Elite Justo, precisione massima e simulazione pura

25.08.2022
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Lo abbiamo visto nella prima tappa del Tour de France 2022, sotto le bici da crono degli atleti della UAE Emirates e della Groupama-FDJ. Justo è il nuovissimo trainer top-level del pack Elite di rulli interattivi. Un vero e proprio simulatore che gode di precisione massima, power meter integrato, pendenze fino al 24% e calibrazione automatica. 

Un compagno d’allenamento indoor, comodo da trasportare per sfidare ogni giorno se stessi in qualunque contesto, emulando qualsiasi condizione. Un coinvolgimento estremo voluto dagli ingegneri Elite che proietta l’utente con programmi mirati e gare virtuali elettrizzanti

Adatto ad ogni sfida per migliorare se stessi e affrontare gli altri virtualmente

Come in strada

Justo misura realmente la potenza erogata con un misuratore integrato, l’OTS (Optical Torque Sensor). Il trainer è infatti in grado di rilevare nell’immediato la forza che si imprime sui pedali con una precisione del ± 1%. Oltre a ciò, offre nuove opzioni, tra cui la funzione “Easy Start” che rende più pratico riprendere quando si smette di pedalare per un breve lasso di tempo. 

Elite si è spinta oltre ogni limite, infatti la simulazione di pendenza massima arriva ad un incredibile 24%. Per rendere ancora più realistico il proprio allenamento si può connettere il Rizer, un simulatore di pendenza con steering, capace di inclinare la bici in salita fino ad un +20% e in discesa fino ad un -10%. 

A completare le caratteristiche innovative c’è l’autocalibrazione. Una nuova funzione che rende gli allenamenti su rullo precisi e soprattutto immediati dal primo utilizzo proprio come all’aperto. 

Associato al Rizer la simulazione diventa a 360° con un’immersione totale nello sforzo
Associato al Rizer la simulazione diventa a 360° con un’immersione totale nello sforzo

Design intelligente

Questo nuovo trainer non è solo un concentrato di caratteristiche tecnologiche ma anche un gioiello sotto il punto di vista del design. Justo infatti include i nuovi piedini Flex Feet, che hanno lo scopo di rendere la sensazione di pedalata ancora più realistica. I supporti sono intercambiabili e permettono di replicare la pressione e le oscillazioni della bici, adattando il movimento allo stile di pedalata all’aperto rispettando la biomeccanica naturale. 

Il design solido e compatto nasce da una nuova collaborazione con Adriano Design per realizzare un ecosistema di prodotti di ciclismo indoor sempre più integrato. Estetica d’impatto e spirito racing si uniscono nel Justo insieme a innovazione e sostenibilità. Per la sua struttura utilizza infatti componenti in plastica proveniente da lavorazioni più sostenibili secondo un modello di produzione circolare mirato a ridurre l’utilizzo di materie prime dalla fase progettuale.

Connesso e compatibile

Il rullo è il miglior metodo per sfidare se stessi ma anche gli altri comodamente da casa. Justo rientra nella gamma di trainer interattivi con doppio protocollo di comunicazione ANT+™ FE-C e Bluetooth, il che si traduce in una totale interazione del rullo con app, software, computer, smartphone, tablet e Apple TV. Inoltre si hanno anche 12 mesi gratuiti di abbonamento all’app My E-Training di Elite. Nella confezione sono presenti anche altri coupon per usufruire di un periodo di prova sulle piattaforme di indoor cycling più popolari, come Zwift, TrainerRoad, Rouvy, Kinomap o Bkool.

La compatibilità è ampia a partire dalla bici da strada, gravel e anche mountain bike, aventi mozzi da 130-135 x 5 mm con bloccaggio rapido, e mozzi da 142 x 12 mm con perno passante (adattatori inclusi nella confezione).

Elite

Matxin: «Vi spiego perché Ayuso farà la Vuelta»

16.08.2022
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«Ayuso non farà un grande Giro quest’anno», ci aveva detto Joxean Fernandez Matxin, il tecnico e diesse della UAE Emirates, solo qualche settimana fa. Poi la squadra di Mauro Gianetti ha divulgato la formazione che prenderà parte all’imminente Vuelta Espana e guarda chi c’è? Juan Ayuso.

Così abbiamo sentito di nuovo Matxin. Dal suo discorso non è emersa una contraddizione, ma una lucida spiegazione. Il tecnico spagnolo con chiarezza e passione, ci ha elencato il perché di questa “inversione di marcia”.

Ayuso Getxo
Ayuso vince il Circuito de Getxo. In quel momento l’ipotesi Vuelta era già concreta
Ayuso Getxo
Ayuso vince il Circuito de Getxo. In quel momento l’ipotesi Vuelta era già concreta

Cambio di rotta

«Vero, Ayuso non doveva fare un grande Giro in questa stagione – spiega Matxin – Questo argomento è stato frutto di un’evoluzione in corsa. Juan ha fatto quinto alla sua prima corsa a tappe WorldTour (il Catalunya, ndr) e quarto alla seconda (il Romandia, ndr) e pur uscendo dal Covid, non ha mostrato alcun cedimento.

«Poi al Delfinato è andato davvero forte. Se un giorno non avesse avuto un mal di testa fortissimo, che lo ha costretto al ritiro, avrebbe lottato per la vittoria».

E’ passata qualche settimana, il canonico recupero di metà stagione, e al rientro Ayuso si è mostrato ancora, subito, competitivo.

«Ad Ordizia, nella Prueba Villafranca, si è trovato a lottare alla pari con gente del calibro di Simon Yates. A Getxo ha vinto. In tutta questa fase non solo ha mostrato una buona condizione, ma numeri davvero importanti e soprattutto un recupero eccellente. Abbiamo valutato tutto questo e anche il desiderio del ragazzo».

Al Romandia il catalano ha chiuso al quarto posto nella generale
Al Romandia il catalano ha chiuso al quarto posto nella generale

Obiettivo Madrid

Alla luce di tutto questo bisognava prendere una decisione. Qualche giorno fa Matxin stesso aveva scritto sulle sue pagine social: “Il talento non si può fermare”. E se un esperto conoscitore dei giovani come lui decide di prendere questa decisione e addirittura di ribaltarla, la motivazione deve essere a dir poco valida.

