Il rientro in corsa di Formolo? Via libera dopo 8 settimane

07.03.2022
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Alla domanda sulle probabilità di vederlo alla partenza del Trofeo Laigueglia Formolo, in cima al Teide, ci aveva risposto così: «Il dottore ha parlato di un 20 per cento, la vedo complicata». Invece, un po’ a sorpresa, “Roccia” era al via della prima gara del calendario italiano. Corsa che ha dovuto concludere anticipatamente a causa di una caduta. 

Alla partenza, il corridore del UAE Team Emirates sfoggiava una vistosa fasciatura alla mano (foto di apertura), infortunata il 3 gennaio sulle strade del Principato di Monaco. Due mesi dopo è tornato in corsa ed anche molto bene, visto che era nel gruppo di testa pronto a giocarsi la vittoria. 

Con Maurizio Radi, Dottore Fisioterapista di Fisioradi Medical Center, abbiamo indagato come si cura e si recupera da un infortunio del genere. 

Quali sono e quante le ossa della mano (foto Chimica Online)
Quali sono e quante le ossa della mano (foto Chimica Online)

La diagnosi

Il referto medico dice che Formolo ha riportato la frattura del 5° metacarpo e del terzo medio dell’osso uncinato. Sono tutte fratture composte, infatti hanno dovuto attendere qualche settimana prima di riuscire a vederle. Se notate, sono state rilevate da una risonanza magnetica, non da una radiografia. La differenza è che la radiografia si fa in due proiezioni, mentre la risonanza è più accurata perché “seziona” l’osso e permette di esplorare tutti i dettagli.

Per le fratture a polso o mano di atleti professionisti non si ingessa più l’arto ma si usano tutori in termoplastica su misura (foto RC Therapy)
Per le fratture a polso o mano non si ingessa più, ma si usano tutori in termoplastica su misura (foto RC Therapy)

Essendo una frattura composta Formolo ha usato un tutore per immobilizzare la mano.

«Dal punto di vista medico – ci dice Maurizio – essendo una frattura composta è stato scelto un giusto trattamento conservativo. Si legge nel referto che hanno dato come convalescenza dalle 4 alle 6 settimane. Alla fine di questo periodo si ripete l’accertamento per controllare lo stato di consolidamento della frattura.

«Con questo genere di infortuni l’atleta viene tenuto fermo in via precauzionale. Anche perché allenarsi su strada non è consigliabile in questi casi. Il rischio è quello di stressare il polso e, nella peggiore delle ipotesi, scomporre la frattura, allungando i tempi di costruzione del callo osseo».

Altri casi simili

Ci sono stati dei casi nei quali alcuni corridori hanno forzato il rientro usando dei tutori appositi per poter guidare la bici. Un esempio è quello di Nibali prima del Giro d’Italia dello scorso anno, anche in quel caso si trattava di un infortunio al polso.

«In quel caso era doveroso tentare di recuperare – riprende Maurizio – perché si era nel pieno della stagione. Nel caso di Formolo non era necessario forzare le tappe visto il periodo della stagione in cui siamo. Dal punto di vista della preparazione ci sono valide alternative come i rulli».

Anche Nibali subì un infortunio simile prima del Giro d’Italia, nel suo caso si forzarono i tempi di recupero
Anche Nibali subì un infortunio simile prima del Giro d’Italia, nel suo caso si forzarono i tempi di recupero

La riabilitazione

Una volta verificato che il callo osseo si sta ricostruendo nel modo corretto può partire la riabilitazione. Come funziona questa fase? 

«Questi tipi di frattura si possono trattare da subito – spiega Radi – cominciando con della fisioterapia strumentale: tipo magnetoterapia, per creare degli stimoli che accelerano la formazioni di callo osseo. Una cosa che bisogna fare in questi casi è evitare che le articolazioni di mano e polso si irrigidiscano, quindi si può intervenire togliendo il tutore per eseguire delle mobilizzazioni passive delle dita e del polso.

«Passata la prima fase di riabilitazione, si inizia ad intervenire con degli esercizi attivi per la mano al fine di stimolare i muscoli per iniziare un rinforzo dell’avambraccio, degli estensori delle dita, del polso e dei flessori delle dita e del polso».

Una caduta ha frenato il suo rientro al Trofeo Laigueglia, per Maurizio Radi nessun pericolo di un ulteriore infortunio al polso
Una caduta ha frenato il suo rientro al Trofeo Laigueglia, per Maurizio Radi nessun pericolo di un ulteriore infortunio al polso

Il ritorno alle gare

Tornare in corsa dopo 8 settimane, è stato un rischio? Visto che Formolo è stato anche coinvolto in una caduta?

«No, un atleta di quel livello dopo un periodo di degenza così lungo – spiega – recupera pienamente. Non ha fatto una corsa stressante come una Roubaix o un Fiandre (ma per precauzione ha saltato la Strade Bianche, ndr). Una volta che viene dichiarata guarita la frattura vuol dire che c’è stato un completo consolidamento del callo osseo e quindi l’atleta si può considerare guarito».

La solitudine del numero uno. Altra impresa di Pogacar

05.03.2022
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Cinquantuno chilometri all’arrivo. Tadej Pogacar è di nuovo solo, in fuga verso Siena stavolta. Alla Strade Bianche stupisce tutti, tranne se stesso. Persino Mauro Gianetti, il team manager della sua UAE Team Emirates si chiede: «Ma dove va? Manca tanto e in gruppo non sono 7-8. Sono tanti e certe squadre hanno anche tre, quattro atleti. Si possono organizzare».

Ma lui è Tadej Pogacar. Quando scatta neanche sembra faccia fatica. Cancellara, che qui ha vinto tre volte, quando attaccava si contorceva, faceva smorfie. Lui invece niente. Accelera quasi banalmente, eppure apre il vuoto

«E’ così scatta e sembra non fare fatica – dice Matxin tecnico della UAE che lo ha seguito in ammiraglia al fianco di Andrej Hauptman – Tadej è Tadej, non somiglia a nessuno».

Cavalcata solitaria

Ripercorriamo questi 50 chilometri in solitaria. Settore di Monte Sante Marie, uno dei più importanti. Pogacar forza e se ne va. Inizia la sua cavalcata. Ben presto prende vantaggio.

«L’attacco – riprende Matxin – non era stato programmato. Almeno non così… Sapevamo che quello era un punto decisivo e volevamo forzare. Ne avevamo parlato con Tadej, ma molto dipendeva dalla situazione della corsa. Poi si è ritrovato da solo. Tanto che ad un certo punto ci ha chiesto cosa doveva fare.

«Gli abbiamo detto: provaci, fidati di te. La corsa dipende da te, non da quello che fanno dietro. Se hai un minuto è perché dietro non sono brillanti. Ed è andato».

