Tre anni sono un periodo lungo di stop per una manifestazione sportiva. Il ciclismo mondiale ritrova a inizio settembre un classico della sua programmazione, la trasferta canadese per le due prove del WorldTour, il GP del Quebec e il GP di Montreal, in programma a distanza di 48 ore. Due prove che hanno sempre avuto una partecipazione a livello di ogni altra classica del massimo circuito, innanzitutto perché il mercato d’oltreoceano interessa a molte multinazionali, non solo ciclistiche, presenti nel WorldTour, poi perché vincere da quelle parti ha un sapore particolare per un europeo e questo vale per tutti gli sport.
Lo sa bene Diego Ulissi, che nella terra della foglia d’acero ricordano per la vittoria del 2017 a Montreal dopo essere stato 11° due giorni prima a Quebec City. Raccontando quel che il programma proporrà il 9 e 11 settembre prossimi, il corridore della Uae Team Emirates evidenzia subito un fattore.
«Non sono gare come le nostre perché si gareggia in circuito – fa notare – diciamo che sono più simili a un europeo o un mondiale, solo che si compete per squadre di club. Sono vere e proprie kermesse e vanno interpretate quindi con qualche piccola differenza rispetto alle normali gare in linea».
Che differenze ci sono fra loro?
Molti pensano che siano uguali, ma non è così. La prima è più adatta a passisti veloci e può favorire anche i velocisti se sanno interpretarla, ossia non essere ancorati essenzialmente alla soluzione allo sprint di gruppo. La seconda è più per passisti scalatori, ci sono salite più lunghe che favoriscono attacchi e infatti si chiudono spesso con volate ristrette. Anche gli scenari sono diversi, ma in generale sono molto belle, qualcosa di insolito rispetto a quel che vediamo normalmente.
Che attenzione c’è intorno alle gare?
Enorme. Sulle strade c’è sempre tanta gente, proprio perché si gareggia in circuito, ma si vede che il ciclismo da quelle parti è seguito quando arrivano i corridori dall’Europa. Poi sono città sempre piene di turisti, c’è molto seguito (in apertura un passaggio a Quebec City, foto di Jacques Boissinot, ndr).
Gareggiare in circuito cambia un po’ l’aspetto tattico in seno alle vostre squadre?
Un po’ sì, perché correndo in circuito bene o male il percorso lo impari a memoria, quindi sai come affrontare ogni curva, come prendere posizione. Per il resto le gare si svolgono in maniera abbastanza canonizzata, con fughe che vanno via da lontano e gruppo che si accende nella seconda parte. A Montreal però il tracciato invita agli attacchi.
Che cosa ricordi della tua vittoria nel 2017?
Scattai con un gruppo ristretto a due giri dalla fine, volevano anticipare Sagan e Van Avermaet che su quel percorso erano i principali candidati alla vittoria. L’arrivo era leggermente in salita e questo cambia molto nella sua impostazione, perché dislivello e chilometraggio si fanno sentire, bisogna impostare la volata sulla potenza. Alla fine ci giocammo la vittoria in quattro e io precedetti Herrada e Slagter.
Lo consideri un momento importante nella tua carriera?
Per molti versi sì perché è una gara che ha un grosso peso specifico e soprattutto va saputa interpretare. Ogni attimo può essere quello decisivo, devi avere sempre le antenne diritte perché l’azione che conta può partire nel finale ma anche a una certa distanza dal traguardo come accadde a me. Mentalmente non sono gare semplici, soprattutto la seconda.
Come venne accolta la tua vittoria nella comunità italiana del posto?
Che bei ricordi… C’era tantissima gente, furono in tanti ad avvicinarsi a me e farmi i complimenti. Gente che mancava dall’Italia da tanti anni e si sentiva orgogliosa, persone che erano anche nate lì ma che si sentivano italiane nel profondo. Poi ho notato, girando un pochino per le città, quanti locali italiani ci sono, con i nomi delle nostre città. Mi è rimasto impresso, mi fa sempre piacere tornare a correre da quelle parti.
Dicevi che sono due gare diverse, quindi chi riesce a fare doppietta compie una vera impresa…
Negli anni recenti ci sono riusciti Gerrans nel 2014 e Matthews nel 2018. Come si vede si parla di corridori estremamente veloci ma non sprinter puri, sono capaci di resistere a gare dure, di reggere agli strappi e poi fare la differenza in volata. Si possono concludere con sprint di una trentina di corridori, ma non sono gare dai classici “treni”, bisogna saper resistere e inventare. Poi molto dipende anche dalle condizioni atmosferiche. Sono prove esigenti, che premiano sempre un corridore che è davvero in forma.
Tu in che condizioni sei attualmente?
Sono in un periodo buono, al Tour de Limousin ho ritrovato finalmente la vittoria finendo secondo nella generale, ma anche al Giro di Polonia mi ero sentito abbastanza bene. Ora mi attendono il Bretagne Classic di domenica a Plouay, gara che storicamente non mi è mai andata molto a genio essendo adatta a ruote molto veloci e poi la trasferta canadese. E chissà che con questa gamba non ci si possa togliere qualche altra bella soddisfazione, per me e per la gente di lì…