«Abbiamo così deciso di anticipare quel che sarebbe stato il 2023 – riprende Matxin – crediamo che Juan sia pronto. Ha fatto i passi necessari ed è il momento giusto per farlo esordire. 

«Lui poi voleva farla. E’ stato contentissimo. Ne abbiamo parlato tutti insieme: Juan, il preparatore Inigo San Millan, lo staff, io… abbiamo deciso che si poteva provare senza pressione, ma al tempo stesso con il concetto di non fermarsi».

E questo è un passaggio chiave in tutto ciò. Matxin è sempre stato coerente quando ha parlato dei pezzi da 90 della sua squadra. E in particolare di Ayuso. Due sue frasi ci tornano in mente. «Ayuso non è un giovane. Ayuso è un campione e noi come tale lo abbiamo sempre trattato». E ancora: «Non si va alle corse per fermarsi o per allenarsi, specie un campione». Tutto torna.

«Questo – continua Matxin – non vuol dire che debba fare chissà cosa, parte comunque senza pressioni. La Vuelta per Auyso è un importante test per vedere come reagisce il suo fisico alle tre settimane. Come sarà la sua fisiologia, il suo recupero, come reagirà a sforzi ripetuti con corridori di livello mondiale». E anche per imparare: gestire pressioni, rapporti con la stampa, momenti di difficoltà, vittorie…

Al Delfinato solo il mal di testa lo ha battuto. Ayuso va forte anche a crono (quel giorno fu decimo)
Al Delfinato solo il mal di testa lo ha battuto. Ayuso va forte anche a crono (quel giorno fu decimo)

Cuscinetto mediatico

Matxin ripete più volte che Ayuso non doveva fare la Vuelta, che i programmi non erano questi, ma che sono state le circostanze a far pensare di cambiare le carte in tavola.

«Nella sua e nella nostra testa – dice Matxin – questa idea ha iniziato a frullare dopo il Delfinato, perché davvero ne è uscito benissimo. Ma tutto è rimasto volutamente sopito, anche perché dovete pensare che in Spagna c’era già una certa pressione mediatica. Lo volevano alla Vuelta».

Pensate, Ayuso spagnolo, classe 2002, alla Vuelta. Attesissimo, coi riflettori puntati su chi cerca l’erede di Contador. Il dualismo con Carlos Rodriguez. La “bomba perfetta”.

«Ma posso anche dire che dopo Ordizia (il 25 luglio, ndr), siamo anche andati a vedere qualche tappa. Ma non abbiamo voluto dirlo. Abbiamo pensato di far uscire la notizia comunicando la formazione e non con un comunicato specifico per Juan, proprio per attutire la pressione».

Matxin con Almeida all’Aprica. Un paio di giorni dopo il portoghese lascerà la corsa per Covid. Ora punta deciso alla Vuelta
Matxin con Almeida all’Aprica. Un paio di giorni dopo il portoghese lascerà la corsa per Covid. Ora punta deciso alla Vuelta

Almeida capitano

Con Matxin si parla di Ayuso, ma anche della squadra. La UAE Emirates alla Vuelta schiera una signora formazione, anche senza Pogacar. Joao Almeida parte con i gradi del leader, ma conoscendo la cattiveria agonistica e la forza di Ayuso, Juan finché potrà lotterà come un campione. Fa parte del suo Dna. E come ha scritto Matxin stesso: il talento non lo puoi fermare.

«Abbiamo una gran buona squadra – conclude Matxin – Almeida chiaramente è il leader. Soler conosce bene la Vuelta e sono convinto che potrà fare dei grandi numeri, così come McNulty. Poi c’è Juan appunto. E ci sono corridori di supporto come Polanc e Oliveira. Senza contare che abbiamo Molano come apripista di Ackermann (da vedere dopo la caduta all’europeo, ndr). E’ una squadra equilibrata».

«Joao è in crescita di condizione. Ha vinto a Burgos, contro nomi importanti, ha preso fiducia e soprattutto sta ritrovando il ritmo gara, che è ciò di cui aveva bisogno dopo il Giro d’Italia».

Europei, domani si corre. Trentin guida l’attacco

13.08.2022
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Domani si corre e finalmente gli atleti potranno scoprire il circuito di Monaco. L’organizzazione non ha voluto infastidire la circolazione cittadina e così, spiega Trentin dopo 150 chilometri con i compagni di nazionale, fatto franco il tratto in linea iniziale, nessuno è riuscito a farsi un’idea del percorso.

«L’unica cosa che sappiamo – dice Matteo – è che a parte l’Olanda, nessuno vorrà correre per la volata. Per cui, percorso o no, il nostro scopo non sarà aspettare il finale».

Trentin ha vinto il campionato europeo del 2017, dando l’inizio alle cinque vittorie azzurre
Trentin ha vinto il campionato europeo del 2017, dando l’inizio alle cinque vittorie azzurre

Regista e punta

Bennati lo aveva detto all’indomani dell’incarico ricevuto e lo ha ripetuto ieri: il trentino della UAE Emirates sarà il regista in corsa. Quello che fu per anni il suo ruolo con Cassani. E allora al regista ci rivogliamo per capire cosa aspettarci dalla corsa di domenica. Trentin ha dovuto saltare il Tour per quel Covid inatteso e senza sintomi. E’ rientrato all’Ethias Tour de Wallonie e poi a Burgos ha iniziato ad avere le sensazioni giuste.

«Un po’ sono stato fermo – spiega – anche perché non serviva ripartire subito. A Copenhagen ero messo bene, per arrivare meglio alla fine del Tour. Adesso sto bene e fare il regista non vuol dire non poter fare la punta. Dovremo essere più opportunisti delle volte precedenti. Negli ultimi quattro europei avremmo potuto dichiarare il nostro modo di correre. Anche con Nizzolo nel 2020, si corse per arrivare in volata. Questa volta il nostro scopo non sarà tirare. Se dovessimo trovarci con Baroncini, Milan e Ganna che lavorano, allora vuol dire che siamo presi male…».

A Plouay nel 2020, l’Italia ha chiuso su ogni fuga per arrivare in volata con Nizzolo, che vinse
A Plouay nel 2020, l’Italia ha chiuso su ogni fuga per arrivare in volata con Nizzolo, che vinse
Chi è l’uomo da battere?