La fuga solitaria tutto sommato, da come racconta Matxin, è passata in fretta. «Andrej (Hauptman, ndr) lo ha gestito alla stragrande. Si parlavano in sloveno. Tutto è più facile così. Curva a destra, curva a sinistra, sterrato fra 300 metri, tratto al 3 per cento… gli fai compagnia, lo aiuti a far passare il tempo».

«Come si gestisce di testa una fuga del genere? Mi ricorda molto quella che fece nella sua prima Vuelta, quando partì a 46 chilometri dall’arrivo. Aveva già vinto due tappe, non aveva il podio, né la maglia bianca: gli dissi di “pensare solo avanti”, a sé stesso. Allora come adesso quindi non aveva nulla da perdere, doveva solo guardare avanti».

Al via 147 atleti. Giornata bella ma fredda. Solo in 90 sono arrivati a Siena, ma tre fuori tempo massimo
Al via 147 atleti. Giornata bella ma fredda. Solo in 90 sono arrivati a Siena, ma tre fuori tempo massimo

Pressione zero

Dalla Tv tutto sembra facile per Tadej. Ma tutti si chiedono se senta o meno la pressione. Se ha avuto almeno un dubbio quando Kasper Asgreen ha forzato e si è creato un drappello che aveva quasi dimezzato il suo vantaggio.

«Pressione? La pressione – dice Maxtin – ce l’ha chi sta in Ucraina. Chi deve arrivare a fine mese con 1.000 euro. Quella è pressione. Questo è un privilegio. Essere un ciclista professionista ed entrare in Piazza del Campo da solo e tutti che urlano il tuo nome: che pressione è? Questo deve essere orgoglio, prestigio».

A queste parole fa eco lo stesso Pogacar. «Avevo pressione zero stamattina – spiega lo sloveno – Se non me la mette il team, e in squadra nessuno me la mette, di quello che succede fuori, di quello che si aspettano gli altri non mi interesso».

Semmai un pizzico di nervosismo, Pogacar ce lo aveva prima di arrivare in Europa, visto che era rimasto tre giorni in più negli Emirati Arabi Uniti per determinati impegni. Non si era allenato come voleva (anche se ci dicono si sia “scornato” per bene con Joao Almeida nel deserto) e aveva ancora il fuso orario addosso. Ma come sempre lui guarda il bicchiere mezzo pieno.

«Alla fine – dice Tadej – mi sono riposato un po’ dopo il UAE Tour e non è stata una cattiva idea visto che la corsa è stata dispendiosa».

Anche Tadej soffre

La sua cavalcata continua. Passa uno sterrato, poi un’altro ancora. Pogacar alterna pedalate potenti in pianura ad altre più “agili” in salita (nel senso che gira velocemente rapporti duri per altri). Nel finale però mostra che è umano. Appena c’è una discesa, si stira la schiena, sgranchisce le gambe. Ha qualche dolore.

«Guardate – racconta lo sloveno – che ho sofferto molto anche io. E’ stata una volata di 50 chilometri. Già poco dopo che sono partito ero affaticato. Non ho potuto certo godermi i panorami. Però a quel punto ero fuori. Passavano i chilometri e io restavo concentrato su di me. Ero concentrato sul traguardo».

Matxin ci dice che Pogacar era sempre informato sui distacchi, che ha gestito questo sforzo da solo. La solitudine tipica del campione ciclista, dell’uomo solo al comando. «Ha la testa vincente», aggiunge Matxin.

L’ingresso in Piazza del Campo è un tripudio. Ci sono i suoi tifosi con le sue bandiere e c’è la folla comune. Ormai Pogacar inizia ad essere un nome anche oltre il mondo ciclistico. Tutti gli addetti ai lavori battono le mani. Lui si siede alle transenne. Ha faticato davvero.

E dire che era anche caduto. «Tadej – dice Covi – neanche lo devi aiutare. Fa tutto da solo!».

In realtà la squadra lo ha coperto e bene. Ed è stata anche rispettosa nel non infierire dopo la caduta di Alaphilippe. «Massimo rispetto – dice Matxin – oggi tocca a loro, domani a noi. Non è in questo caso che bisogna attaccare. Noi abbiamo solo coperto Tadej».

E gli altri?

Chissà cosa deve essere passato nella testa di Alejandro Valverde, secondo, che potrebbe quasi essere il papà di Tadej. Secondo come la sua compagna di squadra Van Vleuten. Al mattino il patron del Movistar Team, Eusebio Unzue, ce lo aveva detto: «Vedrete Annemieck e Alejandro come andranno. Sono sempre agguerriti. Alejandro non come Annemiek, perché lei è sempre “cattivissima”, ma andrà forte».

E non si sbagliava. Il murciano ha gestito lo sforzo alla perfezione. Probabilmente è stato colui che ha speso meno energie di tutti in gruppo. Come un gatto si è lanciato alla ruota di Asgreen nel contrattacco. E quello è stato l’unico momento in cui, per un istante, la corsa è sembrata riaprirsi. Contro Pogacar ci si deve accontentare di questo.

Spunta “Loulou”, tempo di ricognizione alla Strade Bianche

03.03.2022
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Sole che va e che viene. Le colline senesi si accedono e si spegnono. Corridori che passano e primo brulicare di ammiraglie. E’ la ricognizione. L’avvicinarsi della Strade Bianche fa vivere improvvisamente questi angoli di Toscana dove di solito c’è ben altra tranquillità.

I team, molti dei quali composti da corridori che ieri erano al Trofeo Laigueglia, ne approfittano per la ricognizione. «Il ciclismo è cambiato – ci dice Davide Bramati diesse della Quick Step- Alphavinyl – ormai la maggior parte fa la “recon” il giovedì e non il venerdì».

Ricognizione al giovedì

Uno dei motivi che probabilmente ha spinto a fare la prova oggi è il meteo. Domattina infatti c’è una certa probabilità di pioggia. Quindi meglio driblare uno scroscione d’acqua poco piacevole e per di più neanche influente ai fini della gara, che invece dovrebbe essere asciutta.

Però Brama ha ragione. Ormai è così: meglio avere un giorno di riposo in più nelle gambe. Meglio passare una vigilia tranquilla. Specie per chi punta alla vittoria come il campione del mondo Alaphilippe.

E sulle orme del team di Lefevere anche altre squadre hanno scelto di provare all’antivigilia. Jumbo-Visma, Lotto Soudal, Bora Hansgrohe, UAE Team Emirates, Ineos-Grenadiers, quelle che abbiamo incontrato noi. Mentre la Trek-Segafredo dovrebbe andare domani. Di sicuro domattina andranno le donne.

Quick Step da lontano

Molti hanno scelto di partire dai meno 90-100 chilometri. Uno dei vantaggi della ricognizione al giovedì è che si può provare una porzione maggiore di percorso.

