun Tour del 2020 e poi non l’ho più vista. Quando parti dall’Australia per diventare un corridore professionista, devi essere molto forte mentalmente. Non ti basta un weekend per tornare a casa. Lo scorso anno è stato duro in bici e giù dalla bici. Il Covid non ha colpito Perth e non ci sono casi da due anni, semplicemente perché sono stati chiusi gli aeroporti. E’ una situazione un po’ folle, ma è quello che ho vissuto. Da due anni sono ad Andorra, ma Perth è un bel posto in cui crescere. Sono orgoglioso delle mie origini. E penso che a fine anno finalmente tornerò laggiù».

Quanto è stato pesante lasciarsi alle spalle la sconfitta dell’ultima crono al Giro del 2020?

E’ stata una situazione surreale. Ho preso la maglia il penultimo giorno, come ieri. E il giorno dopo l’ho persa. E’ stato duro, c’è voluto parecchio tempo per superarlo. Il solo modo è stato lavorare duramente, trasformandola in una grande motivazione. Ma ammetto che smaltirla in famiglia sarebbe stato un’altra cosa.

Hai vinto il Giro il penultimo giorno e in tanti abbiamo pensato che avessi in mente di fare così sin dall’inizio…

Un grande Giro richiede di calcolare bene le energie che spendi. Ho imparato dalle occasioni precedenti che quelle che lasci sulla strada oggi, non le ritrovi domani. Siamo arrivati nell’ultima settimana con prestazioni simili tra noi. Continuavamo ad arrivare insieme, era difficile fare differenze. Non era previsto dall’inizio di attaccare a fondo sul Fedaia, ma alla fine è stato la conseguenza di come si erano messe le cose. In un Giro contano i programmi, ma anche la fortuna e la sfortuna. E alla fine ci siamo organizzati per fare l’attacco frontale nella penultima tappa.

Con un grande lavoro di squadra, concordi?

Ho avuto giorni duri, ma quello sul Fedaia per certi versi non è stato il peggiore. La squadra mi ha servito il finale su un piatto d’argento. Hanno lavorato tutti benissimo, ho avuto dei compagni fenomenali.

Hai mai avuto paura?

Non particolarmente, se non a Treviso quando ho bucato. Il gruppo stava andando fortissimo. Poi mi sono reso conto che ero entro gli ultimi tre chilometri e mi sono tranquillizzato.

E’ possibile che questo Giro sia un punto di inizio per la tua carriera?

Può darsi, ma credo di aver aperto gli occhi sulle mie possibilità come pro’ al Giro del 2020. Anche se finì male, ho scoperto che in queste corse poteva esserci un posto anche per me. E’ folle pensare che oggi ho vinto il Giro d’Italia, non riesco ancora a crederci.

Van der Poel, come Sagan, impenna nell’Arena e ha impennato sulle salite: per lui 3° posto nella crono
Van der Poel, come Sagan, impenna nell’Arena e ha impennato sulle salite: per lui 3° posto nella crono
Come proseguirà la tua stagione?

Esiste un programma, che credo sarà confermato. Dovrei fare sicuramente la Vuelta e poi mi piacerebbe correre i campionati del mondo in Australia. Non capita spesso di avere un mondiale nel tuo Paese, soprattutto se arrivi dall’altra parte del mondo.

Dopo la batosta del 2020 è cambiato il tuo rapporto con la crono?

Doveva cambiare per forza. La Bora-Hansgrohe ha investito tempo e risorse. Sono stato in California nella galleria del vento di Specialized per migliorare la posizione e già questo ha aiutato molto. Non posso dire di essermi specializzato, ma ci ho lavorato molto.

L’ultima incombenza per Hindley prima dell’antidoping è stata la firma delle maglie rose
L’ultima incombenza per Hindley prima dell’antidoping è stata la firma delle maglie rose
La tua squadra ha voltato pagina e si è votata ai grandi Giri e, al primo assalto, tu hai vinto il Giro d’Italia…

Credo sia la prima volta che questa squadra conquista un podio e devo dire che se ci sono riuscito è stato perché tutti mi hanno dato il loro appoggio, dai corridori allo staff. Quando ci siamo visti al training camp di ottobre in Austria abbiamo messo questo risultato nel mirino. Esserci riuscito e fare parte di questo progetto mi rende molto orgoglioso.