Jakobsen, direi. Per quello che ha fatto vedere, se sta bene, è difficile da battere. Forse il Belgio con Merlier può accettare la sfida, ma per la natura stessa dei belgi, la vedo difficile. Allora bisogna correre per farlo fuori, togliergli certezze, come al Tour quando ha perso Morkov ed era meno incisivo. Bisognerà giocarsela diversamente.

Quali nazionali si trovano nelle nostre condizioni?

Direi la Spagna, perché proprio non ha il velocista. Ma stando all’elenco provvisorio dei partenti, la Germania ne ha due, ma non da aspettare la volata. Anche la Francia ha un paio di uomini veloci, ma correrà diversamente sapendo di avere le spalle coperte. Bisognerà essere bravi a cogliere l’occasione.

Che cosa significa fare il regista?

Riuscire a capire cosa vogliono fare gli altri. Prevedere le situazioni e comunicare con i compagni, che è la cosa più difficile, perché se resti intruppato, non è così scontato che ci riesci. Bisogna correre sempre uniti. Con la radio puoi permetterti di chiacchierare. Agli europei come ai mondiali non ce l’hai e, per fortuna o purtroppo, non ti puoi rilassare un momento.

Dopo aver saltato il Tour e il rientro al Wallonie, Trentin ha avuto buone sensazioni dalla Vuelta Burgos
Dopo aver saltato il Tour e il rientro al Wallonie, Trentin ha avuto buone sensazioni dalla Vuelta Burgos
Per fortuna o purtroppo?

Entrambe, ma credo che sia una cavolata non usare la radio solo per due corse all’anno. Non mi sembra che le corse in cui l’abbiamo siano poco spettacolari. Per fortuna in circuito il discorso della sicurezza incide meno, ma anche la Formula Uno usa la radio per la tattica e i gran premi restano spettacolari. A parte la Ferrari che non vince, ma quella è un’altra storia. Se vuoi le corse spettacolari, devi cambiare i percorsi, non togliere le radio.

Cambiare come?

Le corse di un giorno, le grandi classiche è giusto che siano lunghe, ma nei Giri devi accorciare le tappe. Vedi il Tour. Se vuoi che sull’Alpe d’Huez vinca un campione, devi fare in modo che abbia un incentivo per mettere la squadra a tirare. Ma se la metti al terzo giorno di un trio durissimo, è sicuro che arrivi la fuga. Non è poco rispetto, è che proprio non ce la facciamo. Dalla televisione non ti rendi conto…

Lo scorso anno a Trento, Matte decisivo per la vittoria di Colbrelli
Di cosa?

Di quanto si vada forte. Il Granon era tutto al 10 per cento, eppure sembrava che Vingegaard non facesse fatica. Anche Pogacar che ha preso 3 minuti, ha fatto il record della scalata. E’ stato il Tour più veloce di sempre, perché non ci sono tappe in cui non si vada a tutta. E non è solo il Tour, sono tutte le corse. I percorsi sono mediamente più duri e i corridori si allenano di più. Thomas ha fatto il record di tutte le salite rispetto al Tour che ha vinto, ma è arrivato terzo e ben staccato.

Sarà caldo domani a Monaco?

Guardate, mattina e sera è fresco, nelle ore centrali ci sono 30 gradi buoni. Si suderà, ma si suda anche a 20 gradi. Andiamo a vedere cosa succede, poi chiudo la valigia e vado al Tour du Limousin. Dicono che ho riposato abbastanza. E la stagione è ancora lunga.

La UAE alza il tiro: in arrivo Wellens, gregario extra lusso

10.08.2022
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Prosegue l’opera di rinforzamento della UAE Team Emirates, che non ha certo problemi di budget. E così c’è la conferma che il prossimo anno al servizio di Pogacar ci sarà anche Tim Wellens, grande promessa del ciclismo belga e colonna della Lotto Soudal. Con due vittorie all’Eneco Tour e una al Polonia, il corridore di Sint Truiden, 31 anni, è sempre parso sulla porta del grande risultato. E ora finalmente ha fatto una scelta precisa.

Wellens ha chiuso il Fiandre in 43ª posizione: il Nord è stato una delusione
Wellens ha chiuso il Fiandre in 43ª posizione: il Nord è stato una delusione

«Ho deciso di respirare aria nuova durante il periodo delle classiche valloni – ha raccontato a Het Nieuwsblad – dato che per l’ennesima volta i miei obiettivi di primavera sono stati deludenti. Ho smesso di fare i progressi che volevo e ho deciso che era giunto il momento di cambiare. Non volevo andare in una squadra del livello della Lotto Soudal. Se l’ho lasciata, è stato per migliorare. A mio avviso i team che fanno la differenza sono tre: Jumbo-Visma, Ineos Grenadiers e UAE-Team Emirates. La prima ha fatto capire che il loro interesse si era un po’ raffreddato. La Ineos era interessata, ma voleva una risposta subito. Poi ho parlato con Gianetti e Matxin e li ho trovati davvero motivati a coinvolgermi. Mi hanno dato un tempo per pensarci e così alla fine ho scelto loro».

Tutto per Pogacar

Per Wellens cambierà tutto, a partire dall’allenatore che non sarà più Paul Van Den Bosch, riferimento belga della preparazione, che lo ha seguito sin dai primi passi nel professionismo.

Wellens è uno dei corridori più ricercati dalla stampa belga
Wellens è uno dei corridori più ricercati dalla stampa belga

«Sembra davvero che avrò anche un nuovo allenatore accanto a me – spiega Wellens – un aspetto che fa parte di quel vento nuovo. Ci saranno anche alcuni cambiamenti nel mio programma. La squadra vuole giocarmi al massimo all’inizio della stagione, quando sarò al meglio. Parliamo di gare a tappe come UAE Tour e Tour of Oman. In molte gare fiamminghe e valloni mi sarà permesso di fare la corsa, a meno che non ci sia Pogacar al via. Ovunque ci sarà lui, l’obiettivo dichiarato è che io mi sacrifichi. Il che è del tutto logico, ovviamente. Mi è stato detto che alla Ineos devi giocarti il posto, alla UAE Emirates regna la chiarezza. Riceverò il mio programma in anticipo, con gli obiettivi indicati, in modo da sapere su cosa lavorare. Mi piace di più».