La Quick Step–Alphavinyl per esempio ha scelto di provare solo i settori più lunghi e per questo è partita abbastanza indietro, in zona Torrenieri per intenderci, vale a dire poco prima del settore più lungo, quello di Lucignano d’Asso. E infatti, dopo Monte Sante Marie, Alaphilippe e compagni sono scesi “in pianura” e hanno ripreso la strada dell’hotel. 

Altri invece, dopo Monte Sante Marie, hanno tirato dritto anche per scoprire gli ultimi tre settori: Monteaperti, Colle Pinzuto e Le Tolfe.

Occhio alle ruote

Una ricognizione fatta principalmente per il “reparto ruote”. Tutti tubeless per i Quick Step. Alaphilippe non aveva ancora trovato la pressione giusta, tanto che proprio all’uscita di Monte Sante Marie l’ha fatta ritoccare al meccanico. Probabilmente l’ha fatta abbassare un po’ visto che si è “lamentato” dell’aderenza.

Il francese ci tiene molto a questa gara. L’ha vinta nel 2019 e lo scorso anno fu secondo alle spalle di Van der Poel. E’ dato in ottima condizione. E quando “Loulou” punta ed è in condizione raramente sbaglia: Leuven (e non solo) insegna.

Per tutti loro ruote a “basso” profilo: le 33 millimetri Alpinist di Roval, marchio di Specialized.

Ma tutto sommato il clan era tranquillo, anche perché a vigilare su di loro c’era Giampaolo Mondini, il responsabile dei team proprio del brand americano. Di certo ne avranno parlato a bocce ferme anche a fine ricognizione.

Ulissi e Covi (in primo piano) durante la ricognizione di questa mattina
Ulissi e Covi (in primo piano) durante la ricognizione di questa mattina

Rapporti: si cerca il 32

E qualche dubbio regnava anche in casa UAE Team Emirates. Soler ha detto al meccanico che la pressione di 5,2 bar all’anteriore andava bene per lo sterrato, ma non per l’asfalto. Così sgonfia, infatti, la ruota saltellava un po’.

Il meccanico della UAE passava con la pompa da una bici all’altra per controllare la pressione appunto. Chiedeva ai ragazzi se andava bene. E intanto annotava i dati su un quaderno. Non solo, ma chiedeva anche dei rapporti.

«Ma lasciate questi rapporti?», domanda Covi: «Io vorrei il 32». «Sì, meglio. Il 32 va bene anche per eventuali ripartenze da fermi», gli risponde il diesse Manuele Mori.

Mentre parlano notiamo che Covi e Ulissi hanno fatto una scelta diversa. Ruote basse per Diego, ruote alte per Covi. Mentre le pressioni, a parte qualche ritocco in base al peso, dovrebbero essere per tutti le stese: 5-5,2 bar all’anteriore e 5,5-5,7 bar al posteriore.

Tattica e percorso

Ma la ricognizione serve anche per memorizzare i tratti, per visionare i possibili scenari di corsa. Una corsa sempre mossa, in cui ci si concentra molto sugli undici settori di sterrato chiaramente, ma che non va sottovalutata per il suo dislivello di 3.100 metri.

«Vedete – spiegavano i diesse della UAE ai ragazzi – qui (la vetta di Monte Sante Marie, ndr) si esce sempre “spaccati”. Di solito ci sono due gruppi. Se si è in uno di questi due drappelli va bene, altrimenti la corsa è finita».

«Perché quanto manca da qui?», chiede ancora Covi mentre sgranocchia una barretta. «Mancano 42 chilometri», gli risponde Mori. «Se non vi sentite un granché meglio anticipare, come fece Formolo qualche tempo fa», continua il direttore sportivo.

«E gli altri tratti come sono?», continua Covi. «Sono più brevi, ma con degli strappi duri», gli ribatte Ulissi, che è lì al suo fianco, ben più coperto del giovane compagno.

Rodriguez solitario

Le squadre si radunano quasi sempre all’uscita degli sterrati. I corridori parlano, si confrontano tra di loro e con i meccanici e soprattutto si aspettano. E sì, perché ci sono delle belle differenze di approccio alla ricognizione.

Ognuno interpreta i tratti come meglio crede: studiare linee e “sentire la guida” andando forte, oppure osservare bene la strada e i suoi trabocchetti. Si cerca poi qualche punto di riferimento da memorizzare in caso di crisi o di attacco.

E in questa interpretazione molto influisce quanto si è fatto il giorno prima.

Laengen e Soler ieri non hanno corso a Laigueglia e infatti sono arrivati in cima con una buona manciata di minuti di vantaggio su Covi e Ulissi, che invece sono stati protagonisti nella corsa ligure.

Idem Carlos Rodriguez. Lui lo abbiamo “pizzicato” in un tratto di collegamento su asfalto, totalmente abbandonato dai compagni (ma con l’ammiraglia al seguito). Anche lo spagnolo ha corso a Laigueglia. Andava pianissimo, ma non conoscendo il percorso lo ha voluto provare tutto.

McNulty 2022

McNulty, da una delusione è nato un uomo nuovo

03.03.2022
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La gara olimpica di Tokyo 2020 è finita da poco. Mentre Carapaz festeggia il suo storico oro, mentre Van Aert e Pogacar guardano le loro medaglie senza nell’intimo capire se sono pienamente contenti di quel che hanno fatto, un americano se ne resta vicino al suo entourage con lo sguardo perso nel vuoto e la bocca che è una fessura. Non c’è una traccia di soddisfazione nello sguardo di Brandon McNulty, eppure sui fogli distribuiti celermente dalla federazione americana le sue dichiarazioni sono improntate all’entusiasmo.

«Wow, è pazzesco – si legge – penso che all’interno del programma Usa Cycling ogni generazione si stia avvicinando all’essere al top di questa disciplina, aver chiuso sesto è un grande onore per me».

Dichiarazioni che chiaramente non sono farina del suo sacco, ma dell’addetto stampa federale chiamato a scrivere qualcosa improntato all’ottimismo. Magari alla vigilia un risultato del genere neanche lo avrebbero sognato, non l’avrebbe fatto nessuno, forse neanche lo stesso Brandon, però… Per come si era messa la gara, Brandon ha accarezzato l’idea di salire sul podio, anche di vincere, di riportare la bandiera “stars ad stripes” sul pennone più alto 37 anni dopo.

McNulty Tokyo 2021
La volata per il secondo posto olimpico premia Van Aert, a McNulty un amaro 6° posto
McNulty Tokyo 2021
La volata per il secondo posto olimpico premia Van Aert, a McNulty un amaro 6° posto

A ruota di Carapaz, ma per poco..