L’aspettava da Budapest: Sobrero conquista Verona

29.05.2022
5 min
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Matteo Sobrero ce lo aveva detto sin da Budapest, quando il Giro d’Italia non era ancora partito. Eravamo alla vigilia e ci fece: «Ci sono due crono, questa (pensando all’indomani, ndr) e quella di Verona. Ecco quella potrebbe essere la più adatta a me».

Il corridore difficilmente sbaglia. Sa a che punto è, dove può arrivare e come. E in questo Giro lo abbiamo notato ancora di più. Tutti in gruppo sapevano che Hindley era il più forte… per dire.

Il piemontese concentratissimo in discesa
Il piemontese concentratissimo in discesa

Pinotti fiducioso

Ma torniamo al corridore della BikeExchange-Jayco. Sin da quel giorno in Ungheria, Matteo pensava a Verona. Quasi un intero Giro, passato ad attendere questo momento. Forse anche troppo.

«E’ stato sin troppo prudente – ammette Marco Pinotti, il suo coach, prima del via – speriamo che si sia solo risparmiato. Non vorrei che non si è mosso perché non ne aveva. Magari poteva provarci un po’ di più. E’ andato all’attacco nella tappa di Genova. Una “sbiellata del motore” non gli avrebbe fatto male a mio avviso.

«E infatti ieri gli ho detto di tenere duro almeno sulla prima salita, il San Pellegrino».

«Però questo di Verona è buon percorso per lui. Va “guidato”, ma non è tortuoso come quello di Budapest, ci sono meno rilanci e la salita dura circa 8′. Lassù, i passistoni potenti e grossi come Affini, per fare un esempio, in discesa guadagneranno meno di quel che perderanno in salita. I più pericolosi? Van der Poel, Arensman e Foss».

Ricognizione alla Ganna

Il cielo su Verona resta plumbeo. Come lo stesso Pinotti ci aveva detto, il vento è andato ad attenuarsi. Restava solo il rischio pioggia. E a Sobrero non va benissimo.

Mentre è spianato sulla sua Giant, inizia, a piovere. Poche gocce, ma sufficienti per minare le certezze acquisite durante la ricognizione.

«Mentre pedalavo – racconta Sobrero – ho pensato: ecco non è destino. Però una volta in cima ho visto che sì, era un po’ bagnato, ma si poteva spingere benone. E così ho fatto. In più sapevo che il vantaggio era buono».

Sobrero plana dalle Torricelle come un falco. Mulina il 58×11 e dall’ammiraglia Pinotti, esattamente come fa il navigatore nei rally, gli diceva le curve. Come andavano affrontate: in posizione aero o con le mani in presa bassa sui freni.

«La ricognizione l’ho fatta due volte con Pinotti. Lui in ammiraglia, io in bici. Gli dicevo come andavano fatte le curve e gli altri ostacoli che c’erano. 

«Con Marco mi trovo molto bene. E’ un cronoman come me, parliamo la stessa lingua. L’impostazione della crono è stata chiara. Salire forte, magari sui 400 watt (calcoliamo che Matteo pesa solo 63 chili, ndr) ma senza strafare. In salita sono passato dal 58 al 44, come previsto, per poi dare tutto nella seconda parte, specie negli 4′ in pianura».

E a proposito di Filippo Ganna. Sobrero è il compagno della sorella di Pippo. I due si sentono spesso e anche durante il Giro si sono videochiamati. Non tanto per i consigli sulla crono, Sobrero è pur sempre campione italiano di specialità e non ne ha bisogno, ma da semplici amici.

Sobrero (classe 1997) in conferenza stampa: per lui si tratta del secondo successo da pro’ dopo il tricolore a crono 2021
Sobrero (classe 1997) in conferenza stampa: per lui si tratta del secondo successo da pro’ dopo il tricolore a crono 2021

In crescendo

Nel ping pong del dopo tappa, fra podio, antidoping, interviste con le tv, premiazioni… quando ci passa davanti, il piemontese è soddisfatto, come chi ha “regolato un conto con sé stesso”.