Rimpianto Polonia

Dopo tanti anni nella stessa squadra, partire non sarà facile. Si tratterà di lasciarsi alle spalle la quotidianità del fiammingo e amicizie vecchie di anni. Anche se nel caso di Wellens pare che, dal momento in cui ha comunicato che sarebbe andato via, alcune ruggini si siano create e ne abbiano condizionato i programmi.

«Come in ogni squadra – ha spiegato Wellens, che ha dovuto ritirarsi dal Tour de France per il covid – ci sono persone che mi mancheranno. Prendiamo ad esempio Marc Wauters, le presentazioni che faceva per ogni tappa del Tour erano di altissimo livello. Penso sia importante lasciarsi in buoni rapporti. Spero davvero tanto che non ci sarà la retrocessione dal WorldTour. Per questo mi è dispiaciuto non aver potuto partecipare al Tour de Pologne. Mi sarebbe piaciuto aiutare la squadra con i punti necessari».

Ulissi, la gamba c’è. Ora caccia a vittorie e maglia azzurra

07.08.2022
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Un buon Tour de Pologne per Diego Ulissi, al rientro dopo lo stop estivo, tra l’altro viziato dal Covid preso al Giro di Svizzera. Ma Diego non si è perso d’animo. Ha lavorato, e bene, nella sua Toscana. La sua Donoratico con questo caldo e il mare appena al di là dell’Aurelia era il posto ideale per restare freschi e trovare quel giusto mix con il riposo dopo gli allenamenti.

Ulissi, l’eterno giovane del ciclismo italiano, ha compiuto da poco 33 anni. Ma l’entusiasmo e la fame sono sempre gli stessi. Qualche giorno fa al Polonia, per esempio, c’era la cronometro individuale. Una crono che il corridore della UAE Emirates ha affrontato a tutta. «Era un buon test. Certi sforzi sono utili anche per analizzare i dati e la condizione. E poi ero quarto in classifica».

Per il toscano un buon 17° posto a 53″ da Arensman, ma soprattutto un tassello importante per continuare a lavorare.

Ulissi al termine della crono di Rusinski con il body aperto sulla schiena
Ulissi al termine della crono di Rusinski con il body aperto sulla schiena
Diego, come stai?

Non male dai. Sono andato in Polonia ed era più di un mese che non gareggiavo. Ho ripreso discretamente, la gamba gira anche se non è ancora ottimale.

Non avevi finito lo Svizzera a causa del Covid…

E’ la seconda volta che lo prendevo, ma stavolta sono stato asintomatico, non mi ha dato fastidio. A febbraio sì che ero stato male. Sono dovuto stare fermo e attento. Con il mio problema al cuore non potevo rischiare nulla. Meglio stare fermo cinque giorni in più che creare “casini”. E anche stavolta sono stato attento, perdere diversi giorni di allenamento non è il massimo. Ma in carriera ne ho passate di peggio. A 33 anni non sono queste le cose che mi scoraggiano.

Decisamente no!

Poi, lo sapete, ogni stagione ha una storia a sé. Ci sono anni in cui non vai fortissimo e vinci. E stagioni in cui voli e porti a casa 2-3 vittorie in meno. Però io sono contento di quanto fatto sin qui quest’anno. Spesso mi sono messo a disposizione, ho lavorato per la squadra, sono stato presente…

In Polonia Ulissi rientrava dopo lo stop per Covid allo Svizzera
In Polonia Ulissi rientrava dopo lo stop per Covid allo Svizzera
Quale sarà il tuo calendario adesso? Farai anche la Vuelta?

No, niente Vuelta. In carriera tra l’altro non ho mai fatto due grandi Giri nella stessa stagione, ma solo uno. Dopo il Polonia farò il Tour du Limousin, Plouay, le due prove canadesi e quelle italiane fino al Lombardia. Insomma gare di un giorno o brevi corse a tappe più adatte alle mie caratteristiche. E poi spero nel mondiale.

Sempre più campioni andranno in Canada: ma come sono queste corse nordamericane?

Carine davvero. Posti molto belli, sempre un’ottima cornice di pubblico e poi solitamente si corrono in circuiti… come in un mondiale.

Mondiale, parolina magica! Ci pensi? Hai parlato con il cittì Bennati?

Ci siamo confrontati e dobbiamo vedere come andranno le corse e a quel punto ne riparleremo. La maglia azzurra è unica, fantastica… ma bisogna guadagnarsela. In Italia siamo tanti pretendenti e spettano a Bennati le scelte.

Cosa sai del percorso australiano?

Che alla fine sarà parecchio esigente secondo me. Insomma, il dislivello parla da solo, vero che non ci sono salite lunghe, ma lo strappo finale sembra essere davvero duro e, con una distanza superiore ai 260 chilometri, alla fine resterà nelle gambe a tanti.

Che foto! Bennati (oggi cittì) guida il treno azzurro a Bergen. Trentin, Puccio e Ulissi alla sua ruota. Saranno protagonisti anche in Australia
Bennati (oggi cittì) guida il treno azzurro a Bergen. Trentin, Puccio e Ulissi alla sua ruota. Saranno protagonisti anche in Australia
Hai detto che le salite non sono lunghe: conta più il dislivello complessivo o la loro lunghezza? Perché il dislivello è da tappa alpina…

Però bisogna fare una distinzione importante fra tappa alpina, magari inserita nella seconda o terza settimana di un Giro, e il dislivello in una corsa di un giorno. Le salite, specie se sono brevi in questo secondo caso sono più esplosive e cambia molto.

Insomma non è per gli scalatori puri. Chi potranno essere i favoriti?

I protagonisti sono sempre quelli. Il primo nome che mi viene in mente è Van Aert, basta pensare all’ultimo Tour: faceva paura per come andava! Poi Van der Poel. Lo stesso Tadej (Pogacar, ndr) se riesce a ritrovare la sua gamba per il finale di stagione. E per me anche Alaphilippe. Lui era ripartito bene dopo la caduta alla Liegi, ma si è dovuto rifermare subito per il Covid. Ma quel percorso potrebbe essere per lui.