Quando Carapaz ha attaccato e gli altri si sono messi ad aspettare la reazione di Van Aert (era lui il favorito, a lui stava togliere le castagne dal fuoco), Brandon non ha aspettato e si è messo alle costole dell’ecuadoriano. E’ passato qualche minuto, dietro non si vedeva più nessuno, sembrava tutto pronto per un arrivo in coppia, poi andava come andava, tanto si sa che alle Olimpiadi vincono in tre…

«Avevo le gambe migliori di sempre – ha raccontato in seguito, mandata giù l’amarezza – ma non sono bastate. Alla fine posso dire che essere finito sesto non è male, ma mi resta l’amarezza per non aver ottenuto la medaglia quando c’ero davvero così vicino».

Quella medaglia avrebbe significato tanto, per lui come per tutto il ciclismo americano che ancora cerca campioni in grado di ridestarlo dal post Armstrong, dall’aver toccato la cima per così tanto tempo per poi scoprire che era tutto frutto di un grande bluff. Eppure è proprio da quell’amarezza, da quell’esito negativo che esce fuori il nuovo Brandon McNulty.

McNulti Calvià 2022
Prima gara e prima vittoria, al Trofeo Calvià, con 1’17” sul gruppo regolato dall’elvetico Suter
McNulti Calvià 2022
Prima gara e prima vittoria, al Trofeo Calvià, con 1’17” sul gruppo regolato dall’elvetico Suter

Già due vittorie

Quest’anno è stato subito tra i più forti. Alla sua prima uscita in Spagna al Trofeo Calvià, subito una vittoria, poi quarto due giorni dopo al Trofeo Serra de Tramuntana e secondo al Trofeo Pollença. Si è presentato al via della Volta ao Algarve e all’inizio dell’ultima tappa era in testa alla classifica, per poi inchinarsi a Remco Evenepoel.

«Non c’è niente di cui lamentarsi quando si è battuti da gente del genere – ha raccontato a Velonews – avevamo individuato delle crepe nel lavoro della Quick Step e ci abbiamo provato, ma sanno difendersi bene. E’ stato comunque divertente».

Il secondo posto però aveva un sapore dolce, quasi quello di una vittoria: «Ho lavorato bene durante l’inverno e mi accorgo di andare sempre meglio. Continuo a fare passi avanti e questo mi conforta anche perché il mio obiettivo non è legato alle classiche di un giorno, quanto alle corse a tappe per le quali ritengo di essere più portato. Il mio problema sono le cronometro, lo so e ci ho lavorato, ma so anche che c’è ancora molto da fare».

McNulty Sicilia 2019
McNulty al Giro di Sicilia 2019, vinto a sorpresa con la maglia della Rally UHC battendo Martin e Masnada
McNulty Sicilia 2019
McNulty al Giro di Sicilia 2019, vinto a sorpresa con la maglia della Rally UHC battendo Martin e Masnada

Ora la Parigi-Nizza

Sarà anche vero, ma la stagione per ora dice che il suo massimo lo sta raggiungendo nelle gare d’un giorno: sabato ha conquistato la Faun-Ardèche Classic (foto di apertura) con il piglio del dominatore, attaccando sulle ultime due asperità e vincendo con 45” sul belga Vansevenant prendendosi così una sorta di piccola rivincita sulla Quick Step. Una forma simile ha convinto i suoi dirigenti del Uae Team Emirates a puntare su di lui per la Parigi-Nizza, partendo con le stesse chance di Joao Almeida, poi sarà la strada a decidere le gerarchie.

Intanto però Brandon continua per la sua strada. In fin dei conti ha soli 23 anni, ma quel sogno gli è rimasto dentro. Si ha un bel dire che le Olimpiadi nel ciclismo non hanno lo stesso sapore che in altri sport. Il ragazzo di Phoenix la pensa diversamente, è cresciuto in un Paese dove lo sport è una strada privilegiata per costruirsi la propria vita e concretizzare il sogno americano, ma dove anche le Olimpiadi hanno un valore particolare.

Gli americani le hanno vinte una volta sola, nell’edizione “monca” del 1984 con Grewal e solo 9 volte sono finiti nei primi 10. Brandon lo ha fatto e già pensa a quel che sarà fra due anni. Intanto il prossimo luglio sarà in Francia e magari in quell’arrivo finale agli Champs Elysees, ricomincerà a sognare.

Laigueglia, dominio UAE… Seppur con qualche “errorino”

02.03.2022
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Fra i “tre litiganti” il quarto gode. E fortunatamente per il UAE Team Emirates il quarto, Jan Polanc, era uno di loro. Oggi è andata proprio così al Trofeo Laigueglia. Dominio netto, nel risultato e nell’andamento della corsa, da parte della squadra di Mauro Gianetti. 

Sono i suoi ragazzi, guidati in gruppo da Diego Ulissi e Davide Formolo, a fare la corsa. Anche quando mancava tanto all’arrivo sono stati loro (e la Ineos-Grenadiers) a chiudere. E sempre loro, a ripetizione, sullo strappo e nella discesa di Colla Micheri hanno fatto il resto.

Polanc (classe 1992) festeggia sull’arrivo di Laigueglia. Alle sue spalle lo sprint dei compagni che vedrà secondo Ayuso e terzo Covi
Polanc (classe 1992) festeggia sull’arrivo di Laigueglia. Alle sue spalle, secondo Ayuso e terzo Covi

Stoccata da manuale

Una corsa preparata al dettaglio dal loro diesse Fabrizio Guidi. C’era lui a dirigere l’orchestra dall’ammiraglia, a gestire quel nervosismo nel finale con Alessandro Covi e Juan Ayuso che tenevano a bada un bellissimo Lorenzo Rota. Alessandro e Juan si parlavano, si guardavano, spesso hanno hanno fatto anche delle finte con la radiolina per farci cascare Rota ma niente.

Ad un certo punto, Covi è in testa dopo lo scatto. Rota lo rintuzza. Covi si volta e fa probabilmente finta di parlare alla radiolina, Ayuso si lascia sfilare 5 metri e scatta a tutta per cercare di passarli al doppio. Ma niente da fare. Rota è ancora lì. Piva ce lo aveva detto: «Quest’anno mi aspetto molto da questo ragazzo. Lo scorso anno ha perso San Sebastian per una sfortuna».

Rota è lì, ma lì ci sono anche gli inseguitori. E che inseguitori: Carlos Rodriguez, in primis, e appunto Polanc. Loro a dispetto dei tre davanti su Capo Mele vanno regolari in salita e regolari in discesa. Piombano sul terzetto allo scoccare del triangolo rosso in fondo allo strappo. Senza fermarsi Polanc tira dritto. Si porta dietro la velocità della discesa. Rodriguez tentenna un decimo di troppo. Gli altri si aprono. Gara finita.