E quando gli facciamo notare che è finita come ci eravamo detti quel pomeriggio, che sembra lontanissimo, a Budapest si accende.

«E’ vero, mi ricordo – dice il corridore della BikeExchange – è andata proprio così. In Ungheria avevo fatto quarto, qui ho vinto. Era da una settimana che pensavo solo a questo giorno. All’inizio del Giro sapevo che dovevo stare vicino a Simon Yates, poi lui è andato a casa per una stupida caduta. Nelle seconda settimana non mi sentivo bene. Sarà stato il caldo, però non avevo belle sensazioni».

«Poi le cose sono andate sempre meglio. Sono andato in crescendo (non è la prima volta che Sobrero esce bene da un grande Giro, ndr) e in questi giorni mi sentivo bene.

«Nella tappa dell’Aprica ho provato a tenere duro e ho attaccato il Mortirolo quasi con il gruppo dei primi. Questo mi ha dato morale».

Finalmente esplode la festa. Da tempo Sobrero aspettava questo momento
Finalmente esplode la festa. Da tempo Sobrero aspettava questo momento

E festa sia

Vivere quasi un mese aspettando un determinato giorno, tanto più che il tuo leader ha abbandonato anzitempo e quindi non hai distrazioni, non deve essere stato facile. La pressione era inevitabilmente destinata ad aumentare, ma Matteo l’ha controllata bene. Specie ieri sera, quando la stragrande maggioranza del gruppo già faceva festa.

«In effetti – dice Sobrero – ho fatto un po’ fatica a prendere sonno. Ero nervoso. Ma poi mi sono detto: il Giro l’ho praticamente finito, non sarà una notte in più a rovinare tutto. Devo pensare solo a dare il massimo. E così ho fatto».

E per trovare la concentrazione ha dormito in stanza da solo.

«Col fatto che punto alla crono finale, non mi sono mai goduto la sera prima dell’ultima tappa! Molti team fanno festa, noi invece abbiamo fatto tutto con molta calma, come fosse la sera di una frazione normale.

«Però stasera la musica cambia. Mio papà è venuto qui a Verona e ha portato del vino. Il nostro vino e faremo festa con quello!».

Dmt celebra il Giro d’Italia con delle KR0 in limited edition

23.04.2022
2 min
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Mancano 14 giorni al via dell’edizione numero 105 del Giro d’Italia, con la sua insolita quanto affascinante, partenza dall’Ungheria. Quello che ci attende sarà un Giro duro, con tanta salita e poca pianura, e la cronometro finale nella città dell’amore: Verona.

Un omaggio al Giro

Dmt, da tempo partner della Corsa Rosa, ha voluto celebrare la partenza del Giro con un particolare modello di scarpe KR0 in edizione limitata. Modello che abbiamo imparato a conoscere molto bene nel corso del tempo, una scarpa nata dalla collaborazione di Dmt con grandi campioni come Elia Viviani. Una scarpa leggera, comoda e performante, cucita con la sua classica tomaia in tecnologia 3D Engineered Knit. 

La tomaia è cucita con la tecnologia 3D Engineered Knit
La tomaia è cucita con la tecnologia 3D Engineered Knit

I dettagli tecnici

La costruzione della tomaia è integrata con il resto della scarpa, così da adattarsi comodamente al piede di ogni ciclista. La suola della KR0 è anatomica e costruita con carbonio SL di nuova generazione. Questa è una caratteristica fondamentale per avere una rigidità ineguagliabile ed un trasferimento di potenza sui pedali ottimale. Le tacchette hanno un range di regolazione di 8 millimetri per adattarsi al meglio a tutti i tipi di esigenze.

Il sistema di chiusura è il BOA Fit System Li2 in colorazione silver
Il sistema di chiusura è il BOA Fit System Li2 in colorazione silver

La chiusura è curata da BOA e si tratta del sistema Fit con doppi quadranti Li2 in colorazione silver. Un dettaglio estremamente elegante che rende la KR0 ancor più unica. 

Il peso è di solamente 210 grammi nella taglia 42. I numeri disponibili vanno dal 37 al 48, con la possibilità di scegliere le mezze taglie fino al 46.