I francesi parlavano anche di Demare?

Eh, ma così allora è aperto a tutti! Per me no, troppo esigente per i velocisti come lui.

A tutto Formolo. Intanto Ackermann vince di forza

02.08.2022
5 min
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Tour de Pologne. A Sanok, in un arrivo in volata atipico, visto lo strappo di 300 metri poco prima della linea del traguardo, vince Pascal Ackermann. Un successo di forza, voluto e cercato con tutte le energie rimaste dopo un finale ad altissima velocità. Pascal taglia il traguardo per primo e la folla, riunitasi nella piazza di Sanok, contornata da edifici rinascimentali color pastello, esplode in un boato. «Domani sarà l’Ackermann day», aveva scherzato sul palco della presentazione dei team giovedì scorso Formolo, con qualche giorno di ritardo ma potremmo dire che quel momento è arrivato.

«Quello trascorso per me è stato un periodo difficile – dice il tedesco con il volto rosso mentre si disseta avidamente da una bottiglietta d’acqua – l’infortunio patito a inizio stagione mi ha frenato. Ora sto bene, dopo il secondo posto di domenica ecco la vittoria, ci voleva.

«Il mio grande obiettivo sono gli europei, ma dovrò capire se riuscirò a far parte del team. Poi ci sarà la Vuelta, sarà dura ma la fiducia c’è e la voglia di fare bene anche».

Ackermann vince la quarta tappa del Tour de Pologne con forza e determinazione, ora sogna gli europei
Ackermann vince la quarta tappa del Tour de Pologne con forza e determinazione, ora sogna gli europei

Il solito sorriso

Il parcheggio dei bus delle squadre a Chelm, dove incontriamo Davide Formolo, è a pochi metri dal palco del foglio firma. Arriviamo nel piazzale intorno alle 10, il cielo sopra di noi è grigio e minaccia di piovere, le nuvole sono così basse che hai l’impressione di poterle stringere in una mano. Piano piano arrivano i bus dei team, uno dei primi è quello del UAE Team Emirates, con a bordo Davide Formolo e compagni. 

Davide ci accoglie seduto sulle scalette del bus, tuta della UAE Emirates, occhiali tondeggianti ed il sorriso stampato in faccia, quello non glielo toglie nessuno. «Vi va bene se facciamo l’intervista sulle scale? – ci dice, noi accettiamo, come si fa a dirgli di no? – così non metto le scarpe». Gli chiediamo subito come sta.

«Sto bene, ormai sono un affezionato del Giro di Polonia, è la mia sesta partecipazione, quando facevo Giro e Vuelta era perfetto per prepararsi perché cade esattamente ad un mese dall’inizio della seconda. Quest’anno però non farò la corsa spagnola, ma le corse in Italia quindi siamo più tranquilli non dovendo preparare una grande corsa a tappe.

«Dopo il Polonia mi sposterò in Canada e correrò lì. Prepariamo un bel finale di stagione, ci sono tante belle classiche: il Giro dell’Emilia, il Lombardia, dove aiuterò Tadej a conquistare il bis. Poi ci sono anche le due nuove gare in Veneto che sono interessanti, spero di poter giocare le mie occasioni nelle gare di casa».

Formolo non perde mai il buon umore, eccolo che scherza con i compagni durante la presentazione delle squadre
Formolo non perde mai il buon umore, eccolo che scherza con i compagni durante la presentazione delle squadre

Il Tour da casa

Quest’anno Formolo non ha corso il Tour accanto al suo amico Pogacar, lo ha visto da casa, ma il suo supporto all’amico e compagno di squadra non è mancato.

«Che gara che è venuta fuori – esclama Davide – è stata impressionante, bellissima da vedere. Il fatto che Tadej non avesse addosso la maglia gialla lo ha spinto ad attaccare sempre, lo ha fatto anche sugli Champs Elysées – ridacchia – più di così non poteva fare. Io ho visto il solito Pogacar, un corridore che attacca e che non si tira mai indietro. Non lascia nulla al caso, ha una serenità che gli permette di tentare anche queste azioni da lontano».

«Mi ricordo alla Vuelta del 2019, dove fece terzo, che eravamo caduti nella crono a squadre, doveva recuperare minuti e l’ultima settimana l’aveva fatta sempre all’attacco. Quest’anno è stato simile, questo suo modo di fare dimostra un po’ quel che è lui, un ragazzo che non ha perso la sua essenza della quale ci siamo tanto appassionati».

Davide poco prima del via della seconda tappa: Chelm-Zamosc
Davide poco prima del via della seconda tappa: Chelm-Zamosc

Due contro uno

Cosa pensa Formolo, compagno di migliaia di giornate in sella, della crisi che ha colpito Pogacar sul Granon? Una situazione anomala che sembrava non dovesse arrivare mai per lo sloveno. 

«E’ stato strano vederlo soffrire – dice con una grande risata – è ciclismo, doveva succedere prima o poi che dovesse perdere. Certo che perdere e fare secondo al Tour non è mica male – dice prolungando la risata – sarebbe bello perdere sempre così. La Jumbo-Visma aveva una bella squadra, Vingegaard è andato forte ed è stato bravo ad amministrare il vantaggio che aveva, facendo la stoccata finale quando ha vinto sull’ultimo arrivo in salita.

«Il duplice attacco della Jumbo nella tappa del Granon era inaspettato, si è trovato in una situazione diversa e dovrà imparare a gestirla, alla fine è giovane. Nel calcio c’è un proverbio che dice “O si vince o si impara” e quest’anno Tadej ha vinto un po’ meno ed ha imparato qualcosa in più».

Formolo è stato tante volte accanto a Tadej, eccoli alla Sanremo di quest’anno
Formolo è stato tante volte accanto a Tadej, eccoli alla Sanremo di quest’anno

Ci vuole pazienza

Il foglio firma chiama e Formolo parte insieme ai compagni di squadra. A pochi minuti dal via vediamo il corridore veneto parlare e scherzare con Zhao, l’addetto stampa del suo team. Davide non perde mai il buon umore e la calma, una personalità come la sua aiuta a distendere i nervi nei momenti tesi della corsa. Magari quel che è mancato alla UAE Emirates in Francia è stata proprio la serenità che Formolo è in grado di portare.