Bravissimo Rota. Il corridore della Intermarché Wanty Gobert ha collaborato sin troppo con Ayuso e Covi
Bravissimo Rota. Il corridore della Intermarché Wanty Gobert ha collaborato sin troppo con Covi e Ayuso

Rota c’è…

«Avevo paura di perdere il podio – ci ha detto Rota a mente fredda – come poi è stato. Sono stato onesto con Covi e Ayuso. Ho tirato, pensando ci fosse un tacito accordo, per arrivare a giocarcela allo sprint… anche se in quella situazione era quasi impossibile vincere per me. Che dire: se invece di scattarci in faccia avessimo fatto come dicevo io, saremmo arrivati. Invece nell’ultimo chilometro ci siamo ritrovati fermi in mezzo alla strada e noi che siamo stati i protagonisti della corsa non abbiamo vinto».

«Voglio ringraziare la mia squadra per il gran lavoro svolto e il nostro capitano, Bakelands, che ha fatto un’azione stupenda e ha portato via il gruppetto dei venti. Per il resto, sono soddisfatto della mia condizione. Vengo dall’altura, nelle prime due corse in Francia ho sofferto un po’, ma sento che va sempre meglio. E per questo sono fiducioso… per me e per la squadra che sta andando fortissimo».

Il Trofeo Laigueglia era alla sua 59ª edizione: 202 chilometri e appena meno di 3.000 metri di dislivello
Il Trofeo Laigueglia era alla sua 59ª edizione: 202 chilometri e appena meno di 3.000 metri di dislivello

Perfetti ma non troppo

Una corsa davvero intensa, una corsa che a tratti è sembrata una partita di scacchi. Quel voltarsi continuo, il tirare di Rota. Il distacco che era buono ma non rassicurante, come poi si è dimostrato…  Ma in tutto ciò, il direttore sportivo della UAE Team Emirates fa un’analisi più che intelligente. Non si lascia trasportare dal risultato, anche se chiaramente è contentissimo.

«Farà un po’ ridere – spiega Guidi – perché avendo fatto primo, secondo e terzo non è facile da dire, eppure non siamo stati perfetti. Abbiamo fatto qualche “errorino”, ma i ragazzi sono giovani e ci sta.

«Ayuso continuava a spingere forte perché voleva staccarlo (il riferimento è a Rota, ndr) pensava di farlo e di arrivare in due. Alla fine sapevano che erano più veloci in volata, ma sapete com’è: non si sa mai. Meglio evitarla, specie quando si può.

«Polanc è andato d’istinto. Veniva da dietro e ha tirato dritto. Ma il bello è questo. Non si corre col computer in mano, decidono i corridori. Io posso dargli qualche informazione ma poi la corsa ce la devono avere in testa loro».

Fare tripletta e non essere perfetti. Perché? Perché anziché tirare forte forse era meglio scattare: prima uno e poi l’altro. E infatti, riprende Guidi:«Cosa gli dicevo dalla macchina? Di attaccare! Ma ripeto: sono giovani. L’importante è che anche situazioni apparentemente perfette come questa, diventino occasioni su cui riflettere. Perché non sempre poi le cose vanno così bene. Spesso sono i dettagli che fanno la differenza».

«La cosa buona veramente di oggi è che i ragazzi hanno parlato molto fra loro. E su un percorso così tortuoso, con l’ammiraglia dietro, è importante. Loro devono essere in grado di prendere iniziative, di decidere. Cosa si dicevano? Aumenta, rallenta, mi muovo io, ti muovi te… Ed è tutto qui quel che serve: unità di squadra e comunicazione».

Fabrizio Guidi è arrivato lo scorso anno al UAE Team Emirates
Fabrizio Guidi è arrivato lo scorso anno al UAE Team Emirates

Vigilia proficua

«Ieri – racconta con passione Guidi – avevamo provato il percorso. Conoscere le strade su una gara del genere è importante. Eravamo partiti dallo strappettino del circuito (Colla Micheri, ndr) e poi avevamo fatto il giro grande con il Testico e tutto il falsopiano in cima. Lassù i ragazzi si sono fermati e hanno deciso la tattica. Ma un conto è deciderla da fermi e un conto è farla in corsa».

«Oggi Ulissi, che era il più esperto, ha dato il via a questa tattica. Dopo il primo passaggio sul Testico è venuto all’ammiraglia e mi ha detto: Fabrizio, è il primo giro e già siamo rimasti in 40, andiamo via come abbiamo detto ieri. E infatti al secondo passaggio hanno fatto il forcing verso la cima. Una volta in pianura ci eravamo tenuti due uomini, Suter e Oliveira, per non far rientrare nessuno. A quel punto ci hanno aiutato anche altre squadre e la corsa è andata».

Non sempre capita di vedere una tripletta nel ciclismo. La prima che viene in mente è quella della Mapei alla Roubaix del 1996
Non sempre capita di vedere una tripletta nel ciclismo. La prima che viene in mente è quella della Mapei alla Roubaix del 1996

Stato di grazia

Unità di squadra e comunicazione. E’ anche questo, secondo Guidi, uno dei motivi per cui la UAE sta crescendo così tanto e sta vincendo molto. Dall’inizio della stagione già in parecchi hanno gioito: McNulty, Covi, Gaviria, Pogacar e ieri Trentin…

«In UAE si respira un bell’ambiente. Abbiamo fatto già tante gare e alla base c’è lo spirito di vincere della squadra. La voglia di vincere di Mauro (Gianetti, ndr) e la programmazione sempre ben ponderata di Matxin. C’è molta collaborazione fra tutti.

«Anche tra noi diesse. Io per esempio oggi ero collegato con un diesse a casa che vedeva la tv e mi confrontavo con lui. E con questo spirito stiamo crescendo ancora. Poi chiaramente per vincere servono i corridori buoni e con le gambe».

Trentin, maledizione sfatata. E adesso rotta su Sanremo

02.03.2022
4 min
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«Ci voleva sì, altroché – dice Trentin tutto d’un fiato – ci voleva alla grande. Sono contento. Sono andato forte forte!».

L’aeroporto è incasinato, la coda per il check-in dei bagagli va a rilento e intanto Matteo racconta la vittoria. Lo prendiamo un po’ in giro: ti ricordi in che modo ci eravamo salutati a Kuurne?

Una volata con tanta rabbia dopo le delusioni di Het Nieuwsblad e Kuurne
Una volata con tanta rabbia dopo le delusioni di Het Nieuwsblad e Kuurne

Ci pensa e non ricorda. Era appoggiato alla transenna dopo il nono posto alle spalle di Jakobsen e ridendo all’indirizzo dell’addetto stampa cinese dell’UAE Team Emirates, aveva detto: «Non torno stasera, ho vinto Le Samyn, perché Zhao non vuole andare a casa». L’altro aveva riso, ma adesso che Le Samyn l’ha vinto davvero quella frase strappa il sorriso.