Il modello in edizione limitata dedicato al Giro d’Italia della scarpa KR0 di DMT sarà disponibile da metà maggio negli store e nei negozi online.

Dmt

La Gazprom affonda nell’indifferenza generale

05.04.2022
5 min
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Giovedì è arrivata la lettera di risoluzione del contratto. E a questo punto, senza troppi giri di parole, la vicenda Gazprom-RusVelo potrebbe essere arrivata al capolinea. I tentativi di agganciare un altro sponsor non legato alla Russia erano parsi disperati in partenza, ma adesso che 21 corridori sono rimasti senza squadra e il personale si sta lentamente disperdendo, Rosola si guarda intorno e trova più domande che risposte.

Il tecnico bresciano, che prima fu grande velocista e poi pioniere della mountain bike, negli ultimi anni era il braccio destro di Renat Khamidulin, manager della squadra russa. Ha vissuto al suo fianco ogni fase, dalla nascita del team alla sua crescita che lasciava intuire un passaggio nel WorldTour e adesso con malinconia l’ha vista crollare come effetto delle sanzioni internazionali contro la Russia.

Rosola (al centro con la mascherina) insegna ciclismo al Liceo Scientifico Sportivo di Castelletto di Brenzone
Rosola (al centro con la mascherina) insegna ciclismo al Liceo Scientifico Sportivo di Castelletto di Brenzone

Professor Paolo

Ieri quando ci abbiamo parlato, Paolo era di rientro dal Liceo Scientifico Sportivo Sacra Famiglia di Castelletto di Brenzone, dove assieme a Paola Pezzo insegna ciclismo.

«Lo facciamo da cinque anni – dice – insegnando teoria e pratica. Seguiamo il protocollo della Federazione per la formazione dei direttori sportivi. Al quarto anno prendono il primo livello e al quinto escono con il brevetto di Guida Cicloturistica, pronti ad esercitare il mestiere. Siamo sul lago di Garda, c’è grande richiesta di questo tipo di figure. Ne abbiamo 25 per classe, dalla prima alla quinta. Faccio queste 50 ore e poi ho ricominciato a seguire la scuola di mountain bike, dove abbiamo 130 bambini, ma non nascondo che fino a poche settimane fa, la mia attività principale era la squadra dei pro’…».

Conci era appena arrivato alla Gazprom. E’ parso brillante in queste corse con la nazionale
Conci era appena arrivato alla Gazprom. E’ parso brillante in queste corse con la nazionale
Avete alzato bandiera bianca?

E’ arrivata la raccomandata, Renat deve tutelarsi. Abbiamo cercato da tutte le parti, aspettavamo una risposta per oggi (ieri, ndr), ma sarà stata negativa. Abbiamo continuato a sentirci tutti i giorni, solo che a un certo punto ci ritrovavamo a dire e fare sempre le stesse cose. Sollecitare chi ci aveva dato mezza parola, ma niente. Il personale russo è tornato a casa. La politica è scappata tutta

Perché?

Ci sta che il CIO abbia dato una direttiva, ma non c’è stato il minimo dialogo. Facevamo parte della stessa famiglia, eravamo in regola su tutto. Se pure ricevi l’ordine di fermarci, puoi anche cercare il dialogo e trovare un modo di farlo che non sia necessariamente un colpo mortale. Potevano gestirla diversamente. Perché semplicemente ci hanno privato del titolo sportivo senza volerci neppure parlare? Stavamo lavorando male? E perché gli altri corridori russi corrono, quando il CIO ha detto di non invitarli? Ce l’avevano a prescindere con noi? Sapete, alla fine quando non hai risposte, continui a farti domande…

Sarà anche difficile tornare il giorno in cui la guerra finirà?

Non sarà facile, perché perdi fiducia nelle istituzioni in cui avevi sempre creduto.

In effetti sembra quasi che non importi a nessuno.