«I miei compagni hanno fatto una grande corsa – dice con serenità – ci sono state anche delle complicazioni non indifferenti. I numerosi casi Covid e qualche episodio sfortunato, come la rottura della catena da parte di Majka. Alla fine a Parigi sono arrivati solamente in quattro, non si può rimproverare nulla a nessuno. Tadej lo incontrerò in Canada probabilmente, non so ancora con precisione i suoi programmi. Dopo il Tour non sono riuscito a sentirlo, anche perché lui è tornato ed in contemporanea io sono venuto qui in Polonia».

Da segnalare il terzo posto di Jonathan Milan, il secondo in terra polacca. «Ci ho preso gusto!» dice scherzando prima di fuggire ai bus delle squadre. Il meteo minaccia pioggia, meglio mettere la testa al riparo, Il Tour de Pologne è ancora lungo. E magari anche Formolo potrà ritrovare una vittoria.

Kuss e McNulty, Tour de France in chiave americana

31.07.2022
5 min
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Qualche giorno fa Pietro Caucchioli sottolineava un aspetto del Tour appena concluso: i grandi protagonisti Jonas Vingegaard e Tadej Pogacar hanno entrambi avuto un luogotenente americano, rispettivamente Sepp Kuss e Brandon McNulty (i quattro nella foto di apertura CorVos). Un sintomo abbastanza evidente della ripresa del ciclismo a stelle e strisce. Guardando la classifica del Tour si scopre che il discorso è ben più ampio.

In un Tour che alla resa dei conti si è dimostrato alquanto selettivo ci sono stati ben 4 corridori statunitensi che si sono piazzati fra il 13° e il 21° posto: Powless, proprio Kuss e McNulty e, last but not least, il giovane e sempre più promettente Matteo Jorgenson. Se consideriamo che il primo italiano è stato Simone Velasco al 31° posto è evidente come il ciclismo americano sia su una lenta ma sicura via di ripresa.

McNulty andatura
McNulty ha vissuto una giornata eccezionale a Peyragudes, ma sperava in un “regalo” dei leader
McNulty andatura
McNulty ha vissuto una giornata eccezionale a Peyragudes, ma sperava in un “regalo” dei leader

Per Brandon un podio e tanta amarezza

Osservando le tappe, la sensazione è che i due in questione, inquadrati in rigidi schemi di squadra, avrebbero potuto ottenere molto di più. Fra le pieghe delle loro dichiarazioni emerge un certo disagio. Lo ha sottolineato soprattutto McNulty raccontando a modo suo la tappa di Peyragudes. Quella del terzo successo parziale di Pogacar ma anche della strenua difesa di Vingegaard: «All’inizio della salita di Val Louron il piano era che tirassi a tutta per 15 minuti. Vedendo che tanti cedevano, ho lavorato molto di più.

«A 5 chilometri dalla conclusione – prosegue lo statunitense dell’Uae Team Emiratesho sperato sinceramente che Jonas e Tadej, non potendo ormai cambiare molto in termini di classifica, mi lasciassero vincere, ma non ci sono regali in questo sport. Mi sono dovuto accontentare del numero rosso per la combattività…».

A poco sono valse le parole di stima espresse da Pogacar al termine della vittoriosa frazione: «Brandon è una vera “bestia”. Ha fatto un lavoro meraviglioso. Era davvero in forma, è andato bene per tutto il Tour ma questa volta è stato speciale».

McNulty Peyragudes
L’americano sul podio riceve il numero rosso per la combattività: la delusione è evidente
McNulty Peyragudes
L’americano sul podio riceve il numero rosso per la combattività: la delusione è evidente

Un americano sempre disponibile

Dall’altra parte Kuss si è confermato uomo di estrema affidabilità, ma senza quella libertà che lo scorso anno gli aveva consentito di vincere una tappa. Alla Jumbo Visma l’americano di Durango (McNulty è di Phoenix) è considerato una colonna. Un uomo che mette da parte le ambizioni personali per coerenza, per essere sempre lì quando c’è bisogno, costante al fianco del leader. Rispetto allo scorso anno però è stato un Tour diverso, nel quale gli addii prematuri di Roglic e Kruijswijk hanno fatto cadere sulle sue spalle un surplus di responsabilità.

Kuss però non è uomo da lamentarsi, né da tirarsi indietro rispetto alle sue responsabilità. Un aneddoto curioso è capitato proprio nei giorni più caldi (e non solo meteorologicamente) della Grande Boucle. L’addetto stampa della Jumbo Visma voleva preservarlo dalle domande dei giornalisti, consigliandogli di andare subito a farsi la doccia passando oltre microfoni e taccuini. Sepp invece si è sempre fermato di buon grado, accettando l’aggravio di impegni dopo le dure tappe francesi.

Kuss andatura
Tantissimi i chilometri di Kuss in testa a gruppi e gruppetti, come pilota per Vingegaard
Kuss andatura
Tantissimi i chilometri di Kuss in testa a gruppi e gruppetti, come pilota per Vingegaard

Encomiabile anche se non al massimo

Come McNulty, Kuss c’è sempre, al fianco del capitano, svolgendo il suo ruolo di pesce pilota anche quando le cose non vanno. «A volte non vivo i miei giorni migliori – ha affermato il corridore del Colorado – ma non lo dico e do sempre il mio massimo, ci metto tutto quel che ho perché voglio esserci nei momenti importanti». E in certi momenti è stato davvero fondamentale. Era quella chiave che Pogacar non riusciva a scardinare, scivolando verso tattiche disperate: «Le montagne a volte sono più semplici di quanto si pensi – rispondeva a chi gli chiedeva conto del suo ritmo indiavolato, che teneva Vingegaard sempre a galla – Alla fine si tratta solo di chi ne ha di più».