«In realtà – ghigna – intendevo dire che mi avevano fatto rimanere su fuori programma, ma mi sta bene anche così».

Giornalisti e volate

Ci girava intorno da parecchio. Allo stesso modo in cui il Trofeo Matteotti del 2021 era venuto dopo due anni di digiuno, la vittoria di ieri sul traguardo di Dour interrompe una maledetta serie di piazzamenti e volate perse d’un soffio. Matteo è di buon umore.

Merlier, come Jakobsen e gli altri velocisti, sono rimasti tagliati fuori dal forcing dei primi
Merlier, come Jakobsen e gli altri velocisti, sono rimasti tagliati fuori dal forcing dei primi

«Questa cosa delle volate – dice – me l’avete attaccata voi giornalisti».

«Ti abbiamo aiutato a metterla a fuoco – gli rispondiamo – perciò adesso che l’hai superata, devi pagarci da bere».

«Lettura interessante – un istante di silenzio, una risata – ma comunque sono contento matto. Sono andato davvero forte. Abbiamo fatto la corsa dura da subito, perché dopo Kuurne nessuno voleva portarsi Jakobsen in volata. Al Matteotti ero contento perché fu quasi una liberazione, qui sono contento perché riuscirò ad arrivare rilassato ai prossimi impegni».

Jakobsen? No, grazie

L’olandese della Quick Step-Alpha Vinyl è arrivato nel gruppone a 4 secondi dal trentino e alla volata ci ha rinunciato, visto che c’era in palio il nono posto. A ben vedere, la stessa azione Trentin l’aveva provata proprio a Kuurne, ma si era trovato in cattiva compagnia di gente poco propensa a tirare e il gruppo dietro spianato in caccia.

Questa volta il forcing di Trentin ha portato via il gruppo giusto. Erano 25, sono arrivati in 8
Questa volta il forcing di Trentin ha portato via il gruppo giusto. Erano 25, sono arrivati in 8

«Pavé e strade strette – racconta – non è stato tanto un fatto di muri. Siamo partiti subito forte, ma non si staccava nessuno. Quando però abbiamo accelerato davvero, dietro si sono disuniti. Non so chi tirasse nel gruppo, forse la Quick Step, perché davanti erano in due e non hanno mai collaborato. Quando siamo partiti, nel gruppo in fuga eravamo in 25, poi piano piano hanno iniziato a staccarsi e alla fine siamo arrivati in otto con 4 secondi di vantaggio».

Destinazione Sanremo

Il futuro è un’ipotesi, canta Enrico Ruggeri, ed è bene che tale rimanga. Da ieri sera Matteo è a casa, ma partendo si lamentava che il distributore automatico di snack fosse fuori uso e che sarebbe arrivato a Monaco così tardi da saltare la cena.

Prima del podio, finalmente per Trentin il momento di sorridere con Hofstetter e De Bondt
Prima del podio finalmente per Trentin il momento di sorridere

«Poco male – ammette – ora un po’ di riposo, poi la Parigi-Nizza e la Sanremo. Non sto neanche a parlarne per scaramanzia. Arrivo sempre lì, l’anno scorso c’è scappato un dodicesimo posto. Per questo tornerò a pensarci dopo la Parigi-Nizza. Il rammarico di questa vittoria è non aver avuto il tempo per festeggiare con la squadra. Hanno fatto la premiazione più lunga del mondo e quando sono tornato al pullman, alcuni erano già andati via».

Le premiazioni in effetti sono andate parecchio per le lunghe. Jean Luc Vandenbroucke – ex professionista, direttore sportivo, commentatore televisivo, organizzatore della corsa e zio dell’indimenticato Frank – ha posato con lui in sella a una biciclettona da passeggio (foto in apertura).

Un commiato ben più lieve di quello di Kuurne, quando la rassegnazione aveva preso il sopravvento sul suo proverbiale spirito. La Sanremo è una presenza costante nei sogni di ogni corridore italiano e negli allenamenti di ogni residente a Monaco, ma per coglierla ci sarà bisogno che tutti i tasselli vadano al loro posto. Per sapere come andrà a finire basterà aspettare le prossime tre settimane.

Attaccare Pogacar? Persino Chiappucci ha qualche dubbio, ma…

27.02.2022
5 min
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L’arrivo di Jebel Hafeet al UAE Tour non ha fatto altro che confermarci la pressoché inattaccabilità di Tadej Pogacar. Lo sloveno in questo momento è su un altro pianeta. Forse solo i bestioni alla Van Aert o un Ganna potrebbero metterlo in difficoltà su percorsi estremamente veloci. Forse… E quindi dove si potrebbe attaccare?

Una situazione del genere scoraggerebbe chiunque. Anche il lottatore più tosto, il samurai della situazione. Persino El Diablo, il mitico Claudio Chiappucci potrebbe avere le sue difficoltà.

E sì che Chiappucci aveva a che fare con un certo... Miguel Indurain, che non era propriamente l’ultimo arrivato. Lo spagnolo dominava le crono e controllava in salita, dando la sensazione che, volendo, avrebbe potuto staccare tutti anche lì. E in qualche caso lo fece pure. Claudio lo attaccava sempre. Anche quando non ne aveva, anche quando sapeva che con grande probabilità si sarebbe schiantato contro un “muro”. A volte in quel muro aprì una crepa. Una crepa che in qualche occasione divenne crollo.

Claudio Chiappucci ha corso dal 1985 al 1999. Infiammava il pubblico con i suoi attacchi (spesso) folli
Claudio Chiappucci ha corso dal 1985 al 1999. Infiammava il pubblico con i suoi attacchi (spesso) folli
Claudio, come si attacca oggi Pogacar? Come lo attaccheresti tu?

E’ difficile dirlo adesso. Dovrei stargli di fianco, studiarlo, conoscerlo… Perché un conto è vederlo dalla tv e un conto dal vivo. Tadej dà l’impressione di poter fare quello che vuole. E anche tutta la squadra sembra ormai sulla sua rotta. Anche ieri ho visto che vanno forte tutti in UAE Team Emirates. Tirano, scattano e lavorano per lui. E quando è così non è facile.

Ci sono delle analogie tra Pogacar e Indurain?

Sono fortissimi entrambi! Scherzi a parte, è una situazione diversa. Miguel i numeri li aveva anche in salita, anche se non li mostrava. E aveva dalla sua le lunghe cronometro individuali che oggi non ci sono più. Mettetevi nei miei panni: due crono lunghe e un prologo, che era quasi come una crono attuale. Indurain partiva già con un bel distacco su tutti. Per me quindi era un istinto naturale dover attaccare. 