E’ strano. C’è stata un’intervista in cui Silvio Martinello ha dichiarato che è stata presa la decisione giusta. Io mi chiedo cosa ci sia di giusto nei confronti dei nostri corridori. A Garda un signore si è messo a insultarmi dicendo che avevamo anche noi colpa in quella guerra. Ho cominciato a spiegargli e alla fine quasi mi chiedeva scusa. Ma io ci rimango male. Cosa c’entriamo noi con la guerra? Perché questi ragazzi devono pagare al pari dei civili che vi sono stati coinvolti senza avere alcuna responsabilità? Dicono che lo sport unisca, ma in che modo lo ha fatto con noi?

Hai detto che la politica non vi ha dato risposte.

Forse perché non sanno cosa dire. Ho chiamato Bugno, il presidente del sindacato dei corridori. Gli ho detto che quando in una fabbrica si pensa a dei licenziamenti, il sindacato va a trattare con la proprietà per cercare di salvare il salvabile o almeno trovare una tutela per chi perderà il lavoro. Mi ha risposto chiedendomi che cosa dovrebbero fare. Ma io dico: possibile che non si potesse pensare di ritardare di un minuto la partenza di una corsa per far notare che 21 corridori, fra cui sette italiani, erano di colpo disoccupati? Ma anche loro, a parte un incontro con l’UCI, non hanno fatto niente.

In tutto questo, la squadra ha continuato a seguire i ragazzi con la preparazione, ad esempio?

La struttura ha funzionato, i corridori non sono stati abbandonati. Ma sono professionisti e a un certo punto con i loro procuratori hanno cominciato a guardarsi intorno. Io continuo a sentirli, soprattutto i nostri. Canola e Scaroni, per esempio. Sento soprattutto quelli che hanno difficoltà a trovare squadra e non credo che la nazionale possa andare avanti a oltranza per dargli una possibilità.

Per ora ha funzionato…

Ho parlato con Bennati, mi rendo anche conto che lui ha il suo lavoro con i corridori che deve valutare per i vari impegni che verranno. Non si può pretendere che la nazionale faccia attività solo per noi, a meno che non facciano una squadra B per continuare a supportarli. Io comunque sarei disponibile a dare una mano. Fino a ieri non si poteva parlare, nell’attesa dell’ennesima risposta. Le abbiamo provate tutte, anche la via politica. Ma alla fine, se posso dire, sembra proprio che di noi non freghi niente a nessuno.

Riccardo Minali entra in Alé: un’occasione da cogliere al volo

21.01.2022
5 min
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Vi ricordate di Riccardo Minali, il giovane velocista e promessa del ciclismo azzurro, fino al 2021 professionista con la Intermarché Wanty Gobert?

Il veronese, in apertura con Alessia Piccolo, ha chiuso la propria attività di corridore lo scorso 31 dicembre per entrare in un’altra squadra, certamente diversa da un team WorldTour, tuttavia ugualmente competitiva e strutturata per vincere gare diverse. Quelle che si corrono tutti i giorni, sette giorni su sette, nel mercato dell’abbigliamento cycling. Minali infatti indosserà la maglia di Alé Cycling, il brand veronese, fondato nel 2014, che ha ufficializzato la “new entry” aziendale che merita di essere raccontata.

Riccardo si è allenato fino a pochi giorni fa, poi ha accettato la provvidenziale offerta di Alé Cycling
Riccardo si è allenato fino a pochi giorni fa, poi ha accettato la provvidenziale offerta di Alé Cycling

Una lunga storia

Minali è diventato professionista nel 2017 con l’Astana dopo 14 vittorie da U23 con il Team Colpack. Conclusi i due anni nel team kazako, è passato nella Israel Cycling Academy, poi una stagione alla Nippo-Delko e il 2021 con la Intermarché-Wanty-Gobert, vincendo in questi cinque anni due tappe al Tour de Langkawi e ottenendo diversi piazzamenti. Riccardo conosce molto bene Alé; per i trascorsi agonistici, per il rapporto di amicizia con Alessia Piccolo e con la famiglia Zecchetto, sia perché suo padre Nicola, velocista da 50 vittorie, lavora invece in DMT.

«Mi viene da sorridere – ci ha confidato Minali, che abbiamo intervistato in sede – se penso che una delle vittorie da juniores più belle l’ho colta proprio davanti a questo stabilimento. E sul palco mi fecero indossare una maglia Alé… Forse una delle prime prodotte, considerando che vinsi proprio quando il marchio era appena partito».