Kuss Vingegaard
L’abbraccio della maglia gialla a Kuss, puntuale colonna alla quale si è appoggiato in montagna
Kuss Vingegaard
L’abbraccio della maglia gialla a Kuss, puntuale colonna alla quale si è appoggiato in montagna

Il danno dell’era Armstrong

Molti, guardando la classifica di cui sopra, gli hanno chiesto conto della situazione attuale del ciclismo americano soprattutto in raffronto al suo contro verso passato e le parole di Kuss sono state taglienti, quasi risentite: «Quando ho vinto una tappa al Tour ho ricevuto più attenzioni di quante mi aspettassi. Il ciclismo è un piccolo mondo anche se a chi c’è dentro non pare e per noi che veniamo da oltreoceano lo è ancora di più.

«Il Tour per gli americani è qualcosa di unico, anzi “è” il ciclismo. Se ci partecipi ti dicono “Oh, devi essere davvero forte per essere lì”, ma tutte le altre gare neanche le conoscono. Mi viene in mente l’era Armstrong, gli anni del doping e molti pensano che i ciclisti siano ancora come allora, ma tutto è cambiato. Il difficile però è recuperare la fiducia dopo che il danno è stato fatto e che danno…».

Jonas signori e vengo da lontano…

21.07.2022
6 min
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Se anche finirà così, Pogacar se ne andrà dal Tour con tre tappe vinte, il secondo posto e l’onore delle armi. Quale che ne sia stata la ragione, lo sloveno si è trovato indietro e ha fatto quel che poteva per risalire la china. Purtroppo per lui, è inciampato su Jonas Vingegaard, un danese fortissimo a capo di una squadra altrettanto forte, che hanno approfittato del suo passo falso sulle Alpi e l’hanno appeso sulla croce.

Che vinca il migliore: c’è questo nello scambio di saluti al via della tappa fra Pogacar e Vingegaard
Che vinca il migliore: c’è questo nello scambio di saluti al via della tappa fra Pogacar e Vingegaard

Duello fra uomini veri

Un duello fra due ragazzi che non si sono risparmiati colpi, ma sempre nei limiti della grande correttezza. E quando oggi Pogacar è caduto, la maglia gialla non ha neanche immaginato di approfittarne. Vingegaard si è subito rialzato sul manubrio. Lo ha aspettato. Nel voltarsi per stringergli la mano quasi finiva anche lui giù dalla scarpata e poi la corsa è ripartita.

«Penso che Tadej abbia sbagliato la curva – ha detto Vingegaard a caldo – e poi sia finito sulla ghiaia. Ha cercato di uscirne, ma la bici è scivolata via. Poi l’ho aspettato. Ma oggi devo ringraziare tutti i miei compagni di squadra. Incredibile. Alla fine vedi Wout Van Aert che resce a staccare Tadej Pogacar. Anche Sepp Kuss è stato fantastico. Sono stati tutti incredibili. Tiesj Benoot, Christophe Laporte, Nathan Van Hooydonck. Non ci sarei mai riuscito senza di loro».

Van Aert vs Pogacar

Era la tappa per la resa dei conti, quella in cui Pogacar avrebbe dovuto tentare il tutto per tutto e Vingegaard cercare di respingerlo. E’ finita, come aveva in qualche modo ipotizzato ieri Martinello, che la UAE Emirates si è ritrovata senza Bjerg, sfinito dopo la tappa di ieri, e con un McNulty a un livello più basso. Mentre la Jumbo Visma, che ieri ha ceduto troppo presto, si è ritrovata a menare le danze a pieno organico. E quando anche Kuss ha finito il suo lavoro, sulla strada è spuntato Van Aert, ripreso a 6 chilometri dal traguardo. Kuss gli ha chiesto se ce la facesse ancora e il ghigno sul volto del gigante di Herentals gli ha fatto capire che avrebbe potuto spostarsi in serenità. Ed è stato a quel punto, come raccontato da Vingegaard, che il forcing di Van Aert ha stroncato Pogacar.

«Non potrebbe esserci modo migliore per me di perdere il Tour. Penso di aver dato tutto – ha ammesso con trasparenza lo sloveno – lo prendo senza rimpianti. Penso che i ragazzi della Jumbo Visma abbiano fatto un ottimo lavoro. Congratulazioni a loro, erano molto forti. Oggi ha vinto il migliore. E penso che vincerà anche il Tour».

Ciccone ha provato l’assalto alla maglia a pois di Geschke, ma nulla ha potuto contro Vingegaard
Ciccone ha provato l’assalto alla maglia a pois di Geschke, ma nulla ha potuto contro Vingegaard

Macron in prima fila

Dire se la caduta abbia influito resterà motivo di discussione da bar. E così, mentre il presidente Macron si godeva lo spettacolo dalla privilegiata ammiraglia di Christian Prudhomme (come immaginarsi Mattarella in auto con Mauro Vegni), Van Aert ha lanciato il suo piccolo capitano verso la conquista, esultando poi a sua volta sul traguardo: grosso, verde e cattivo come un Hulk 2.0.

«E’ stata una giornata molto bella per noi – ha detto la maglia verde – era anche chiaro che avessimo un piano. Rispetto a ieri, oggi Jonas si sentiva molto più a suo agio grazie alle salite più lunghe e ripide. L’intenzione era davvero quella di attaccare e guadagnare ancora più tempo. Davanti volevo essere utile a Jonas prima che finisse la salita ripida e per riuscirci mi sono staccato dalla fuga, per non rischiare che mi prendessero troppo avanti. Ed è andata come volevamo».

La resa (onorevole) di Tadej

Tadej non si abbatte. E’ una corsa. Ha lottato. Forse ha appreso qualche lezione per il futuro. E ha pagato con la sfortuna che ti si attacca quando le stelle hanno già emesso il verdetto in favore di un altro. Non si è mai visto un vincitore di Tour che cade nel giorno decisivo: forse il finale è già scritto in favore di Jonas Vingegaard, ma è stato bello vedere il ragazzino sloveno cercare di opporvisi.

«Sto bene – ha detto tornando sulla caduta – è successo tutto molto in fretta e altrettanto velocemente sono tornato in sella. Qualche graffio, ma sto bene. Ho dato tutto sulla penultima salita, perché avevo ancora speranza. Ma quando sono caduto, ho iniziato a pagare e la motivazione si è un po’ affievolita. Jonas aveva ancora dei compagni di squadra. Ho provato a seguirlo, ma non ci sono riuscito. Erano troppo forti. Volevo reagire, ma non ce la facevo più».