E quindi lo attaccavi comunque…

E cosa potevo fare? Come detto, partivo da “tre tappe in meno”. Quando scattavo facevo una fatica immane, ma pensavo che anche gli altri la facevano e tante volte riuscivo a prendere terreno. Ho sempre pensato che la miglior difesa fosse l’attacco. Mi dicevo: vediamo che succede. Preferivo anticipare, metterli in difficoltà e soprattutto creare confusione per rompere schemi e strapotere delle squadre.

Questa sarebbe un’ottima strategia d’attacco: rompere lo strapotere delle squadre, il loro controllo e “aprire” la corsa. Ma è ancora possibile?

Mmm – esclama scettico Chiappucci – c’è troppa, troppa tecnologia. Le radioline, le tv in ammiraglia (più auto di assistenza lungo il percorso, ndr), i computerini coi watt… Il corridore è un automa. Così si limita l’istinto e non c’è l’atleta che emerge. Il corridore emerge quando è solo, quando va al di là della tattica impostata dalla squadra. Quando durante la corsa si inventa una soluzione, anche se non fa in tempo a parlare con compagni e il diesse. E poi c’è un’altra cosa.

Per il Diablo Pogacar va isolato. Ciò accadde nel 2021 verso Le Gran Bornand ma lo sloveno per tutta risposta prese la maglia gialla
Per il Diablo Pogacar va isolato. Ciò accadde nel 2021 verso Le Gran Bornand ma lo sloveno per tutta risposta prese la maglia gialla
Cosa?

Oggi le corse sono più brevi. Corse più brevi e squadre più organizzate: è davvero difficile fare la differenza. E’ difficile dire dove attaccare. Oggi ci sono 5-6 fenomeni. Davvero non sai come fare. Prendiamo Van Aert. Vince dappertutto: a crono, in salita, in volata, nel cross. E lo stesso Pogacar va forte a crono, nelle classiche… e pure nel cross. Tra l’altro fanno tanto tutto l’anno. E a me – Chiappucci si toglie un sassolino – rompevano le scatole perché dicevano che facevo troppo, che d’inverno facevo “persino” il ciclocross…

Prima, Diablo, hai parlato di crono. Se tornassero ad essere più lunghe ci sarebbe più spettacolo? Magari anche un Van Aert davvero potrebbe lottare per un grande Giro e attaccarlo…

Non so se le crono più lunghe aumenterebbero lo spettacolo, di certo qualcosa andrebbe cambiato. Almeno a me non appassiona molto questo ciclismo così tecnologico. Più che le crono lunghe toglierei gli auricolari. Sarò fuori coro, ma sono completamente lontani da me. Guardiamo il mondiale come cambia.

Come cambia?

Per me cambia la corsa. I corridori sono meno preparati all’imprevisto. Emergono gli istinti sul momento. E tutto può nascere senza averlo programmato. Il famoso tranello come l’attacco al rifornimento, il ventaglio… Lo potresti fare. Ma oggi come fai se c’è chi vede la corsa in tv dall’ammiraglia? 

Pogacar quindi si attacca a sorpresa?

Esatto.

Chiappucci in fuga verso Sanremo nel 1991, con Marino Lejarreta al suo fianco
Chiappucci in fuga verso Sanremo nel 1991, con Marino Lejarreta al suo fianco
Il Diablo contro Pogacar farebbe un’imboscata quindi?

Potrebbe essere, sì. Di certo non aspetterei la salita per attaccare. Cercherei di farlo su percorsi mossi, vari, tortuosi. Anche perché quando attacchi lui, devi pensare di attaccare anche la sua squadra. La prima cosa sarebbe quella di isolarlo e magari incoraggiare anche altri ad attaccare. Insomma, devi fare qualcosa di diverso dal solito. Io ho sempre saputo con chi avevo a che fare e mi adattavo al suo modo correre, cercando di capire dove attaccare appunto. Per esempio in discesa, soprattutto se pioveva.

Il tuo attacco più pazzo?

Milano-Sanremo 1991 – risponde secco Chiappucci – Io quell’attacco non lo avevo programmato. Non sapevo come sarebbe andata. Vedete quel che dicevo prima? Quando ho visto che pioveva e tutti avevano paura della discesa bagnata mi è venuto in mente. Ho capito che avevano paura perché prima della galleria del Turchino avevano iniziato a fare le volate per prenderla davanti. Tutti sapevano che potevo creare problemi e io volevo proprio fare sconquasso. Però anche l’attacco del Sestriere al Tour è stato abbastanza folle. Attaccai pensando semplicemente: vediamo un po’ che succede…

Serve quindi uno spirito un po’ folle per tentare di mettere in difficoltà Pogacar. Il che può sembrare doppiamente folle, vista la tecnologia del ciclismo. Ma se non si esce dalle righe con Tadej che è più forte, a meno che lui non abbia una giornata no, non lo batti. Semmai la questione non è tanto attaccare Pogacar in un momento inaspettato, ma essere disposti a rischiare di saltare…

Yates scatta ma piega (ancora) la testa. UAE Tour a Pogacar

26.02.2022
4 min
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Un deja vu, un copia e incolla, una replica. Chiamatela come volete, ma dopo un anno si è ripetuta la stessa scena, sulla stessa salita, tra gli stessi interpreti. Adam Yates che attacca, Tadej Pogacar che risponde, soffre, e poi vince.

L’epilogo del UAE Tour è andato più o meno secondo i programmi. I due uomini più in forma e forse più adatti a questa scalata, quella di Jebel Hafeet, hanno tenuto fede alle attese. Ma forse alla fine tutto è racchiuso nelle parole proprio di Yates: «E’ difficile staccare un doppio vincitore del Tour de France».

Adam Yates attacca forte, screma il gruppo, ma non stacca lo sloveno. L’inglese fu 2° nel 2021 e 3° nel 2020, sempre dietro a Pogacar
Adam Yates attacca forte, screma il gruppo, ma non stacca lo sloveno. L’inglese fu 2° nel 2021 e 3° nel 2020, sempre dietro a Pogacar

Errore Yates?

Però qualche errore c’è eccome da parte sua. E se è vera quella sua frase, anche la disamina che fa non convince del tutto.

«Oggi abbiamo lavorato duramente – ha detto il portacolori della Ineos-Grenadiers – come per tutto il giro. Al primo attacco sono andato a tutto gas fino a non averne più (e già qui c’è forse un piccolo errore tattico, ndr). Mi sono guardato dietro e speravo che Pogacar non fosse attaccato alla mia ruota, ma era piuttosto difficile. 

«Ho riprovato proprio alla fine e ancora non riuscivo a liberarmi di lui. Su un traguardo come questo è abbastanza veloce in volata. Tutto sommato, penso che possiamo essere contenti di come abbiamo corso».

Quel che dice l’inglese non è del tutto sbagliato, ma ci sono dei ma… Tu sai chi è il tuo avversario, sai che in volata è più veloce, sai come va su quella specifica salita perché ci hai già perso e ripeti lo stesso errore? Come si dice: sbagliare è umano, perseverare è diabolico.