Riccardo Minali nel laboratorio di sartoria per testare in prima persona i prodotti Alé
Riccardo Minali nel laboratorio di sartoria per testare in prima persona i prodotti Alé
Riccardo, cosa significa questo ingresso in Alé? 

Per me significa davvero tantissimo. Alessia Piccolo, che di Alé è la general manager, mi ha letteralmente dato questa importante carta da giocare. In pochi giorni sono sceso dalla bicicletta e sono entrato nel mondo del lavoro. Mi ritengo fortunato, perché ci entro dalla porta principale, andando a rappresentare uno dei marchi leader al mondo per quanto riguarda la produzione di abbigliamento per il ciclismo.

Quale sarà il tuo ruolo?

Qui viene il bello… Alessia ha una grandissima energia, che oggi vuole ancor di più trasmettere all’azienda andando a riorganizzare alcune attività. Ringiovanendo alcune funzioni e soprattutto costruendo un gruppo competente, appassionato e con tanta voglia di far bene. In questo momento mi sto muovendo a tutto tondo. Affianco gli agenti nei negozi, partecipo alle riunioni con i creativi (bellissima quella di lunedì scorso di presentazione della prossima collezione PR.S…), tengo i rapporti con i team e di conseguenza con i corridori che forniamo.

Riccardo Minali con papà Nicola e mamma Monica dopo la vittoria al Gp Fiera del Riso 2015 (foto Scanferla)
Minali con papà Nicola e mamma Monica al Gp Fiera del Riso 2015 (foto Scanferla)
Che cosa pensi di portare in azienda?

Ho il vantaggio di avere tanta voglia di imparare. Ho l’esperienza del corridore, so cosa vuol dire e soprattutto quanto sia fondamentale vestirsi bene in bicicletta. Alessia mi sta dando moltissima fiducia e vede un’azienda in costante trasformazione. Quello che farò sarà dare il massimo, inserirmi in fretta, e ripagare questa fiducia che mi oggi stimola moltissimo.

Se dovessi definire due caratteristiche essenziali dei prodotti Alé, che cosa ti salta subito in mente?

Solo tre? Battute a parte rispondo di getto dicendo la vestibilità, la qualità dei materiali unitamente all’attenzione maniacale al confezionamento del capo. In pratica… la collezione Klimatik!

Spiegaci meglio…

La vestibilità di Alé è proverbiale. Fidatevi di uno che fino ad oggi sulla bicicletta ci ha praticamente vissuto, avendo pedalato tutti i giorni ininterrottamente dai 6 ai 26 anni. Non conosco un corridore dei team WorldTour con i quali collaboriamo (quest’anno BikeExchange, Bahrain Victorious e Groupama FDJ, ndr) che si sia mai lamentato dei nostri capi. E l’abbigliamento indossato dai pro’ è esattamente lo stesso che l’azienda propone a tutti gli amatori e dunque alla propria clientela nel mondo. I materiali poi sono a dir poco eccezionali: confezionati in Italia da mani espertissime, con esperienza più che trentennale, e spesso abbinati a quelle grafiche originali che da sempre distinguono con evidenza Alé dal resto del gruppo.

Riccardo ha visitato tutti i reparti della sede di Alé per prendere confidenza con il nuovo incarico
Riccardo ha visitato tutti i reparti della sede di Alé per prendere confidenza con il nuovo incarico
E perché Klimatik?

Perché Klimatik è la collezione Alé che preferisco. Una vera e propria icona. Il top secondo me per chi deve vincere il freddo anche nelle giornate più difficili. Torno a dire, fidatevi di uno che l’anno scorso in occasione della tappa con arrivo a Cortina d’Ampezzo quasi non finiva il Giro d’Italia per via di un abbigliamento non all’altezza.

E allora, in bocca al lupo Riccardo per questo tuo nuovo percorso. Da adesso in poi, proprio come nella tua carriera ciclistica, serviranno tanta forza e molta testa: qualità alle quali andranno aggiunti quegli “ingredienti magici” nei quali Alé fermamente crede e che si chiamano passione e cuore.