La vittoria numero due di Vingegaard, dopo quella del Granon. Due attacchi, entrambi decisivi
La vittoria numero due di Vingegaard, dopo quella del Granon. Due attacchi, entrambi decisivi

«E’ incredibile – gli ha fatto eco Jonas nel suo racconto – questa mattina ho detto a mia figlia e alla mia ragazza che avrei vinto per loro. L’ho fatto. Ne sono molto orgoglioso. Questo è specialmente per loro. Ero solo felice che la corsa fosse finita perché è stata davvero dura. Sono molto contento di aver vinto, ma mancano ancora due giorni prima di arrivare a Parigi. Quindi è importante rimanere concentrati. Questo Tour lo prendiamo giorno per giorno. Non voglio ancora parlare della vittoria assoluta».

Covi, ti ricordi quel giorno sul Fedaia?

Giada Gambino
21.07.2022
5 min
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Alessandro Covi si trova chiuso in camera. Ha dovuto, momentaneamente, interrompere gli allenamenti e la stagione a causa del Covid. Così chiude gli occhi e ripercorre i momenti di quella che è stata la sua ultima ed emozionante vittoria: la 20ª tappa del Giro d’Italia con arrivo sulla Marmolada… 

«Dopo il ritiro di Almeida (causato dal Covid alla 18^ tappa, ndr) – racconta Covi, corridore professionista del team UAE Emiratesla squadra voleva conquistare la vittoria e forse perché eravamo quelli meglio piazzati nel momento della creazione del gruppo di fuga o forse perché della UAE eravamo quelli più in forma, mi sono ritrovato in testa con Formolo».

Alla partenza da Belluno la UAE voleva vincere. E’ stato Covi, qui con Ulissi, a entrare nella fuga giusta
Alla partenza da Belluno la UAE Emirates voleva vincere. E’ stato Covi a entrare nella fuga giusta

In fuga con Formolo

I due compagni di squadra, così, iniziano una lunga, faticosa ma bella fuga, interpretandola in modo diverso. Alessandro assume un atteggiamento di attacco, Davide rimane sulla difensiva facendo da stopper al compagno. 

«Più pedalavo – continua Covi –  più sentivo e capivo di stare bene. Decisi di andare dall’ammiraglia e parlai anche con Davide. Sapevo quali fossero le mie intenzioni e ne avevo messo tutti al corrente, ottenendo il via libera».

Il corridore del UAE Team Emirates, quindi, accelera e nella discesa verso Arabba stacca tutti.

«Avevo ben chiaro in testa cosa fare: andare a tutta sino ai piedi della salita e guadagnare quanto più vantaggio possibile sugli inseguitori».

Senza mai voltarsi

Non si volta, non ne ha motivo, il suo obiettivo è davanti ed è focalizzato su di esso. E’ dura, la strada sale sempre di più.

«Sono abituato alla fatica, alla sofferenza e questa non mi spaventa. Non voglio commettere gli stessi errori del passato, che mi hanno fatto mancare la vittoria per la troppa emozione del momento».

Nel Giro d’Italia U23 del 2019, Covi aveva perso la seconda posizione nella generale negli ultimi 2 chilometri della tappa proprio con arrivo sulla Marmolada.

Gli ultimi chilometri di salita sono stati interminabili: la bravura di Covi è stata rimanere freddo
Gli ultimi chilometri di salita sono stati interminabili: la bravura di Covi è stata rimanere freddo

Calma e sangue freddo

Alessandro, adesso, si concentra, respira, placa le sue emozioni e si focalizza solo ed esclusivamente sul mantenere le energie e non sprecarle subito.

«La strada è lunga e non ho un’immatura frenetica fretta di arrivare al traguardo, voglio mantenermi, preservarmi». 

Lo informano che Novak sta cercando di raggiungerlo. «Nel caso in cui ci riuscisse, mi troverebbe pronto per un duello finale. Non la lascio vinta, combatterò sino all’ultimo se sarà necessario, ma questa tappa dovrà essere mia».

Si gira a destra, poi a sinistra. Vede due ali di folla che lo spingono, moralmente, sempre più forte verso il traguardo.

«Guardo i watt, la folla urla il mio nome, mi incitano e i miei watt aumentano di 40/50. Quei punti colmi di folla mi danno una spinta così bella, così essenziale che inevitabilmente fanno accrescere il mio vantaggio».

La vittoria al Fedaia ha riscattato la beffa di tre anni prima al Giro U23
La vittoria al Fedaia ha riscattato la beffa di tre anni prima al Giro U23

Novak è lontano

Spinto dal pubblico, spinto dalla passione per il ciclismo, passione che ha invaso il suo cuore sin da bambino e di cui non ha potuto fare a meno… giunge ai meno 300 metri. Si volta, Novak è lontano.

«Ho ancora un po’ di energie, quelle che mi ero preservate nel caso in cui mi avesse raggiunto».

Allora realizza, capisce e inizia ad assaporare il gusto della vittoria. Giunge al traguardo, alza le braccia al cielo.  «Non so se riesco a credere a ciò che è successo, forse è impossibile capirlo subito». 

Accoglienza post Giro a Taino per Covi da parte del suo fan club (foto Alessandro Perrone)
Accoglienza post Giro a Taino per Covi da parte del suo fan club (foto Alessandro Perrone)

Con i piedi per terra

Alessandro apre gli occhi. Rivive la sua vittoria con emozione, ma una giusta dose. E’ già proiettato al futuro, il Giro d’Italia si è concluso per lui nel migliore dei modi, ma adesso ci sarà tanto altro ad attenderlo e sarà pronto ad affrontare tutto con la determinazione che lo contraddistingue e con la consapevolezza di ciò che è la sua persona.

Dopo la vittoria di tappa, hanno iniziato a seguirlo e tifarlo maggiormente. «Ma sono lo stesso corridore di sempre. Il bambino cresciuto tra i ciclisti che, inevitabilmente, ha reso lo sport di famiglia la sua più grande passione e ragione di vita (la madre Marilisa è stata una ciclista come pure il fratello, mentre il padre Alberto ha corso sino ai dilettanti, ndr). Cercherò di affermarmi sempre più, senza perdere mai le mie caratteristiche come corridore e come persona, che rendono unico il me ciclista».