Inizia la scalata verso Jebel Hafeet, scalata di 10,9 chilometri al 6,7% e che arriva a quota 1.030 metri
Inizia la scalata verso Jebel Hafeet, scalata di 10,9 chilometri al 6,7% e che arriva a quota 1.030 metri

L’assoluzione di Garzelli

Stefano Garzelli, che ha commentato la gara per la Rai, però in qualche modo tende la mano ad Adam. Anzi, lo assolve proprio.

«E che cosa poteva fare di diverso Yates? Ha provato a vincere la corsa – dice – e al tempo stesso a difendere il podio perché c’era anche Almeida. Il UAE Team Emirates si è rinforzata tantissimo. Ha fatto tirare Bennett, poi Majka e anche Almeida… oltre a Pogacar. Se avesse aspettato l’ultimo chilometro avrebbe rischiato tantissimo. Sarebbero rimasti in cinque con due UAE (Pogacar e Almeida, ndr) e si sa che su un arrivo così Joao è pericolosissimo ai fini del podio».

Ma cosa avrebbe fatto il Garzelli corridore? Non avrebbe giocato un po’ d’astuzia? Forse qualcosa di più o quantomeno di diverso si poteva fare…

«Più che in Yates, per caratteristiche mie mi vedo più nella parte di Pogacar – dice Garzelli – in una situazione del genere avrei pensato a difendermi per vincere poi in volata. Se proprio devo imputare qualcosa all’inglese dico che questa volta poteva gestire meglio la volata. Quello sì. Doveva anticiparla lui e non farsi trovare davanti in quel punto. Doveva sapere che partendo da dietro, l’altro gli prende quei cinque metri difficili poi da chiudere. E che doveva arrivare davanti all’ingresso dell’ultima curva.

«Ripeto – dice – Yates ha giocato bene le sue carte. La salita la conosceva bene. Ha attaccato nel punto più duro, per di più in un momento in cui la UAE Team Emirates tirava forte, dando una dimostrazione di grande forza. E credo anche che allo “scollinamento” Pogacar abbia sofferto. Ma lui è forte anche in questo: ha una grande capacità di tenere duro e di essere lucido quando è sotto pressione e a tutta. Sapeva che se avesse tenuto fino a quel punto poi lo sprint sarebbe stato dalla sua».

Pogacar re della quarta edizione del UAE Tour
Pogacar re della quarta edizione del UAE Tour

Anche Pogacar soffre

Ed è vero, ha ragione Garzelli: anche Pogacar ha sofferto. «E’ sempre un piacere vincere a Jebel Hafeet», ha detto soddisfatto lo sloveno a fine gara.

«La squadra aveva lavorato molto – ha proseguito – e dovevo ripagare questo sforzo. Tutti i miei compagni hanno tirato forte, soprattutto Rafal Majka che aveva attaccato: sarei stato felice di lasciarlo andare per la vittoria di tappa, ma non ci è riuscito.

«Poi ad un certo punto, Adam è andato all’attacco ed è stato uno degli affondi più duri che abbia mai visto. E’ stata davvero dura ricucire. Ho sofferto molto.

«Ho aspettato che Joao Almeida e Rafal Majka rientrassero. Ci ha provato anche Joao e quando anche lui è stato ripreso a quel punto ho pensato solo alla volata. Il UAE Tour è per noi il primo traguardo della stagione. E’ la nostra gara di casa. È importante per i nostri sponsor».

E anche su questo ultimo punto Garzelli ha la sua teoria: «Staccare Pogacar di questi tempi è pressoché impossibile, ma poi valutiamo una cosa. Per la sua squadra questo è l’appuntamento più importante dopo il Tour. Vincere questa tappa con la maglia di leader, vincere l’intero Tour… è un bel colpo per loro. E si è visto anche da come hanno festeggiato dopo l’arrivo i corridori, ma anche lo staff, a partire dallo sceicco, Gianetti e Agostini».

Juan Ayuso: un’altra giovane stella pedala con Dmt

25.02.2022
3 min
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Il promettente e giovanissimo spagnolo Juan Ayuso, al secono anno tra i professionisti con il UAE Team Emirates (è passato professionista a luglio 2021), ha scelto le calzature Dmt. 

Il corridore di Barcellona, classe 2002, ultimo vincitore del Giro d’Italia Under 23 e medaglia di bronzo ai campionati europei, ha già dimostrato nel corso delle ultime stagioni il proprio talento: una classe ed una forza che promette di regalare grandissime emozioni a tutti gli appassionati di grande ciclismo. 

Questa nuova e prestigiosa collaborazione è letteralmente “guidata”, come del resto avviene anche con tutte le altre partnership, da una comunione di intenti e di valori. Scegliere Dmt non significa difatti calzare esclusivamente un paio di scarpe, ma bensì optare per uno “strumento” che può agevolarti a raggiungere obiettivi molto ambiziosi. Dmt inoltre è in grado di garantire ai propri atleti un supporto costante, sia a giovani talenti – proprio come Ayuso – quanto ai campioni già affermati come Tadej Pogacar ed Elia Viviani.

Il giovane spagnolo si aggiunge alla schiera di corridori che corrono con ai piedi le scarpe Dmt
Il giovane spagnolo si aggiunge alla schiera di corridori che corrono con ai piedi le scarpe Dmt

Scarpa al massimo livello

«Ho scelto Dmt – ha dichiarato entusiasta Ayuso – perché penso che negli ultimi anni questo brand italiano abbia svolto un lavoro davvero pionieristico, e questo sotto moltissimi aspetti. Non solo per le scarpe… E’ stato facile per me scegliere. Volevo affidarmi ad un marchio estremamente innovativo e Dmt è stata senza dubbio la scelta migliore. In modo particolare, a colpirmi notevolmente è stata la qualità della scarpa: una calzatura specifica per il ciclismo che racchiude in sé tutto quello che serve, per essere considerata la migliore scarpa sul mercato. Un componente fondamentale, una volta in bicicletta, in grado di potermi aiutare a performare al massimo livello. Un “dettaglio” per me fondamentale».

Per Ayuso il feeling con le nuove scarpe è stato subito positivo
Per Ayuso il feeling con le nuove scarpe è stato subito positivo

«In questi tempi – ha continuato il giovane spagnolo – per vincere si cerca costantemente quell’uno per cento in più… il famoso “marginal gain”, che con Dmt sono sicuro di poter ottenere. Grazie ai materiali con cui la scarpa Dmt che ho in dotazione è realizzata, riesco a percepire una sensazione di grande comfort e, allo stesso tempo, di ottimale rigidità e leggerezza. Onestamente non ho alcun dubbio nel poter affermare che Dmt sono le scarpe più belle sul mercato!».

Dmt